N. 74 SENTENZA 22 - 23 aprile 2013

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 
 
Parlamento - Autorizzazione  a  procedere  -  Procedimento  penale  a
  carico di un deputato per il  delitto  di  cui  agli  artt.  110  e
  416-bis cod. pen. - Deliberazione  della  Camera  dei  deputati  di
  diniego dell'autorizzazione  alla  utilizzazione,  da  parte  della
  magistratura    procedente,    di    intercettazioni    telefoniche
  coinvolgenti casualmente il parlamentare - Ricorso per conflitto di
  attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Santa
  Maria Capua Vetere, prima sezione penale -Esorbitanza della  Camera
  dei deputati dai limiti delle proprie attribuzioni ed esercizio  di
  poteri spettanti esclusivamente all'autorita' giudiziaria, ai sensi
  dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003  -  Dichiarazione  che  non
  spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del  22
  settembre 2010, l'autorizzazione,  richiesta  dal  Giudice  per  le
  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Napoli,   a   utilizzare
  quarantasei intercettazioni  telefoniche  nei  confronti  di  N.C.,
  membro della Camera dei deputati all'epoca dei  fatti,  nell'ambito
  del procedimento penale n. 325/2011 (n. 36856/01 RGNR) nel quale il
  predetto parlamentare risulta imputato -  Conseguente  annullamento
  della delibera impugnata. 
- Deliberazione della Camera dei deputati del 22 settembre 2010 (doc.
  IV, n. 6-A). 
- Costituzione, art. 68, terzo comma. 
(GU n.18 del 2-5-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del  22
settembre  2010,  che  ha  negato   l'autorizzazione   a   utilizzare
intercettazioni telefoniche nei confronti  di  N.  C.,  membro  della
Camera dei deputati all'epoca dei fatti, richiesta dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Napoli ai  sensi  dell'art.  6,
comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nel procedimento  penale
n. 325/2011 (n. 36856/01 RGNR), promosso dal Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere, prima sezione penale,  con  ricorso  notificato  il  21
dicembre 2011, depositato in  cancelleria  il  20  gennaio  2012,  ed
iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011,
fase di merito. 
    Udito nell'udienza pubblica del 26 febbraio  2013  il  Presidente
Franco Gallo, in luogo e con l'assenso del  Giudice  relatore  Sabino
Cassese. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  prima  sezione
penale, con ricorso del 6 giugno 2011 (reg. confl.  pot.  n.  10  del
2011), accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ha  sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento  alla
deliberazione del 22 settembre 2010 (doc. IV n. 6-A), con  la  quale,
in conformita' alla proposta adottata a maggioranza dalla Giunta  per
le autorizzazioni, la Camera dei deputati ha negato  l'autorizzazione
a utilizzare intercettazioni telefoniche  nei  confronti  di  N.  C.,
membro della Camera dei deputati all'epoca dei fatti,  richiesta  dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ai  sensi
dell'art.  6,  comma  2,  della  legge  20  giugno   2003,   n.   140
(Disposizioni per l'attuazione dell'articolo  68  della  Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato). 
    1.1.  -  Il  Tribunale  ricorrente  premette  di   essere   stato
investito, dopo l'adozione del decreto di giudizio immediato  del  27
gennaio 2011 da parte del Giudice per le indagini preliminari, di  un
procedimento penale nei confronti  dell'allora  parlamentare  N.  C.,
imputato del delitto di cui agli  artt.  110  e  416-bis  del  codice
penale, con l'accusa di aver intrecciato rapporti con l'«associazione
armata di stampo  mafioso  detta  "clan  dei  casalesi"  [...]  nella
prospettiva dello scambio "voti contro favori"». 
    1.2. - Con ordinanza del  7  gennaio  2010,  il  Giudice  per  le
indagini preliminari,  su  istanza  della  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale di Napoli, ha richiesto alla Camera dei deputati,
ai sensi  dell'art.  6,  comma  2,  della  legge  n.  140  del  2003,
l'autorizzazione  all'utilizzazione  di   quarantasei   conversazioni
telefoniche, casualmente intercettate, coinvolgenti il parlamentare. 
    Secondo  quanto  riportato  dal  ricorrente,  nella  domanda   di
autorizzazione il Giudice per le indagini preliminari  «con  ampia  e
puntuale motivazione [...] dava atto che le  intercettazioni  di  cui
trattasi erano state regolarmente autorizzate nei confronti di  terzi
ed evidenziava il carattere fortuito e casuale della  captazione  del
parlamentare,  escludendo  l'ipotesi  di  elusione  dell'obbligo   di
richiedere l'autorizzazione preventiva ai  sensi  dell'art.  4  della
legge n. 140 del  2003».  Il  medesimo  giudice,  «premessa  poi  una
analisi  dei  concetti  normativi  di  rilevanza  e   necessita'   di
utilizzazione delle intercettazioni telefoniche di  cui  all'art.  6»
della citata legge n. 140 del 2003, procedeva «a  una  dettagliata  e
specifica valutazione del  contenuto  delle  intercettazioni  di  cui
trattasi, concludendo per la  necessita'  della  loro  utilizzazione»
nell'ambito del procedimento penale nel quale  l'allora  parlamentare
N.C. e' imputato. 
    1.3. - Con deliberazione del 22 settembre  2010,  la  Camera  dei
deputati - a seguito dell'esame della richiesta da parte della Giunta
per le autorizzazioni - ha  negato,  ai  sensi  dell'art.  68,  terzo
comma,  Cost.,  l'autorizzazione  all'utilizzazione  delle   predette
intercettazioni. 
    1.4. - Il Tribunale ricorrente  afferma  che  la  delibera  della
Camera dei deputati sarebbe stata assunta sulla base  di  valutazioni
che trascendono i limiti del sindacato previsto dall'art.  68,  terzo
comma, Cost., con conseguente invasione della sfera  di  attribuzioni
che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del  2003  riserverebbe  in
via esclusiva al giudice penale. Dalla relazione della Giunta per  le
autorizzazioni si evincerebbe, infatti, che la Camera  dei  deputati,
nel respingere la richiesta, ha impiegato criteri diversi  da  quelli
previsti dalla legge n. 140 del 2003. 
    In  primo  luogo,  il  ricorrente  ritiene  «sintomatica  di  una
deviazione dai criteri  di  legge»  l'affermazione,  contenuta  nella
relazione di maggioranza, secondo cui l'art. 6, comma 2, della  legge
n. 140 del 2003 «non detta un criterio, ma rimette la  concessione  o
il diniego dell'autorizzazione ad una decisione  dell'Assemblea»,  la
quale «puo' scegliere il criterio e dimostrarne, secondo  la  propria
elaborazione politica e concettuale,  la  ragionevolezza».  In  senso
contrario, il ricorrente richiama la sentenza n. 188 del 2010, ove la
Corte costituzionale avrebbe  «nitidamente  individuato  l'ambito  di
valutazione dell'organo parlamentare in  materia  di  intercettazioni
coinvolgenti  casualmente  un  proprio  membro»,  circoscrivendo   la
valutazione di quell'organo alla  verifica  «che  sussistono  sia  il
requisito, per cosi' dire, "negativo" dell'assenza  di  ogni  intento
persecutorio o strumentale della richiesta,  sia  quello,  per  cosi'
dire, "positivo" della affermata "necessita'" dell'atto, motivata  in
termini di non implausibilita'». 
    In secondo luogo, secondo il ricorrente, la Camera  dei  deputati
avrebbe fondato la propria decisione su una impropria identificazione
dei criteri  in  base  ai  quali  autorizzare  l'utilizzazione  delle
intercettazioni  e  l'arresto.  Nella  relazione  della   Giunta   si
individuerebbe un «nesso» con la precedente deliberazione -  con  cui
la Camera dei deputati aveva negato l'autorizzazione all'arresto  del
parlamentare - «stretto a tal punto che sarebbe stato contraddittorio
decidere diversamente». Per contro, ad avviso del  ricorrente,  nelle
due ipotesi - autorizzazione all'utilizzazione di  intercettazioni  e
autorizzazione  all'arresto  -  il  Parlamento  sarebbe  chiamato   a
formulare  «valutazioni  ontologicamente  diverse  ed   ancorate   al
rispetto di criteri e requisiti niente affatto coincidenti». 
    In terzo luogo, errato  sarebbe  l'argomento,  anch'esso  addotto
nella  relazione,  secondo  cui  le  intercettazioni  in   questione,
riguardando conversazioni avvenute tra  l'allora  deputato  N.  C.  e
altre persone tra il 2002 e il 2004,  conterrebbero  «elementi  ormai
molto  risalenti  nel  tempo  e  la  cui  idoneita'  probatoria  deve
ritenersi   in   gran   parte   scemata».   Il   ricorrente    rileva
l'eccentricita'  di  tale  argomentazione,   affermando   che,   «per
definizione, l'indizio o l'elemento di  prova  non  e'  destinato  ad
affievolirsi o a scemare,  cioe'  non  perde  la  propria  attitudine
dimostrativa del fatto, a causa del trascorrere del tempo» e che  una
prova, anche se acquisita in epoca risalente,  «restera'  pur  sempre
una prova», poiche' «il codice di rito non assume il trascorrere  del
tempo come elemento di valutazione della prova». 
    In quarto  luogo,  il  diniego  dell'autorizzazione  risulterebbe
fondato su una valutazione  non  corretta  della  correlazione  delle
conversazioni  intercettate  con  gli  altri   elementi   di   prova.
L'affermazione,  contenuta  nella  relazione  della  Giunta  per   le
autorizzazioni, secondo cui il contenuto delle  intercettazioni  «non
conferisce profili di novita' alle risultanze dell'esame che e'  gia'
stato svolto a proposito della  richiesta  di  arresto»,  andrebbe  a
reiterare una «impropria sovrapposizione di valutazioni e giudizi che
riguardano sfere procedimentali assolutamente diverse (la valutazione
sul provvedimento cautelare emesso a carico del parlamentare e quella
sulla acquisizione di specifico  atto  di  indagine  coinvolgente  il
parlamentare)».  Inoltre,  si  introdurrebbe   cosi'   «un   criterio
valutativo, quello attinente i  profili  di  novita'  dell'indizio  o
prova, che esorbita dalle competenze dell'organo parlamentare» e  che
condurrebbe alla «esclusione, certamente arbitraria, di  acquisizioni
che arricchiscono, rafforzano,  completano  o  confermano  il  quadro
indiziario esistente». Secondo  il  ricorrente,  del  resto,  sarebbe
plausibile che «l'acquisizione in epoca piu' recente di  elementi  di
prova ritenuti indizianti abbia indotto gli inquirenti a recuperare e
valorizzare altri elementi acquisiti in  precedenza  e  a  suo  tempo
giudicati di valenza probatoria neutra o, comunque, non indiziante». 
    In quinto luogo, sia la valutazione  formulata  nella  relazione,
secondo  cui  il  dato  emergente  dalle  intercettazioni  «non  puo'
ritenersi decisivo ai fini della colpevolezza»  dell'allora  deputato
N.  C.,  sia  la  conclusione  della  relazione  stessa,  circa   «la
fragilita' dell'impianto accusatorio»,  sarebbero  -  ad  avviso  del
ricorrente - indicative del ricorso a  «un  criterio  di  valutazione
improprio, perche' estraneo  alla  previsione  della  legge,  che  fa
riferimento  esclusivo  alla  necessita'  della  acquisizione   della
specifica prova a fini processuali». 
    La Camera dei deputati,  nel  deliberare  sull'autorizzazione  in
base alle richiamate valutazioni, avrebbe  esorbitato  dalla  proprie
attribuzioni  ed  esercitato  poteri  che   spettano   esclusivamente
all'autorita' giudiziaria. Il ricorrente chiede, quindi, che la Corte
voglia dichiarare «che non spetta alla  Camera  dei  deputati  negare
l'autorizzazione all'utilizzazione processuale delle  intercettazioni
telefoniche secondo un criterio all'uopo discrezionalmente prescelto,
ne' in base ai criteri che presiedono all'autorizzazione  all'arresto
ovvero in base all'epoca di esecuzione  delle  intercettazioni,  alla
ravvisata mancanza di novita' o di decisivita' del  relativo  apporto
probatorio e neppure in base alla ritenuta  fragilita'  dell'impianto
accusatorio»,  e,  conseguentemente,  che   la   Corte   annulli   la
deliberazione adottata dalla Camera dei deputati in data 22 settembre
2010. 
    2. - Il conflitto  e'  stato  dichiarato  ammissibile  da  questa
Corte, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  con
ordinanza n. 327 del 2011. 
    A seguito di essa, il Tribunale di Santa Maria  Capua  Vetere  ha
notificato il ricorso e l'ordinanza alla Camera  dei  deputati  e  al
Senato della Repubblica in data 14 dicembre  2011,  e  ha  depositato
tali atti, con la prova dell'avvenuta  notificazione,  il  2  gennaio
2012. 
    3. - La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica  non  si
sono costituiti in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con ricorso del 6 giugno 2011 (reg. confl. pot.  n.  10  del
2011), il Tribunale  di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  prima  sezione
penale, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ha sollevato
- nell'ambito di un procedimento penale innanzi ad esso pendente  nei
confronti dell'allora parlamentare N. C., imputato del delitto di cui
agli  artt.  110  e  416-bis  del  codice  penale  -   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione
del 22 settembre 2010 (doc. IV n. 6-A), con la quale  la  Camera  dei
deputati  ha  negato  l'autorizzazione   a   utilizzare   quarantasei
conversazioni telefoniche, casualmente intercettate, coinvolgenti  il
suddetto  parlamentare.  L'autorizzazione  e'   stata   chiesta   con
ordinanza del 7 gennaio 2010 dal Giudice per le indagini  preliminari
del Tribunale di Napoli, ai sensi dell'art. 6, comma 2,  della  legge
20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per  l'attuazione  dell'articolo
68 della Costituzione nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti delle alte cariche dello Stato). 
    Il Tribunale ricorrente deduce che la Camera  dei  deputati,  nel
negare l'autorizzazione, avrebbe esorbitato dai limiti delle  proprie
attribuzioni, stabiliti dall'art. 68 della Costituzione, in quanto la
relativa delibera sarebbe  stata  assunta  alla  stregua  di  criteri
discrezionalmente scelti volta per volta e sulla base di  valutazioni
sul merito degli atti di indagine che l'art. 6, comma 2, della  legge
n. 140 del 2003 attribuirebbe in via esclusiva al giudice penale.  Il
ricorrente chiede, quindi, che la Corte voglia  dichiarare  «che  non
spetta   alla   Camera   dei   deputati    negare    l'autorizzazione
all'utilizzazione  processuale  delle   intercettazioni   telefoniche
secondo un criterio all'uopo discrezionalmente prescelto, ne' in base
ai criteri che presiedono all'autorizzazione  all'arresto  ovvero  in
base all'epoca di esecuzione delle  intercettazioni,  alla  ravvisata
mancanza di novita' o di decisivita' del relativo apporto  probatorio
e  neppure   in   base   alla   ritenuta   fragilita'   dell'impianto
accusatorio»,  e,  conseguentemente,   annullare   la   deliberazione
adottata dalla Camera dei deputati in data 22 settembre 2010. 
    2.  -  In  via  preliminare,  va  ribadita  l'ammissibilita'  del
conflitto, gia' dichiarata con l'ordinanza n. 327 del  2011,  poiche'
ne sussistono i requisiti oggettivi e  soggettivi.  Anche  a  seguito
della cessazione di N. C. dalla carica di parlamentare,  avvenuta  il
15 marzo  2013,  resta  ferma  la  legittimazione  della  Camera  dei
deputati (cui apparteneva l'imputato all'epoca dei fatti)  ad  essere
parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in
modo definitivo la  propria  volonta'  in  ordine  all'applicabilita'
dell'art. 68, terzo comma, della Costituzione (ordinanze n. 25  e  n.
13 del 2013, nonche' sentenza n. 263 del 2003). 
    3. - Occorre  innanzitutto  stabilire  se  spetti  al  Parlamento
negare  l'autorizzazione   all'utilizzazione   processuale   di   una
intercettazione «fortuita» o «casuale» nei confronti di un suo membro
in base a criteri discrezionalmente scelti volta per volta. 
    3.1. - Nelle «considerazioni di metodo» formulate nella relazione
presentata alla Presidenza della Camera dei deputati l'8 gennaio 2010
(doc. IV n. 6-A) ed approvata dall'Assemblea con la deliberazione del
22 settembre 2010 impugnata, la Giunta per le autorizzazioni  afferma
che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003  -  nell'assegnare
al  Parlamento  il  potere  di  autorizzare   l'utilizzazione   delle
conversazioni, cui abbia preso  parte  un  suo  membro,  che  risulti
quindi indirettamente e casualmente  intercettato  -  «non  detta  un
criterio, ma rimette la concessione o il diniego  dell'autorizzazione
ad una decisione dell'Assemblea», la quale, quindi,  «puo'  scegliere
il criterio e dimostrarne, secondo la propria elaborazione politica e
concettuale, la ragionevolezza». 
    Questa interpretazione dell'art. 6 della legge n.  140  del  2003
non puo' essere accolta. 
    Si osserva, innanzitutto, che  l'art.  6,  al  pari  delle  altre
disposizioni sulle immunita' e prerogative a  tutela  della  funzione
parlamentare, deroga al principio di parita' di  trattamento  davanti
alla giurisdizione - principio che e' «alle origini della  formazione
dello Stato di diritto» (sentenze n. 262 del 2009 e n. 24 del 2004) -
e deve, quindi, «essere interpretat[o] nel  senso  piu'  aderente  al
testo normativo» (sentenza n. 390 del 2007). Tale esigenza  e'  stata
rafforzata dalla riforma  dell'art.  68  Cost.,  avvenuta  con  legge
costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che ha sostituito  l'originaria
autorizzazione a procedere nei confronti dei  membri  del  Parlamento
con  un  sistema  basato  su  specifiche  autorizzazioni   ad   acta.
Nell'attuale   sistema   delle   immunita'   e   delle    prerogative
parlamentari, «non piu' l'intero procedimento, ma solo tali atti sono
considerati idonei a incidere sulla liberta' e  l'indipendenza  della
funzione parlamentare», e «queste sono suscettibili di sacrificio nei
limiti in cui il compimento in  concreto  di  taluno  di  essi  -  in
relazione alla sua attitudine tipica -  corrisponda  alle  specifiche
esigenze procedimentali e, in particolare,  investigative»  (sentenza
n. 188 del 2010). 
    L'art. 68 Cost., inoltre, protegge l'attivita' parlamentare dalle
interferenze  giudiziarie  a  condizione  che  queste   -   oltre   a
pregiudicare «la funzionalita',  l'integrita'  di  composizione  (nel
caso delle misure de libertate) e  la  piena  autonomia  decisionale»
dell'Assemblea - siano  anche  «illegittime»,  ossia  impiegate  «con
scopi persecutori,  di  condizionamento,  o  comunque  estranei  alle
effettive esigenze  della  giurisdizione»,  identificandosi  il  bene
protetto «con l'esigenza di  assicurare  il  corretto  esercizio  del
potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non
con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza,  onore,
liberta'  personale),  in   ipotesi   pregiudicati   dal   compimento
dell'atto» (sentenza n. 390 del 2007). 
    3.2. - L'art. 6 della legge n. 140 del  2003  stabilisce  che  il
corretto esercizio  del  potere  giurisdizionale  nei  confronti  dei
membri  delle  Camere  va  valutato  in  base   al   criterio   della
«necessita'» processuale.  Tale  criterio  -  deciso  con  legge  dal
Parlamento stesso - ha una duplice valenza: opera come condizione per
l'utilizzazione delle intercettazioni nel corso del processo  e  come
limite dell'attivita' dell'autorita' giudiziaria  nei  confronti  dei
parlamentari. Ne  consegue  che  soltanto  qualora  la  richiesta  di
autorizzazione avanzata dal Giudice per le indagini preliminari abbia
ad oggetto intercettazioni fortuite la cui utilizzazione non risponda
al  richiamato  criterio  di  «necessita'»,  l'esercizio  del  potere
giudiziario  andrebbe  ritenuto  illegittimo   e   riveli   l'intento
persecutorio della richiesta. L'apprezzamento di un simile intento da
parte del Parlamento presuppone - ed e' logicamente conseguente  a  -
un  giudizio  negativo  circa  la  sussistenza   del   requisito   di
«necessita'». E', dunque, esclusa la possibilita' che la Camera  alla
quale appartiene il parlamentare le  cui  conversazioni  siano  state
intercettate decida su una richiesta di  autorizzazione  avanzata  ai
sensi dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003 alla stregua di criteri
discrezionalmente scelti caso per caso o comunque diversi  da  quello
indicato dallo stesso Parlamento in sede legislativa, nei  limiti  di
cui all'art. 68 Cost. 
    4. - Cio' stabilito in termini generali,  ai  fini  del  presente
conflitto,  occorre  individuare  gli  ambiti  di  valutazione   che,
rispetto al requisito della necessita',  competono,  rispettivamente,
al  giudice  richiedente  e   alla   Camera   di   appartenenza   del
parlamentare. 
    4.1. - In base all'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del  2003,
il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  chiede  l'autorizzazione
all'utilizzazione di intercettazioni o  tabulati  nei  confronti  del
parlamentare qualora lo  «ritenga necessario».  Su  questa  base,  la
Corte ha precisato che  «la  valutazione  circa  la  sussistenza,  in
concreto, di tale  "necessita'"  spetta  indubbiamente  all'autorita'
giudiziaria richiedente», la quale e' peraltro tenuta «a  determinare
in modo specifico i connotati del provvedimento  e  a  dare  adeguato
conto delle relative ragioni, con motivazione non implausibile, nella
richiesta di autorizzazione ad eseguirlo, cosi' da  porre  la  Camera
competente in condizione di apprezzarne compiutamente i requisiti  di
legalita' costituzionale» (sent. n. 188 del 2010). 
    L'art. 6 della legge n. 140 del 2003 non assegna al Parlamento un
potere di riesame di dati processuali  gia'  valutati  dall'autorita'
giudiziaria. Consente, tuttavia, alle Camere  di  verificare  che  la
richiesta di autorizzazione sia coerente con l'impianto accusatorio e
che non sia, dunque, pretestuosa. A tal fine, la  Camera  alla  quale
appartiene il parlamentare le cui conversazioni siano  state  captate
deve accertare che il giudice abbia indicato gli elementi su  cui  la
richiesta si fonda - ovvero, «da un  lato,  le  specifiche  emergenze
probatorie fino a quel momento disponibili  e,  dall'altro,  la  loro
attitudine a fare sorgere la "necessita'"  di  quanto  si  chiede  di
autorizzare» - e che la asserita necessita' dell'atto  sia  «motivata
in termini di non implausibilita'» (sentenza n. 188 del 2010). 
    4.2. - La richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice per le
indagini preliminari del  Tribunale  di  Napoli  appare  conforme  ai
principi e ai criteri enunciati. 
    La  «rilevanza  e  necessita'»  delle  quarantasei  conversazioni
telefoniche oggetto della richiesta, casualmente  captate  su  utenze
appartenenti a terze  persone,  sono  motivate  sia  in  ordine  alla
mancata distruzione dei verbali  e  delle  registrazioni  relativi  a
quelle conversazioni (distruzione che l'art. 6, comma 1, della  legge
n. 140 del 2003 prescrive qualora esse siano ritenute «irrilevanti»),
sia in ordine alla richiesta di autorizzazione formulata ai sensi del
comma 2 del medesimo articolo. 
    Le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzazione - secondo  il
Giudice per le indagini preliminari -  nel  loro  insieme  «attestano
contatti e frequentazioni» tra l'allora deputato N.  C.  «e  soggetti
dei  quali  e'  stato  accertato  [...]  il  contributo  rilevante  e
consapevole prestato al clan dei  casalesi  e  a  sodalizi  a  questo
collegati». In  particolare,  alcune  conversazioni  servirebbero  ad
avvalorare il ruolo  di  N.  C.  «nel  conferimento  degli  incarichi
all'interno  delle  compagini  consortili  interessate  dall'indagine
[...];  il   suo   peso   nella   composizione   del   Consiglio   di
amministrazione della Ecoquattro s.p.a. [...]; il suo intervento  per
la  composizione  di  un  contenzioso  tra  il  Consorzio  CE4  e  la
Ecocampania dei fratelli Ferraro», costituendo cosi' conferme dirette
della  ricostruzione   compiuta   nell'ordinanza   cautelare.   Altre
conversazioni fornirebbero «un riscontro diretto  di  interventi  del
parlamentare in questioni probatoriamente rilevanti nelle quali  egli
era stato finora chiamato in causa  da  collaboratori  di  giustizia,
soggetti indagati e/o imputati per gli  stessi  fatti,  conversazioni
tra terzi». 
    Simili riscontri - sempre ad avviso  del  giudice  richiedente  -
appaiono rilevanti sia sotto il profilo  accusatorio,  non  potendosi
negare «che di un tale consolidamento cognitivo vi sia sempre bisogno
quando si debba  valutare  l'affidabilita'  di  fonti  cognitive  del
genere sopra indicato»; sia sotto il profilo difensivo,  perche'  «le
interlocuzioni dirette  del  parlamentare  sulle  questioni  indicate
possono costituire  la  base  per  interpretazioni  o  prospettazioni
alternative, indiscutibilmente utili alla  piena  comprensione  delle
vicende» e in quanto «dal loro contenuto il parlamentare indagato e i
suoi difensori potrebbero trarre, una volta  che  queste  siano  rese
processualmente   utilizzabili,   argomenti   difensivi    altrimenti
preclusi». 
    Sulla base di tali considerazioni e di una puntuale disamina  del
valore probatorio delle singole intercettazioni, il  Giudice  per  le
indagini preliminari si e' espresso  «nel  senso  della  rilevanza  e
necessita' di tutte le conversazioni indicate» e, «ritenuta rilevante
e necessaria l'utilizzazione processuale» delle medesime, ha  chiesto
alla Camera dei deputati di autorizzarla, con cio'  conformandosi  al
dettato dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003  e,  in  particolare,
all'obbligo di indicare gli elementi e le ragioni di necessita' posti
a fondamento della richiesta. 
    4.3. - Nell'apprezzare i requisiti  di  legalita'  costituzionale
della   richiesta   di   autorizzazione    all'utilizzazione    delle
intercettazioni e, segnatamente, il requisito  della  necessita',  la
Camera - come si e' anticipato - non puo' sostituirsi al Giudice  per
le indagini preliminari nella «valutazione circa la  sussistenza,  in
concreto,   di   tale   "necessita'"»,   giacche'   questa    «spetta
indubbiamente  all'autorita'  giudiziaria   richiedente»,   ma   deve
valutare la coerenza tra la richiesta e l'impianto accusatorio e,  in
particolare, se l'addotta necessita' sia stata «motivata  in  termini
di non implausibilita'» (sent. n. 188 del 2010). 
    Alla luce di tale criterio, la censura prospettata dal ricorrente
merita accoglimento. 
    Nella  deliberazione  parlamentare  impugnata,   la   motivazione
formulata dal Giudice per le indagini preliminari per giustificare la
necessita' di acquisire le  intercettazioni  non  e'  in  alcun  modo
esaminata. Il diniego dell'autorizzazione e' fondato, infatti,  oltre
che sull'erronea premessa «di metodo», sopra richiamata, secondo  cui
l'art. 6, comma 2, della legge n.  140  del  2003  rimetterebbe  alla
Camera di appartenenza la  scelta  del  criterio  di  decisione,  sui
seguenti argomenti: che esisterebbe  un  «nesso»  con  la  precedente
deliberazione - con la quale la  Camera  dei  deputati  aveva  negato
l'autorizzazione all'arresto del parlamentare - «stretto a tal  punto
che sarebbe stato  contraddittorio  decidere  diversamente»;  che  le
intercettazioni in questione, riguardando conversazioni avvenute  tra
l'allora deputato N.C. e  altre  persone  tra  il  2002  e  il  2004,
conterrebbero «elementi ormai molto risalenti  nel  tempo  e  la  cui
idoneita' probatoria deve ritenersi in gran parte  scemata»;  che  il
contenuto delle intercettazioni «non conferisce  profili  di  novita'
alle risultanze dell'esame che e' gia' stato svolto a proposito della
richiesta di arresto»; che il dato  emergente  dalle  intercettazioni
«non puo'  ritenersi  decisivo  ai  fini  della  colpevolezza»;  che,
conseguentemente,  sarebbe  evidente  «la  fragilita'   dell'impianto
accusatorio». 
    Tali  argomenti  hanno  soltanto  una  remota  attinenza  con  il
requisito  della  necessita'   e,   comunque,   non   concernono   la
plausibilita' o la sufficienza della motivazione a  riguardo  addotta
dal  giudice  richiedente.  I  richiamati   argomenti   sono   volti,
piuttosto, a  negare  -  peraltro,  in  modo  assiomatico  -  rilievo
decisivo al valore probatorio delle comunicazioni  intercettate,  ma,
come la Corte ha gia' avuto modo di chiarire, «impropria sarebbe  una
pretesa  di  limitare  l'autorizzazione  solo  alle  prove  cui   sia
attribuibile il carattere della "decisivita'", al  cui  concetto  non
puo' essere ridotto e circoscritto quello di "necessita'"»  (sentenza
n. 188 del 2010). 
    La deliberazione della  Camera  dei  deputati  risulta,  percio',
essere stata assunta sulla base  di  valutazioni  che  trascendono  i
limiti del sindacato previsto dall'art.  68,  terzo  comma,  Cost.  e
interferiscono con le attribuzioni che l'art. 6, comma 2, della legge
n. 140 del 2003 assegna in via esclusiva al giudice penale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    a) dichiara che non spettava alla Camera dei deputati negare, con
deliberazione del 22 settembre 2010, l'autorizzazione, richiesta  dal
Giudice per le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Napoli,  a
utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei  confronti  di
N.  C.,  membro  della  Camera  dei  deputati  all'epoca  dei  fatti,
nell'ambito del procedimento penale n. 325/2011  (n.  36856/01  RGNR)
nel quale il predetto parlamentare risulta imputato; 
    b) annulla la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati in
data 22 settembre 2010. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                      Sabino CASSESE, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI