N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2013
Ordinanza dell'11 marzo 2013 emessa dalla Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Lazio sul ricorso proposto da Sancetta Antonino ed altri 27 contro l'INPS.. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Interventi in materia previdenziale - Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie (nella specie dall'INPDAP ai magistrati) i cui importi superino complessivamente i 90.000 euro lordi - Assoggettamento a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro - Lesione del principio di solidarieta' sociale - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'irragionevolezza e del deteriore trattamento di pensionati del settore pubblico rispetto ai contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, tenuti al versamento di un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, quali che siano le componenti del loro reddito complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici - Violazione del principio di capacita' contributiva. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 22-bis, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148. - Costituzione, artt. 2, 3 e 53.(GU n.17 del 24-4-2013 )
LA CORTE DEI CONTI Visto il ricorso iscritto al numero 72310/PC del registro di Segreteria; Uditi - nella pubblica udienza dell'8 marzo 2013 - per i ricorrenti l'avv. Giovanni C. Sciacca, e per I'INPS Gestione ex INPDAP l'avv. Andrea Botta, che hanno concluso come in atti; Visti gli atti di causa; Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio introdotto con il ricorso in premessa, proposto da: Sancetta Antonino, Atelli Umberto, Spano' Salvatore, Gambardella Vincenzo, Cardia Lamberto, Sancetta Mario, Serrao Feliciano, Serino Felice, Tranchino Alfonso, D'Ambrosio Tommaso, Zotta Giuseppe, Delfini Danilo, Ricci Italo, Costanza Carlo, Provvidera Alfredo - magistrati della Corte dei conti, titolari di pensione ordinaria diretta; Romano Guido, Fera Aldo, Ruoppolo Giovanni, Pezzana Aldo, Camozzi Antonio, Cortese Roberto, Alibrandi Tommaso, Cafini Domenico, Gentile Domenico, Scognamiglio Roberto - magistrati amministrativi (del Consiglio di Stato e dei TAR) titolari di pensione ordinaria diretta; Caramazza Ignazio Francesco, di Tarsia di Belmonte Paolo Vittorio, Linguiti Aldo - avvocati dello Stato, titolari di pensione ordinaria diretta, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Piero d'Amelio, Giovanni C. Sciacca e Maria Stefania Masini, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via della Vite 7, contro l'INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale), in persona del legale rappresentante pro-tempore, avverso: 1) il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui e' assoggettato al "contributo di perequazione" previsto dal comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 111/2011, come reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del decreto-legge n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011, nelle percentuali ivi stabilite, come risulta dalle rispettive certificazioni CUD o cedolini pensionistici; 2) la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico, in applicazione del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011. Per la dichiarazione del diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico senza assoggettamento al predetto "contributo di perequazione" e con sua completa rivalutazione automatica, con condanna alla restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con rivalutazione monetaria e interessi dal di' di ciascuna trattenuta e rateo di pensione sino al soddisfo. Premesso che Con il ricorso collettivo in epigrafe parti attrici hanno rappresentato e dedotto quanto segue: con decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 sono state emanate "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria"; la legge 15 luglio 2011, n. 111 di conversione del predetto decreto, ha introdotto nell'art. 18, che concerne gli "Interventi in materia previdenziale", un comma 22-bis, che cosi' dispone: "In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal l° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 curo e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non puo' essere comunque essere inferiore a 90.000 euro lordi annui"; il contributo e' stato temporaneamente abrogato dall'art. 2, commi 1 e 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, e reintrodotto con l'art. 1, comma 2, dalla legge di conversione di tale decreto 14 settembre 2011, n. 148. I ricorrenti, tutti magistrati della Corte dei conti, magistrati amministrativi (del Consiglio di Stato e dei TAR), avvocati dello Stato, titolari di pensione ordinaria diretta, hanno rilevato dalle rispettive certificazioni CUD o dai cedolini pensionistici che i loro trattamenti, pensionistici sono stati assoggettati a tale "contributo di perequazione"; inoltre, in applicazione del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011, la rivalutazione automatica della loro pensione e' stata pressoche' soppressa. Pertanto ricorrono davanti a questa Corte dei conti avverso il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui e' assoggettato al suddetto contributo pressoche' senza rivalutazione automatica, chiedendo la dichiarazione del loro diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico senza le relative trattenute e con rivalutazione automatica e condanna alla restituzione di quanto invece dovuto, con rivalutazione monetaria e interessi dal di' di ciascuna trattenuta, sino al soddisfo, adducendo i seguenti motivi di diritto. I. Illegittimita' costituzionale, del comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 111/2011, come reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del decreto-legge 138/2011, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011 e s.m.i., per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 51 e 27 Cost. 1.1. Il comma 22-bis dispone un prelevamento coatto di somme effettuato mediante un sistema che la norma definisce "contributo di perequazione"; la perequazione, che consiste nella rideterminazione dei trattamenti pensionistici, e' finalizzata di norma o ad un adeguamento dei trattamenti stessi all'andamento del valore di acquisto della moneta, o all'eliminazione di differenze ingiustificate tra le varie categorie di soggetti che ne fruiscono; nella specie non si e' in presenza di una forma di perequazione, perche' in tal caso le pensioni avrebbero dovuto semmai essere aumentate per la svalutazione della moneta in atto mentre per altro verso non si e' neppure in presenza di differenze ingiustificate di percezione tra le varie categorie di pensionati, che hanno ricevuto invece le pensioni loro spettanti costituenti diritti soggettivi perfetti quali forme differite di corresponsione del trattamento economico di attivita' sulla base dei contributi previdenziali versati dagli stessi e dai loro datori di lavoro. 1.2. Ne consegue che in luogo di un "contributo di perequazione", ci si trovi in presenza di una vera e propria "imposta", atteso il carattere obbligatorio della prestazione patrimoniale (prelievo) autoritativamente imposta e la destinazione del relativo provento al risanamento delle gravi condizioni dell'economia pubblica; il prelievo in questione ricondotto alla sua sostanziale natura di imposta, commina oneri fiscali a carico di soggetti titolari di uno specifico status, e cioe' i pensionati e, sottolineato che la legge introduce "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", considerata la "eccezionalita' della situazione economica internazionale" e "tenuto conto delle esigenze prioritarie del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica", di fatto il gravoso onere di partecipare alla realizzazione della indispensabile e ineludibile finalita' di interesse nazionale, e' stato posto unicamente a carico di una categoria ancorche' ampia di pensionati, con esclusione delle altre categorie di contribunti, i cui redditi e le cui condizioni economiche sono talvolta largamente superiori a qualsiasi piu' elevato trattamento pensionistico. Nella specie, i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. risultano violati, essendo state chiamate solo alcune categorie di cittadini (pensionati oltre che dipendenti pubblici) a concorrere alle spese pubbliche, mentre altre categorie sono state esentate o comunque assoggettate ad imposizione in misura minore o diversa. L'art. 3 Cost. stabilisce il principio di eguaglianza, e quindi anche di eguaglianza tributaria, in ordine alla quale la giurisprudenza della Corte e' risalente dell'affermare che a situazioni "uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi (sent. n. 120/1972) e che per capacita' contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., deve intendersi l'idoneita' del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulta collegata (sent. nn. 78/1986; 25/1984; 63/1982); il chi impone di verificare se sussista uguaglianza tra le situazioni da sottoporre a confronto: nella specie, da una parte i pensionati, dall'altra le diverse categorie di contribuenti. L'oggetto della comparazione e' costituito dal versamento di una "imposta", cioe' un prelevamento coattivo di ricchezza, rivolto al preminente fine di soddisfare necessita' indivisibili della collettivita', in attuazione dell'art. 53 Cost.: versamento che, malgrado la impellente gravita' della situazione, e' ingiunto solamente ai pensionati, in palese contrasto con il richiamato principio di uguaglianza, riguardo al quale alcun assunto vale a giustificare la scelta legislativa in questione che, contraddicendo detto principio, concreta il vizio di eccesso di potere legislativo per carenza di coerenza, congruita' e proporzionalita', di cui un aspetto e' la disparita' di trattamento che sussiste laddove il potere legislativo discrezionale venga esercitato in maniera diversa nei confronti di coloro che, rispetto al potere, si trovino in condizioni identiche. Invero, pur se i tratti distintivi dei titolari del trattamento dr quiescenza nei confronti dei dipendenti pubblici e privati siano incontestabili, com'e' evidente la diversita' tra il pubblico impiego e il lavoro autonomo, sul piano del diritto civile come sul piano del diritto tributario, nondimeno la discriminazione qualitativa dei redditi non implica soltanto che le rispettive forme di produzione siano diverse, bensi' richiede - per manifestarsi costituzionalmente legittima - che la capacita' contributiva dei redditi esclusi dal tributo sia di gran lunga quantitativamente inferiore rispetto a quella dei contribuenti titolari di trattamenti pensionistici soggetti al tributo; e nulla consente di desumere dal testo della norma riguardante l'imposizione in argomento, che l'omessa inclusione dei contribuenti titolari delle attivita' sopra indicate dipenda dalla valutazione delle caratteristiche differenziali delle varie forme di lavoro. Pertanto, se il concetto ispiratore della norma deve rinvenirsi nella applicazione del principio della capacita retributiva, in tal caso sussiste la violazione degli artt. 3 e 53, 1° comma Cost., poiche' sono discriminati ingiustificatamente i trattamenti previdenziali obbligatori rispetto agli emolumenti di pari importo derivanti da fonti diverse. 1.3. L'art. 2 del decreto-legge n. 138/2011, convertito con modificazioni in legge n. 148/2011, che ha reintrodotto con il 1° comma il contributo di perequazione, cha introdotto per il periodo gennaio 2011 - 31 dicembre 2013 - piu' breve rispetto a quello previsto per i pensionati - un contributo, definito questa volta "di solidarieta'": "In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui, al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all'articolo 9, comma 2, del :decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarieta' non si applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta' e' deducibile dal reddito complessivo". Il suddetto contenuto normativo appare piu' chiaro con la lettura dell'art. 1, d.m. 21 novembre 2011, di attuazione ("1. A decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013, qualora il reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, sia superiore a 300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte di reddito che eccede il predetto importo di 300.000 euro, fermo restando che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori rispetto a quelli gia' assoggettati alla riduzione di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e a quelli gia' assoggettati al contributo di perequazione di cui all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111"). Questo stabilisce che qualora il reddito complessivo sia superiore a 300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, fermo restando che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli gia' assoggettati al contributo di perequazione. Da tale disciplina consegue che i contribuenti assoggettati al contributo di solidarieta' versano (per far fronte alla eccezionalita' della situazione economica internazionale) il 3% della sola quota eccedente i 300.000 euro e, qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici; invece, i contribuenti assoggettati al contributo di perequazione, cioe' i ricorrenti, versano (per far fronte alla medesima congiuntura) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall'art. 22/bis del decreto-legge 98/2011 convertito in legge n. 111/2011 ed, in particolare, subiscono un prelievo del 15% sui redditi superiori ad euro 200.000. Oltre i 300.000 euro percio', a parita' di reddito, si avra' per l'una categoria l'imposizione del 3%, per l'altra l'imposizione del 15%. Questa normativa viola i canoni costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza nonche' il canone della capacita' contributiva ed il criterio della progressivita' dell'imposta; ledendo altresi' il principio dell'affidamento maturato dopo il collocamento a riposo circa il livello del reddito da pensione, con violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. 1.4. Anche ammettendo in astratto che la norma possa sfuggire ai suddetti dubbi di costituzionalita', allorche' la Corte costituzionale ha escluso da simili censure misure in considerazione della portata transeunte del sacrificio imposto, si eccepisce che un sacrificio imposto dal 1 ° agosto 2011 al .31 dicembre 2014 non puo' definirsi "transeunte", specie per la categoria dei pensionati la cui aspettativa di vita rispetto alla popolazione attiva. 2. Se il contributo di perequazione in esame - contraddicendo allo stesso nomen iuris - dovesse invece essere configurato come contributo previdenziale in senso tecnico, vale a dire come prestazione patrimoniale imposta per legge di cui all'art. 23 Cost., in attuazione dell'art. 2 Cost., non verrebbe per questo meno la violazione del principio di ragionevolezza per i profili dianzi dedotti, in quanto il principio di legalita' dei tributi non puo' non esser coniugato con il supremo principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., principio fondante di uno Stato di diritto. II. Illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. La legge n. 111/2011 di conversione del decreto-legge n. 98/2011 ha introdotto all'art. 18, sostituendo il terzo comma del provvedimento d'urgenza, a sua volta sostituito dal comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011, una nuova disciplina della rivalutazione automatica precedentemente in vigore. Tale nuova disciplina e' estremamente restrittiva fino a determinare la soppressione quasi totale dell'Istituto in questione. Infatti, stabilisce la norma: "in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato". La nuova disciplina, limitando in misura notevole il trattamento di pensione nella sua fase di adeguamento al costo della vita, offre il fianco alle medesime censure di incostituzionalita' sopra riportate a proposito del contributo di perequazione, alle quali si rinvia. Osservazioni piu' specifiche sono quelle che fanno riferimento alla violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione; infatti, avendo presente che il trattamento pensionistico ha natura retributiva, perche' costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro, viene in discussione l'inosservanza da parte del legislatore dell'art. 38, secondo comma, che tutela l'adeguatezza della prestazione previdenziale; tale principio costituzionale appare messo in pericolo dalla quasi totale soppressione dell'unico istituto (rivalutazione) posto a tutela della conservazione nel tempo del trattamento pensionistico; inoltre, con l'introduzione di questa disciplina restrittiva, e' messa in pericolo anche la proporzionalita' tra pensione e retribuzione goduta durante l'attivita' lavorativa, principio sancito dagli artt. 36 e 38 Cost.; se e' vero che talvolta la Corte costituzionale ha affermato che l'intervento sporadico del legislatore rivolto a contenere o sopprimere per un breve periodo la rivalutazione dei trattamenti pensionistici medio/alti non viola i predetti principi costituzionali, e' altrettanto vero che tali affermazioni sono state bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non e' consentita la reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo. Rilevato che in questi ultimi tempi sono stati frequenti gli interventi legislativi rivolti a "bloccare" la perequazione automatica per uno o piu' anni (art. 1, comma 19, legge n. 247/2007; art. 19, comma 13, legge n. 449/997), che la norma in discussione limita per un biennio (2011/2012) l'adeguamento, e che la limitazione e' piuttosto pesante, appaiono fondati i dubbi di incostituzionalita' anche con riferimento ai canoni di ragionevolezza e proporzionalita'. In conclusione si chiede - previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione di costituzionalita': a) del comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 111/2011, come reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del decreto-legge n. 138/2011, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011 e s.m.i., per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53 e 23 Cost., nella parte in cui, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; b) del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. - l'accoglimento del ricorso, con tutte le conseguenze di legge. Con ulteriore memoria i ricorrenti hanno ribadito sostanzialmente quanto gia' dedotto nell'atto introduttivo del giudizio, anche alla luce della intervenuta sentenza costituzionale n. 223 del 2012, che confermerebbe in tesi attorea la manifesta fondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione al contributo cui sono assoggettati nella specie solo i ricorrenti in pensione e non le corrispondenti categorie in servizio, con riferimento agli artt. 1, 2, 3, 53 e 97. Con memoria di costituzione e difesa il resistente INPS, quale successore ex lege dell'INPDAP, ai sensi dell'art. 21, comma 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 20]1, controdedotto come segue. I. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore delle Commissioni tributarie regionali sulla domanda inerente il contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; in via pregiudiziale si eccepisce il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore delle Commissioni tributarie regionali, con riferimento alla domanda relativa al contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; cio' in quanto il petitum sostanziale della pretesa, avversa non e' costituto dall'an o dal quantum della pensione ma dalla contestazione della legittimita' di una maggiorazione dell'imposta sul reddito e sulla richiesta di restituzione di quanto versato all'erario; pertanto, la controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei conti rientrando tra le materie soggette alla giurisdizione tributaria ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge 546 del 31 dicembre 1992, secondo cui "Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonche' le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio..."; in tal senso si sono piu' volte pronunciate le Sezioni unite della Cassazione che hanno affermato il principio secondo cui: "E' devoluta alla giurisdizione del giudice tributario la controversia promossa dal sostituito d'imposta, nei confronti del sostituto ai fini delle imposte dirette, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta; si tratta, infatti, di un'indagine sulla legittimita' di detta ritenuta integrante non una mera questione pregiudiziale, suscettibile di esser delibata incidentalmente, ma comporta una causa tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario anche dell'amministrazione finanziaria" (Cass. [ord.] Sez. Un. 24-10-2007 n. 22272; idem Cass. Sez. Un. 24-10-2007, n. 22266.)"; e la natura tributaria del contributo in questione e' stata affermata e riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 241 del 24 ottobre 2012; la giurisdizione della Corte dei conti, al di fuori della contabilita' pubblica, e' strettamente limitata alle sole materie specificate dalla legge; nel caso della materia pensionistica, l'ambito di competenza del giudice contabile e' circoscritto ai ricorsi relativi alla sussistenza e alla misura del diritto a pensione a carico totale o parziale dello Stato (art. 62, primo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ovvero a tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, attribuiti da leggi speciali alla Corte dei conti (art. 62, secondo comma r.d. cit.), come, ad es., l'art. 60 del r.d. 3 marzo 1938, n. 680, che ha riguardo alle pensioni dei dipendenti degli enti locali. II. Carenza parziale di legittimazione passiva dell'INPS sulla domanda di condanna alla restituzione di quanto versato - Litisconsorzio necessario e necessita' di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'Agenzia delle entrate; la riconosciuta natura tributaria del contributo contestato, a prescindere dalla sollevata carenza di giurisdizione della Corte dei conti, impone altresi' un approfondimento sulla sussistenza della legittimazione passiva dell'INPS nel giudizio atteso che l'Istituto previdenziale resistenza agisce nel caso de quo quale mero sostituto di imposta, ex artt. 23 e 64, comma 1, D.P.R 29 settembre 1973, n. 600; invero, seppure fosse ancora ipotizzabile la partecipazione in giudizio dell'INPS al solo fine di renderlo edotto dell'impugnazione dell'atto impositivo ed allo scopo di rendere opponibile al sostituto eventuale annullamento della norma, e' evidente che in nessun caso l'INPS potra' essere destinatario della domanda di restituzione di somme che non detiene per averle semplicemente trasferite all'erario, mancando nella fattispecie qualsiasi presupposto di indebito oggettivo; pertanto la domanda proposta dai ricorrenti per la "condanna alla restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con rivalutazione monetaria ed interessi dal di' di ciascuna trattenuta e rateo di pensione sino al soddisfo", andava proposta nei confronti dell'Agenzia delle entrate che doveva essere convenuta nel presente giudizio e nei confronti della quale dovrebbe quantomeno essere integrato il contraddittorio ai sensi dell'art. 102 c.p.c.; proprio la contestazione sulla legittimita' della norma (norma su cui si fonda l'atto impositivo contestato) determina la necessaria partecipazione dell'Agenzia delle entrate, parte necessaria del procedimento cosi' come ritenuto dalla Corte di cassazione Sezioni unite, nella sentenza 18 gennaio 2007, n. 1052, secondo cui "Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria (oggi Agenzia delle entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicita' della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralita' di soggetti, e il ricorso proposto da uno o piu' degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario". III. In ulteriore subordine, ove si ritenesse la natura pensionistica della controversia, si eccepisce il difetto di competenza territoriale della adita Corte dei conti territoriale con riferimento ai ricorrenti non residenti nella Regione Lazio; i ricorrenti non residenti nella Regione Lazio avrebbero dovuto proporre il ricorso presso le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti site nei capoluoghi di regione dei comuni di residenza; in particolare Gentile Domenico, residente a Cosenza, avrebbe dovuto proporre ricorso alla Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria: Camozzi Antonio, residente a Napoli, avrebbe dovuto proporre ricorso alla Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Campania. IV. Infondatezza della domanda nel merito e manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata; in ogni caso la domanda dei ricorrenti risulta infondata nel merito avendo l'INPS (ex INPDAP) agito in base a norme di legge tuttora vigenti sia con riferimento all'art. art. 24, comma 25 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che con riferimento all'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; invero i ricorrenti, assumono l'illegittimita' costituzionale delle norme in questione con il proposito di ottenere una rimessione alla Corte costituzionale. I dubbi di costituzionalita' delle norme, ad avviso della difesa dell'INPS, sono tuttavia da ritenersi privi di fondamento. IV.a) legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201. L'art. 24, comma 25 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 non risulta irragionevole ed appare del tutto coerente con l'evoluzione della normativa sulla rivalutazione delle pensioni; secondo i ricorrenti la suddetta norma contrasterebbe con gli articoli 36 e 38 della Costituzione, poiche' il blocco seppure temporaneo della rivalutazione delle pensioni, farebbe venire meno la natura "retributiva" della pensione quale "prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro"; al riguardo si osserva che simili profili di incostituzionalita' sollevati in precedenza sono stati sempre respinti dal Giudice delle leggi; a titolo esemplificativo si puo' citare l'ordinanza 18 maggio 2006, n. 202 con la quale la Corte ha ritenuto "... manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli art. 2, legge 8 agosto 1991, n. 265, 11 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, 59. legge 27 dicembre 1997, n. 449, 34, legge 23 dicembre 1998, n. 448 e 69, legge 23 dicembre 2000, n. 388, nella parte in cui, limitandosi a prevedere un meccanismo di perequazione dell'importo dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita, determinerebbero un significativo ed apprezzabile superamento del trattamento pensionistico dei magistrati collocati a riposo con riguardo al trattamento economico proprio dei colleghi in servizio attivo ed allo stesso trattamento pensionistico dei magistrati collocati a riposo successivamente, in riferimento agli artt. 36, 38 e 53 Cost."; ancora puo' farsi riferimento all'ordinanza 17 luglio 2001, n. 256, con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto: "manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 59, 13 comma, legge 27 dicembre 1997, n. 449, nella parte in cui esclude, per l'anno 1998, dalla perequazione automatica i trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo INPS, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost."; inoltre la norma censurata si inserisce nell'ambito di un articolo (art. 24) che introduce pesanti limitazioni a tutti i trattamenti di pensione e non soltanto a quelle oggi in discussione; basti pensare che con la predetta si e' previsto: l'introduzione del sistema di calcolo della pensione contributivo pro rata anche per i lavoratori che avevano mantenuto il sistema retributivo all'epoca della legge 335/1995; l'innalzamento a 66 anni dell'eta' per la pensione di vecchiaia, sia per gli uomini che per le donne (salvo modifiche connesse all'aspettativa di vita), con necessita' di almeno 20 anni di anzianita' contributiva; l'introduzione della cosiddetta "pensione anticipata", in luogo della "pensione di anzianita'" con il requisito di 41 anni e un mese di anzianita' contributiva per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini seppure con penalizzazioni; la possibilita' di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo; la specifica disposizione sulla rivalutazione delle pensioni piu' elevate rientra in un percorso ormai decennale che ha visto la tendenziale cessazione degli automatismi nella rivalutazione delle pensioni per pervenire ad un criterio che tenga conto del reddito complessivo; il sistema di perequazione delle pensioni, originariamente basato sul punto unico di contingenza secondo gli indici ISTAT, e' stato radicalmente trasformato dalle leggi succedutesi nel tempo (art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730; art. 59 della legge 27 dicembre l997, n. 449, art. 34 della legge n. 448 del 1998), con la conseguenza che la perequazione dell'intero trattamento nelle sue due componenti di pensione e di indennita' integrativa speciale, ha reso incompatibile il riconoscimento del diritto alla riliquidazione delle variazioni dell'indennita' integrativa speciale; cio' e' avvenuto per effetto dell'art. 21, comma 8 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, secondo cui "Agli effetti delle disposizioni di cui al presente articolo le pensioni, alle quali si applica la disciplina dell'indennita' integrativa speciale ... 1° maggio 1984 sono considerate comprensive dell'indennita' stessa. Gli aumenti dovuti ai sensi del terzo comma sono attribuiti sull'indennita' integrativa speciale, ove competa, e sulla pensione con le modalita' che saranno stabilite con il decreto interministeriale di cui al secondo comma"; il sistema e' stato confermato ed esteso dalle norme successive fra cui, in particolare: l'art. 24, commi 4 e 5 dell'articolo 24 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 che ha precisato i criteri per il calcolo della perequazione di cui alla legge 730/1983 precisando, tra l'altro che "La percentuale di aumento si applica sull'importo non eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti. Per le fasce di importo comprese fra il doppio ed il triplo del trattamento minimo detta percentuale e' ridotta al 90 per cento. Per le fasce di importo superiore al triplo del trattamento minimo la percentuale e' ridotta al 75 per cento"; l'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre l992, n. 503, con previsione del calcolo della perequazione con decorrenza dal 1994, sulla base del solo adeguamento al costo vita con cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni anno; l'art. 59 della legge 2, dicembre 1997, n. 449, commi 4 e 13 che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, ha esteso a tutte le forme pensionistiche i criteri di adeguamento delle prestazioni pensionistiche previsti dal suddetto art. 11, d.lgs. 503/1992 ed ha introdotto limiti di aumento in misura variabile con riferimento ai trattamenti pensionistici che dovessero superare da cinque ad otto volte il trattamento minimo INPS; si rammenta inoltre l'art. 34 della legge n. 448 del 1998 che, con l'istituzione del Casellario delle pensioni, ha disposto che la perequazione dei trattamenti pensionistici debba farsi con riferimento all'insieme dei trattamenti pensionistici goduti dal medesimo beneficiario anche se riferiti a diverse gestioni; ancora, l'art. 18, commi 6, 7, 8 e 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, interpretando autenticamente l'art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 e l'art. 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, ha ridimensionato la perequazione delle pensioni godute dai cosiddetti "baby pensionati" cessati dal servizio prima del 1995 con meno di quarant'anni e con l'IIS calcolata in quarantesimi, ossia di soggetti che percepiscono trattamenti di modesta entita' non certo paragonabili a quelli degli attuali ricorrenti; la norma censurata e' quindi una disposizione dettata da una situazione di emergenza e contingente che colpisce tutti i pensionati pubblici e privati senza distinzioni di sorta in materia progressiva secondo le rispettive capacita' reddituali. IV.b) legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; L'INPS ritiene infondate anche le censure rivolte dai ricoprenti all'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; si tratta di un prelievo fiscale straordinario temporaneo e straordinario gravante sulla quota eccedente delle pensioni di importo elevato che e' stato definito "perequativo" in senso atecnico, intendendo il legislatore per perequazione non gia' la rivalutazione del trattamento di pensione ma la "riconduzione ad equita'" delle cosiddette pensioni d'oro in rapporto all'intera platea dei pensionati che ha pesantemente colpito per effetto della crisi finanziaria in atto; a differenza dell'analogo contributo sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici introdotto dall'articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, gia' dichiarato incostituzionale con la recente sentenza n. 223/2012, il contributo di perequazione in questione vede come destinatari l'intera platea dei titolari di trattamenti pensionistici, anche integrativi, e pertanto non sono fondati i rilievi di illegittimita' della norma con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal momento che le uniche prestazioni pensionistiche escluse dal contributo risultano essere le prestazioni assistenziali (rispetto alle quali, d'altronde, risulterebbe difficile ipotizzare il superamento degli importi previsti dal comma 22-bis, ratione mensurae), gli assegni straordinari di sostegno al reddito, le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e le rendite dell'INAIL; risulta altresi' infondata, a parere dell'INPS anche l'ulteriore obiezione, riferita al presunto vulnus del principio di uguaglianza in relazione alla capacita' contributiva di cui all'art. 53 Cost. per essere i titolari di elevate pensioni discriminati rispetto alla generalita' dei consociati; considerato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la formulazione dell'art. 53 Cost.: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro Capacita' contributiva", impone che il principio dell'universalita' dell'imposizione debba essere valutato in termini non assoluti ma relativi, in necessario coordinamento con il principio solidaristico e di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost.; sicche' il legislatore, con il limite della ragionevolezza e dei criteri di progressivita' e proporzionalita', puo' ben introdurre per singole categorie di contribuenti specifici tributi, non risultando un obbligo di indistinta ed uniforme imposizione. V. Sussistenza di analoga q.l.c. gia' pendente innanzi alla Corte costituzionale richiesta di sospensione pregiudiziale del giudizio; l'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 e' stato sottoposto al vaglio di costituzionalita' da parte della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Campania, la quale con ordinanza di rimessione del 20 luglio 2012 pubblicata sulla G.U. n. 45 del 14 novembre 2002 resa nell'ambito del giudizio proposto da Staro Salvatore c/INPDAP ed altri, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale della suddetta norma con riferimento agli artt. 2, 3, 53 e 97 della Costituzione, per motivi del tutto analoghi a quelli qui prospettati; pertanto, ove la adita Sezione giurisdizionale dovesse condividere i dubbi manifestati dai ricorrenti, potra' ordinare la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla q.l.c. sollevata. In conclusione, si chiede che questa Corte voglia: in via pregiudiziale, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore delle Commissioni tributarie regionali con riferimento alla domanda relativa il contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; sempre in via pregiudiziale e nel rito, accertare e ritenere parziale carenza di legittimazione passiva dell'INPS nonche' la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102. c.p.c. nei confronti dell'Agenzia delle entrate, quale parte necessaria nelle controversie inerenti la sussistenza l'ammontare di imposte e i tributi e la restituzione di somme asseritamente non dovute a tale titolo, con conseguente integrazione del contraddittorio nei confronti della suddetta Agenzia; ancora in via pregiudiziale e nel rito, dichiarare il proprio difetto di competenza relativamente alle domande dei ricorrenti: Gentile Domenico, in favore della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, Camozzi Antonio, in favore della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Campania; nel merito, respingere in ogni caso le domande attoree perche' infondate in fatto e diritto per i motivi sopra evidenziati, con declaratoria della correttezza dell'operato dell'INPS nell'applicazione delle norme richiamate in premessa; in via subordinata disporre la sospensione del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sull'ordinanza di rimessione della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Campania del 20 luglio 2012 pubblicata sulla G.U. n. 45 del 14 novembre 2002; con il favore delle spese. Considerato che I ricorrenti, titolari di trattamento pensionistico diretto, chiedono: A) il riconoscimento del diritto a percepire il trattamento pensionistico senza le decurtazioni derivanti dall'applicazione del contributo di perequazione di' cui all'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art, 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; B) la integrale rivalutazione automatica del medesimo trattamento di quiescenza, ovvero senza i limiti recati dal disposto di cui all'art. 4, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Quanto sopra, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni di costituzionalita': A) del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B) del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. Quanto alla seconda questione di legittimita' costituzionale di cui al punto B), la stessa - ancorche' rilevante - si appalesa manifestamente infondata e su di essa si dispone con contestuale separato provvedimento recante le motivazioni del rigetto. Quanto alla prima questione di legittimita' costituzionale di cui al punto A) che precede, appare evidente nella specie la sussistenza della condizione della rilevanza posta all'autorita' giurisdizionale dall'art. 23, secondo comma della legge n:- 87 del 1953 per poter sollevare questione di legittimita' costituzionale, ovvero dell'impossibilita' di poter definire il giudizio in esame "indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" della normativa coinvolta, trattandosi di disposizione di legge (comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) pacificamente applicabile ed invero autoritativamente applicata al trattamento pensionistico dei ricorrenti, stante l'univoco e cogente tenore letterale che la connota, con la conseguente necessaria influenza (sub specie di stretta pregiudizialita') di un'eventuale pronuncia di accoglimento da parte della Corte costituzionale sulla decisione del presente giudizio; impossibilita' di poter definire il giudizio in esame "indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" che postula logicamente la giurisdizione di questa Corte dei conti nella materia oggetto di ricorso giurisdizionale, da ritenersi nella specie sussistente sul rilievo che il petitum sostanziale, da identificare in funzione della intrinseca natura della poisizione dedotta in giudizio (causa petendi) dai ricorrenti - ovvero l'oggetto della domanda sulla cui base va determinata, a norma dell'art. 386 cod. proc. civ. la giurisdizione - attiene, per quel che qui occupa, al preteso riconoscimento del diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico senza le decurtazioni patrimoniali definitive previste dal comma 22-bis dell'art. 18, decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011. n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; ovvero al mantenimento del trattamento pensionistico fruito anteriormente al 1° agosto 2011; con cio' risultando evidente che il tema su cui si controverte attiene alla determinazione dell'ammontare del trattamento pensionistico, rimesso alla giurisdizione esclusiva sulla Corte dei conti. Invero, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni (ai sensi degli artt. 13 e 62 de R.D. n. 1214 del 1933) ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia, onde in essa sono comprese tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale, ovvero sia comunque in questione la misura della prestazione previdenziale (Cass. civ. Sez. unite, Sent. n. 8324 del 2010). La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto da una norma "certamente di natura tributaria" (sent. Corte costituzionale n. 241 del 2012, non trasforma il rapporto tra gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, il quale implica - diversamente dal caso di specie un soggetto investito di potestas impositiva ed un provvedimento espressione di tale potere (Sentenza Cass. n. 15031/2009). Nella fattispecie, il rapporto tra INPDAP/INPS e pensionati percettori - al quale e' estranea l'Amministrazione finanziaria, coerentemente non evocata in questo giudizio - non contiene quale petitum sostanziale, una contestazione diretta della debenza all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rappotto tributario tra contribuente ed Amministrazione (come tale rimesso alla competenza esclusiva del giudice tributario: cfr. Cass. civ. Sez. unite, ord. n. 22381 del 2011), ma attiene ad un rapporto pensionistico, atteso che - siccome affermato, mutatis mutandis, dalla Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 2064 del 2011 - "le controversie relative all'indebito pagamento dei tributi seguono la regola della devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti dal d.lgs. n. 54 del 1992, art. 19 e, di conseguenza, il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10, d.lgs. n. 546 del 1992. Quando la controversia si svolga tra due soggetti privati in assenza di un provvedimento che sia impugnabile soltanto dinanzi al giudice tributario, il giudice ordinario si riappropria della giurisdizione e non rileva che la composizione della lite debba passare attraverso la interpretazione di una norma tributaria. Si ritiene altresi' che la questione sollevata non sia manifestamente infondata, ai sensi dello stesso art. 23, econdo comma della legge n. 87 del 1953, per i motivi e con riferimento ai parametri costituzionale che seguono. Invero, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 241 del 2012, il "contributo di perequazione" di cui al comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e s.m.i. "e' previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici ... nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria e' stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario ...", ovvero, indipendentemente dal nomen juris attribuitole dal legislatore, quelli di un prelievo coattivo finanziato al concorso delle pubbliche spese, posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva che deve esprimere l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria. Da quanto precede consegue che - richiamando principi riaffermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 2012 secondo cui "«la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, ma esige invece_un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Pertanto, il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., consiste in un «giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore-stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del 1997)." - occorre verificare se il contributo di perequazione, quale norma di natura tributaria, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, pretermettendosi dall'analisi il pur evocato parametro di cui all'art. 23 della Costituzione, postulabile invero solo nella subordinata e controfattuale ipotesi della natura non tributaria del prelievo; mentre inconferente si appalesa ictu oculi il richiamo all'art. 97 della Costituzione, parametro invero atto a sindacare la ragionevolezza di leggi che disciplinano l'organizzazione e, di riflesso, l'attivita' amministrativa; siccome irrilevante nella specie e' il richiamo alla violazione dell'art. l della Costituzione, trattandosi di una disposizione di principio priva di sostanziale cogenza prescrittiva, quale autonomo parametro nel giudizio di costituzionalita'. Ritiene questo giudice che la disposizione di cui al comma 22-bis dell'art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e s.m.i., recante l'introduzione di un'imposta speciale, ancorche' transitoria ("a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014") ed eccezionale ("In considerazione della eccezionalita' della situazione economica ..."), a carico dei soli "trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria", si ponga in contrasto con il principio di parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante, siccome postulato dai richiamati artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. Ed invero, da un lato, a parita' di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o privati), il prelievo e' ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, tenuto conto che, se l'eccezionalita' della situazione economica che lo Stato deve affrontare consente al legislatore di intervenire con strumenti eccezionali, nondimeno e' compito dello Stato garantire il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ed, in particolare del principio di uguaglianza su cui si fonda l'ordinamento costituzionale; principio di uguaglianza (quale specificato nell'art. 53 della Costituzione) in ossequio al quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2010, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, ravvisando un'ingiustificata limitazione ai soli dipendenti pubblici dell'imposta speciale ivi prevista, determinativa di un irragionevole effetto discriminatorio; indicando viceversa, in positivo, la compatibilita' costituzionale di misure che, in un'ottica di solidarieta' economica correlata ad eccezionali finalita' di carattere finanziario, si caratterizzino per una modulazione universale dell'intervento impositivo a parita' di presupposti economici; compatibilita' costituzionale che, con specifico riferimento ai parametri costituzionali di cui al combinato disposto degli artt. 2, 3 e 53 della costituzione non puo' essere postulata nei confronti di disposizioni che - come quella oggetto della presente rimessione - conducono irragionevolmente nella fattispecie oggetto di scrutinio ad un prelievo "di solidarieta'" nei confronti dei soli pensionati, pretermettendo, per l'effetto indotto dal decisum costituzionale di cui alla sentenza n. 223 del 2012, l'omologo personale in servizio, pur in una ottica emergenziale complessiva caratterizzata da identicita' di ratio, con il risultato, peraltro gia' sanzionato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 119 del 1981, sub specie della vulnerazione del principio di eguaglianza in relazione alla capacita' contributiva sancito dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, che la suddetta categoria di pensionati e' stata cosi' colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, piu' specificamente, di redditi da lavoro dipendente. Dall'altro lato, ulteriore motivo, di censura puo' essere individuato nella stessa entita' del contributo di perequazione che invero, non si correla con un altro prelievo speciale di indubbia natura tributaria (cfr. sent. Corte costituzionale n. 223 del 2012), ovvero il contributo di solidarieta' previsto dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011, secondo cui "In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; al lordo della riduzione' ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarieta' non si applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta' e' deducibile dal reddito complessivo ...". Con la conseguenza irragionevole ed ingiustificata, che - con riferimento a interventi "di solidarieta' connotati da sostanziale identita' di ratio - i contribuenti titolari di: un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, sono tenuti al versamento di un contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici e fermo restando che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli gia' assoggettati al contributo di perequazione; mentre i contribuenti assoggettati al contributo di perequazione, ovvero i ricorrenti, versano (per far fronte alla medesima eccezionale situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall'art. 22-bis del decreto-legge 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, subendo in particolare un prelievo del 15% sui redditi superiori ad euro 200.000; quanto sopra - in disparte la circostanza comunque sintomatica, ancorche' non rilevante ai fini del presente giudizio, che oltre la soglia di reddito di 300.000 euro lordi annui, a parita' di reddito, si avra' per l'una categoria tendenzialmente universale) l'imposizione del 3%, per l'altra (circoscritta ai soli pensionati titolari di trattamenti di quiescenza corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria) l'imposizione del 15% - in patente violazione dei canoni costituzionali dell'eguaglianza della ragionevolezza stabiliti dall'art. 3, nonche' del canone della capacita' contributiva e del criterio di progressivita' delle imposte sanciti dall'art. 53; noto essendo che i parametri posti dagli art. 2, 3 e 53 della Costituzione postulano, nell'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, quale presupposto di un ragionevole esercizio della discrezionalita' legislativa in materia, un raccordo dell'imposizione tributaria con la capacita' contributiva, nell'ambito di un sistema informato a criteri di progressivita' declinati quale specificazione nel contesto tributario del principio di uguaglianza, collegato nella specie ai doveri di solidarieta' economica e sociale previsti dall'art. 2 della Costituzione; parametri che appaiono pretermessi nella circostanza dal legislatore con la disposizione in esame. Disposizione che, quale corollario delle censure che precedono, qualora non venisse espunta dal sistema giuridico, ridonderebbe in ulteriore profilo di irrazionalita' complessiva del sistema delle imposte speciali cosi' delineate (tutte, come visto, connotate da analoga ratio e finalita'), con correlato irragionevole effetto discriminatorio derivato (sub specie della coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico), tenuto conto che lo stesso contributo di solidarieta' di cui citato art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011, non si applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificagioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; determinando percio' - in esito alla intervenuta declaratoria di incostituzionalita' del disposto di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recata dalla richiamata sentenza costituzionale n. 223 del 2012 - un irragionevole ed arbitrario disallineamento normativo derivante dall'asimmetricita', nel meccanismo impositivo del contribtp di solidarieta', dei presupposti reddituali di esclusione; atteso che il contributo di solidarieta' si applica solo per la parte di reddito complessivo, eccedente i 300,000 euro, che trova capienza in redditi di categoria diversa da quelli di lavoro dipendente (dove rientrano retribuzioni e pensioni) proprio in quanto rispettivamente gia' assoggettati a riduzione (non piu' attuale in esito alla sentenza costituzionale n. 223 del 2012) ovvero al contributo di perequazione (oggetto della presente ordinanza di rimessione); meccanismo che, nel contesto di bilanciamento tra i valori costituzionali dell'interesse fiscale e della capacita' contributiva, si connota per un intrinseco difetto di coerenza interna e di razionalita' dell'assestamento normativo cosi' venutosi a delineare, come tale - alla luce dei parametri costituzionali ripetutamente evocati - sindacabile alla luce del criterio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento riservato ai ricorrenti dalla norma qui oggetto di censura. Per quanto suesposto, ai sensi dell'art. 23, secondo comma della legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione.
P.Q.M. Visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (ex artt. l e 2 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del giudizio per la fattispecie oggetto della presente rimessione. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013. Il Giudice: Torri