N. 75 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 2012

Ordinanza del 2 ottobre 2012 emessa dal Tribunale di Pisa sul ricorso
proposto da  Societa'  cooperativa  costruzioni  impianti  montaggi e
manutenzioni Pisa a r.l. in liquidazione coatta amministrativa contro
Cassa di risparmio San Miniato Spa. 
 
Fallimento   e   procedure   concorsuali   -   Liquidazione    coatta
  amministrativa - Effetti nei confronti dei terzi di  buona  fede  -
  Decorrenza dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione,
  anziche' dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale o  di
  iscrizione nel registro delle imprese del medesimo provvedimento  -
  Diversita' di disciplina rispetto  al  fallimento,  in  conseguenza
  della modifica  recata  dal  decreto  legislativo  n.  5  del  2006
  all'art. 16 della legge fallimentare - Irragionevole  minor  tutela
  dei  terzi  in  caso  di  liquidazione  coatta   amministrativa   -
  Riferimento  alla  sentenza   n.   337   del   1998   della   Corte
  costituzionale. 
- Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,  art.  200,  comma  primo,  in
  combinato disposto con gli artt. 42 e 44 dello stesso decreto. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.17 del 24-4-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento sommario di cognizione ex art.  702-bis  c.p.c.,
iscritto al n. r.g. 222/2012, tra  Societa'  Cooperativa  Costruzioni
Impianti Montaggi Manutenzioni Pisa a  r.l.  in  liquidazione  coatta
amministrativa giusto decreto del Ministro dello  Sviluppo  Economico
in data 4 marzo 2010, in persona  del  Commissario  Liquidatore  Avv.
Alberto Mantovano, rappresentata e difesa dagli avv. Pietro  Mazzanti
ed Antonella Cosentino, e domiciliata a Pisa,  lungarno  Mediceo  40,
presso lo studio dell'avv.  Federica  Geri,  ricorrente  e  Cassa  di
Risparmio di San  Miniato  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Fabio
Nannotti, e domiciliata a Pisa, via Santa Maria 34, presso lo  studio
dell'avv. Giovanni Frescura convenuta. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Il G.d., sciogliendo la formulata riserva, rileva. 
    Con ricorso ex art. 702-bis  c.p.c.  Il  Commissario  Liquidatore
della COIMM in l.c.a. (ex art. 2545-terdecies c.c.) esponeva che  nel
periodo 4 marzo 2010 - 30  giugno  2010  erano  stati  eseguiti  vari
pagamenti e/o operazioni in  favore  della  CRSM,  per  l'importo  di
€ 538.229,96, di cui chiedeva dichiararsi l'inefficacia perche' posti
in essere in violazione del combinato disposto degli artt. 44  e  200
l.f., con conseguente  condanna  della  CRSM  alla  restituzione  dei
predetti importl. 
    La  parte  ricorrente  precisava  che   il   dies   a   quo   per
l'accertamento dell'inefficacia dei pagamenti coincideva con la  data
di emanazione del decreto del Ministro dello  Sviluppo  Economico  in
data 4 marzo 2010 (art. 200 l.f.), e non invece con la  pubblicazione
del medesimo nella Gazzetta Ufficiale ex art. 197 l.f. 
    La CRSM si costituiva in  giudizio  eccependo  anzitutto  che  la
domanda richiedeva un'istruzione non  sommaria  e,  conseguentemente,
chiedeva disporsi il mutamento di rito da sommario  ad  ordinario  di
cognizione. 
    Osservava poi che secondo  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 200 l.f. nel combinato disposto degli artt. 16  e
17 l.f., anche in relazione agli artt. 42  e  44  l.f.,  la  data  da
considerare ai fini del prodursi degli  effetti  dell'apertura  della
procedura di l.c.a. nei confronti del terzo di buona fede era  quella
di iscrizione del decreto ministeriale  nel  registro  delle  imprese
(nella specie, il 29 giugno 2010). 
    In subordine,  la  CRSM  prospettava  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 200 co. 1 l.f. per violazione del  principio
di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.,  stante  la  disparita'  di
trattamento tra il terzo di buona fede  nell'ambito  della  procedura
fallimentare rispetto  al  terzo  di  buona  fede  nell'ambito  della
procedura di  l.c.a.,  sostenendo  la  necessita'  di  una  pronuncia
additiva della Corte costituzionale che  dichiarasse  illegittima  la
disposizione di cui all'art. 200 l.f. nella parte in cui non  prevede
che per i terzi gli effetti della l.c.a. si producono dalla  data  di
iscrizione  del   decreto   ministeriale   di   liquidazione   coatta
amministrativa nel registro delle imprese, cosi' come  previsto,  per
la sentenza  dichiarativi  di  fallimento,  ai  sensi  del  combinato
disposto degli artt. 16 u.c. e 17 co. 2 l.f. nel testo novellato  dal
d.lvo. 5/06 e con riguardo alla  applicazione  delle  norme  previste
dagli artt. 42 e 44 l.f. 
    Nel merito, la CRSM esponeva che alcuni degli accrediti  indicati
in ricorso ed affluiti sul conto corrente  della  COIMM  costituivano
provento della gestione di attivita' d'impresa e,  quindi,  erano  da
considerare  beni  sopravvenuti  ex  art.  42  comma  2   l.f.;   che
dall'importo dei  suddetti  versamenti  dovevano  essere  detratti  i
pagamenti eseguiti a terzi quali  passivita'  sostenute  dall'impresa
per la produzione del reddito affluito sul conto stesso;  che  dunque
la CRSM, avendo dato ospitalita' alle rimesse, ai versamenti ed  agli
ordini  di  pagamento  effettuati  dall'impresa,  non  poteva  essere
condannata a restituire l'importo dei pagamenti medesimi; che in ogni
caso i pagamenti effettuati costituivano atti  dovuti  anche  per  la
procedura e come tali non erano ripetibili da parte della stessa,  in
quanto: 
        - era esclusa l'applicabilita' dell'art. 44 l.f. con riguardo
ai pagamenti effettuati  dal  datore  di  lavoro  all'esattore  delle
imposte ai sensi dell'art. 3 d.p.R. 602/1973 in relazione all'art. 23
del d.p.R. 600/73 delle somme trattenute a titolo  di  acconto  IRPEF
sulla retribuzione corrisposta ai' dipendenti prima del fallimento; -
l'art. 37 co. 1 d.l. 223/06, conv. con  modd.  in  l.  248/06,  aveva
introdotto il curatore fallimentare  ed  il  commissario  liquidatore
nell'elenco dei soggetti  qualificati  come  sostituti  d'imposta  ai
sensi dell'art. 23 co. 1  d.p.R.  600/73  per  i  redditi  da  lavoro
dipendente; - in  caso  di  l.c.a.  il  rapporto  di  lavoro  non  si
scioglieva automaticamente atteso che l'art.  2119  u.c.  comma  c.c.
prevede espressamente che la l.c.a. non costituisce giusta  causa  di
risoluzione del rapporto; -  nel  caso  di  specie  per  i  pagamenti
effettuati  a  favore  dei  dipendenti  non  risultava   provato   il
licenziamento dei lavoratori, ne'  che  questi  avessero  cessato  di
prestare lavoro alle dipendenze dell'impresa, motivo per cui anche  i
pagamenti  fatti  ai  dipendenti,  in  quanto   dovuti,   non   erano
ripetibili;  -  dalle  contabili  prodotte  dalla  parte   ricorrente
risultavano pagamenti  di  retribuzioni  per  prestazioni  lavorative
maturate nei mesi antecedenti a quelli di  apertura  della  l.c.a.  e
cioe': € 19.853,50 del 4/3/10 (emolumenti  dicembre  2009  -  gennaio
2010), € 23.064,10 del 5/03/10 (emolumenti dicembre  2009  -  gennaio
2010), € 23.390,50 del 10/3/10 (emolumenti gennaio 2010), € 26.245,70
del 10/3/10 (emolumenti gennaio 2010). 
    In  via  subordinata,  la  CRSM  evidenziava  la  mancata   prova
dell'importo richiesto in restituzione. 
    In  ordine  all'importo  di  € 58.152,26  che  rappresentava   un
giroconto dal conto corrente n. 587 al conto corrente n. 586, nonche'
di analoga operazione di € 14.100,00, la CRSM eccepiva che trattavasi
di  bonifici  effettuati  dai  terzi  debitori  ceduti  a  fronte  di
anticipazioni concesse dalla banca in epoca antecedente  alla  l.c.a.
e,  quindi,  non  assoggettabili  alla  declaratoria  di  inefficacia
proprio  perche'  versamenti  effettuati  da  terzi   rispetto   alla
correntista. 
    Concludeva pertanto, nel merito, per il rigetto del ricorso. 
    Preliminarmente, rileva il Giudicante che la domanda non richiede
un'istruzione  non  sommaria  e,  conseguentemente,  non  vi  sono  i
presupposti richiesti dall'art. 702-ter co. 3 c.p.c. per disporre  il
mutamento di rito da sommario ad ordinario  di  cognizione.  Infatti,
un'eventuale c.t.u. non  sarebbe  incompatibile  col  rito  prescelto
dalla ricorrente. 
    Si osserva poi che  questione  di  costituzionalita'  prospettata
dalla convenuta non e' manifestamente infondata. 
    Occorre premettere che il  precedente  del  Giudice  delle  leggi
richiamato dalla COIMM non  e'  del  tutto  conferente  nel  caso  di
specie. 
    Si tratta,  in  particolare,  di  Corte  cost.  337/98:  "Non  e'
fondata,  con  riferimento  all'art.  3  Cost.,   la   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 44, comma 2, e  200  r.d.  16
marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa), nella parte in  cui  non  prevedono  che  nel
procedimento di liquidazione  coatta  amministrativa  il  momento  di
produzione degli effetti sostanziali rispetto ai terzi sia  collegato
a quello  della  conoscibilita'  del  provvedimento  di  liquidazione
coincidente con la sua pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale,  in
quanto - posto  che  il  decreto  di  liquidazione,  in  quanto  atto
giuridico, viene ad  esistenza,  come  la  sentenza  dichiarativa  di
fallimento, solo con la  sua  "esteriorizzazione";  che  si  realizza
secondo la disciplina propria dell'atto amministrativo - il  debitore
di un'impresa soggetta  a  liquidazione  coatta  amministrativa  puo'
assumere, prima di  pagare,  le  opportune  informazioni,  presso  la
competente amministrazione, circa l'esistenza ed il contenuto  di  un
eventuale decreto di liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai
sensi degli artt. 22 e 25 della legge 7 agosto 1990,  n.  241,  anche
eventualmente in via d'accesso informale (art.  3  d.P.R.  27  giugno
1992, n. 352); ed in  quanto,  nell'ipotesi  in  cui  il  decreto  di
liquidazione sia successivo alla sentenza dichiarativa dello stato di
insolvenza (art. 195 l. fall.), i terzi coinvolti nella  liquidazione
coatta amministrativa possono avere conoscenza,  prima  del  decreto,
della predetta sentenza; sicche', eguale essendo, in  ogni  caso,  la
conoscibilita' in capo ai terzi della sentenza e del  decreto,  resta
esclusa l'esistenza di  qualsiasi  discriminazione,  sotto  l'aspetto
denunziato, tra terzi coinvolti  nel  fallimento  e  terzi  coinvolti
nella liquidazione coatta amministrativa"  (nella  parte  motiva  del
provvedimento si legge tra l'altro: "L'assunto che sorregge il dubbio
di costituzionalita' avanzato dal rimettente consiste nel  differente
grado di conoscibilita' per i terzi della  sentenza  dichiarativa  di
fallimento rispetto al decreto di liquidazione coatta  amministrativa
e, quindi, nella maggiore tutela accordata, sotto  tale  aspetto,  ai
terzi  coinvolti  nella  procedura  fallimentare  rispetto  ai  terzi
coinvolti nella procedura di liquidazione  coatta  amministrativa.  E
cio' in quanto mentre la sentenza, con il  deposito  in  cancelleria,
diverrebbe suscettibile di potenziale conoscenza da parte dei  terzi,
il decreto resterebbe, prima della sua pubblicazione, un atto interno
all'amministrazione   privo,   in   quanto    tale,    di    astratta
conoscibilita'. La premessa interpretativa, riassuntivamente esposta,
e'  erronea  e,  conseguentemente,  infondato   e'   il   dubbio   di
costituzionalita'  che  ne  costituisce  la  logica  conclusione.  Il
decreto di liquidazione, in quanto atto giuridico, viene, infatti, ad
esistenza, come la sentenza, solo con la sua "esteriorizzazione"  che
si realizza secondo la disciplina propria  dell'atto  amministrativo.
Resta, allora, da stabilire se  il  terzo  interessato  abbia  quella
possibilita' di accesso e,  quindi,  di  conoscenza  del  decreto  di
liquidazione che il rimettente riferisce alla sentenza. E la risposta
al riguardo e' senz'altro affermativa, ben potendo il debitore di una
impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa assumere, prima
di  pagare,  le  opportune   informazioni,   presso   la   competente
amministrazione, circa l'esistenza e il  contenuto  di  un  eventuale
decreto di liquidazione dell'impresa ed  ottenerne  copia,  ai  sensi
degli artt. 22 e  25  della  legge  7  agosto  1990,  n.  241,  anche
eventualmente in via d'accesso informale (art. 3 del d.P.R. 27 giugno
1992, n. 352). In compiuta analogia a quanto previsto per la sentenza
ed in attuazione dei principi di  trasparenza  che  devono  informare
l'azione della pubblica amministrazione. Sotto  un  diverso  aspetto,
occorre, altresi', considerare che,  come  e'  noto,  il  decreto  di
liquidazione puo' essere successivo alla sentenza dichiarativa  dello
stato di insolvenza (art.  195  della  legge  fallimentare).  Ipotesi
quest'ultima nella quale i terzi coinvolti nella liquidazione  coatta
amministrativa  possono  avere  conoscenza,  prima  del  decreto   di
liquidazione, della sentenza dichiarativa dello stato di  insolvenza.
Eguale essendo, in ogni caso, la  conoscibilita'  in  capo  ai  terzi
della  sentenza  e  del  decreto,  deve  escludersi  l'esistenza   di
qualsiasi discriminazione, sotto tale aspetto, tra i terzi  coinvolti
nel  fallimento  ed  i  terzi  coinvolti  nella  liquidazione  coatta
amministrativa  e,  quindi;  la   fondatezza   della   questione   di
costituzionalita' sollevata dal rimettente). 
    La menzionata pronuncia e' stata resa ante d.lvo. 5/06,  ma  tale
provvedimento normativo  ha  riscritto  l'art.  16  l.f.,  che  oggi,
all'ultimo comma, cosi' recita: "La sentenza produce i  suoi  effetti
dalla data della pubblicazione ai sensi dell'art. 133,  primo  comma,
del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si
producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro  delle
imprese ai sensi dell'artico 17, secondo comma". 
    Il legislatore ha cosi' inteso ricondurre il caso della  sentenza
dichiarativa di fallimento al regime generale in tema di  pubblicita'
legale, disciplinato dall'art. 2193 c.c.  (di  cui  l'art.  200  l.f.
costituisce un'eccezione): 
    "I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione  se  non  sono
stati iscritti, non  possono  essere  opposti  al  terzi  da  chi  e'
obbligato a richiederne l'iscrizione, a meno che questi provi  che  i
terzi ne abbiano avuto conoscenza. 
    L'ignoranza dei fatti dei quali la legge  prescrive  l'iscrizione
non puo' essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione  e'
avvenuta. 
    Sono salve le disposizioni particolari della legge". 
    Dunque, la violazione dell'art. 3  Cost.,  che  prima  era  stata
esclusa  dalla  Corte  cost.  proprio  sulla  base  dell'analogia  di
disciplina, tra il fallimento e la l.c.a., sul  punto  dell'efficacia
nei  confronti  dei  terzi  (che  derivava  per   il   primo,   dalla
pubblicazione della sentenza, e per la seconda dalla  emanazione  del
decreto), e' ora evidente. 
    L'art. 200 co. 1 l.f., infatti, cosi' dispone:  "Dalla  data  del
provvedimento che ordina la liquidazione si applicano gli  artt.  42,
44, 45, 46 e 47  e  se  l'impresa  e'  una  societa'  o  una  persona
giuridica cessano le funzioni  delle  assemblee  e  degli  organi  di
amministrazione e di controllo, salvo per il caso previsto  dall'art.
214". 
    Sembra, allora,  irragionevole  la  conseguenza,  che  si  ricava
dall'attuale sistema normativo, per cui mentre in caso di  fallimento
i  terzi  sono  adeguatamente  tutelati  dal  regime  di  pubblicita'
previsto per la sentenza dichiarativa del fallimento, nel caso  della
l.c.a. la tutela e'  assai  meno  intensa,  facendosi  coincidere  la
conoscenza legale della procedura con la mera emissione del decreto. 
    Quanto alla facolta' per il terzo, prima di pagare,  di  assumere
le opportune  informazioni,  presso  la  competente  amministrazione,
circa  l'esistenza  e  il  contenuto  di  un  eventuale  decreto   di
liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai sensi degli artt. 22
e 25 l. 241/90, anche eventualmente in via d'accesso informale  (art.
3 del d.P.R. 352/92), cui fa riferimento  la  citata  sentenza  della
Corte costituzionale, si osserva anzitutto che ai sensi dell'art.  22
co. 6 l. 241/90, "Il diritto di accesso e' esercitabile fino a quando
la pubblica amministrazione ha  l'obbligo  di  detenere  i  documenti
amministrativi al quali si chiede di accedere",  e  pertanto  non  si
puo' escludere che, al momento del pagamento, il terzo non  sia  piu'
in grado di avere contezza della pendenza della l.c.a. 
    Inoltre, l'amministrazione potrebbe opporre un diniego espresso o
tacito  alla  richiesta  di  accesso  (anche  in  caso  di  richiesta
informale ex art. 3  d.p.R.  352/92),  ed  allora  il  terzo  sarebbe
costretto a presentare ricorso al t.a.r., con tempi incompatibili con
il normale svolgimento dei rapporti commerciali (art.  25  co.  4  l.
241/90); per contro, l'accesso al registro delle imprese  non  soffre
alcuna limitazione, ed e' effettuabile via Internet dagli interessati
(cosi' come, ovviamente, la consultazione della Gazzetta Ufficiale). 
    Non si dimentichi, poi, che mentre la  sentenza  dichiarativa  di
fallimento  dev'essere  trasmessa  dal  cancelliere,  anche  per  via
telematica, all'ufficio del registro delle imprese  entro  il  giorno
successivo  al  deposito  in  cancelleria   (art.   17   l.f.),   tra
l'emanazione del provvedimento che ordina la liquidazione  e  la  sua
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, nonche' la sua  comunicazione
all'ufficio del registro  delle  imprese  per  l'iscrizione,  possono
decorrere anche dieci giorni (art. 197  l.f.),  ancora  una  volta  a
detrimento, sotto il profilo cronologico, della posizione  del  terzo
di buona fede; nel caso oggetto del presente procedimento,  si  noti,
la latenza tra la data del decreto e la pubblicazione sulla  Gazzetta
Ufficiale e' stata di quasi quattro  mesi  (4/3/10  -  29/6/10),  ben
oltre, cioe', il termine previsto dalla legge. 
    Si deve peraltro escludere la possibilita' di  un'interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa  censurata.  Invero,  il
significato letterale dell'art. 200 co. 1  l.f.  non  consente  altra
ricostruzione   esegetica   che   quella   di   cui   si    prospetta
l'incostituzionalita' (l'incipit della norma  e'  inequivoco:  "Dalla
data del provvedimento che ordina la liquidazione [..]. 
    In conclusione, non e' manifestamente infondata, con  riferimento
all'art.  3  Cost.,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 200 co. 1 r.d. 267/42 in combinato disposto con  gli  artt.
42 e 44 r.d. 267/42, nella parte in cui prevede che per  i  terzi  di
buona fede gli effetti della  l.c.a.  si  producono  dalla  data  del
provvedimento che ordina la  liquidazione,  anziche'  dalla  data  di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale o di iscrizione  nel  registro
delle imprese del medesimo provvedimento. 
    La questione e' altresi' rilevante. 
    La ricorrente, infatti, non ha neppure allegato che la banca,  al
momento  dei  pagamenti  asseritamente  inefficaci,  fosse  stata   a
conoscenza dell'avvio della procedura, circostanza che sarebbe  stato
onere della stessa ricorrente dimostrare (art. 2193 co. 1. c.c.). 
    La stessa ripartizione dell'onere della  prova  dovrebbe  valere,
peraltro, anche qualora si prendesse  come  riferimento  la  data  di
pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, posto che,  prima
di tale data, la buona fede si dovrebbe presumere (v. Cass.  2462/75,
in tema di ammortamento di titoli di credito). 
    Ne deriva che la domanda, ove venisse dichiarata l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  200  l.f.,  dovrebbe   essere   senz'altro
rigettata pressoche' integralmente, poiche' i  pagamenti  sono  stati
effettuati nella quasi totalita' proprio nel periodo compreso tra  la
data del decreto e la sua pubblicazione sulla  Gazzetta  Ufficiale  o
successiva iscrizione sul registro delle imprese. 
    All'opposto,   applicando   l'art.    200    l.f.    nell'attuale
formulazione, almeno  parte  dei  pagamenti  o  delle  operazioni  in
questione  risulterebbero   inefficaci   (si   pensi,   ad   esempio,
all'operazione posta in essere in data  12-13/4/10,  nella  quale  la
CRSM ha dirottato  la  somma  di  € 57.580,27  da  un  c/c  all'altro
(entrambi intestati alla COIMM) per rimborsarsi un finanziamento. 
 
                               P.Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale  dell'art.  200  co.  1  r.d.  267/42  in
combinato disposto con gli artt. 42 e 44 r.d. 267/42, con riferimento
all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che per i terzi di buona
fede  gli  effetti  della  liquidazione  coatta   amministrativa   si
producono dalla data del provvedimento che  ordina  la  liquidazione,
anziche' dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta  Ufficiale  o  di
iscrizione nel registro delle imprese del medesimo decreto; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale e sospende il procedimento; 
        ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia altresi'  comunicata  al
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
          Pisa, 2 ottobre 2012 
 
                          Il G.d.: Piragine