N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2013

Ordinanza dell'11 marzo 2013 emessa dalla  Corte  dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale per la Regione Lazio sul ricorso  proposto  da  Pensa
Antonio Carlo ed altri 7 contro INPS.. 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  stabilizzazione finanziaria - Interventi in materia previdenziale -
  Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di  forme  di
  previdenza obbligatorie (nella specie dall'INPDAP ai magistrati)  i
  cui  importi  superino  complessivamente  i  90.000  euro  lordi  -
  Assoggettamento a decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31
  dicembre 2014 ad un contributo di perequazione pari al 5 per  cento
  per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,  al
  10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per  cento
  per la parte eccedente 200.000 euro  -  Lesione  del  principio  di
  solidarieta' sociale -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza
  sotto il profilo dell'irragionevolezza e del deteriore  trattamento
  di  pensionati  del  settore  pubblico  rispetto  ai   contribuenti
  titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, tenuti
  al versamento di un contributo di  solidarieta'  del  3  per  cento
  sulla parte di reddito che eccede il predetto  importo,  quali  che
  siano le componenti del loro reddito complessivo,  ivi  compresi  i
  redditi pensionistici  -  Violazione  del  principio  di  capacita'
  contributiva. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art.  18,  comma  22-bis,  come
  successivamente  modificato  dall'art.  24,   comma   31-bis,   del
  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza
  e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1,
  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 53. 
(GU n.17 del 24-4-2013 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Visto il ricorso iscritto al  numero  72321/PC  del  registro  di
Segreteria; 
    Uditi -  nella  pubblica  udienza  dell'8  marzo  2013  -  per  i
ricorrenti l'avv. Giovanni C.  Sciacca,  e  per  l'INPS  Gestione  ex
Inpdap l'avv. Andrea Botta, che hanno concluso come in atti; 
    Visti gli atti di causa; 
    Ha pronunciato ordinanza nel giudizio introdotto con  il  ricorso
in premessa, proposto da; 
        Pensa Antonio Carlo, Piazza Nunzio,  magistrati  della  Corte
dei conti titolari di pensione ordinaria diretta; 
        Bajardi Tito, Rossi Ernesto, magistrati ordinari titolari  di
pensione ordinaria diretta; 
        Stipo Giuseppe, avvocato generale  dello  Stato  titolare  di
pensione ordinaria diretta; 
        Guglielmino  Oreste,  ammiraglio  di  squadra   titolare   di
pensione ordinaria diretta; 
        Botta Bruno, dirigente della  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri, titolare di pensione ordinaria diretta; 
        Masia Antonello, dirigente generale dello Stato, titolare  di
pensione ordinaria diretta; 
        tutti rappresentati e difesi dagli avvocati  Piero  d'Amelio,
Giovanni  C.  Sciacca  e  Maria  Stefania  Masini,  ed  elettivamente
domiciliati presso il loro studio in Roma, via della Vite n. 7; 
    Contro INPS (Istituto Nazionale  della  Previdenza  Sociale),  in
persona del legale rappresentante pro tempore, avverso: 
        1) il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal
mese  di  agosto  2011,  nella  parte  in  cui  e'  assoggettato   al
«contributo di perequazione» previsto dal comma 22-bis  dell'art.  18
del d.l. n. 98/2011,  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  n.
111/2011, come reintrodotto dall'art. 2 comma 1 del d.l. n. 138/2011,
convertito  con  modificazioni  dalla  legge   n.   148/2011,   nelle
percentuali   ivi   stabilite,   come   risulta   dalle    rispettive
certificazioni CUD o comunicazioni di accreditamento; 
        2) la mancata rivalutazione automatica del  loro  trattamento
pensionistico in applicazione del comma 25 dell'art. 24 del  d.l.  n.
201/2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011. 
    Per  la  dichiarazione  del  diritto  alla   corresponsione   del
trattamento   pensionistico   senza   assoggettamento   al   predetto
«contributo  di  perequazione»  e  con  sua  completa   rivalutazione
automatica, con condanna alla restituzione di quanto  trattenuto  per
tali titoli, con rivalutazione  monetaria  e  interessi  dal  di'  di
ciascuna trattenuta e rateo di pensione sino al soddisfo. 
 
                            Premesso che 
 
    Con  il  ricorso  collettivo  in  epigrafe  parti  attrici  hanno
rappresentato e dedotto quanto segue; con d.l. 6 luglio 2011,  n.  98
sono state  emanate  «Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria»; la legge 15 luglio 2011,  n.  111  di  conversione  del
predetto decreto,  ha  introdotto  nell'art.  18,  che  concerne  gli
«Interventi in materia previdenziale», un  comma  22-bis,  che  cosi'
dispone: «In considerazione  della  eccezionalita'  della  situazione
economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a  decorrere  dal
1°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre   2014,   i   trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie, i cui importi  complessivamente  superino  90.000  euro
lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione  pari
al 5 per cento della parte  eccedente  il  predetto  importo  fino  a
150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento  per  la  parte  eccedente
150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; a
seguito  della  predetta  riduzione  il   trattamento   pensionistico
complessivo non puo' essere comunque inferiore a  90.000  euro  lordi
annui»; il contributo e' stato temporaneamente abrogato dall'art.  2,
commi 1 e 2, del d.l. 13 agosto 2011,  n.  138,  e  reintrodotto  con
l'art. 1, comma 2, della legge di  conversione  di  tale  decreto  14
settembre 2011, n. 148. 
    I ricorrenti, tutti titolari di pensione ordinaria diretta, hanno
rilevato dalle rispettive certificazioni CUD o dalle comunicazioni di
accreditamento, che  i  loro  trattamenti  pensionistici  sono  stati
assoggettati  a  tale  «contributo  di  perequazione»;  inoltre,   in
applicazione  del  comma  25  dell'art.  24  del  d.l.  n.   201/2011
convertito, con modificazioni, in l. n.  214/2011,  la  rivalutazione
automatica della loro pensione e' stata pressoche' soppressa. 
    Pertanto ricorrono davanti a questa Corte dei  conti  avverso  il
trattamento pensionistico loro  attribuito  a  partire  dal  mese  di
agosto  2011,  nella  parte  in  cui  e'  assoggettato  al   suddetto
contributo pressoche' senza rivalutazione  automatica,  chiedendo  la
dichiarazione del loro diritto alla  corresponsione  del  trattamento
pensionistico  senza  le  relative  trattenute  e  con  rivalutazione
automatica e condanna alla restituzione di quanto invece dovuto,  con
rivalutazione monetaria e interessi dal di'  di  ciascuna  trattenuta
sino al soddisfo, adducendo i seguenti motivi di diritto. 
    I. Illegittimita' costituzionale, del comma 22-bis  dell'art.  18
del  d.l.  n.  98/2011,  convertito,  con  modificazioni,  in  l.  n.
111/2011, come reintrodotto dall'art. 2 comma 1 del d.l. n. 138/2011,
convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla  1.  n.  148/2011  e
s.m.i., per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53 e 27 Cost. 
    1.1. Il comma 22-bis dispone  un  prelevamento  coatto  di  somme
effettuato mediante un sistema che la norma definisce «contributo  di
perequazione»; la perequazione che  consiste  nella  rideterminazione
dei trattamenti pensionistici,  e'  finalizzata  di  norma  o  ad  un
adeguamento  dei  trattamenti  stessi  all'andamento  del  valore  di
acquisto   della   moneta,   o   all'eliminazione    di    differenze
ingiustificate tra le varie categorie di soggetti che  ne  fruiscono;
nella specie non si e' in presenza  di  una  forma  di  perequazione,
perche' in tal  caso  le  pensioni  avrebbero  dovuto  semmai  essere
aumentate per la svalutazione della moneta in atto, mentre per  altro
verso non si e' neppure in presenza di differenze  ingiustificate  di
percezione tra le varie categorie di pensionati, che  hanno  ricevuto
invece le  pensioni  loro  spettanti  costituenti diritti  soggettivi
perfetti quali forme  differite  di  corresponsione  del  trattamento
economico  di  attivita'  sulla  base  dei  contributi  previdenziali
versati dagli stessi e dai loro datori di lavoro. 
    l.2. Ne consegue che in luogo di un «contributo di perequazione»,
ci si trovi in presenza di una vera e propria  «imposta»,  atteso  il
carattere  obbligatorio  della  prestazione  patrimoniale  (prelievo)
autoritativamente imposta e la destinazione del relativo provento  al
risanamento  delle  gravi  condizioni  dell'economia   pubblica;   il
prelievo in questione, ricondotto  alla  sua  sostanziale  natura  di
imposta, commina oneri fiscali a carico di soggetti titolari  di  uno
specifico status, e cioe' i pensionati e, sottolineato che  la  legge
introduce «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione  finanziaria»,
considerata   la   «eccezionalita'   della    situazione    economica
internazionale»  e  «tenuto  conto  delle  esigenze  prioritarie  del
raggiungimento degli obiettivi di  finanza  pubblica»,  di  fatto  il
gravoso onere di partecipare alla realizzazione della  indispensabile
e ineludibile  finalita'  di  interesse  nazionale,  e'  stato  posto
unicamente a carico di una categoria ancorche' ampia  di  pensionati,
con esclusione delle altre categorie di contribuenti, i cui redditi e
le cui condizioni economiche sono  talvolta  largamente  superiori  a
qualsiasi piu' elevato trattamento pensionistico. 
    Nella specie, i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e  53
Cost. risultano violati, essendo state chiamate solo alcune categorie
di cittadini (pensionati, oltre che dipendenti pubblici) a concorrere
alle spese pubbliche, mentre altre categorie sono  state  esentate  o
comunque assoggettate ad imposizione in misura minore o diversa. 
    L'art. 3 Cost. stabilisce il principio di eguaglianza,  e  quindi
anche  di  eguaglianza  tributaria,   in   ordine   alla   quale   la
giurisprudenza  della  Corte  e'  risalente  nell'affermare   che   a
situazioni  uguali  devono  corrispondere  uguali  regimi  impositivi
(sent. n. 120/1972)  e  che  per  capacita'  contributiva,  ai  sensi
dell'art.  53  Cost.,  deve  intendersi  l'idoneita'   del   soggetto
all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto  economico  al
qruale la prestazione risulta collegata (sent. nn. 78/1986;  25/1984;
63/1982); il che impone di verificare se sussista uguaglianza tra  le
situazioni da sottoporre a confronto: nella specie, da  una  parte  i
pensionati, dall'altra le diverse categorie di contribuenti. 
    L'oggetto della comparazione e' costituito dal versamento di  una
«imposta», cioe' un prelevamento coattivo di  ricchezza,  rivolto  al
preminente  fine  di   soddisfare   necessita'   indivisibili   della
collettivita', in attuazione  dell'art.  53  Cost.:  versamento  che,
malgrado  la  impellente  gravita'  della  situazione,  e'   ingiunto
solamente ai  pensionati,  in  palese  contrasto  con  il  richiamato
principio di uguaglianza, riguardo al  quale  alcun  assunto  vale  a
giustificare la scelta legislativa in questione  che,  contraddicendo
detto principio, concreta il vizio di eccesso di  potere  legislativo
per carenza di coerenza, congruita' e  proporzionalita',  di  cui  un
aspetto e' la disparita'  di  trattamenti  che  sussiste  laddove  il
potere legislativo discrezionale venga esercitato in maniera  diversa
nei confronti di coloro  che,  rispetto  al  potere,  si  trovino  in
condizioni identiche. 
    Invero, pur se i tratti distintivi dei titolari  del  trattamento
di quiescenza nei confronti dei dipendenti pubblici e  privati  siano
incontestabili com'e' evidente la diversita' tra il pubblico  impiego
e il lavoro autonomo, sul piano del diritto civile come sul piano del
diritto tributario,  nondimeno  la  discriminazione  qualitativa  dei
redditi non implica soltanto che le rispettive  forme  di  produzione
siano diverse, bensi' richiede  per  manifestarsi  costituzionalmente
legittima - che la capacita' contributiva  dei  redditi  esclusi  dal
tributo sia di gran  lunga  quantitativamente  inferiore  rispetto  a
quella  dei  contribuenti  titolari  di   trattamenti   pensionistici
soggetti al tributo; e nulla consente di  desumere  dal  testo  della
norma riguardante l'imposizione in argomento, che l'omessa inclusione
dei contribuenti titolari  delle  attivita'  sopra  indicate  dipenda
dalla valutazione delle  caratteristiche  differenziali  delle  varie
forme di lavoro. 
    Pertanto, se il concetto ispiratore della norma  deve  rinvenirsi
nella applicazione del principio della capacita' retributiva, in  tal
caso sussiste la violazione degli artt. 3  e  53,  1°  comma,  Cost.,
poiche'   sono   discriminati    ingiustificatamente    i trattamenti
previdenziali obbligatori rispetto agli emolumenti  di  pari  importo
derivatiti da fonti diverse. 
    1.3. L'art. 2 del d.1. n. 138/2011, conv.  con  modificazioni  in
legge n. 148/2011, che ha reintrodotto con il 1° comma il  contributo
di perequazione, ha introdotto per  il  periodo  1°  gennaio  2011-31
dicembre  2013 -  piu'  breve  rispetto  a  quello  previsto  per   i
pensionati - un contributo, definito questa volta «di  solidarieta'»:
«In considerazione della eccezionalita'  della  situazione  economica
internazionale  e  tenuto  conto  delle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31  dicembre  2013
sul reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo  unico  delle
imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917,  e  successive  modificazioni,  di  importo
superiore a 300.000 euro lordi annui,  e'  dovuto  un  contributo  di
solidarieta' del 3  per  cento  sulla  parte  eccedente  il  predetto
importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000
euro  rilevano  anche  il  reddito  di  lavoro  dipendente   di   cui
all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al
lordo della riduzione ivi prevista; e i trattamenti pensionistici  di
cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.
111, al  lordo  del  contributo  di  perequazione  ivi  previsto.  Il
contributo  di  solidarieta'  non  si  applica  sui  redditi  di  cui
all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
di cui all'articolo 18, comma  22-bis,  del  decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111. Il contributo di solidarieta' e' deducibile dal reddito
complessivo». 
    Il suddetto contenuto normativo appare piu' chiaro con la lettura
dell'art. 1 d.m. 21 novembre 2011, di attuazione («1. -  A  decorrere
dal l° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013,  qualora  il  reddito
complessivo di cui all'art. 8  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi (TUIR), di cui al decreto del Presidente della Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni,  sia  superiore  a
300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento
sulla parte di reddito che eccede  il  predetto  importo  di  300.000
euro, fermo restando  che  il  contributo  medesimo  si  applica  sui
redditi ulteriori rispetto a quelli gia' assoggettati alla  riduzione
di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
a quelli gia' assoggettati  al  contributo  di  perequazione  di  cui
all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111»).
Questo stabilisce che qualora il reddito complessivo sia superiore  a
300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta'  del  3%  sulla
parte di reddito che eccede il predetto importo, fermo  restando  che
il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli gia'
assoggettati al contributo di perequazione. 
    Da tale disciplina consegue che i  contribuenti  assoggettati  al
contributo   di   solidarieta'   versano (per   far    fronte    alla
eccezionalita' della situazione economica internazionale) i13%  della
sola quota eccedente i 300.000 euro e qualunque siano  le  componenti
del loro reddito complessivo, ivi compresi i  redditi  pensionistici;
invece, contribuenti  assoggettati  al  contributo  di  perequazione,
cioe'  i  ricorrenti,  versano  (per   far   fronte   alla   medesima
congiuntura) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall'art.
22-bis del d.l. n. 98/2011, convertito  in  l.  n.  111/2011  ed,  in
particolare, subiscono, un prelievo del 15% sui redditi superiori  ad
euro 200.000. 
    Oltre i 300.000 euro percio', a parita' di reddito, si avra'  per
l'una categoria l'imposizione del 3%, per l'altra  l'imposizione  del
15%. 
    Questa normativa viola i canoni costituzionali dell'eguaglianza e
della ragionevolezza nonche' il canone della  capacita'  contributiva
ed il criterio della progressivita' dell'imposta; ledendo altresi' il
principio dell'affidamento maturato dopo  il  collocamento  a  riposo
circa il livello del reddito da pensione, con violazione degli  artt.
3 e 97 della Costituzione. 
    1.4. Anche ammettendo in astratto che la norma possa sfuggire  ai
suddetti   dubbi   di   costituzionalita',   allorche'    la    Corte
costituzionale ha escluso da simili censure misure in  considerazione
della portata transeunte del sacrificio imposto, si eccepisce che  un
sacrificio imposto dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre  2014  non  puo'
definirsi «transeunte», specie per la categoria dei pensionati la cui
aspettativa di vita rispetto alla popolazione attiva 
    2. Se il contributo di perequazione  in  esame  -  contraddicendo
allo stesso nomen iuris -  dovesse  invece  essere  configurato  come
contributo  previdenziale  in  senso  tecnico,  vale  a   dire   come
prestazione patrimoniale imposta per legge di cui all'art. 23  Cost.,
in attuazione dell'art. 2 Cost., non  verrebbe  per  questo  meno  la
violazione del principio  di  ragionevolezza  per  i  profili  dianzi
dedotti, in quanto il principio di legalita' dei tributi non puo' non
esser coniugato con  il  supremo  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3 Cost., principio fondante di uno Stato di diritto. 
    II. Illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art.  24  del
d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in  l.  n.  214/2011,
per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. 
    La  l.  n.  111/2011  di  conversione  del  d.l.  n.  98/2011  ha
introdotto all'art. 18, sostituendo il terzo comma del  provvedimento
d'urgenza, a sua volta sostituito dal comma 25 dell'art. 24 del  d.l.
n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in  l.  n.  214/2011,  una
nuova disciplina della rivalutazione  automatica  precedentemente  in
vigore. Tale nuova disciplina  e'  estremamente  restrittiva  fino  a
determinare la soppressione quasi totale dell'istituto in questione. 
    Infatti,  stabilisce   la   norma:   «in   considerazione   della
contingente situazione finanziaria, la rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito l'articolo
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448,  e'  riconosciuta,
per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici
di importo complessivo fino a tre volte il trattamento  minimo  INPS,
nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo  superiore
a tre volte il trattamento minimo INPS  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  ai
sensi del presente comma,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato». 
    La nuova disciplina, limitando in misura notevole il  trattamento
di pensione nella sua fase di adeguamento al costo della vita,  offre
il  fianco,  alle  medesime  censure  di  incostituzionalita'   sopra
riportate a proposito del contributo di perequazione, alle  quali  si
rinvia.  Osservazioni  piu'  specifiche   sono   quelle   che   fanno
riferimento alla violazione degli artt. 36 e 38  della  Costituzione;
infatti, avendo presente che il trattamento pensionistico  ha  natura
retributiva, perche' costituisce il prolungamento in  pensione  della
retribuzione goduta in  costanza  di  lavoro,  viene  in  discussione
l'inosservanza da parte del legislatore dell'art. 38  secondo  comma,
che  tutela  l'adeguatezza  della  prestazione  previdenziale;   tale
principio costituzionale appare messo in pericolo dalla quasi  totale
soppressione dell'unico istituto (rivalutazione) posto a tutela della
conservazione nel tempo del  trattamento  pensionistico;  inoltre,con
l'introduzione di questa disciplina restrittiva, e' messa in pericolo
anche la proporzionalita' tra pensione e retribuzione goduta  durante
l'attivita' lavorativa, principio sancito dagli artt. 36 e  38  Cost.
se e' vero che talvolta la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che
l'intervento  sporadico  del  legislatore  rivolto  a   contenere   o
sopprimere per un breve  periodo  la  rivalutazione  dei  trattamenti
pensionistici   medio/alti   non   viola    i    predetti    principi
costituzionali, e' altrettanto vero che tali affermazioni sono  state
bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non e'  consentita
la  reiterazione  di  misure  intese  a  paralizzare  il   meccanismo
perequativo. 
    Rilevato che, in questi ultimi tempi  sono  stati  frequenti  gli
interventi legislativi rivolti «bloccare» la perequazione  automatica
per uno o piu' anni (art. 1, comma 19, l. n. 247/2007 art. 19,  comma
13, 1. n. 449/997); che la norma in discussione limita per un biennio
(2011/2012) l'adeguamento, e che la limitazione e' piuttosto pesante,
appaiono fondati i dubbi di incostituzionalita' anche con riferimento
ai canoni di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    In conclusione si chiede -  previa  rimessione  degli  atti  alla
Corte    costituzionale    per    l'esame    della    questione    di
costituzionalita': a) del comma  22-bis  dell'art.  18  del  d.l.  n.
98/2011, convertito, con modificazioni, in legge  n.  111/2011,  come
reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del d.l. n. 138/2011, convertito in
legge,  con  modificazioni,  dalla  1.  n.  148/2011  e   s.m.i., per
contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53 e 23 Cost., nella parte in cui, a
decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre  2014,  i
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatorie,  i  cui  importi  complessivamente  superino
90.000 euro lordi  annui,  sono  assoggettati  ad  un  contributo  di
perequazione pari al 5 per cento della parte  eccedente  il  predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al  10  per  cento  per  la
parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente
200.000 euro; b) del comma 25 dell'art.  24  del  d.l.  n.  201/2011,
convertito, con modificazioni, in legge n.  214/2011,  per  contrasto
con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. - l'accoglimento del  ricorso,
con tutte le conseguenze di legge. 
    Con ulteriore memoria i ricorrenti hanno ribadito sostanzialmente
quanto gia' dedotto nell'atto introduttivo del giudizio,  anche  alla
luce della intervenuta sentenza costituzionale n. 223 del  2012,  che
confermerebbe in tesi attorea la manifesta fondatezza della questione
di legittimita' costituzionale sollevata in relazione  al  contributo
cui sono assoggettati nella specie solo i ricorrenti  in  pensione  e
non le corrispondenti categorie in  servizio,  con  riferimento  agli
artt. 1, 2, 3, 53, e 97. 
    Con memoria di costituzione e difesa il  resistente  INPS,  quale
successore ex lege dell'Inpdap, ai sensi dell'art.  21  comma  1  del
d.l. n. 201 del  2011  convertito  in  legge  n.  214  del  2011,  ha
controdedotto come segue. 
    I. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore delle
Commissioni Tributarie Regionali sulla domanda inerente il contributo
ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98;  in  via
pregiudiziale si eccepisce il difetto di giurisdizionale della  Corte
dei conti in  favore  delle  Commissioni  Tributarie  Regionali,  con
riferimento alla domanda relativa al contributo ex 18,  comma  22-bis
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; cio'  in  quante  il  petitum
sostanziale della pretesa avversa non e'  costituito  dall'an  o  dal
quantum della pensione ma dalla contestazione della  legittimita'  di
una maggiorazione dell'imposta  sul  reddito  e  sulla  richiesta  di
restituzione di quanto versato all'erario; pertanto, la  controversia
esula dalla Giurisdizione della Corte dei  conti  rientrando  tra  le
materie soggette alla giurisdizione tributaria ai sensi  dell'art.  2
del D.Lgs. n. 546 del  31.12.1992,  secondo  cui  «Appartengono  alla
giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi  ad  oggetto  i
tributi di ogni genere e specie, comunque denominati compresi  quelli
regionali, provinciali e comunali e il  contributo  per  il  Servizio
sanitario nazionale, nonche' le  sovrimposte  e  le  addizionali,  le
sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari,  gli
interessi e ogni altro accessorio...»; in  tal  senso  si  sono  piu'
volte  pronunciate  le  Sezioni  Unite  della  Cassazione  che  hanno
affermato il principio secondo cui: «E' devoluta  alla  giurisdizione
del  giudice  tributario  la  controversia  promossa  dal  sostituito
d'imposta, nei confronti del sostituto ai fini delle imposte dirette,
per pretendere il, pagamento (anche) di quella parte del suo  credito
che il convenuto abbia trattenuto e  versato  a  titolo  di  ritenuta
d'imposta; si tratta, infatti, di un'indagine sulla  legittimita'  di
detta ritenuta  integrante  non  una  mera  questione  pregiudiziale,
suscettibile di essere  delibata  incidentalmente,  ma  comporta  una
causa tributaria avente carattere pregiudiziale la quale deve  essere
definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal  giudice  cui  la
relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in  litisconsorzio
necessario anche dell'amministrazione finanziaria» (Cass. [ord.] Sez.
Un. 24-10-2007 n. 22272; idem Cass. Sez. Un. 24-10-2007 n.  22266.)»;
e la natura tributaria del contributo in questione e' stata affermata
e riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
241 del 24 ottobre 2012; la giurisdizione della Corte dei  conti,  al
di fuori della contabilita' pubblica, e' strettamente  limitata  alle
sole  materie  specificate  dalla  legge;  nel  caso  della   materia
pensionistica,  l'ambito  di  competenza  del  giudice  contabile  e'
circoscritto ai ricorsi relativi alla sussistenza e alla  misura  del
diritto a pensione a carico totale o parziale dello Stato  (art.  62,
primo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ovvero  a  tutti  gli
altri ricorsi in materia di pensione, attribuiti da  leggi  speciali,
alla Corte dei conti (art. 62 secondo comma r.d. cit.), come, ad es.,
l'art. 60 del r.d. 3  marzo  1938,  n.  680,  che  ha  riguardo  alle
pensioni dei dipendenti degli enti locali. 
    II. Carenza parziale di legittimazione  passiva  dell'Inps  sulla
domanda  di  condanna   alla   restituzione   di   quanto   versato -
Litisconsorzio  necessario   e   necessita'   di   integrazione   del
contraddittorio  nei  confronti  dell'Agenzia   delle   Entrate;   la
riconosciuta  natura  tributaria   del   contributo   contestato,   a
prescindere dalla sollevata carenza di giurisdizione della Corte  dei
conti, impone altresi' un  approfondimento  sulla  sussistenza  della
legittimazione passiva dell'INPS nel giudizio atteso  che  l'Istituto
previdenziale resistenza agisce nel caso de quo quale mero  sostituto
di imposta ex art. 23 e 64 comma 1 D.P.R 29 settembre 1973,  n.  600;
invero,  seppure  fosse  ancora  ipotizzabile  la  partecipazione  in
giudizio dell'Inps al solo fine di renderlo edotto  dell'impugnazione
impositivo ed allo scopo di rendere opponibile al sostituto eventuale
annullamento della norma, e'  evidente  che  in  nessun  caso  l'Inps
potra' essere destinatario della domanda di restituzione di somme che
non detiene per averle semplicemente trasferite all'erario,  mancando
nella  fattispecie  qualsiasi  presupposto  di  indebito   oggettivo;
pertanto la domanda proposta dai ricorrenti  per  la  «condanna  alla
restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con  rivalutazione
monetaria ed interessi dal di'  di  ciascuna trattenuta  e  rateo  di
pensione  sino  al   soddisfo»,   andava   proposta   nei   confronti
dell'Agenzia delle Entrate che doveva essere convenuta  nel  presente
giudizio e nei  confronti  della  quale  dovrebbe  quantomeno  essere
integrato il contraddittorio ai sensi dell'art. 102  c.p.c.;  proprio
la contestazione sulla legittimita' della  norma  (norma  su  cui  si
fonda  l'atto  impositivo   contestato)   determina   la   necessaria
partecipazione  dell'Agenzia  delle  Entrate,  parte  necessaria  del
procedimento cosi' come ritenuto dalla Corte  di  Cassazione  Sezioni
Unite, nella sentenza 18 gennaio 2007, n.  1052,  secondo  cui  «Ogni
volta  che  per  effetto  della  norma  tributaria  o  per   l'azione
esercitata  dall'amministrazione  finanziaria  (oggi  Agenzia   delle
Entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario,  coinvolgendo
nella unicita' della fattispecie  costitutiva  dell'obbligazione  una
pluralita' di soggetti, e il ricorso proposto da  uno  o  piu'  degli
obbligati abbia ad oggetto non la  singola  posizione  debitoria  del
ricorrente,  ma  la  posizione  inscindibilmente  comune  a  tutti  i
debitori rispetto  all'obbligazione  dedotta  nell'atto  autoritativo
impugnato,  ricorre  un'ipotesi  di  litisconsorzio  necessario   nel
processo tributario». 
    III.  Infondatezza  della  domanda   nel   merito   e   manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata; in ogni caso la domanda dei ricorrenti  risulta  infondata
nel merito avendo l'Inps (ex Inpdap) agito in base a norme  di  legge
tuttora vigenti  sia  con  riferimento  all'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che con riferimento all'art. 18
comma 22-bis del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98;  invero  i
ricorrenti, assumono l'illegittimita' costituzionale delle  norme  in
questione con il proposito di  ottenere  una  rimessione  alla  Corte
costituzionale. 
    I dubbi di costituzionalita' delle norme, ad avviso della  difesa
dell'Inps, sono tuttavia da ritenersi privi di fondamento. 
    III a) legittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre  2011  n.  201.  L'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 non risulta  irragionevole,  ed
appare del tutto coerente  con  l'evoluzione  della  normativa  sulla
rivalutazione delle pensioni; secondo i ricorrenti la suddetta  norma
contrasterebbe con gli articoli 36 e 38 della  Costituzione,  poiche'
il blocco seppure  temporaneo  della  rivalutazione  delle  pensioni,
farebbe venire meno la  natura  «retributiva»  della  pensione  quale
«prolungamento in pensione della retribuzione goduta in  costanza  di
lavoro»;   al   riguardo   si   osserva   che   simili   profili   di
incostituzionalita'  sollevati  in  precedenza  sono   stati   sempre
respinti dal Giudice delle leggi; a titolo  esemplificativo  si  puo'
citare l'ordinanza 18 maggio 2006, n. 202 con la quale  la  Corte  ha
ritenuto «... manifestamente infondata la questione  di  legittimita'
costituzionale degli art. 2 L 8 agosto 1991 n. 265,  11  d.  leg.  30
dicembre 1992 n. 503, 59 1. 27 dicembre 1997 n. 449, 34 L 23 dicembre
1998 n. 448 e 69 l. 23 dicembre 2000 n.  388,  nella  parte  in  cui,
limitandosi a prevedere un meccanismo  di  perequazione  dell'importo
dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo  della  vita,
determinerebbero un significativo ed apprezzabile depauperamento  del
trattamento pensionistico  dei  magistrati  collocati  a  riposo  con
riguardo al trattamento economico proprio dei  colleghi  in  servizio
attivo  ed  allo  stesso  trattamento  pensionistico  dei  magistrati
collocati a riposo successivamente, in riferimento agli art. 36, 38 e
53 Cost.»; ancora puo' farsi riferimento all'ordinanza 17 luglio 2001
n.  256,  con  la  quale  la  Corte   costituzionale   ha   ritenuto:
«manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 59, 13 comma, 1. 27 dicembre 1997 n. 449,  nella  parte  in
cui  esclude,  per  l'anno  1998,  dalla  perequazione  automatica  i
trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo Inps, in
riferimento agli art. 3, 36 e 38 Cost.»; inoltre la  norma  censurata
si inserisce nell'ambito di  un  articolo  (art.  24)  che  introduce
pesanti limitazioni ai tutti i trattamenti di pensione e non soltanto
a quelle oggi in discussione; basti pensare che con la predetta si e'
previsto:  l'introduzione  del  sistema  di  calcolo  della  pensione
contributiva pro rata anche per i lavoratori che avevano mantenuto il
sistema retributivo all'epoca della L. 335/1995; l'innalzamento a  66
anni dell'eta' per la pensione di vecchiaia, sia per gli  uomini  che
per le donne (salvo modifiche connesse all'aspettativa di vita),  con
necessita'  di   almeno   20   anni   di   anzianita'   contributiva;
l'introduzione della cosiddetta «pensione anticipata», in luogo della
«pensione di anzianita'» con il  requisito  di  41  anni  e  un  mese
di anzianita' contributiva per le donne, e 42 anni e un mese per  gli
uomini seppure con penalizzazioni;  la  possibilita'  di  optare  per
liquidazione del  trattamento  pensionistico  esclusivamente  con  le
regole del sistema  contributivo;  la  specifica  disposizione  sulla
rivalutazione delle pensioni piu'  elevate  rientra  in  un  percorso
ormai  decennale  che  ha  visto  la  tendenziale  cessazione   degli
automatismi nella rivalutazione delle pensioni  per  pervenire ad  un
criterio che tenga conto  del  reddito  complessivo;  il  sistema  di
perequazione delle pensioni, originariamente basato sul  punto  unico
di contingenza  secondo  gli  indici  Istat,  e'  stato  radicalmente
trasformato dalle leggi succedutesi nel tempo (art. 21 della legge 27
dicembre 1983 n. 730; art. 59 della legge 27 dicembre  1997  n.  449,
art. 34 della legge n. 448 del  1998),  con  la  conseguenza  che  la
perequazione dell'intero trattamento  nelle  sue  due  componenti  di
pensione e di indennita' integrativa speciale, ha reso  incompatibile
il riconoscimento del diritto alla  riliquidazione  delle  variazioni
dell'indennita'  integrativa   speciale;   cio'   e'   avvenuto   per
effetto dell'art. 21; comma 8 della legge 27 dicembre  1983  n.  730,
secondo cui «Agli effetti  delle  disposizioni  di  cui  al  presente
articolo  le  pensioni,  alle  quali   si   applica   la   disciplina
dell'indennita' integrativa  speciale...  dal  1°  maggio  1984  sono
considerate comprensive dell'indennita' stessa. Gli aumenti dovuti ai
sensi del terzo comma  sono  attribuiti  sull'indennita'  integrativa
speciale, ove competa, e sulla pensione con le modalita' che  saranno
stabilite con il decreto interministeriale di cui al secondo  comma»;
il sistema e' stato confermato ed esteso dalle norme  successive  fra
cui, in particolare: - l'art. 24 commi 4 e 5 dell'articolo  24  della
legge 28 febbraio 1986, n. 41 che  ha  precisato  i  criteri  per  il
calcolo della perequazione di cui alla legge 730/1983 precisando, tra
l'altro che «La percentuale di aumento si  applica  sull'importo  non
eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni  per  i
lavoratori dipendenti. Per le fasce di importo comprese fra il doppio
ed il triplo del trattamento minimo detta percentuale e'  ridotta  al
90 per cento. Per  le  fasce  di  importo  superiore  al  triplo  del
trattamento minimo la percentuale e' ridotta  al  75  per  cento»;  -
l'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.  503,  con  previsione  del
calcolo della perequazione con decorrenza dal 1994,  sulla  base  del
solo adeguamento al costo vita con cadenza  annuale  ed  effetto  dal
primo novembre di ogni anno; - l'art. 59 della legge 27 dicembre 1997
n. 449, commi 4 e 13 che, a decorrere dal l° gennaio 1998, ha  esteso
a tutte le  forme  pensionistiche  i  criteri  di  adeguamento  delle
prestazioni pensionistiche  previsti  dal  suddetto  art.  11  d.1gs.
503/1992 ed ha introdotto di limiti di aumento  in  misura  variabile
con riferimento ai trattamenti pensionistici  dovessero  superare  da
cinque ad otto volte il trattamento minimo INPS; si rammenta  inoltre
l'art. 34 della legge n. 448 del  1998  che,  con  l'istituzione  del
Casellario delle  Pensioni,  ha  disposto  che  la  perequazione  dei
trattamento pensionistici debba farsi con riferimento all'insieme dei
trattamenti pensionistici goduti dal medesimo beneficiario  anche  se
riferiti a diverse gestioni; ancora, l'art. 18 commi, 6, 7, 8 e 9 del
decreto-legge 6  luglio  2011  n.  98,  interpretando  autenticamente
l'art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 e l'art.
21,  ottavo  comma  della  legge  27  dicembre  1983,  n.   730,   ha
ridimensionato la perequazione delle pensioni godute  dai  cosiddetti
«baby pensionati» cessati dal servizio prima del  1995  con  meno  di
quarant'anni e con l'IIS calcolata in quarantesimi, ossia di soggetti
che  percepiscono  trattamenti   di   modesta   entita'   non   certo
paragonabili a quelli degli attuali ricorrenti; la norma censurata e'
quindi una disposizione dettata da  una  situazione  di  emergenza  e
contingente che colpisce tutti i pensionati pubblici e privati  senza
distinzioni di sorta in materia  progressiva  secondo  le  rispettive
capacita' reddituali. III b) legittimita' costituzionale dell'art. 18
comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011 n.  98;  l'Inps  ritiene
infondate anche le censure rivolte dai ricoprenti all'art.  18  comma
22-bis del decreto-legge 6  luglio  2011  n.  98;  si  tratta  di  un
prelievo fiscale straordinario temporaneo  e  straordinario  gravante
sulla quota eccedente delle pensioni di importo elevato che e'  stato
definito «perequativo» in senso atecnico, intendendo  il  Legislatore
per  perequazione  non  gia'  la  rivalutazione  del  trattamento  di
pensione ma la «riconduzione ad equita'»  delle  cosiddette  pensioni
d'oro  in  rapporto  all'intera  platea   dei   pensionati   che   ha
pesantemente colpito per effetto della crisi finanziaria in  atto;  a
differenza dell'analogo contributo sulle retribuzioni dei  dipendenti
pubblici introdotto all'articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010,
gia' dichiarato incostituzionale con la recente sentenza n. 223/2012,
il contributo di perequazione  in  questione  vede  come  destinatari
l'intera platea dei  titolari  di  trattamenti  pensionistici,  anche
integrativi e pertanto non sono fondati i rilievi  di  illegittimita'
della norma  con  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  dal
momento  che  le  uniche  prestazioni  pensionistiche   escluse   dal
contributo risultano essere le  prestazioni  assistenziali  (rispetto
alle  quali,  d'altronde,  risulterebbe   difficile   ipotizzare   il
superamento degli importi previsti dal co. 22-bis, ratione mensurae),
gli assegni straordinari di sostegno al reddito, le pensioni  erogate
alle vittime del terrorismo e le rendite dell'INAIL; risulta altresi'
infondata, a parere dell'Inps, anche l'ulteriore  obiezione  riferita
al presunto vulnus del principio di  uguaglianza  in  relazione  alla
capacita' contributiva di cui all'art. 53 Cost. per essere i titolari
di  elevate  pensioni  discriminati  rispetto  alla  generalita'  dei
consociati; considerato che, secondo la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, la formulazione dell'art. 53 Cost.:«Tutti sono tenuti
a concorrere alle spese pubbliche in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva»,   impone   che   il    principio    dell'universalita'
dell'imposizione debba essere valutato in  termini  non  assoluti  ma
relativi, in necessario coordinamento con il principio  solidaristico
e di  uguaglianza  di  cui  agli  artt.  2  e  3  Cost.;  sicche'  il
legislatore, con il limite della  ragionevolezza  e  dei  criteri  di
progressivita' e proporzionalita', puo' ben  introdurre  per  singole
categorie  di  contribuenti  specifici  tributi,  non  risultando  un
obbligo di indistinta ed uniforme imposizione. 
    IV. Sussistenza di analoga  q.l.c.  gia'  pendente  innanzi  alla
Corte  costituzionale  richiesta  di  sospensione  pregiudiziale  del
giudizio; l'art. 18 comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio  2011  n.
98 e' stato sottoposto al vaglio di costituzionalita' da parte  della
Corte dei conti Sezione Giurisdizionale per la  Regione  Campania  la
quale con ordinanza di rimessione del 20 luglio 2012 pubblicata sulla
G.U. n. 45  del  14  novembre  2002  resa  nell'ambito  del  giudizio
proposto da Staro Salvatore c/  Inpdap  ed  altri,  ha  sollevato  la
questione di legittimita' costituzionale  della  suddetta  norma  con
riferimento agli artt. 2, 3, 53 e 97 della Costituzione,  per  motivi
del tutto analoghi a quelli qui prospettati; pertanto, ove  la  adita
Sezione giurisdizionale dovesse condividere i dubbi  manifestati  dai
ricorrenti, potra' ordinare la sospensione  del  giudizio  in  attesa
della pronuncia della Corte costituzionale sulla q.l.c. sollevata. 
    In conclusione,  si  chiede  che  questa  Corte  voglia:  in  via
pregiudiziale, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore
delle Commissioni Tributarie Regionale con riferimento  alla  domanda
relativa il contributo ex 18 comma 22-bis del decreto-legge 6  luglio
2011 n. 98; sempre in via  pregiudiziale  e  nel  rito,  accertare  e
ritenere parziale carenza di legittimazione passiva dell'Inps nonche'
la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio  necessario  ex  art.
102 c.p.c. nei confronti  dell'Agenzia  delle  Entrate,  quale  parte
necessaria nelle controversie inerenti la sussistenza l'ammontare  di
imposte e i tributi e la  restituzione  di  somme  asseritamente  non
dovute   a   tale   titolo,   con   conseguente   integrazione    del
contraddittorio nei confronti della  suddetta  Agenzia;  nel  merito,
respingere in ogni caso le domande attoree perche' infondate in fatto
e diritto per i motivi  sopra  evidenziati,  con  declaratoria  della
correttezza  dell'operato  dell'INPS  nell'applicazione  delle  norme
richiamate in premessa; in via subordinata  disporre  la  sospensione
del  presente  giudizio  in  attesa  della  pronuncia   della   Corte
costituzionale sull'ordinanza di rimessione  della  Corte  dei  conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania del  20  luglio  2012
pubblicata sulla G.U. n.;45 del 14 novembre 2002; con il favore delle
spese. 
 
                           Considerato che 
 
    I ricorrenti,  titolari  di  trattamento  pensionistico  diretto,
chiedono: A) il riconoscimento del diritto a percepire il trattamento
pensionistico senza le decurtazioni derivanti  dall'applicazione  del
contributo di perequazione di  cui  all'art.  18,  comma  22-bis  del
decreto-legge 6 luglio 2011 n.  98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,  come  successivamente  modificato
dall'art. 24,  comma  31-bis  del  d.l.  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la
cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla  innovare,  dall'art.
2, comma  1,  del  d.l.  13  agosto  2011,  n.  138  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; B) la integrale
rivalutazione automatica  del  medesimo  trattamento  di  quiescenza,
ovvero senza i limiti recati dal disposto di cui all'art. 24 comma 25
del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011 n. 214. 
    Quanto  sopra,  previa   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale per l'esame delle questioni di  costituzionalita':  A)
del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011  n.  111,
come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del d.l. 6
dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214 la cui vigenza e' stata  solo  ribadita,  senza
nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del d.l. 13 agosto 2011, n. l38
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B) del  comma
25 dell'art. 24 del d.1. n. 201/2011 convertito,  con  modificazioni,
in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e  38
Cost. 
    Quanto alla seconda questione di legittimita'  costituzionale  di
cui al punto B), la  stessa  -  ancorche'  rilevante  -  si  appalesa
manifestamente infondata e sugli  essa  si  dispone  con  contestuale
separato provvedimento recante le motivazioni del rigetto. 
    Quanto alla prima questione di legittimita' costituzionale di cui
al punto A) che precede, appare evidente nella specie la  sussistenza
della condizione della rilevanza posta all'autorita'  giurisdizionale
dall'art. 23 secondo comma della legge  n.  87  del  1953  per  poter
sollevare   questione   di   legittimita'   costituzionale,    ovvero
dell'impossibilita'  di  poter  definire   il   giudizio   in   esame
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimita'
costituzionale»   della   normativa   coinvolta,    trattandosi    di
disposizione di legge (comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6
luglio 2011 n. 98, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011 n. 111, come  successivamente  modificato  dall'art.  24,
comma 31-bis del  d.1.  6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui,  vigenza
e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2,  comma  1,
del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148) pacificamente applicabile ed  invero
autoritativamente  applicata   al   trattamento   pensionistico   dei
ricorrenti, stante  l'univoco  e  cogente  tenore  letterale  che  la
connota, con la  conseguente  necessaria  influenza  (sub  specie  di
stretta pregiudizialita') di un'eventuale pronuncia  di  accoglimento
da parte della Corte  costituzionale  sulla  decisione  dei  presente
giudizio; impossibilita' di  poter  definire  il  giudizio  in  esame
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimita'
costituzionale» che postula logicamente la  giurisdizione  di  questa
Corte dei conti nella materia oggetto di ricorso giurisdizionale,  da
ritenersi  nella  specie  sussistente  sul  rilievo  che  il  petitum
sostanziale, da identificare  in  funzione  della  intrinseca  natura
della posizione dedotta in giudizio (causa petendi) dai ricorrenti  -
ovvero l'oggetto della domanda sulla cui base va determinata, a norma
dell'art. 386 cod. proc. civ. la giurisdizione -  attiene,  per  quel
che  qui  occupa,  al  preteso  riconoscimento   del   diritto   alla
corresponsione del trattamento pensionistico  senza  le  decurtazioni
patrimoniali definitive previste dal comma 22-bis dell'art.  18,  del
decreto-legge 6 luglio 2011 n.  98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,  come  successivamente  modificato
dall'art. 24,  comma  31-bis  del  d.l.  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214;
ovvero  al  mantenimento   del   trattamento   pensionistico   fruito
anteriormente al 1° agosto 2011; con cio' risultando evidente che  il
tema su cui si converte attiene  alla  determinazione  dell'ammontare
del trattamento pensionistico, rimesso alla  giurisdizione  esclusiva
sulla Corte dei conti. 
    Invero, la giurisdizione della Corte  dei  conti  in  materia  di
pensioni (ai sensi degli artt. 13 e 62 del RD n. 1214 del 1933  )  ha
carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio  di  collegamento
costituito dalla materia,  onde  in  essa  sono  comprese,  tutte  le
controversie in cui il rapporto  pensionistico  costituisca  elemento
identificativo  del  petitum  sostanziale,  ovvero  sia  comunque  in
questione la misura della prestazione previdenziale (Cass. civ.  Sez.
Unite, Sent. n. 8324 del 2010). 
    La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto  da
una  norma   «certamente   di   natura   tributaria»   (sent.   Corte
costituzionale n. 241 del 2012), non trasforma il rapporto  tra  enti
gestori  di  forme  di  previdenza  obbligatorie  e  beneficiari  dei
relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, di tipo
pubblicistico, il quale implica - diversamente dal caso di  specie  -
un soggetto investito di  potestas  impositiva  ed  un  provvedimento
espressione di tale potere (Sentenza Cass. n. 15031/2009). 
    Nella fattispecie,  il  rapporto  tra  INPDAP/INPS  e  pensionati
percettori, - al quale  e'  estranea  l'Amministrazione  Finanziaria,
coerentemente non evocata in questo giudizio -  non  contiene,  quale
petitum  sostanziale,  una  contestazione  diretta,   della   debenza
all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario  tra
contribuente ed amministrazione ( come tale rimesso  alla  competenza
esclusiva del giudice tributario: cfr. Cass. civ,  Sez.  Unite.  ord.
n.22381 del 2011), ma attiene ad un  rapporto  pensionistico,  atteso
che - siccome affermato, mutatis mutandis, dalla Sezioni Unite  della
Corte  di  Cassazione  nella  sentenza  n.  2064  del  2011   -   «le
controversie relative all'indebito pagamento dei tributi  seguono  la
regola della devoluzione  alla  giurisdizione  speciale  del  giudice
tributario soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti
dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e, di conseguenza,  il  convenuto
in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art.  10,  D.Lgs.
n. 546 del 1992. Quando la controversia si svolga  tra  due  soggetti
privati in assenza di un provvedimento che sia  impugnabile  soltanto
dinanzi al giudice tributario, il giudice  ordinario  si  riappropria
della giurisdizione e non rileva che la composizione della lite debba
passare attraverso la interpretazione di una norma tributaria». 
    Si  ritiene  altresi'  che  la  questione   sollevata   non   sia
manifestamente infondata, ai sensi dello stesso art. 23 secondo comma
della legge n. 87 del  1953,  per  i  motivi  e  con  riferimento  ai
parametri costituzionale che seguono. 
    Invero, come recentemente affermato  dalla  Corte  costituzionale
con sentenza n. 241 del 2012, il «contributo di perequazione» di  cui
comma  22-bis  dell'art.18  del  d.l.  n.  98/2011,  convertito,  con
modificazioni, nella legge n. 111/2011 e s.m.i. previsto a carico dei
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto
costituisce un prelievo analogo a quello effettuato  sul  trattamento
economico  complessivo  dei  dipendenti  pubblici  ...  nella   parte
dichiarata illegittima da questa Corte con la ... sentenza n. 223 del
2012 e la cui natura tributaria e' stata  espressamente  riconosciuta
dalla medesima sentenza. La norma  impugnata,  infatti,  integra  una
decurtazione patrimoniale definitiva del  trattamento  pensionistico,
con acquisizione al bilancio  statale  del  relativo  ammontare,  che
presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza  di  questa
Corte per caratterizzare il prelievo come  tributario  ...»,  ovvero,
indipendentemente  dal  nomen  juris  attribuitole  dal  legislatore,
quelli  di  un  prelievo  coattivo  finalizzato  al  concorso   delle
pubbliche spese, posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno
specifico  indice  di  capacita'  contributiva  che  deve   esprimere
l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria. 
    Da quanto precede consegue che - richiamando principi riaffermati
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223  del  2012  secondo
cui '' «la Costituzione non impone  affatto  una  tassazione  fiscale
uniforme, con criteri  assolutamente  identici  e  proporzionali  per
tutte le tipologie di imposizione  tributaria;  ma  esige  invece  un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della  Costituzione)»  (sentenza  n.
341 del 2000). Pertanto, il controllo  della  Corte  in  ordine  alla
lesione dei principi di cui all'art. 53  Cost.,  come  specificazione
del fondamentale principio di uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
consiste in  un  «giudizio  sull'uso  ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997).'' - occorre verificare se il contributo di perequazione, quale
norma di natura tributaria, si ponga in contrasto con gli artt. 2,  3
e 53 della Costituzione, pretermettendosi dall'analisi il pur evocato
parametro di cui all'art. 23 della Costituzione,  postulabile  invero
solo nella subordinata e  controfattuale  ipotesi  della  natura  non
tributaria del prelievo; mentre inconferente si appalesa  ictu  oculi
il richiamo all'art. 97 della Costituzione, parametro invero  atto  a
sindacare   la   ragionevolezza    di    leggi    che    disciplinano
l'organizzazione e, di riflesso, l'attivita' amministrativa;  siccome
irrilevante  nella  specie   e'   il richiamo   della   Costituzione,
trattandosi di una disposizione di  principio  priva  di  sostanziale
cogenza  prescrittiva  quale  autonomo  parametro  nel  giudizio   di
costituzionalita'. 
    Ritiene questo giudice che la disposizione di  cui  comma  22-bis
dell'art. 18 del d.1. n. 8/2011, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 111/2011  e  s.m.i.  recante  l'introduzione  di  un'imposta
speciale, ancorche' transitoria ( «a decorrere dal 1° agosto  2011  e
fino al 31 dicembre 2014» ) ed eccezionale («In considerazione  delle
eccezionalita' della situazione economica...»),  a  carico  dei  soli
«trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori  di  forme  di
previdenza obbligatoria»; si ponga in contrasto con il  principio  di
parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente
rilevante, siccome postulato dai richiamati artt. 2,  3  e  53  della
Costituzione. 
    Ed invero, da un lato, a parita' di reddito con la categoria  dei
lavoratori (pubblici o privati), il prelievo  e'  ingiustificatamente
posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di
forme  di  previdenza  obbligatoria,  con  conseguenti  irragionevole
limitazione della platea dei soggetti passivi, tenuto conto  che,  se
l'eccezionalita'  della  situazione  economica  che  lo  Stato   deve
affrontare consente  al  legislatore  di  intervenire  con  strumenti
eccezionali, non di meno e' compito dello Stato garantire il rispetto
dei principi  fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ed,  in
particolare,  del  principio  di  uguaglianza   su   cui   si   fonda
l'ordinamento  costituzionale;  principio   di   uguaglianza   (quale
specificato nell'art. 53 della Costituzione) in ossequio al quale  la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2010, ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,  comma   2,   del
decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  ravvisando  un'ingiustificata
limitazione ai soli dipendenti  pubblici  dell'imposta  speciale  ivi
prevista, determinativa di un irragionevole effetto  discriminatorio;
indicando viceversa, in positivo, la compatibilita' costituzionale di
misure che, in  un'ottica  di  solidarieta'  economica  correlata  ad
eccezionali finalita' di carattere finanziario, si caratterizzino per
una modulazione universale dell'intervento impositivo  a  parita'  di
presupposti  economici;  compatibilita'   costituzionale   che,   con
specifico riferimento ai parametri costituzionali di cui al combinato
disposto degli artt. 2, 3 e 53 della  Costituzione  non  puo'  essere
postulata nei confronti di disposizioni che  -  come  quella  oggetto
della  presente  rimessione  -  conducono   irragionevolmente   nella
fattispecie oggetto di scrutinio ad un prelievo «di solidarieta'» nei
confronti dei soli pensionati, pretermettendo, per l'effetto  indotto
dal decisum costituzionale di cui alla  sentenza  n.  223  del  2012,
l'omologo personale in  servizio,  pur  in  una  ottica  emergenziale
complessiva caratterizzata da identicita' di ratio; con il risultato,
peraltro gia' sanzionato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
119  del  1981,  sub  specie  della  vulnerazione  del  principio  di
eguaglianza in relazione alla capacita'  contributiva  sancito  dagli
artt. 3 e 53 della Costituzione, la suddetta categoria di  pensionati
e' stata cosi' colpita in misura maggiore  rispetto  ai  titolari  di
altri  redditi  e,  piu'  specificamente,  di   redditi   da   lavoro
dipendente. 
    Dall'altro  lato,  ulteriore  motivo  di  censura   puo'   essere
individuato nella stessa entita' del contributo di  perequazione  che
invero, non si correla con un altro  prelievo  speciale  di  indubbia
natura tributaria (cfr. sent. Corte costituzionale n. 223 del  2012),
ovvero il contributo di solidarieta' previsto dall'art. 2,  comma  2,
del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito  in  legge  n.
148 del 14 settembre  2011,  secondo  cui  «In  considerazione  della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in  sede  europea,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul  reddito  complessivo  di
cui all'articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi  di  cui
al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,
e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi
annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento  sulla
parte eccedente il predetto  importo.  Ai  fini  della  verifica  del
superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il  reddito  di
lavoro dipendente di cui all'articolo 9, comma 2,  del  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30
luglio 2010, n. 122, al lordo  della  riduzione  ivi  prevista,  e  i
trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18,  comma  22-bis  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111  al  lordo  del  contributo  di
perequazione ivi previsto.  Il  contributo  di  solidarieta'  non  si
applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30
luglio 2010, n. 122, e di cui  all'articolo  18,  comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta'  e'
deducibile dal reddito complessivo...». 
    Con la conseguenza irragionevole ed  ingiustificata,  che  -  con
riferimento a interventi «di solidarieta'  connotati  da  sostanziale
identita'  di  ratio  -  i  contribuenti  titolari  di   un   reddito
complessivo superiore a 300.000 euro, sono tenuti al versamento di un
contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito  che  eccede
il predetto importo, qualunque siano le componenti del  loro  reddito
complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici  e  fermo  restando
che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a  quelli
gia'  assoggettati  al   contributo   di   perequazione;   mentre   i
contribuenti assoggettati al contributo  di  perequazione,  ovvero  i
ricorrenti,  versano  (per  far  fronte  alla  medesima   eccezionale
situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni  indicati
dall'art. 22-bis del d.1. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011, come
successivamente modificato dall'art. 24,  comma  31-bis  del  d.l.  6
dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, subendo in particolare un prelievo del 15% sui
redditi superiori ad euro 200.000; quanto  sopra  -  in  disparte  la
circostanza comunque sintomatica, ancorche' non rilevante ai fini del
presente giudizio, che oltre la soglia di  reddito  di  300.000  euro
lordi annui, a parita' di  reddito,  si  avra'  per  l'una  categoria
(tendenzialmente  universale)  l'imposizione  del  3%,  per   l'altra
(circoscritta  ai  soli  pensionati  titolari   di   trattamenti   di
quiescenza  corrisposti  da  enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatoria) l'imposizione del  15%  -  in  patente  violazione  dei
canoni   costituzionali   dell'eguaglianza   e della   ragionevolezza
stabiliti  dall'art.  3,   nonche'   del   canone   della   capacita'
contributiva e del criterio di progressivita' delle  imposte  sanciti
dall'art. 53; noto essendo che i parametri posti dagli artt. 2,  3  e
53   della   Costituzione    postulano,    nell'insegnamento    della
giurisprudenza costituzionale, quale presupposto  di  un  ragionevole
esercizio della discrezionalita' legislativa in materia, un  raccordo
dell'imposizione   tributaria   con   la   capacita'    contributiva,
nell'ambito di un  sistema  informato  a  criteri  di  progressivita'
declinati quale specificazione nel contesto tributario del  principio
di uguaglianza, collegato nella  specie  ai  doveri  di  solidarieta'
economica  e  sociale  previsti  dall'art.  2   della   Costituzione;
parametri che appaiono pretermessi nella circostanza dal  legislatore
con la disposizione in esame. 
    Disposizione che, quale corollario delle censure  che  precedono,
qualora non venisse espunta dal sistema  giuridico,  ridonderebbe  in
ulteriore profilo di irrazionalita'  complessiva  del  sistema  delle
imposte speciali cosi' delineate (tutte,  come  visto,  connotate  da
analoga ratio  e  finalita'),  con  correlato  irragionevole  effetto
discriminatorio derivato (sub specie  della  coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economie), tenuto conto
che lo stesso contributo di solidarieta' di cui citato art. 2,  comma
2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n.
148 del 14  settembre  2011,  non  si  applica  sui  redditi  di  cui
all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
di cui all'articolo 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.
111; determinando percio' - in esito alla intervenuta declaratoria di
incostituzionalita' del disposto di cui all'articolo 9, comma 2,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recata dalla richiamata  sentenza
costituzionale n. 223  del  2012 -  un  irragionevole  ed  arbitrario
disallineamento   normativo   derivante   dall'asimmetricita',    nel
meccanismo impositivo del contributo di solidarieta', dei presupposti
reddituali di esclusione; atteso che il contributo di solidarieta' si
applica solo per la parte di reddito complessivo, eccedente i 300.000
euro, che trova capienza in redditi di categoria diversa da quelli di
lavoro dipendente (dove rientrano retribuzioni e pensioni) proprio in
quanto rispettivamente gia'  assoggettati  a  riduzione  (  non  piu'
attuale in esito alla sentenza costituzionale n. 223 del 2012) ovvero
al contributo di perequazione (oggetto della  presente  ordinanza  di
rimessione); meccanismo che, nel  contesto  di  bilanciamento  tra  i
valori  costituzionali  dell'interesse  fiscale  e  della   capacita'
contributiva, si  connota  per  un  intrinseco  difetto  di  coerenza
interna e di razionalita' dell'assestamento normativo cosi'  venutosi
a delineare, come tale  -  alla  luce  dei  parametri  costituzionali
ripetutamente  evocati  -  sindacabile  alla  luce  del  criterio  di
irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso  trattamento  riservato
ai ricorrenti dalla norma qui oggetto di censura. 
    Per quanto suesposto, ai sensi dell'art. 23 secondo  comma  della
legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del   comma   22-bis
dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito,  con
modificazioni,  dalla   legge   15   luglio   2011   n.   111,   come
successivamente modificato dall'art. 24,  comma  31-bis  del  d.l.  6
dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo  ribadita,  senza
nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
per contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti  gli  artt.  134  della   Costituzione;   1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
n.  87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  per
contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale del comma  22-bis  dell'art.  18,  del
decreto-legge 6 luglio 2011 n.  98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,  come  successivamente  modificato
dall'art. 24,  comma  31-bis  del  d.l.  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  solo  ribadita,  senza  nulla  innovare,
dall'art. 2, comma 1, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, con gli atti e con la  prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni prescritte nell'art.  23  della  legge  11  marzo
1953,  n.  87  (ex  artt.  1  e  2  del   regolamento   della   Corte
costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del  giudizio  per  la
fattispecie oggetto della presente rimessione. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
 
    Cosi' deciso in Roma, nell'udienza pubblica del  giorno  8  marzo
2013. 
 
                          Il giudice: Torri