N. 62 SENTENZA 26 marzo - 5 aprile 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Agricoltura  -  Comparto  bieticolo-saccarifero  -  Cessazione  della
  produzione di zucchero - Progetti di riconversione  degli  impianti
  industriali - Attribuzione all'apposito Comitato  interministeriale
  del compito di disporre le norme atte  a  garantire  l'esecutivita'
  dei progetti, con possibilita' di nominare un commissario ad acta -
  Violazione della competenza  legislativa  regionale  nella  materia
  residuale   dell'agricoltura    -    Violazione    dei    requisiti
  costituzionali per l'esercizio dei  poteri  sostitutivi  statali  -
  Illegittimita' costituzionale. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 29, comma 2. 
- Costituzione, artt. 117, quarto comma, e 120; legge 5 giugno  2003,
  n. 131, art. 8. 
Commercio - Imprese di panificazione di natura produttiva  -  Vincolo
  di chiusura domenicale e festiva -  Soppressione  -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Asserita violazione della  competenza  legislativa
  regionale  residuale  in  materia  di  commercio  -  Questione  non
  inequivocamente  determinata  e  non   adeguatamente   motivata   -
  Inammissibilita'. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 40. 
- Costituzione, art. 117, quarto comma. 
Procedimento    amministrativo    -    Attivita'    temporanea     di
  somministrazione di alimenti  e  bevande  in  occasione  di  sagre,
  fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o  eventi
  locali straordinari - Previa  segnalazione  certificata  di  inizio
  attivita' con modalita' semplificate - Ricorso della Regione Veneto
  -  Asserita  violazione  della  competenza  legislativa   regionale
  residuale in materia  di  commercio  -  Insussistenza  -  Norme  di
  semplificazione amministrativa  riconducibili  alla  materia  della
  determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
  i diritti civili e sociali - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 41. 
- Costituzione, art. 117, terzo e quarto comma. 
Istruzione - Linee  guida  orientate  allo  scopo  di  consolidare  e
  sviluppare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, potenziandone
  l'autonomia  gestionale  secondo   criteri   di   flessibilita'   e
  valorizzando la responsabilita' e la professionalita' del personale
  della scuola - Adozione con decreto interministeriale,  sentita  la
  Conferenza unificata Stato-Regioni - Mancata previsione dell'intesa
  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Asserita  violazione   delle
  prerogative regionali legislative  in  materia  di  dimensionamento
  scolastico e di servizi sociali - Asserita violazione del principio
  di leale  collaborazione  -  Insussistenza  -  Ascrivibilita'  alla
  materia "norme generali sull'istruzione"  di  competenza  esclusiva
  dello Stato - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 50, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, terzo e quarto comma. 
Istruzione  -  Piano  nazionale  di  edilizia  scolastica   -   Norme
  tecniche-quadro - Adozione con decreto  interministeriale,  sentita
  la  Conferenza  unificata  Stato-Regioni   -   Mancata   previsione
  dell'intesa - Ricorso della Regione Veneto  -  Asserita  violazione
  del principio di  leale  collaborazione  -  Insussistenza  -  Norme
  costituenti principi generali nelle  materie  concorrenti  "governo
  del territorio", "energia", "protezione civile"  -  Non  fondatezza
  delle questioni. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 53, comma 7. 
- Costituzione, art. 120. 
Assistenza - Avvio della sperimentazione della "carta  acquisti"  nei
  comuni  con  piu'  di  250.000  abitanti  -  Adozione  con  decreto
  interministeriale con finanziamento a valere  su  Fondo  statale  -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserita violazione della competenza
  legislativa residuale in materia di servizi sociali e assistenza  -
  Asserita  violazione   dell'autonomia   finanziaria   regionale   -
  Insussistenza - Normativa espressione di principi  fondamentali  in
  tema di "diritti sociali", di cui deve farsi carico il  legislatore
  nazionale in tempi di grave crisi economica - Non fondatezza  della
  questione. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 60, comma 1. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 117, commi secondo, lettera m), e quarto,
  e 119. 
Assistenza - Avvio della sperimentazione della "carta  acquisti"  nei
  comuni  con  piu'  di  250.000  abitanti  -  Adozione  con  decreto
  interministeriale - Mancato coinvolgimento della Regione -  Ricorso
  della Regione Veneto - Asserita violazione del principio  di  leale
  collaborazione  -  Insussistenza  -  Normativa  riconducibile  alla
  competenza   legislativa   statale   esclusiva   in   materia    di
  determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
  i diritti civili e sociali - Non fondatezza della questione. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (convertito  nella  legge  4
  aprile 2012, n. 35), art. 60, comma 2. 
- Costituzione, art. 117, terzo e quarto comma. 
(GU n.15 del 10-4-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  articoli  29,
40, 41, 50, comma 1, 53, comma 7, e 60 del decreto-legge  9  febbraio
2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione  e  di
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile  2012,
n. 35, promosso dalla Regione Veneto, con  ricorso  notificato  il  5
giugno 2012, depositato in cancelleria l'11 giugno 2012  ed  iscritto
al n. 89 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    uditi nell'udienza pubblica  del  26  febbraio  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli avvocati Bruno Barel e Daniela Palumbo per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il  5  giugno  2012  e  depositato  il
successivo 11 giugno la Regione Veneto ha impugnato, tra  gli  altri,
gli articoli 29, 40,  41,  50,  comma  1,  53,  comma  7,  e  60  del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in  materia
di semplificazione e di  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, per violazione degli articoli  117,
quarto comma, 118 e 120 della Costituzione, in relazione al principio
di leale collaborazione tra Stato e Regioni. 
    1.1.- In particolare, l'art. 29 del d.l. n. 5 del  2012,  recante
«Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero», al comma 1
dispone   che   i   progetti   di    riconversione    del    comparto
bieticolo-saccarifero      approvati      dall'apposito      Comitato
interministeriale «rivestono carattere di interesse  nazionale  anche
ai  fini  della  definizione  e  del  perfezionamento  dei   processi
autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio» e, al  comma  2,
stabilisce  che  entro  30  giorni   dall'entrata   in   vigore   del
decreto-legge «il  Comitato  interministeriale  di  cui  al  comma  1
dispone le norme idonee nel quadro  delle  competenze  amministrative
regionali atte a  garantire  l'esecutivita'  dei  progetti  suddetti,
nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del
decreto-legge   29   novembre   2008,   n.   185,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, un  commissario  ad
acta per l'attuazione degli accordi definiti in  sede  regionale  con
coordinamento del Comitato interministeriale». 
    La ricorrente precisa che il contesto normativo nel quale viene a
collocarsi   la   disposizione   impugnata   e'   rappresentato   dal
decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori
dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonche' in materia
di fiscalita' d'impresa), convertito, con modificazioni, dalla  legge
11 marzo 2006, n. 81. 
    L'art. 2 del decreto citato, al fine  di  fronteggiare  la  grave
crisi del  settore  bieticolo-saccarifero,  ha  istituito  presso  la
Presidenza del Consiglio dei ministri un Comitato  interministeriale,
col compito (comma 2): a) di approvare entro 45 giorni «il piano  per
la   razionalizzazione   e   la   riconversione   della    produzione
bieticola-saccarifera»; b) di coordinare  «le  misure  comunitarie  e
nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per
le connesse problematiche sociali»; c) di  formulare  «direttive  per
l'approvazione dei progetti di riconversione». 
    La medesima  disposizione  statale  ha  previsto  poi  (comma  3)
l'approvazione da parte del Ministro per le  politiche  agricole  dei
progetti di riconversione  presentati  per  ciascuno  degli  impianti
industriali  ove  sarebbe  cessata  la  produzione  di  zucchero,  ed
ulteriori misure di sostegno, anche da parte dell'AGEA (commi da 4  a
5-bis, variamente modificati  in  sede  di  conversione  e  da  leggi
sopravvenute). 
    Le misure adottate erano coerenti con  quelle  decise  a  livello
comunitario, per la ristrutturazione dell'industria comunitaria dello
zucchero, mediante il regolamento CE n. 320/2006 del  Consiglio,  del
20  febbraio  2006  (relativo  a  un   regime   temporaneo   per   la
ristrutturazione  dell'industria  dello  zucchero   nella   Comunita'
europea e che modifica il regolamento CE  n.  1290/2005  relativo  al
funzionamento della politica agricola comune). 
    La Regione Veneto  ha  dato  attuazione  a  quanto  previsto  dal
regolamento  comunitario  e  dalle  correlate  disposizioni  statali,
relativamente allo stabilimento saccarifero presente  nel  territorio
regionale di Porto Viro, con un accordo di  riconversione  approvato,
con deliberazione di Giunta regionale n. 1234 dell'8 maggio 2007  (in
B.U.R. n. 49 del 29 maggio  2007),  accordo  poi  modificato  con  un
"Accordo integrativo" approvato con deliberazione di Giunta regionale
n. 983 del 21 aprile 2009 (in B.U.R. n. 37 del 5 maggio 2009). 
    La Regione evidenzia che la disposizione statale impugnata affida
al  Comitato  interministeriale  sia  l'emanazione  di   non   meglio
precisate «norme idonee nel quadro  delle  competenze  amministrative
regionali atte a garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti», sia
la «nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20
del  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.  185,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, di  un  commissario
ad acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede regionale con
coordinamento del Comitato interministeriale». 
    La ricorrente lamenta che  le  nuove  disposizioni  statali,  col
riclassificare di interesse nazionale l'implementazione di tutti  gli
accordi regionali,  in  via  generale  e  generica,  sottopongono  la
connessa attivita' amministrativa regionale a vigilanza  e  controllo
del Comitato ministeriale  e  consentono  la  nomina,  da  parte  del
medesimo Comitato, di commissari  ad  acta  dotati  anche  di  poteri
sostitutivi. 
    Secondo la  Regione,  l'art.  29  del  decreto-legge  in  oggetto
andrebbe ascritto alla materia «agricoltura» e, pertanto,  violerebbe
la sfera di competenza legislativa e amministrativa esclusiva propria
della Regione del Veneto, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    La norma impugnata, inoltre, violerebbe anche l'art. 118 Cost. in
quanto avocherebbe allo Stato, oltre ad  un'attivita'  normativa  non
meglio precisata, perfino l'attuazione in sede  amministrativa  degli
accordi regionali finalizzati  alla  ristrutturazione  dell'industria
saccarifera nel quadro del regime temporaneo  di  aiuti  istituito  a
livello dell'Unione. 
    In  tal  modo,  infine,   sarebbe   leso   anche   il   principio
costituzionale di leale collaborazione, sotteso all'art.  120  Cost.,
perche'  con   la   disposizione   in   esame   si   disarticolerebbe
quell'equilibrio nella cooperazione fra  Stato  e  Regioni  delineato
dalla  previgente  normativa,  fino  a  prefigurare  una   sorta   di
commissariamento delle Regioni perfino  nella  gestione  operativa  e
dettagliata    degli    adempimenti    amministrativi     finalizzati
all'implementazione di accordi con parti private. 
    Spetterebbe invece alla Regione,  oltre  alla  conclusione  degli
Accordi di ristrutturazione nel quadro del Programma nazionale, anche
- a maggior ragione - la loro attuazione, attraverso la disciplina  e
l'attivazione degli appropriati procedimenti amministrativi. 
    1.2.- La seconda delle norme impugnate e' l'art. 40 del d.l. n. 5
del 2012 dal titolo «Soppressione del vincolo in materia di  chiusura
domenicale e festiva  per  le  imprese  di  panificazione  di  natura
produttiva» che abroga il secondo periodo  dell'art.  11,  comma  13,
della legge 3  agosto  1999,  n.  265  (Disposizioni  in  materia  di
autonomia e ordinamento degli enti  locali,  nonche'  modifiche  alla
legge 8 giugno 1990, n. 142). 
    L'art. 11, comma 13, della legge n. 265  del  1999  dispone:  «E'
abrogata  la  legge  13  luglio  1966,  n.  611.   All'attivita'   di
panificazione autorizzata ai sensi della legge  31  luglio  1956,  n.
1002, si applicano gli articoli 11, comma 4,  12  e  13  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114». 
    La disposizione statale censurata va, dunque, ad abrogare  quella
proposizione normativa (secondo periodo) che assoggettava l'attivita'
di panificazione ad alcune disposizioni del  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore  del
commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4,  della  legge  15  marzo
1997, n. 59). 
    La finalita' della novella, resa evidente  fin  dalla  rubrica  e
perseguita mediante l'abrogazione del rinvio  alle  disposizioni  che
regolamentavano la chiusura domenicale e festiva, e' costituita dalla
liberalizzazione    delle    aperture    dei    panifici    per    la
commercializzazione della propria produzione.  Si  intende  estendere
anche  alle  imprese  artigiane  di  panificazione  che   curano   la
commercializzazione  diretta  di  prodotti   propri   la   cosiddetta
liberalizzazione  delle  aperture  degli  esercizi   commerciali   al
dettaglio, gia' disposta con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214. 
    Secondo la ricorrente la norma impugnata violerebbe  l'art.  117,
quarto comma, Cost. 
    In particolare, la disposizione statale  andrebbe  a  confliggere
con la specifica disciplina dettata dalla Regione Veneto con la legge
21 settembre 2007, n. 29 (Disciplina dell'esercizio dell'attivita' di
somministrazione di alimenti  e  bevande),  art.  25,  nell'esercizio
della propria competenza legislativa  esclusiva  sia  in  materia  di
commercio che di artigianato. 
    In proposito la Regione Veneto rammenta di  aver  gia'  impugnato
l'art. 31 del decreto-legge n. 201  del  2011  e,  coerentemente  con
quanto  dedotto  nel  suddetto  ricorso,  a  tutela   delle   proprie
prerogative costituzionali e segnatamente della potesta'  legislativa
regionale in materia di commercio e di artigianato, ritiene di  dover
censurare  anche  l'art.  40  del  decreto-legge  in   oggetto,   per
violazione della competenza legislativa regionale residuale, ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Secondo la ricorrente sarebbe indubbio, secondo la giurisprudenza
costituzionale, che la materia del commercio, cui la Regione  ritiene
appropriato ricondurre la disciplina delle aperture e degli orari  ai
fini  della  commercializzazione  dei  prodotti  anche   di   propria
produzione - analogamente comunque alla  materia  dell'artigianato  -
sia di competenza legislativa residuale regionale  (sentenze  n.  150
del 2011, n. 288 e n. 247 del 2010, n. 350 del 2008, n. 430, n. 165 e
n. 64 del 2007, n. 1 del 2004; ordinanza n. 199 del 2006). 
    Rispetto alle prerogative regionali, la tutela della  concorrenza
rappresenterebbe un limite «interno», da intendere in  modo  che  non
possa determinare lo svuotamento della competenza esclusiva regionale
nella  materia  del  commercio.  La   legislazione   regionale   deve
certamente conformarsi ai generali obiettivi di  non  discriminazione
fra operatori economici, di apertura al mercato e di eliminazione  di
barriere e vincoli al libero esplicarsi dell'attivita' economica,  ma
allo  stesso  tempo  non  le  puo'  essere  negato  ogni  margine  di
intervento per modellare la  disciplina  concreta  in  modo  tale  da
salvaguardare altri valori che pure trovano  fondamento  nella  Carta
costituzionale e nell'insieme dell'ordinamento italiano. 
    La completa liberalizzazione delle aperture domenicali e  festive
non perseguirebbe affatto l'obiettivo di  una  piu'  efficace  tutela
della concorrenza, dal momento che essa determinerebbe, al contrario,
il rafforzamento nel mercato delle  sole  aziende  che  per  le  loro
maggiori dimensioni sono in grado di cogliere  tale  opportunita',  a
discapito delle imprese minori le quali,  non  essendo  in  grado  di
garantire una apertura  continuativa,  risulterebbero  penalizzate  e
giocoforza emarginate dal mercato. 
    La  totale  liberalizzazione  delle   aperture   degli   esercizi
commerciali finirebbe col produrre effetti opposti a  quelli  voluti,
non  sarebbe  adeguata  e  proporzionata  rispetto  all'obiettivo   e
priverebbe di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur
meritevoli anch'essi di cura. 
    L'esigenza di un ragionevole contemperamento tra  valori  sarebbe
ben presente nella  giurisprudenza  costituzionale  (sono  citate  le
sentenze n. 288 del 2010 e n. 64 del 2007). 
    La disposizione di legge censurata, cosi' come  formulata,  nella
sua assolutezza e  inderogabilita',  non  troverebbe  base  giuridica
legittimante  ne'  nel  diritto  dell'Unione,  cui  il  tema  sarebbe
estraneo, ne' nell'art. 117, secondo comma, Cost.,  e  violerebbe  la
competenza esclusiva regionale in  materia  di  commercio  attribuita
dall'art. 117, quarto comma, Cost. 
    La  Regione  nel  ricorso   riporta,   a   sostegno   delle   sue
argomentazioni, ampi stralci di giurisprudenza  amministrativa  nella
quale si fa riferimento alla pluralita' dei  valori  coinvolti  nella
disciplina dei giorni ed orari di apertura e chiusura degli  esercizi
commerciali e dove si afferma  che  le  norme  sugli  orari  e  sulle
giornate di apertura e chiusura  degli  esercizi  commerciali  devono
essere  lette  anche  alla  luce  del  contemperamento  operato   dal
legislatore tra tali plurimi interessi. 
    1.3.- La terza norma impugnata e' l'art. 41 del  d.l.  n.  5  del
2012   che   testualmente   recita:   «L'attivita'   temporanea    di
somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre,  fiere,
manifestazioni religiose, tradizionali e culturali  o  eventi  locali
straordinari, e' avviata previa segnalazione  certificata  di  inizio
attivita' priva di dichiarazioni asseverate  ai  sensi  dell'art.  19
della legge 7 agosto 1990, n. 241, e non e' soggetta al possesso  dei
requisiti previsti dall'art. 71  del  decreto  legislativo  26  marzo
2010, n. 59». 
    Secondo  la   ricorrente,   la   disciplina   dell'attivita'   di
somministrazione  di  alimenti  e  bevande,  anche  se   relativa   a
situazioni temporanee e particolari, rientrerebbe nella  materia  del
commercio, e, pertanto, l'intervento  statale  sarebbe  lesivo  della
competenza legislativa residuale delle Regioni  in  tale  materia  ex
art. 117, quarto comma, Cost. 
    La  Regione  Veneto  precisa  di  aver   gia'   esercitato   tale
competenza, successivamente alla riforma costituzionale del 2001, con
la  legge  regionale  n.  29  del  2007,  ponendo  fra  l'altro   una
regolamentazione  specifica  delle   autorizzazioni   temporanee   in
occasione di fiere, feste o altre riunioni straordinarie di  persone,
incidente sia sui requisiti che il richiedente deve soddisfare  (art.
11, comma 3), che sulle modalita' (art. 11, commi l e 4). 
    La ricorrente, infine, richiama un precedente analogo, costituito
dalla sentenza n. 1 del  2004,  con  la  quale  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale di una norma statale (art. 52,  comma
17, legge 28 dicembre 2001, n.  448,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2002»), che escludeva  l'applicabilita'  della  legge  11
giugno 1971, n. 426 (Disciplina del commercio), alle sagre,  fiere  e
manifestazioni  a  carattere  religioso,  benefico  o  politico,  per
lesione della competenza riconosciuta alle regioni nella materia  del
commercio dall'art. 117, quarto comma, Cost. 
    1.4.- Anche l'art. 50, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012 e' oggetto
di impugnazione da parte  della  regione  Veneto.  Tale  disposizione
rimette ad un decreto del Ministro dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca, di concerto con il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, sentita la Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
l'adozione di linee guida orientate al perseguimento degli  obiettivi
specificati dalla norma medesima al comma 1, lettere da a) ad e). 
    Secondo la ricorrente,  benche'  le  finalita'  perseguite  dalla
norma  impugnata,  in  quanto   afferenti   alla   «autonomia   delle
istituzioni scolastiche» e alla «ridefinizione degli organici»  siano
indubbiamente  ascrivibili  ad  un  ambito  di  competenza  esclusiva
statale  quale  e'   appunto   quello   rubricato   «norme   generali
sull'istruzione» di  cui  all'art.117,  secondo  comma,  lettera  n),
Cost., la disposizione in  esame  interferirebbe  con  le  competenze
regionali  laddove  si  intreccia  con   il   dimensionamento   delle
istituzioni scolastiche di spettanza regionale che, a propria  volta,
si correla necessariamente al diverso ambito di competenza  residuale
regionale dei «servizi sociali». 
    Per questi motivi la previsione di un mero parere in luogo  della
necessaria intesa, ai  fini  dell'emanazione  del  suddetto  decreto,
violerebbe l'art. 117, quarto comma, Cost., valutato in relazione  al
disposto del terzo comma e al principio di leale  collaborazione,  in
quanto  si  porrebbe  in  contrasto  con  le  prerogative   regionali
legislative esistenti in materia di dimensionamento scolastico  e  di
servizi sociali, considerato che il mero parere  non  costituisce  un
adeguato modello di concertazione in tale ambito. 
    La  Regione  svolge   un'ampia   e   approfondita   ricostruzione
sistematica del contesto normativo  di  riferimento  osservando  che,
nell'alveo generico qualificato come «istruzione pubblica»,  esistono
in realta' molteplici ambiti specifici, i  cui  contorni  sono  stati
progressivamente delineati in forza di  una  notevolissima,  intensa,
attivita'  della  giurisprudenza  costituzionale.  In  particolare  -
prosegue  la  Regione  -  sono  state  definite,  sotto  il   profilo
oggettivo, le linee di demarcazione della  competenza  insistente  in
materia e sono stati cosi' individuati come  ambiti  di  attribuzione
regionale   il   dimensionamento   della   rete   scolastica   e   la
programmazione dell'offerta formativa. Nel ricorso  si  aggiunge  che
tale competenza deve necessariamente  connettersi  alla  materia  dei
servizi sociali,  particolarmente  per  quanto  attiene  alle  scuole
dell'infanzia, nonche' alle misure di  prevenzione  e  contrasto  del
disagio di particolari utenti del servizio scolastico. 
    Pertanto, il contenuto del decreto ministeriale, pur  riguardando
espressamente  gli   organici   delle   istituzioni   scolastiche   e
l'autonomia  delle  medesime,  di  indiscussa  competenza   esclusiva
statale, non potrebbe  collocarsi,  secondo  la  ricorrente,  in  una
posizione giuridica sistematicamente  avulsa  e  distante  da  quella
relativa alla competenza  regionale  in  materia  di  dimensionamento
della rete scolastica di cui si e' detto. 
    In  tale  prospettiva,  la  definizione  degli   organici   delle
istituzioni  scolastiche  sembrerebbe   costituire   il   presupposto
indefettibile  affinche'  la  Regione  sia  posta  nelle   condizioni
effettive, e non meramente virtuali, di programmare l'apertura  e  la
chiusura  delle  istituzioni  scolastiche,  nonche'   gli   eventuali
accorpamenti. 
    La ricorrente richiama, a tal proposito, la decisione n.  34  del
2005, con la quale si e' precisato che il dimensionamento della  rete
delle istituzioni scolastiche e' un ambito  di  spettanza  regionale,
nonche' quelle n. 92 del 2011 e n. 200 del 2009. 
    La norma impugnata nel ridefinire un  «organico  dell'autonomia»,
assegnerebbe  a  tale  locuzione  la  funzione  di  indicatore  della
sussistenza di  quei  requisiti  essenziali  del  soggetto  giuridico
indispensabili per il conseguimento ed il correlativo  riconoscimento
di  quella  differenziazione  amministrativa  che  trova  la  propria
legittimazione nella capacita' autosufficiente  di  funzionamento  in
una logica complessiva di gestione ottimale delle risorse. 
    La disposizione impugnata introdurrebbe, inoltre, un  sistema  di
definizione  riferito   non   piu'   esclusivamente   «alla   singola
istituzione  scolastica»  bensi'  alla  «rete   delle   istituzioni»,
strutturata  in  base  a  criteri  e  parametri  del  dimensionamento
scolastico. 
    In  altri  termini,  lo  Stato,   nel   disciplinare   l'organico
dell'autonomia,  per   un   verso   differenzierebbe   tra   «singola
istituzione scolastica» (art. 50, comma 1, lettera b) e  «rete  delle
istituzioni» (art. 50, comma 1, lettera c), assoggettando la  seconda
e non la prima ad un'intesa obbligatoria da raggiungere in Conferenza
Unificata; per altro verso, disporrebbe che alla  costituzione  degli
organici  di  entrambe  (art.  50,  comma  1,  lettera  e)  si  possa
procedere, con  il  medesimo  decreto,  solo  sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni, cosi' interferendo con il dimensionamento  della  rete
scolastica,  e  ledendo  la  potesta'   legislativa   della   Regione
sussistente  in  detto  ambito,  seppure   connessa   alla   potesta'
legislativa  statale  sul  personale   scolastico,   con   simultanea
violazione del principio di leale cooperazione di  cui  all'art.  120
Cost. 
    Infatti, nelle more dell'emanazione di una compiuta  legislazione
regionale al  riguardo,  lo  Stato  -  per  la  Regione  -  non  puo'
ridefinire gli organici per un periodo triennale, in  assenza  di  un
adeguato coinvolgimento delle Regioni che si troverebbero  esautorate
delle proprie competenze, potendo solo esprimere un mero  parere  con
evidenti effetti compromissori e limitativi  della  propria  potesta'
legislativa. 
    Nella specie, non sembrerebbe potersi negare - sempre  ad  avviso
della ricorrente -  che  il  dimensionamento  scolastico  produca  un
decisivo impatto sul sistema regionale delle reti  scolastiche,  come
gia' strutturato in attuazione  dell'esercizio  della  pluralita'  di
funzioni conferite dal decreto legislativo  31  marzo  1998,  n.  112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n. 59),  nonche'  su  una  serie  di  funzioni  regionali
relative al governo del territorio, per quanto  attiene  all'edilizia
scolastica, alla  formazione  professionale  ed  alla  programmazione
dell'offerta formativa. 
    La Regione  riconosce  la  competenza  statale  a  legiferare  in
materia di personale scolastico, docente e non docente,  trattandosi,
appunto, di personale direttamente ed immediatamente  dipendente  dal
Ministero  competente,  cosi'  come  la   funzione   concernente   la
ripartizione di detto personale, ma ritiene  non  possa  negarsi  che
debba essere assicurato il pieno coinvolgimento regionale, attraverso
lo strumento dell'intesa, proprio per l'interferenza che tale profilo
presenta con quello della potesta' legislativa regionale. 
    La ricorrente soggiunge che, anche considerando  che  l'obiettivo
perseguito dallo Stato consiste nel progressivo dimensionamento della
rete  scolastica,  programmato  in  una  prospettiva  di  medio/lungo
termine, non possono da questo essere  adottati  atti  normativi  che
incidano sulle attribuzioni regionali sussistenti in  ordine  a  tale
profilo, soprattutto in relazione agli  interventi  finalizzati  alla
riduzione del disagio di particolari utenti, laddove tale particolare
aspetto, pure presente nel contesto del  dimensionamento  della  rete
scolastica, appartiene pero' all'ambito della legislazione  esclusiva
regionale in materia di servizi sociali. 
    1.5.- La Regione Veneto impugna anche l'art.  53,  comma  7,  del
d.l.  n.  5  del  2012  recante   «Modernizzazione   del   patrimonio
immobiliare  scolastico  e  riduzione  dei  consumi  e  miglioramento
dell'efficienza degli usi finali di  energia»,  nella  parte  in  cui
prevede  l'adozione  di  un  decreto  del  Ministro  dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, di concerto con il  Ministro  delle
infrastrutture e dei trasporti e  con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela  del  territorio  e  del  mare,  sentita  la  Conferenza
unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28  agosto  1997,
n.  281  (Definizione  ed  ampliamento   delle   attribuzioni   della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e  dei
comuni,  con  la  Conferenza  Stato-citta'  ed   autonomie   locali),
finalizzato a determinare le norme  tecniche-quadro,  contenenti  gli
indici minimi e massimi di funzionalita' urbanistica, edilizia, anche
riferite  alle  tecnologie  in  materia  di  efficienza  e  risparmio
energetico e produzione da  fonti  energetiche  rinnovabili,  nonche'
didattica, indispensabili a garantire indirizzi progettuali  adeguati
ed omogenei sul territorio nazionale. 
    Secondo la ricorrente, la norma violerebbe il principio di  leale
collaborazione di cui all'art. 120  Cost.  perche'  il  decreto  deve
essere emanato senza il necessario coinvolgimento delle  Regioni,  ma
solo con il parere in conferenza unificata, e non  e'  prescritta  la
necessaria intesa. 
    Inoltre, non esistendo una materia relativa ai «lavori pubblici»,
la competenza legislativa si determinerebbe in relazione  all'oggetto
dei  lavori,  cioe'  alla  tipologia  dell'opera  pubblica  che  puo'
afferire  a  settori  riconducibili  a  materie  sia  di   competenza
esclusiva statale, sia di competenza concorrente, sia  di  competenza
residuale regionale. 
    La Regione richiama anche l'art. 3 della legge 11  gennaio  1996,
n.  23  (Norme  per  l'edilizia  scolastica),  che  individua,  quali
soggetti  giuridici  pubblici  competenti  alla  realizzazione  degli
edifici scolastici, i  Comuni  e  le  Province,  secondo  un  riparto
ancorato alla destinazione dell'edificio  nel  quale  la  Regione  e'
titolare anche di specifiche funzioni  amministrative,  riconducibili
all'alveo dell'art. 118 Cost., di natura programmatoria dell'edilizia
scolastica e consistenti nel  potere  di  adottare  piani  annuali  e
triennali, predisposti  ed  approvati  in  conformita'  alle  istanze
provenienti dagli enti territoriali minori. 
    Pertanto la disposizione impugnata si  configurerebbe  certamente
lesiva  del   principio   di   leale   collaborazione,   laddove   la
predisposizione  di  norme   tecniche,   anche   in   tale   settore,
interferirebbe tanto con attribuzioni regionali, quanto con  funzioni
amministrative esercitabili dalle  Regioni,  atteso  che  l'esercizio
delle funzioni di cui si tratta e' stato ripartito in vari livelli di
governo. 
    Nel ricorso si afferma che l'art. 5 della legge n.  23  del  1996
prevede che le Regioni approvino specifiche  norme  tecniche  per  la
progettazione esecutiva degli interventi, definendo, in  particolare,
indici diversificati in ragione della specificita' dei centri storici
e   delle   aree   metropolitane   e,    per    l'effetto,    assegna
inequivocabilmente alle Regioni funzioni non solamente pianificatorie
ma  anche  di  legislazione  di  dettaglio  di  natura  concretamente
«tecnica». 
    Per queste ragioni,  ai  fini  dell'emanazione  del  decreto,  il
parere previsto dalla norma  impugnata  dovrebbe  essere  sostituito,
secondo la Regione, con  la  piu'  corretta  ed  adeguata  previsione
dell'intesa, da raggiungere in sede di Conferenza Unificata. 
    Viene dedotto che, anche qualora  si  reputasse  ammissibile,  in
tale  ambito,  invocare,  a  fondamento   dell'intervento   normativo
statale, prevalenti ragioni di sicurezza ed incolumita' pubblica,  in
ogni caso non potrebbe non ritenersi violato il principio della leale
collaborazione, di cui all'art. 120 Cost.,  che  postula  appunto  il
coinvolgimento regionale. Da  ultimo,  in  riferimento  all'esercizio
delle funzioni di tipo amministrativo, viene rammentato che gia'  con
il  d.lgs.  n.  112  del  1998  lo  Stato   si   era   riservato   la
predisposizione  di   norme   tecniche   nazionali   concernenti   le
costruzioni in zone sismiche, subordinando pero' l'esercizio concreto
di tale  funzione  alla  preventiva  intesa  in  sede  di  Conferenza
Unificata. 
    1.6.- Infine la Regione Veneto impugna l'art. 60,  comma  1,  del
d.l. n. 5 del  2012  concernente  la  proroga  del  programma  «carta
acquisti» per violazione dell'art. 117, quarto comma, e dell'art. 120
Cost., in riferimento al principio di leale collaborazione. 
    In particolare, secondo la ricorrente, il comma 1 del citato art.
60 si porrebbe in contrasto con l'art.117, quarto comma,  Cost.,  che
riserva  alla  competenza  legislativa  residuale  della  Regione  la
materia dei servizi sociali e di assistenza, e con l'art. 119  Cost.,
che vieta  allo  Stato  di  prevedere  finanziamenti  a  destinazione
vincolata in ambiti di competenza regionale residuale o  concorrente,
mentre il comma 2 violerebbe il principio  di  leale  collaborazione,
nella parte in cui non prevede  il  necessario  coinvolgimento  delle
regioni nell'emanazione del citato decreto. 
    La ricorrente rammenta che l'art. 81, comma 32, del d.l.  n.  112
del 2008, cui la  disposizione  investita  dal  presente  ricorso  fa
rinvio, ha istituito la  carta  acquisti,  «in  considerazione  delle
straordinarie tensioni  cui  sono  sottoposti  i  prezzi  dei  generi
alimentari e il costo delle bollette energetiche,  nonche'  il  costo
per la fornitura di gas da privati, al fine di  soccorrere  le  fasce
deboli di popolazione in stato di particolare bisogno». 
    Tale norma era stata impugnata da varie regioni, con ricorsi  che
questa Corte aveva giudicato infondati con  la  sentenza  n.  10  del
2010. Secondo la Regione, le motivazioni della  sentenza  n.  10  del
2010,   potrebbero   essere   utilmente   applicate,   con    effetti
diametralmente opposti, anche alla disposizione impugnata, in  quanto
nel percorso argomentativo seguito dalla Corte, la  previsione  e  la
diretta erogazione di una  determinata  provvidenza  da  parte  dello
Stato e' stata  ritenuta  ammissibile  solo  «quando  cio'  sia  reso
imprescindibile da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase
di congiuntura economica eccezionalmente negativa». Conseguentemente,
la presenza di  tali  «peculiari  situazioni»  sembra  costituire  la
condizione di legittimita' costituzionale di un intervento diretto da
parte dello Stato che investa una materia, come nel caso  di  specie,
di competenza regionale. 
    In altri termini, ad avviso della Regione, se e' sulla situazione
eccezionale di crisi che si fonda la legittimita'  dell'art.  81  del
d.l. n. 112 del 2008, non sembrerebbe che la medesima  situazione  di
eccezionalita' possa giustificare l'emanazione  della  norma  oggetto
del ricorso. Infatti, stante l'innegabile lasso di tempo  intercorso,
seppure in un contesto generale di non risolta crisi  internazionale,
tra la disposizione di cui all'art. 81, comma 32, del d.l. n. 112 del
2008 citato, istitutiva del Fondo e della carta acquisti, e quella di
cui  all'art.  60  del  d.l.  n.  5  del  2012,  non  viene  ritenuta
ammissibile la reiterazione  di  una  misura  che  aveva  trovato  la
propria     legittimazione     nell'eccezionalita'      temporalmente
circoscritta. 
    Dal  tenore  letterale  della  disposizione   risulterebbe   poi,
inequivocabilmente,  che  la  pretesa  sperimentazione,  destinata  a
cessare  decorsi  dodici  mesi,  si  pone  in  realta'   in   termini
anticipatori di quella che e' dichiaratamente  destinata  a  divenire
una  misura   strutturale,   dovendosene   valutare   «la   possibile
generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta». 
    Quanto al comma 2 dell'art. 60, sarebbe violato il  principio  di
leale collaborazione, nella parte in cui la citata  disposizione  non
prevede il coinvolgimento delle regioni nell'emanazione  del  decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,  da  adottarsi  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. 
    Anche a tale proposito, nel ricorso, si rinvia alla  sentenza  n.
10 del 2010, nella parte in cui, ponendo a fondamento dell'intervento
- significativamente realizzato con decreto-legge e in corso d'anno -
le straordinarie tensioni cui sono sottoposti  i  prezzi  dei  generi
alimentari e il costo delle bollette energetiche e della fornitura di
gas da privati, induce a ritenere che, al di fuori  degli  interventi
straordinariamente   consentiti    per    circostanze    eccezionali,
l'attivita'  istituzionale  concertativa   possa   e   debba   essere
correttamente ripresa. 
    2.- In data 13 luglio 2012 si e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  dello
Stato concludendo nel senso dell'inammissibilita' o dell'infondatezza
delle questioni sollevate dalla Regione Veneto. 
    2.1.- Con riferimento alla prima  questione,  l'Avvocatura  dello
Stato evidenzia che l'art. 29 del d.l. n. 5 del 2012 si colloca in un
contesto  di  disposizioni  volte  a  dare  concreta  attuazione   ai
regolamenti comunitari che hanno riformato il settore dello zucchero,
al fine di  renderlo  adeguato  agli  impegni  giuridici  e  politici
assunti dall'Unione europea  a  livello  internazionale.  Si  tratta,
pertanto, di disposizioni coerenti con quanto previsto dall'art. 117,
primo comma, Cost., che impone allo Stato e alle Regioni il  rispetto
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e  dagli  obblighi
internazionali. 
    In particolare, la norma impugnata, nel disporre che  i  progetti
di riconversione del comparto  bieticolo-saccarifero,  realizzati  ai
sensi dell'art. 2, comma  3,  del  d.l.  n.  2  del  2006,  rivestono
«carattere di interesse nazionale», anche ai fini della definizione e
del  perfezionamento  dei  processi  autorizzativi  e  dell'effettiva
entrata in esercizio, si porrebbe l'obiettivo di rendere esecutiva la
riforma comunitaria nel settore in esame. 
    In ogni caso, non sussisterebbe alcuna violazione dei  richiamati
principi costituzionali, in quanto le «norme idonee nel quadro  delle
competenze amministrative regionali atte a  garantire  l'esecutivita'
dei  progetti  suddetti»  verranno  disposte  dal   citato   Comitato
interministeriale,  nella  cui  composizione  rientrano   anche   tre
Presidenti di regione designati dalla Conferenza  Stato-Regioni,  nel
rispetto proprio del principio di leale collaborazione. 
    2.2.- Per quanto riguarda l'art. 40  del  d.l.  n.  5  del  2012,
secondo l'Avvocatura dello Stato la norma rientrerebbe nell'esercizio
della competenza esclusiva dello Stato in  materia  di  tutela  della
concorrenza. 
    La difesa statale cita la giurisprudenza  costituzionale  con  la
quale si e' ritenuto che, poiche' la promozione della concorrenza  ha
portata generale o trasversale, puo'  accadere  che  una  misura  che
abbia una valenza pro-competitiva, vada, legittimamente, ad  incidere
su  materie  attribuite  alla  competenza  legislativa  residuale   o
concorrente delle Regioni. 
    Infatti, l'espressione tutela della  concorrenza  utilizzata  dal
legislatore  costituzionale,  coerentemente   con   quella   operante
nell'ordinamento comunitario, comprende, tra  le  altre  fattispecie,
gli interventi regolatori che  a  titolo  principale  incidono  sulla
concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio,
che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati  e  ne
disciplinano  le  modalita'  di  controllo,  eventualmente  anche  di
sanzione; le misure legislative di promozione, che mirano  ad  aprire
un  mercato  o  a  consolidarne   l'apertura,   eliminando   barriere
all'entrata, riducendo o  eliminando  vincoli  al  libero  esplicarsi
della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese,  in
generale i  vincoli  alle  modalita'  di  esercizio  delle  attivita'
economiche (e' citata la sentenza n. 430 del 2007). 
    Pertanto,  per  accertare  se  determinate  disposizioni  possano
essere ricondotte alla materia «tutela della  concorrenza»,  si  deve
verificare - continua il resistente - «se  le  norme  adottate  dallo
Stato siano essenzialmente finalizzate a garantire la concorrenza fra
i diversi soggetti del mercato (cfr. sent. n. 285/2005),  allo  scopo
di accertarne la coerenza rispetto  all'obiettivo  di  assicurare  un
mercato aperto e in libera concorrenza». 
    Tale verifica condurrebbe ad esito positivo in  quanto  l'intento
perseguito con la soppressione del vincolo  in  materia  di  chiusura
domenicale e festiva per  le  imprese  di  panificazione  e'  proprio
quello  di  «favorire  l'apertura  del  mercato   alla   concorrenza»
garantendo i mercati ed i soggetti che in essi operano e a tali norme
dovrebbe essere riconosciuto quell'effetto  di  ampliare  «l'area  di
libera scelta sia dei cittadini che delle imprese». 
    Secondo la difesa statale, dunque, sussisterebbero le  condizioni
per la qualificazione della norma nell'ambito della  materia  «tutela
della concorrenza». 
    2.3.- In relazione alla censura relativa all'art. 41 del d.l.  n.
5  del  2012  recante  «semplificazioni  in  materia  di  alimenti  e
bevande», preliminarmente l'Avvocatura dello Stato evidenzia  che  la
Regione Veneto fa riferimento alla stesura  originaria  dell'articolo
nonostante che nel corso  dell'iter  legislativo  di  conversione  la
norma sia stata oggetto di rilevanti modifiche. 
    In particolare, la nuova formulazione  prevede  che  «L'attivita'
temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione  di
sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali  e  culturali  o
eventi  locali   straordinari,   e'   avviata   previa   segnalazione
certificata di inizio attivita' priva di dichiarazioni asseverate  ai
sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241,  e  non  e'
soggetta al possesso dei requisiti previsti dal comma 6 dell'articolo
71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59». Ne consegue, per la
difesa  dello  Stato,  che  i  requisiti  non  piu'  richiesti,   per
l'esercizio dell'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti
e bevande, sono solo quelli di cui al citato art. 71, comma 6, ovvero
i «requisiti professionali». 
    Cio'  premesso,  l'Avvocatura  dello   Stato   ritiene   che   la
disposizione in  esame  si  inserisca  nell'ambito  degli  interventi
pro-concorrenziali di  competenza  esclusiva  dello  Stato  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  e),  Cost.  nel  solco  delle
direttive di liberalizzazione intraprese dal  Governo  in  attuazione
anche della direttiva 2006/123/CE, relativa ai  servizi  nel  mercato
interno. 
    Inoltre, la stessa disposizione, nel semplificare gli adempimenti
necessari per la somministrazione temporanea di alimenti  e  bevande,
si collocherebbe in un quadro di norme volte  a  ridurre  l'incidenza
degli oneri amministrativi sul fatturato, anche al fine  di  favorire
l'avvio dell'attivita' economica,  a  fronte  della  crescente  crisi
internazionale e dei costi della burocrazia sempre piu'  gravosi  per
le imprese. 
    Si tratterebbe,  dunque,  di  norme  coerenti  con  il  principio
costituzionale di liberta' dell'iniziativa economica di cui  all'art.
41 Cost., che legittima il legislatore nazionale a  porre  in  essere
gli  interventi  ritenuti  piu'  opportuni   per   il   coordinamento
dell'attivita' economica pubblica o privata  a  fini  sociali  e  per
favorire la crescita dell'economia nazionale. 
    2.4.- Con riferimento alla censura relativa all'art. 50 del  d.l.
n. 5 del 2012, la difesa  statale  evidenzia  che,  al  contrario  di
quanto  sostenuto  dalla  ricorrente,  la  norma  in  questione   non
inciderebbe  sulle  prerogative  regionali,  essendo  finalizzata   a
consolidare e sviluppare l'autonomia delle  istituzioni  scolastiche,
potenziandone l'autonomia gestionale secondo criteri di flessibilita'
e valorizzando la responsabilita' e la professionalita' del personale
della scuola. 
    La difesa statale richiama la sentenza n. 147 del 2012, ove si e'
affermato che compete allo Stato definire i requisiti  che  connotano
l'autonomia scolastica, per gli aspetti concernenti le  modalita'  di
regolamentazione e il grado di autonomia delle  istituzioni  rispetto
alle amministrazioni, sia statale che regionale. Inoltre, la medesima
sentenza,  nel   dichiarare   la   legittimita'   costituzionale   di
disposizioni volte a  ridurre  il  numero  dei  dirigenti  scolastici
attraverso nuovi criteri per la loro assegnazione nella copertura dei
posti di dirigenza, ha definito chiaramente il riparto di  competenze
tra  Stato  e  Regioni  in  materia  di  organici  delle  istituzioni
scolastiche. Infatti, le norme, come quella in esame, concernenti gli
organici delle istituzioni scolastiche  -  costituiti  da  dipendenti
pubblici  statali  e  non  regionali,  come  risulta  sia  dal   loro
reclutamento che dal loro complessivo status  giuridico  -  rientrano
nella competenza esclusiva  statale  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera g), Cost. (ordinamento e organizzazione amministrativa
dello Stato e degli  enti  pubblici  nazionali),  assumendo  un  peso
prevalente rispetto alla competenza concorrente prevista  in  materia
di istruzione dal medesimo art. 117, terzo comma, Cost. 
    2.5.- Quanto al censurato art. 53, comma 7, il resistente afferma
che esso sarebbe da collocare nell'ambito delle previsioni dirette  a
ridurre gli oneri per le imprese,  migliorarne  la  competitivita'  e
semplificare gli adempimenti, assicurando anche la coerenza  con  gli
standard comunitari. Si tratterebbe, dunque, di disposizioni coerenti
con quanto previsto dall'art. 117. primo comma, Cost. che impone allo
Stato  e   alle   Regioni   il   rispetto   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento  comunitario  e   dagli   obblighi   internazionali.
Peraltro, del tutto insussistente sarebbe la dedotta  violazione  del
principio di leale collaborazione, dal momento  che  il  decreto  del
Ministro dell'istruzione, dell'universita'  e  della  ricerca  dovra'
essere adottato previo parere della Conferenza unificata. 
    2.6.- L'ultima delle norme  impugnate  dalla  Regione  Veneto  e'
l'art. 60 del d.l. n. 5 del 2012. 
    L'Avvocatura  dello  Stato  ritiene  che  la   nuova   previsione
legislativa non differisce nella sostanza  da  quanto  stabilito  con
l'art. 81, comma 29 e seguenti, del d.l. n. 112 del  2008,  quanto  a
contesto e finalita', e che non vi e' alcun  mutamento  della  natura
dello strumento introdotto, ma solo un tentativo di collocarlo in  un
piu'  vasto  contesto  di  collaborazione  interistituzionale  con  i
comuni. Inoltre, rileva che la situazione di crisi finanziaria  posta
a base della normativa sulla social card purtroppo non e'  cessata  e
solo  al  termine   della   fase   di   sperimentazione,   unitamente
all'auspicata cessazione della situazione di emergenza,  si  potranno
recuperare gli strumenti concertativi. 
    Conclude nel senso che l'attribuzione allo Stato della competenza
esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono  essere
garantiti su tutto il territorio  nazionale»  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera  m),  Cost.,  deve  intendersi  riferita  alla
fissazione dei livelli strutturali e qualitativi di prestazioni  che,
riguardando il soddisfacimento di diritti civili  e  sociali,  devono
essere garantiti, con carattere di generalita', a  tutti  gli  aventi
diritto. Si  tratterebbe,  quindi,  di  una  competenza  trasversale,
idonea  ad  investire  tutte  le  materie,  rispetto  alle  quali  il
legislatore statale deve poter predisporre le misure  necessarie  per
attribuire a tutti i destinatari sull'intero territorio nazionale  il
godimento di prestazioni garantite  che  costituiscono  il  contenuto
essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa
limitarle o condizionarle. 
    Siffatto  parametro  costituzionale  consentirebbe,  quindi,  una
restrizione dell'autonomia legislativa  delle  Regioni,  giustificata
dallo scopo di  assicurare  un  livello  uniforme  di  godimento  dei
diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione. 
    3.- In prossimita' dell'udienza  la  Regione  ha  presentato  una
memoria con  la  quale  ha  ribadito  le  ragioni  a  sostegno  della
illegittimita' costituzionale della norme impugnate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha sollevato, in via principale,  questioni
di legittimita' costituzionale aventi ad oggetto, tra gli altri,  gli
articoli 29, 40, 41, 50, comma 1, 53, comma 7, e 60 del decreto-legge
9  febbraio  2012,  n.  5  (Disposizioni  urgenti   in   materia   di
semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 4 aprile 2012, n. 35, in riferimento agli articoli 117,  quarto
comma, 118 e 120 della Costituzione, in  relazione  al  principio  di
leale collaborazione tra Stato e Regioni. 
    1.1.- Restano riservate ad altre decisioni le questioni sollevate
col  medesimo  ricorso  dalla  Regione  Veneto  e  riguardanti  altre
disposizioni. 
    1.2.- L'art. 29 e' impugnato nella  parte  in  cui  prevede,  con
riferimento   ai   progetti    di    riconversione    del    comparto
bieticolo-saccarifero, che «Entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, il Comitato interministeriale di  cui
al comma 1 dispone  le  norme  idonee  nel  quadro  delle  competenze
amministrative regionali atte a garantire l'esecutivita' dei progetti
suddetti, nomina,  nei  casi  di  particolare  necessita',  ai  sensi
dell'articolo  20  del  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.   185,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2,  un
commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti  in  sede
regionale con coordinamento del Comitato interministeriale».  Secondo
la Regione Veneto, la citata disposizione viola gli artt. 117, quarto
comma, e 120 Cost., in quanto la produzione saccarifera rientra nella
materia  agricoltura  e  spetta  alle  regioni   la   conclusione   e
l'attuazione  degli  accordi  di  ristrutturazione  nel  quadro   del
programma nazionale. 
    1.3.- La questione e' fondata. 
    Al  fine   di   fronteggiare   la   grave   crisi   del   settore
bieticolo-saccarifero e' stato approvato dapprima il  regolamento  CE
n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006 (relativo a un regime
temporaneo per  la  ristrutturazione  dell'industria  dello  zucchero
nella Comunita' europea, che modifica il regolamento CE n.  1290/2005
relativo  al  funzionamento  della  politica  agricola   comune)   e,
successivamente, il decreto-legge 10 gennaio 2006, n.  2  (Interventi
urgenti per i  settori  dell'agricoltura,  dell'agroindustria,  della
pesca, nonche' in materia di fiscalita' d'impresa),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  11  marzo  2006,  n.   81.   Con   tali
disposizioni si e' intesa regolare la ristrutturazione dell'industria
dello zucchero nella  Comunita'  prevedendo  misure  di  sostegno  al
settore e di riconversione delle attivita' relative alla coltivazione
e alla produzione. 
    In particolare, il d.l. n. 2 del 2006 ha  istituito  un  Comitato
interministeriale composto dal Presidente del Consiglio dei ministri,
dal Ministro delle  politiche  agricole  e  forestali,  dal  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  dal   Ministro   delle   attivita'
produttive, dal Ministro del lavoro e delle  politiche  sociali,  dal
Ministro per le politiche comunitarie e dal Ministro dell'ambiente  e
della tutela del territorio nonche'  da  tre  Presidenti  di  regione
designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con il  compito
di: a) approvare il piano per la razionalizzazione e la riconversione
della  produzione  bieticolo-saccarifera;  b)  coordinare  le  misure
comunitarie e nazionali previste per la riconversione industriale del
settore  e  per  le  connesse  problematiche  sociali;  c)  formulare
direttive per l'approvazione dei progetti di riconversione. 
    Le imprese saccarifere, ai sensi dell'art. 2, comma 3, del citato
decreto-legge,  dovevano  presentare  al  Ministero  delle  politiche
agricole e forestali un progetto di riconversione per ciascuno  degli
impianti industriali, ove era prevista la cessazione della produzione
di zucchero. I progetti  di  riconversione,  finalizzati  anche  alla
salvaguardia dell'occupazione nel territorio oggetto dell'intervento,
dovevano essere approvati dal Ministero delle  politiche  agricole  e
forestali. 
    Il comma 1 dell'art. 29 del d.l. n. 5  del  2012  prevede  che  i
progetti   di   riconversione    gia'    approvati    dal    comitato
interministeriale di cui  sopra  «rivestono  carattere  di  interesse
nazionale anche ai fini della definizione e del  perfezionamento  dei
processi autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio». 
    Il comma 2, oggetto di impugnazione, prevede,  come  gia'  detto,
che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del  decreto,
il Comitato interministeriale di cui al comma  1  «dispone  le  norme
idonee nel quadro delle competenze amministrative  regionali  atte  a
garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti, nomina, nei  casi  di
particolare necessita', ai sensi dell'articolo 20  del  decreto-legge
29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla  legge
28 gennaio 2009, n. 2, un commissario ad acta per l'attuazione  degli
accordi definiti in sede regionale  con  coordinamento  del  Comitato
interministeriale». 
    Dalla lettura della norma non e' agevole ricavare la  natura  dei
compiti affidati al comitato interministeriale in base alla locuzione
«dispone norme idonee  nel  quadro  delle  competenze  amministrative
regionali atte a garantire  l'esecutivita'  dei  suddetti  progetti»,
cioe' se si tratti di una potesta' regolamentare o  dell'attribuzione
di funzioni amministrative. 
    L'art. 29 in esame deve essere ascritto alla materia  agricoltura
riservata alla competenza legislativa  residuale  delle  Regioni:  ne
consegue che la norma viene a porsi in contrasto con l'art. 117 Cost.
tanto  se  la  si  interpreti   come   attributiva   di   un   potere
regolamentare, quanto amministrativo. 
    Nel primo caso sarebbe pacificamente violato  l'art.  117,  sesto
comma, Cost. trattandosi di una  materia  riservata  alla  competenza
legislativa residuale delle regioni. 
    Nel secondo, invece,  si  dovrebbe  ipotizzare  una  chiamata  in
sussidiarieta' da parte dello Stato per assicurare  il  perseguimento
di  interessi  unitari  che  sarebbero  compromessi  dall'inerzia   o
dall'inadempimento da parte del livello di governo inferiore. 
    In astratto,  infatti,  e'  ammissibile  una  deroga  al  normale
riparto di competenze qualora «la valutazione dell'interesse pubblico
sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato
sia proporzionata» e «non risulti affetta  da  irragionevolezza  alla
stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita'»  (sentenza  n.
303 del 2003). 
    Tuttavia nei casi in cui vi sia  uno  spostamento  di  competenze
amministrative a seguito  di  attrazione  in  sussidiarieta',  questa
Corte ha escluso che possa essere  previsto  un  potere  sostitutivo,
dovendosi ritenere che la leale collaborazione,  necessaria  in  tale
evenienza, non possa essere sostituita puramente e  semplicemente  da
un atto unilaterale dello Stato (sentenze n. 165 del 2011  e  n.  383
del 2005). 
    L'art. 29, invece, prevede un potere  di  intervento  sostitutivo
dello Stato che si attiva mediante la predisposizione  da  parte  del
comitato interministeriale di norme idonee  a  dare  esecutivita'  ai
progetti  nel  quadro  delle  competenze  regionali  e  in  casi   di
particolare necessita' (non specificati) con il diretto intervento di
un commissario ad acta. 
    Inoltre la norma introduce una forma di potere  sostitutivo  (per
dare attuazione al diritto comunitario) che non risponde ai requisiti
richiesti dall'art. 120 Cost. e dall'art.  8  della  legge  5  giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    2.- La seconda questione sollevata dalla Regione Veneto  riguarda
l'art. 40 del medesimo d.l. n. 5 del 2012, che sopprime il vincolo in
materia  di  chiusura  domenicale  e  festiva  per  le   imprese   di
panificazione di  natura  produttiva.  Tale  disposizione  violerebbe
l'art. 117, quarto comma, Cost. in  quanto  la  materia  degli  orari
degli esercizi commerciali e delle giornate di apertura e di chiusura
rientrerebbe nella  competenza  regionale  residuale  in  materia  di
commercio. 
    2.1.- La questione e' inammissibile. 
    L'art.  40  impugnato  si  limita  ad  abrogare  il   riferimento
contenuto nell'art. 11, comma 13, della legge 3 agosto 1999,  n.  265
(Disposizioni in  materia  di  autonomia  e  ordinamento  degli  enti
locali, nonche' modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), mediante
il quale era stata estesa l'applicabilita' degli artt. 11,  comma  4,
12 e 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma  della
disciplina relativa al settore del commercio, a  norma  dell'articolo
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), anche all'attivita' di
panificazione autorizzata ai sensi della legge  31  luglio  1956,  n.
1002 (Nuove norme sulla pianificazione). 
    La Regione, pertanto, avrebbe dovuto motivare in  relazione  alla
specifica categoria delle  imprese  di  panificazione  le  quali  non
rientravano, se non a seguito del  rinvio  che  viene  abrogato,  nel
campo di  applicazione  della  normativa  di  «liberalizzazione»  del
settore  del  commercio,  mentre  nel  ricorso  si   fa   riferimento
esclusivamente alla norma di liberalizzazione statale di cui all'art.
3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni  urgenti  per
il  rilancio  economico  e  sociale,  per  il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 4 agosto 2006,  n.  248,  come
modificato dall'art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre  2011,
n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    Una simile lacuna comporta  l'inammissibilita'  della  questione,
dovendosi richiamare,  in  proposito,  la  giurisprudenza  di  questa
Corte,  la  quale  richiede  che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sia definita nei suoi precisi termini e  adeguatamente
motivata, al fine di rendere  possibile  l'inequivoca  determinazione
dell'oggetto del giudizio e la verifica della fondatezza dei dubbi di
costituzionalita'  sollevati  e   della   sussistenza   in   concreto
dell'interesse a ricorrere (ex plurimis sentenze n. 120 del 2008,  n.
64 del 2007 e n. 214 del 2006). 
    3.- La medesima violazione della competenza legislativa regionale
in materia di commercio e' invocata dalla ricorrente  avverso  l'art.
41  del  d.l.  n.  5  del  2012,  nella  parte  in  cui  prevede  che
«L'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e bevande  in
occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose,  tradizionali  e
culturali  o  eventi   locali   straordinari,   e'   avviata   previa
segnalazione certificata di inizio attivita' priva  di  dichiarazioni
asseverate ai sensi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
non e' soggetta al possesso  dei  requisiti  previsti  dall'art.  71,
comma 6, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59». 
    La Regione ha impugnato l'art. 41 nella versione del  d.l.  n.  5
del 2012 che escludeva il possesso di tutti  i  requisiti  soggettivi
previsti dall'art. 71 del d.lgs. 26 marzo  2010,  n.  59  (Attuazione
della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno),
e non solo di quelli  professionali  previsti  dal  comma  6  cui  fa
esclusivo riferimento la norma nella versione contenuta  nella  legge
di conversione. 
    In primo luogo, va rilevato che il  ricorso  e'  ammissibile,  in
quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte,  «la  Regione  che
ritenga  lese  le  proprie  competenze  da  norme  contenute  in   un
decreto-legge puo' sollevare la relativa  questione  di  legittimita'
costituzionale  anche  in  relazione  a  questo  atto,  con   effetto
estensivo  alla  legge  di   conversione,   ovvero   puo'   riservare
l'impugnazione a dopo l'entrata in vigore  di  quest'ultima  (tra  le
molte, sentenze n. 383 del 2005; n. 287 del 2004 e n. 272 del 2004)». 
    Inoltre, deve ritenersi sussistente e attuale  l'interesse  della
Regione Veneto al ricorso, dato che la modifica intervenuta  in  sede
di conversione non  incide  in  alcun  modo,  e  tantomeno  in  senso
satisfattivo, sulla doglianza relativa alla lesione della  competenza
legislativa residuale delle Regioni nella materia del commercio. 
    3.1.- La questione non e' fondata. 
    Le norme di semplificazione amministrativa sono state  ricondotte
da questa Corte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato  in
materia di determinazione dei livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, in quanto «anche  l'attivita'
amministrativa, [...] puo' assurgere alla qualifica di  "prestazione"
(quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere), della  quale
lo Stato e' competente a fissare un "livello essenziale" a fronte  di
una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici  ed,
in generale, di soggetti privati» (sentenze  n.  207  e  n.  203  del
2012). 
    La  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e  sociali,  come  gia'  precisato  piu'
volte da questa Corte, non e' una «materia» in senso stretto,  quanto
una competenza del legislatore statale «idonea ad investire tutte  le
materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve  poter  porre
le norme necessarie per assicurare a  tutti,  sull'intero  territorio
nazionale, il godimento  di  prestazioni  garantite,  come  contenuto
essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa
limitarle o condizionarle» (sentenze n. 322 del 2009  e  n.  282  del
2002). 
    Alla stregua di tali principi, deve riconoscersi che anche con la
disciplina di semplificazione in  esame  il  legislatore  statale  ha
voluto dettare regole del procedimento amministrativo, valide in ogni
contesto geografico della Repubblica, le quali, adeguandosi a  canoni
di  proporzionalita'  e  adeguatezza,  si  sovrappongono  al  normale
riparto di competenze contenuto nel Titolo V  della  Parte  II  della
Costituzione (sentenza n. 207 del 2012). 
    La disciplina in esame, infatti, e' diretta ad  impedire  che  le
funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i  soggetti
amministrati ed e' volta a semplificare le procedure in un'ottica  di
bilanciamento tra  l'interesse  generale  e  l'interesse  particolare
all'esplicazione dell'attivita' di  somministrazione  di  alimenti  e
bevande. 
    La normativa censurata prevede che gli interessati, in condizioni
di  parita'  su  tutto  il  territorio  nazionale,  possano  svolgere
temporaneamente l'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande
in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose,  tradizionali
e  culturali  o  eventi  locali  straordinari,  mediante   una   mera
segnalazione di inizio attivita' priva di dichiarazioni asseverate ai
sensi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme  in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti amministrativi),  e  anche  in  assenza  del  possesso  dei
requisiti previsti dall'art. 71, comma 6, del d.lgs. n. 59 del 2010. 
    Si tratta di  un  atto  che  si  colloca  all'inizio  della  fase
procedimentale,  la  quale  e'  strutturata  secondo  un  modello  ad
efficacia  legittimante  immediata,  che  attiene  al  principio   di
semplificazione  dell'azione  amministrativa  ed  e'  finalizzata  ad
agevolare l'iniziativa  economica  (art.  41,  primo  comma,  Cost.),
tutelando il diritto dell'interessato ad un sollecito esame, da parte
della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto
e di fatto che autorizzano l'iniziativa medesima (sentenza n. 203 del
2012). 
    4.- La Regione Veneto ha impugnato anche l'art. 50, comma 1,  del
d.l. n. 5 del 2012, nella parte in cui  rimette  ad  un  decreto  del
Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca,   di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'adozione di
linee guida orientate al perseguimento  degli  obiettivi  specificati
dalla norma medesima alle lettere da a) ad e), sentita la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano, in riferimento all'art. 117, terzo e
quarto comma, Cost. Il conseguimento dell'intesa  con  la  Conferenza
unificata, come sara' successivamente specificato, e'  previsto  solo
con riferimento alla lettera c). 
    Secondo la ricorrente, la previsione di un mero parere  in  luogo
della necessaria intesa ai fini  dell'emanazione  del  decreto  viola
l'art. 117, quarto comma, Cost., valutato in  relazione  al  disposto
del terzo comma, in quanto si pone in contrasto  con  le  prerogative
regionali  legislative  esistenti  in  materia   di   dimensionamento
scolastico e di servizi sociali, considerato che il mero  parere  non
costituisce un adeguato modello di concertazione in tale ambito. 
    4.1.- La questione non e' fondata. 
    L'art. 50 impugnato prevede che  «Allo  scopo  di  consolidare  e
sviluppare l'autonomia delle istituzioni  scolastiche,  potenziandone
l'autonomia   gestionale   secondo   criteri   di   flessibilita'   e
valorizzando la responsabilita' e la professionalita'  del  personale
della   scuola,   con   decreto   del    Ministro    dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, sono  adottate,  entro  sessanta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto,
nel rispetto dei principi e degli obiettivi di  cui  all'articolo  64
del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e  successive
modificazioni, linee guida per conseguire le seguenti  finalita':  a)
potenziamento dell'autonomia  delle  istituzioni  scolastiche,  anche
attraverso l'eventuale  ridefinizione,  nel  rispetto  della  vigente
normativa contabile, degli aspetti connessi  ai  trasferimenti  delle
risorse  alle   medesime,   previo   avvio   di   apposito   progetto
sperimentale; b) definizione, per ciascuna istituzione scolastica, di
un  organico  dell'autonomia,  funzionale   all'ordinaria   attivita'
didattica, educativa,  amministrativa,  tecnica  e  ausiliaria,  alle
esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e
sostegno  agli  alunni  con   bisogni   educativi   speciali   e   di
programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, anche ai  fini
di una estensione del tempo scuola; c) costituzione, previa intesa in
sede di Conferenza  unificata  di  cui  all'articolo  8  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e  successive  modificazioni,  di
reti territoriali tra istituzioni scolastiche, al fine di  conseguire
la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e  finanziarie;
d) definizione di un organico di rete per le finalita'  di  cui  alla
lettera c)  nonche'  per  l'integrazione  degli  alunni  con  bisogni
educativi  speciali,  la  formazione   permanente,   la   prevenzione
dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e  formativo
e dei fenomeni di bullismo,  specialmente  per  le  aree  di  massima
corrispondenza tra poverta' e dispersione scolastica; e) costituzione
degli organici di cui alle lettere  b)  e  d),  nei  limiti  previsti
dall'articolo 64 del citato decreto-legge 25  giugno  2008,  n.  112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  e
successive modificazioni,  sulla  base  dei  posti  corrispondenti  a
fabbisogni con carattere di stabilita' per almeno un  triennio  sulla
singola scuola, sulle reti di  scuole  e  sugli  ambiti  provinciali,
anche per i posti  di  sostegno,  fatte  salve  le  esigenze  che  ne
determinano la rimodulazione annuale». 
    La giurisprudenza di  questa  Corte  ha  chiarito  la  differenza
esistente tra le norme  generali  sull'istruzione  -  riservate  alla
competenza esclusiva dello Stato  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera n), Cost. - e i principi  fondamentali  della  materia
istruzione,  che  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.   riserva   alla
legislazione  dello  Stato  in  materia  di  competenza   legislativa
concorrente. Si e' detto, a questo proposito, che  rientrano  tra  le
norme  generali  sull'istruzione  «quelle  disposizioni  statali  che
definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione
e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario
e uniforme in tutto il territorio  nazionale,  assicurando,  mediante
una offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento
tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione  (interesse
primario di rilievo costituzionale), nonche' la liberta' di istituire
scuole e la parita' tra le  scuole  statali  e  non  statali».  Sono,
invece,  espressione   di   principi   fondamentali   della   materia
dell'istruzione «quelle norme che, nel  fissare  criteri,  obiettivi,
direttive o discipline,  pur  tese  ad  assicurare  la  esistenza  di
elementi di base comuni  sul  territorio  nazionale  in  ordine  alle
modalita' di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato,  non
sono  riconducibili  a  quella  struttura  essenziale   del   sistema
d'istruzione che  caratterizza  le  norme  generali  sull'istruzione,
dall'altra, necessitano, per la loro attuazione (e non  gia'  per  la
loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore  regionale»
(sentenze n. 147 del 2012, n. 92 del 2011 e n. 200 del 2009). 
    Il censurato art. 50, comma 1, contiene disposizioni  che  devono
essere senz'altro qualificate come «norme generali  sull'istruzione»,
dal momento  che,  per  evidenti  ragioni  di  necessaria  unita'  ed
uniformita' della disciplina in materia scolastica, sono  preordinate
ad introdurre una normativa operante sull'intero territorio nazionale
avente   ad   oggetto   «caratteristiche    basilari»    dell'assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico. 
    D'altra parte,  l'ascrivibilita'  alla  materia  «norme  generali
sull'istruzione» della  norma  in  esame  e'  condivisa  anche  dalla
Regione ricorrente, la quale, tuttavia, ritiene che  per  l'intreccio
con materie di sua competenza, quali il dimensionamento e  i  servizi
sociali, sia necessario al fine di emanare il decreto un procedimento
con partecipazione rafforzata mediante il meccanismo dell'intesa. 
    Una volta ricondotta la norma impugnata,  anche  sulla  base  del
criterio di prevalenza, alla competenza esclusiva dello  Stato  nella
materia   «norme   generali    sull'istruzione»,    deve    ritenersi
ingiustificata - per cio' che riguarda le linee guida  relative  alle
lettere a), b), d),  e)  -  la  richiesta  della  Regione  di  essere
coinvolta  con   il   meccanismo   dell'intesa   dovendosi   ritenere
sufficiente, come momento partecipativo, il parere  della  conferenza
unificata. 
    Deve anche sottolinearsi, come si  e'  gia'  anticipato,  che  la
lettera c) del comma 1 dell'art. 50 del d.l. n. 5 del  2012  prevede,
ai fini delle linee  guida  relative  alla  costituzione  della  rete
territoriale  tra  istituzioni  scolastiche,  l'intesa  in  sede   di
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281 (Definizione ed  ampliamento  delle  attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali), e successive modificazioni. Pertanto la norma impugnata gia'
prevede il meccanismo dell'intesa allorche'  sussistano  esigenze  di
partecipazione rafforzata delle Regioni, in quanto coinvolgenti anche
il  dimensionamento  dell'offerta  formativa,  esigenze  che  non  si
rinvengono, invece, per la definizione dell'organico delle autonomie,
per la definizione dell'organico di rete e per  la  costituzione  dei
rispettivi organici. 
    5.- La Regione censura l'art. 53, comma 7,  del  d.l.  n.  5  del
2012, recante «Modernizzazione del patrimonio immobiliare  scolastico
e riduzione dei consumi e  miglioramento  dell'efficienza  degli  usi
finali di energia», nella parte in cui prevede «al fine  di  adeguare
la normativa tecnica  vigente  agli  standard  europei  e  alle  piu'
moderne  concezioni  di  realizzazione  e   impiego   degli   edifici
scolastici, perseguendo altresi', ove possibile, soluzioni protese al
contenimento  dei  costi»  l'adozione  di  un  decreto  del  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro delle infrastrutture e  dei  trasporti  e  con  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,  da  emanare
sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs.  n.  281
del  1997,  finalizzato  a  determinare  «le  norme  tecniche-quadro,
contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalita'  urbanistica,
edilizia, anche riferite alle tecnologie in materia di  efficienza  e
risparmio energetico e produzione da fonti  energetiche  rinnovabili,
nonche' didattica, indispensabili a garantire  indirizzi  progettuali
adeguati ed omogenei sul territorio nazionale». 
    Secondo la ricorrente, la disposizione violerebbe il principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. perche', nonostante si
verta  in  materie  attribuite  alla  competenza  concorrente,  come,
sicuramente, «il governo del territorio», ai fini dell'emanazione del
decreto non e' prevista l'intesa con le Regioni, ma  solo  il  parere
della Conferenza unificata. 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    La norma si colloca nell'ambito di un piano nazionale di edilizia
scolastica previsto dal comma 1 dell'art. 53 citato. Tale piano,  che
deve  essere  adottato   dal   CIPE,   su   proposta   del   Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e  della  ricerca  e  del  Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, previa intesa in sede di Conferenza
unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, ha ad oggetto
la realizzazione di  interventi  di  ammodernamento  e  recupero  del
patrimonio  scolastico  esistente,  anche  ai  fini  della  messa  in
sicurezza degli edifici, e di costruzione e  completamento  di  nuovi
edifici scolastici, da realizzare, in un'ottica di  razionalizzazione
e contenimento delle spese correnti di  funzionamento,  nel  rispetto
dei criteri di efficienza energetica e di riduzione  delle  emissioni
inquinanti. 
    Il comma 7 dell'art.  53  demanda  ad  un  decreto  del  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro delle infrastrutture e  dei  trasporti  e  con  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,  da  emanare
sentita la Conferenza unificata di  cui  all'art.  8  del  d.lgs.  28
agosto n.  281  del  1997,  l'adozione  delle  norme  tecniche-quadro
contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalita'  urbanistica,
edilizia, anche riferite alle tecnologie in materia di  efficienza  e
risparmio energetico e produzione da fonti  energetiche  rinnovabili,
nonche' didattica, indispensabili a garantire  indirizzi  progettuali
adeguati ed omogenei sul territorio nazionale. 
    Nella disciplina in esame si intersecano piu' materie,  quali  il
«governo del territorio», «l'energia» e la «protezione civile», tutte
rientranti nella competenza concorrente Stato-Regioni di cui al terzo
comma dell'art. 117 Cost. 
    Questa Corte  ha  affermato  che,  nelle  materie  di  competenza
concorrente, allorche' vengono attribuite funzioni  amministrative  a
livello centrale allo scopo di individuare norme  di  natura  tecnica
che  esigono  scelte  omogenee  su  tutto  il  territorio   nazionale
improntate all'osservanza di standard  e  metodologie  desunte  dalle
scienze,  il  coinvolgimento  della  conferenza  Stato  Regioni  puo'
limitarsi all'espressione di un parere obbligatorio (sentenze n.  265
del 2011, n. 254 del 2010, n. 182 del 2006,  n.  336  e  n.  285  del
2005). In tali  casi  la  disciplina  statale  costituisce  principio
generale della materia (sentenze n. 254 del 2010 e n. 182 del 2006). 
    Deve, inoltre, sottolinearsi che l'art. 53, comma 1, prevede,  ai
fini dell'approvazione del piano di edilizia scolastica da parte  del
CIPE, il massimo coinvolgimento delle Regioni mediante il  meccanismo
dell'intesa. Gli interessi regionali, dunque, trovano adeguata tutela
nella predisposizione del piano, mentre  per  l'individuazione  delle
«norme tecniche quadro», per i motivi sopra esposti,  e'  sufficiente
il parere della conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs.  n.
281 del 1997. 
    6.- Infine, e' impugnato l'art. 60, comma 1 e 2, del  d.l.  n.  5
del 2012, nella parte in cui, al comma 1,  avvia  la  sperimentazione
della  «carta  acquisti»  istituita  dall'art.  81,  comma  32,   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei
comuni  con  piu'  di  250.000  abitanti  e,  al  comma  2,   prevede
l'emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e delle  politiche
sociali, da adottarsi di concerto con  il  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, per la determinazione delle modalita' esecutive  della
sperimentazione. 
    L'art. 60 del d.l. n. 5 del 2012, come si  e'  detto,  avvia  una
sperimentazione della carta acquisti istituita  dall'art.  81,  comma
32, del d.l. n. 112 del 2008 nei comuni con piu' di 250.000 abitanti,
al fine di favorirne la diffusione tra le  fasce  di  popolazione  in
condizione di  maggiore  bisogno,  anche  al  fine  di  valutarne  la
possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla  poverta'
assoluta. 
    Tale  sperimentazione  viene  attuata  mediante  un  decreto  del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato  di  concerto
con il Ministro dell'economia e delle  finanze,  con  il  quale  sono
stabiliti: a) i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari  per
il tramite dei Comuni, con riferimento ai  cittadini  italiani  e  di
altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di  Stati  esteri
in possesso del permesso di soggiorno CE per  soggiornanti  di  lungo
periodo; b) l'ammontare  della  disponibilita'  sulle  singole  carte
acquisto, in funzione del nucleo familiare; c) le modalita' con cui i
comuni adottano la carta acquisti, anche attraverso l'integrazione  o
evoluzione del Sistema di gestione delle agevolazioni  sulle  tariffe
energetiche (SGATE), come strumento all'interno del sistema integrato
di interventi e servizi sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n.
328 (Legge quadro per  la  realizzazione  del  sistema  integrato  di
interventi e servizi sociali); d)  le  caratteristiche  del  progetto
personalizzato di presa in carico, volto al reinserimento  lavorativo
e all'inclusione sociale, anche  attraverso  il  condizionamento  del
godimento del  beneficio  alla  partecipazione  al  progetto;  e)  la
decorrenza della sperimentazione, la cui durata non puo'  superare  i
dodici mesi; f) i flussi informativi da  parte  dei  Comuni  sul  cui
territorio e' attivata la sperimentazione, anche con  riferimento  ai
soggetti  individuati  come  gruppo  di  controllo  ai   fini   della
valutazione della sperimentazione stessa. 
    Per le risorse necessarie alla sperimentazione si  provvede,  nel
limite massimo di 50 milioni di euro,  attingendo  al  Fondo  di  cui
all'art.  81,  comma  29,  del  d.l.  n.  112  del  2008,  che  viene
corrispondentemente ridotto. 
    Secondo la ricorrente, il comma 1 si porrebbe  in  contrasto  con
l'art.117,  quarto  comma,  Cost.,  che   riserva   alla   competenza
legislativa residuale della Regione la materia dei servizi sociali  e
di assistenza, e con l'art.  119  Cost.,  che  vieta  allo  Stato  di
prevedere  finanziamenti  a  destinazione  vincolata  in  ambiti   di
competenza regionale residuale  o  concorrente,  mentre  il  comma  2
violerebbe il principio di leale collaborazione, nella parte  in  cui
non   prevede   il   necessario    coinvolgimento    delle    regioni
nell'emanazione del citato decreto. 
    6.1.- La questione relativa al comma 1 dell'art. 60 del d.l. n. 5
del 2012 non e' fondata. 
    Occorre premettere che  la  carta  acquisti  e'  stata  istituita
dall'art. 81,  comma  32,  del  d.l.  n.  112  del  2008,  richiamato
espressamente  dalla  norma  impugnata  e  oggetto  di  una   recente
pronuncia di questa Corte (sentenza n. 10 del 2010). 
    In tale occasione si e' ritenuto  che:  «una  normativa  posta  a
protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana,
qual e' quella oggetto delle disposizioni impugnate,  benche'  incida
sulla materia dei servizi  sociali  e  di  assistenza  di  competenza
residuale regionale, deve essere  ricostruita  anche  alla  luce  dei
principi fondamentali degli  artt.  2  e  3,  secondo  comma,  Cost.,
dell'art. 38 Cost. e dell'art. 117, secondo comma, lettera m),  Cost.
Il complesso di queste norme costituzionali permette,  anzitutto,  di
ricondurre tra i "diritti  sociali"  di  cui  deve  farsi  carico  il
legislatore  nazionale  il  diritto  a  conseguire   le   prestazioni
imprescindibili per alleviare situazioni  di  estremo  bisogno  -  in
particolare, alimentare - e di affermare il  dovere  dello  Stato  di
stabilirne le caratteristiche qualitative e quantitative, nel caso in
cui la mancanza di una tale previsione possa pregiudicarlo.  Inoltre,
consente  di  ritenere  che  la  finalita'  di  garantire  il  nucleo
irriducibile di questo diritto fondamentale legittima  un  intervento
dello Stato che comprende anche la  previsione  della  appropriata  e
pronta erogazione  di  una  determinata  provvidenza  in  favore  dei
singoli». 
    L'intervento dello Stato, dunque, e' stato  ritenuto  ammissibile
quando, oltre a rispondere ai principi di eguaglianza e solidarieta',
presenti caratteri di straordinarieta', eccezionalita' e urgenza come
quelli conseguenti alla situazione di crisi internazionale  economica
e finanziaria che ha investito il nostro Paese. 
    La situazione di oggettiva gravita' che ha determinato l'adozione
dello strumento della  carta  acquisti  e  le  finalita'  perseguite,
ricollegabili direttamente ai principi fondamentali di cui agli artt.
2 e 3  Cost.,  sono  valse  a  differenziare  tale  intervento  dalle
ipotesi, soltanto apparentemente  omologhe,  in  cui  il  legislatore
statale, in materie di competenza  regionale,  prevede  finanziamenti
vincolati,  ovvero  rimette  alle  Regioni   l'istituzione   di   una
determinata misura, pretendendo poi  anche  di  fissare  la  relativa
disciplina. 
    Si e' dunque ricondotta la disciplina allora sottoposta al vaglio
di questa Corte alla materia «determinazione dei  livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo
comma, lettera m, Cost.). 
    La norma in questa sede impugnata presenta gli stessi aspetti  di
quella oggetto del precedente citato, sia in relazione alle finalita'
di protezione delle situazioni di  estrema  debolezza  della  persona
umana, sia in relazione alla situazione di estrema gravita' in ordine
alla crisi economica che ha investito il nostro paese i cui  effetti,
purtroppo, si sono ulteriormente aggravati  rispetto  a  quelli  gia'
riconosciuti dalla sentenza n. 10 del 2010 per gli anni 2008 e 2009. 
    In tale contesto deve riconoscersi il potere per  il  legislatore
statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m),  Cost.  di
assicurare le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di
estremo  bisogno,  in  particolare,  alimentare.  La   finalita'   di
garantire il  nucleo  irriducibile  di  questi  diritti  fondamentali
«legittima  un  intervento  dello  Stato  che  comprende   anche   la
previsione della appropriata e pronta erogazione di  una  determinata
provvidenza in favore dei singoli» (sentenza n. 10 del 2010). 
    Un tale intervento da parte dello Stato deve, in  altri  termini,
ritenersi ammissibile nel caso in cui esso  risulti  necessario  allo
scopo di assicurare effettivamente la tutela  di  soggetti  i  quali,
versando  in  condizioni  di  estremo  bisogno,  vantino  un  diritto
fondamentale che, in quanto strettamente  inerente  alla  tutela  del
nucleo irrinunciabile della dignita' della persona umana, soprattutto
in presenza delle peculiari situazioni sopra accennate,  deve  potere
essere garantito su tutto il territorio nazionale in  modo  uniforme,
appropriato e tempestivo, mediante una  regolamentazione  coerente  e
congrua rispetto a tale scopo (sentenze n. 166 del 2008 e n.  94  del
2007,  in  riferimento  al  caso  della  determinazione  dei  livelli
minimali   di   fabbisogno   abitativo,   a   tutela   di   categorie
particolarmente svantaggiate e sentenza n. 10 del 2010). 
    6.2.- La questione relativa al comma  2  dell'art.  60  del  d.l.
sopra citato non e' fondata. 
    La qualificazione della  norma  in  esame  come  esercizio  della
competenza  dello  Stato  nella  materia  della  «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
(art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) - in quanto la situazione
eccezionale di crisi economico-sociale ha ampliato i confini entro  i
quali lo Stato deve esercitare  la  suddetta  competenza  legislativa
esclusiva -  rende  inconferente  il  richiamo  della  ricorrente  al
principio  di  leale  collaborazione  e  comporta   che   spetta   al
legislatore statale sia l'esercizio del  potere  regolamentare  (art.
117, sesto comma, Cost.),  sia  la  fissazione  della  disciplina  di
dettaglio. 
    Tuttavia e' necessario ribadire in questa  sede  che  «una  volta
cessata la situazione congiunturale che ha imposto un  intervento  di
politica sociale esteso alla diretta  erogazione  della  provvidenza,
dagli strumenti di coinvolgimento  delle  regioni  e  delle  province
autonome non si possa prescindere, avendo  cura  cosi'  di  garantire
anche la piena attuazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
nell'osservanza  del  riparto   delle   competenze   definito   dalla
Costituzione» (sentenza n. 10 del 2010). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate  pronunce  ogni  decisione  sulle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  aventi  ad  oggetto  altre
disposizioni del decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5  (Disposizioni
urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 4  aprile  2012,  n.  35,  promosse  dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  29,
comma 2, del suddetto decreto-legge n. 5 del 2012; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 40 del decreto-legge n. 5 del 2012, promossa
dalla Regione Veneto, in  riferimento  all'art.  117,  quarto  comma,
della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 41, 50, comma 1, 53, comma 7, 60, commi  1
e 2, del decreto-legge n. 5 del 2012 promosse dalla  Regione  Veneto,
in riferimento agli artt. 117, terzo  e  quarto  comma,  Cost.  e  al
principio  di  leale  collaborazione,  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI