N. 78 SENTENZA 22 - 24 aprile 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Universita' - Personale  tecnico  amministrativo  dell'Universita'  -
  Divieto di conferimento di incarichi di insegnamento -  Trattamento
  differenziato  nei  confronti  di  una  particolare  categoria   di
  dipendenti  pubblici,  privo   di   razionale   giustificazione   -
  Illegittimita' costituzionale - Assorbimento di ulteriori profili. 
- Legge 4 novembre 2005, n. 230, art. 1, comma 10. 
- Costituzione, art. 3 (artt. 33, 35 e 97). 
(GU n.18 del 2-5-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
10,  della  legge  4  novembre  2005,  n.  230  (Nuove   disposizioni
concernenti i professori e i ricercatori  universitari  e  delega  al
Governo   per   il   riordino   del   reclutamento   dei   professori
universitari), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il
Veneto, nel procedimento vertente  tra  M.R.  e  l'Universita'  degli
Studi di Padova ed altri, con ordinanza dell'8 aprile 2011,  iscritta
al n. 205 del registro ordinanze 2011  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2011. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  M.R.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2013 il Giudice relatore
Sergio Mattarella; 
    uditi l'avvocato Paolo Francesco Brunello per M.R.  e  l'avvocato
dello Stato Ettore Figliolia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio, promosso per l'annullamento di  due
provvedimenti con i quali il Preside della  Facolta'  di  medicina  e
chirurgia  dell'Universita'  di  Padova  aveva  respinto  altrettante
istanze finalizzate al conseguimento  di  due  incarichi  annuali  di
insegnamento a titolo gratuito, il Tribunale amministrativo regionale
per il Veneto ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 33, 35  e
97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 10, della legge 4 novembre  2005,  n.  230  (Nuove
disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari  e
delega al Governo per il riordino  del  reclutamento  dei  professori
universitari). 
    2.- Osserva il giudice rimettente che il ricorrente -  dipendente
dell'Universita' di Padova con la qualifica di tecnico informatico  -
si  e'  visto  respingere   le   proprie   domande   di   affidamento
dell'incarico, a titolo gratuito, di docente di  informatica,  quanto
al corso  di  laurea  in  infermieristica  pediatrica,  e  del  corso
integrato, quanto al  corso  di  laurea  in  terapia  della  neuro  e
psicomotricita' dell'eta' evolutiva; cio'  pur  essendo  laureato  in
informatica ed abilitato all'insegnamento di tale materia  presso  le
scuole  medie  superiori.  A  tale  decisione  l'amministrazione   e'
pervenuta sulla base della norma censurata, secondo cui il  personale
tecnico   amministrativo   delle   universita'   e'   escluso   dalla
possibilita' di ottenere incarichi di insegnamento  (anche  gratuito)
da parte delle universita' stesse; in relazione  al  primo  incarico,
poi, non era stato possibile applicare la  specifica  deroga  di  cui
all'art. 54, comma 8, del  contratto  collettivo  del  personale  del
comparto universitario, non trattandosi di materia  considerata  come
"caratterizzante" i corsi di  studio  per  le  professioni  sanitarie
infermieristiche ed ostetriche. 
    Nell'impugnare i due provvedimenti di diniego, il ricorrente  ha,
tra  l'altro,  prospettato  dubbi  di   legittimita'   costituzionale
relativamente all'art. 1, comma 10, della legge n. 230 del 2005. 
    Cio' premesso, il  giudice  a  quo  evidenzia,  in  relazione  al
profilo della rilevanza, che la decisione dei due ricorsi  impone  la
preliminare  valutazione  della  legittimita'  costituzionale   della
censurata disposizione. Al riguardo, il TAR per il Veneto  da'  conto
del fatto che detta norma e' stata abrogata, nelle more del giudizio,
ad opera dell'art. 29 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme  in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del  sistema  universitario);  ed  afferma  che,  cio'
nonostante, permane  la  necessita'  di  scrutinare  la  legittimita'
costituzionale della disposizione,  in  quanto  ogni  volta  che  una
norma, benche' formalmente abrogata, abbia trovato  applicazione  nel
caso concreto, occorre accertare se la stessa «abbia prodotto effetti
pregiudizievoli». Nella specie  -  osserva  il  TAR  -  la  norma  in
questione e'  stata  applicata  dall'amministrazione,  la  quale  «ha
respinto le istanze del ricorrente in ragione della sua  appartenenza
al   personale   tecnico   amministrativo    dell'Universita'»;    la
disposizione, quindi, benche'  abrogata,  ha  ricevuto  applicazione,
sicche' «persiste l'interesse e la  rilevanza  alla  definizione  del
giudizio instaurato avverso i provvedimenti che sono stati assunti in
sua applicazione». 
    Tanto premesso in punto di rilevanza, il giudice  a  quo  osserva
che la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
10, della legge n. 230  del  2005  appare  anche  non  manifestamente
infondata.  Evidenti  risultano  al  TAR  rimettente   i   dubbi   di
legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3 e  97  Cost.;
la discriminazione operata  dalla  censurata  disposizione,  infatti,
sarebbe  in  contrasto  col  principio  di  uguaglianza,  perche'  la
limitazione della possibilita' di  conferimento  di  insegnamenti  e'
«esclusivamente diretta nei confronti di una particolare categoria di
dipendenti pubblici, in particolare delle universita',  quale  e'  il
personale tecnico amministrativo»; ne', d'altra parte, vi sono  degli
impedimenti legittimi a che detto personale, ove dotato dei necessari
requisiti professionali, svolga  anche  un'attivita'  di  docenza  in
incarichi che - come nel caso dei ricorsi in esame - sono di limitato
impegno orario e privi di compenso. 
    In tal modo, inoltre, l'amministrazione e' costretta a  privarsi,
in violazione del principio costituzionale del  buon  andamento,  «di
potenziali  validi  elementi  che,  in  possesso   delle   necessarie
competenze, potrebbero metterle al servizio della stessa  Universita'
presso la quale gia' svolgono la loro attivita' lavorativa». 
    Secondo il TAR per il Veneto, infine, la  disposizione  censurata
sarebbe in contrasto anche con gli artt. 33 e  35  Cost.,  norme  che
sono espressione  dei  principi  della  liberta'  di  insegnamento  e
dell'arricchimento professionale dei lavoratori. 
    3.- Si e' costituito nel giudizio davanti a  questa  Corte  R.M.,
ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  chiedendo  l'accoglimento   della
prospettata questione di legittimita' costituzionale. 
    Osserva  la  parte  privata,  nel  richiamare  integralmente   il
contenuto degli atti difensivi gia' proposti davanti al  TAR  per  il
Veneto, che l'abrogazione della norma sottoposta  al  giudizio  della
Corte  non  toglie   rilevanza   alla   questione   di   legittimita'
costituzionale  ne'  fa  venire  meno  l'interesse  ad  ottenere  una
pronuncia di merito davanti al giudice amministrativo. D'altra parte,
la  norma  impugnata  ha  esplicato  i  suoi  effetti  in  danno  del
ricorrente; ne' la sua abrogazione e' stata totale, perche' l'art. 23
della legge n. 240 del 2010 ha riproposto, sia pure in  altra  forma,
la medesima esclusione del  personale  tecnico  amministrativo  delle
universita' dalla possibilita' di ottenere incarichi di  insegnamento
universitario. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga  dichiarata  inammissibile  o
infondata. 
    Secondo la difesa erariale, la giurisprudenza  costituzionale  ha
ribadito  in  piu'  occasioni  che  e'  possibile  lo  scrutinio   di
legittimita'  costituzionale  di  una   norma   abrogata   in   epoca
antecedente alla rimessione della questione, ma a condizione  che  il
giudice a quo dia  conto  delle  ragioni  per  le  quali  continua  a
sussistere il  requisito  della  rilevanza  (vengono  richiamate,  al
riguardo, le sentenze n. 391 del 2008 e  n.  104  del  2003;  nonche'
l'ordinanza n. 83 del 2009). Nella specie, al contrario,  l'ordinanza
di rimessione non fornirebbe adeguata motivazione in tal  senso,  ne'
la circostanza che la disposizione sia stata applicata  nel  giudizio
e'  sufficiente,  di  per  se',  a  determinare  la  rilevanza  della
questione. Oltre a cio', l'eventuale declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale sarebbe priva di conseguenze concrete  in  quanto,  in
considerazione della natura gratuita degli incarichi di  insegnamento
oggetto  del  giudizio  principale,  l'accoglimento  della  questione
condurrebbe all'illegittimita' derivata dei provvedimenti  impugnati,
«senza  che  a   tale   declaratoria   possano   collegarsi   effetti
risarcitori». 
    Da tanto  dovrebbe  dedursi  l'inammissibilita'  della  questione
prospettata. 
    Nel  merito,  peraltro,  la  stessa  sarebbe  comunque  priva  di
fondamento. 
    Rileva l'Avvocatura dello Stato, al riguardo, che la  distinzione
del personale che svolge attivita' didattica da  quello  di  supporto
tecnico amministrativo sarebbe del tutto ragionevole sotto il profilo
organizzativo; d'altra parte, nulla vieterebbe al  personale  tecnico
amministrativo di concorrere per l'accesso  ai  ruoli  del  personale
docente. La normativa speciale  di  cui  all'art.  6,  comma  3,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992, n. 421) - che consente incarichi di insegnamento  da
parte del personale del ruolo sanitario nei corsi  per  il  personale
sanitario infermieristico - sarebbe, secondo la difesa  erariale,  la
conferma  della  ragionevolezza  della  disposizione  in  esame   nel
presente giudizio, in quanto il servizio  espletato  e'  strettamente
collegato con le materie  oggetto  di  insegnamento;  attinenza  che,
invece, non sussisterebbe nel caso oggetto della presente questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per  il  Veneto  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 10, della  legge
4 novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti i  professori
e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino  del
reclutamento dei professori  universitari),  per  contrasto  con  gli
articoli 3, 33, 35 e 97 della Costituzione. 
    Tale   disposizione   sarebbe   infatti   discriminatrice   della
particolare  categoria  di  dipendenti  pubblici,  nell'ambito  delle
universita',  costituita  dal  personale  tecnico  amministrativo,  e
sarebbe altresi' lesiva degli artt. 33  e  35  Cost.,  relativi  alla
liberta'  di  insegnamento  e  all'arricchimento  professionale   dei
lavoratori. 
    2.-   Occorre   preliminarmente    esaminare    l'eccezione    di
inammissibilita' per difetto di motivazione in ordine alla rilevanza,
sollevata dalla difesa erariale, specie in  ragione  dell'abrogazione
della norma impugnata, avvenuta in epoca antecedente alla  rimessione
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Tale eccezione risulta non fondata. 
    L'ordinanza  di  rimessione  contiene,  invero,  una  dettagliata
ricostruzione della vicenda processuale, che  consente  il  controllo
sulla rilevanza, sia riguardo al contenuto  del  ricorso  principale,
sia riguardo alla legittimita' degli atti impugnati. 
    Il rimettente esamina i motivi di  impugnazione  per  evidenziare
che l'accoglimento del ricorso e' subordinato  alla  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della norma  impugnata,  che  vieta  il
conferimento  di  incarichi  di  insegnamento  al  personale  tecnico
amministrativo delle universita'. 
    Quanto all'asserito difetto di  motivazione  circa  la  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale di norma  abrogata  in
epoca antecedente alla  rimessione  della  questione  stessa,  questa
Corte ha costantemente  affermato  la  persistenza  della  rilevanza,
anche nel caso in cui la  norma  sottoposta  a  scrutinio  sia  stata
dichiarata incostituzionale o sostituita da una successiva,  perche',
ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla  base
di  una  norma   poi   abrogata   o   dichiarata   costituzionalmente
illegittima, «la legittimita' dell'atto  deve  essere  esaminata,  in
virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione
di fatto e di  diritto  esistente  al  momento  della  sua  adozione»
(sentenza n. 177 del 2012; nonche', tra le altre, sentenze n. 321 del
2011, n. 209 del 2010, n. 391 del 2008, n. 509 del 2000). 
    Nel caso in  esame,  il  TAR  per  il  Veneto  fornisce  adeguata
motivazione  della  sussistenza  del   requisito   della   rilevanza.
L'ordinanza di rimessione non si limita ad indicare le ragioni per le
quali l'accertamento della legittimita'  degli  atti  impugnati,  che
hanno  fatto  diretta  applicazione  della  norma  censurata   allora
vigente,   dipenda   dal   giudizio   di   conformita'   al   dettato
costituzionale  della  norma  stessa,  ma  anche   i   motivi   della
persistenza dell'interesse ad ottenere una  pronuncia  in  ordine  ai
provvedimenti impugnati dal ricorrente nel giudizio principale. 
    In effetti,  contrariamente  a  quanto  eccepito  dall'Avvocatura
dello  Stato,  il  giudice  rimettente  non  richiama   soltanto   la
circostanza che la disposizione successivamente abrogata  ha  trovato
concreta applicazione nel giudizio a quo - circostanza  che,  di  per
se', in base alla giurisprudenza di questa Corte potrebbe  anche  non
determinare la rilevanza della  questione  di  costituzionalita'  per
carenza di descrizione della fattispecie (tra le altre, ordinanze  n.
43 del 2012, n. 38 del 2012, n.  203  del  2011)  o  per  difetto  di
motivazione sulla rilevanza stessa (ex plurimis, ordinanza n. 25  del
2012, sentenza n. 41 del 2011) - bensi' fornisce adeguata motivazione
in ordine agli effetti esplicati dalla norma impugnata in  danno  del
ricorrente. 
    Ne' puo' farsi discendere, come  eccepito  dall'Avvocatura  dello
Stato, il difetto di rilevanza della questione dall'asserita mancanza
di  effetti  risarcitori  in  caso  di  eventuale   declaratoria   di
incostituzionalita' della norma impugnata, in ragione della gratuita'
degli  incarichi  di  insegnamento.  Infatti,   secondo   consolidata
giurisprudenza di  questa  Corte,  stante  l'autonomia  del  giudizio
costituzionale rispetto al giudizio a  quo,  che  preclude  a  questa
Corte la valutazione  delle  concrete  conseguenze  sulle  situazioni
giuridiche  soggettive   azionate   nel   giudizio   principale,   e'
sufficiente   che   l'ordinanza   di   rimessione    argomenti    non
implausibilmente  la  rilevanza  della  questione   di   legittimita'
costituzionale (ex plurimis, ordinanza n. 25 del  2012,  sentenza  n.
270 del 2010). 
    Nel caso in  esame,  il  TAR  per  il  Veneto  fornisce  adeguata
motivazione circa  la  perdurante  rilevanza  della  questione  e  la
persistenza dell'interesse ad ottenere una pronuncia di merito, anche
in ragione dell'astratta prevedibilita' del  danno,  che  non  spetta
comunque a questa Corte valutare. 
    3.- Nel merito, la questione sollevata in riferimento all'art.  3
Cost. e' fondata. 
    Il divieto  introdotto  dalla  norma  impugnata,  successivamente
abrogata dall'art. 29, comma 11, lettera c), della legge 30  dicembre
2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione  delle  universita',
di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per
incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitario), e'
diretto esclusivamente nei confronti di una particolare categoria  di
dipendenti  pubblici,  nell'ambito  delle   diverse   categorie   dei
dipendenti delle universita', quale si configura il personale tecnico
amministrativo, e non gia' nei confronti di una categoria generale. 
    Siffatta  evidente  diversita'  della  disciplina   di   medesime
categorie di dipendenti pubblici, sottoposti, tra  l'altro,  ai  fini
dell'eventuale    svolgimento    dell'incarico    di    insegnamento,
all'ordinario regime autorizzatorio previsto dall'art. 53 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  non
appare riconducibile ad alcuna ragionevole ratio giustificatrice,  ed
anzi risulta manifestamente irragionevole. 
    Al  riguardo,  questa  Corte  ha  costantemente  censurato  norme
discriminatrici di determinate categorie  di  dipendenti  pubblici  o
privati per effetto di  trattamento  irragionevolmente  differenziato
(ex plurimis, sentenze n. 321 del 2011, n. 296 del 2010). 
    Anche  in  specifico  riferimento  alle  diverse   categorie   di
dipendenti  pubblici  delle   universita',   pur   ribadendo,   sotto
molteplici profili,  l'«essenziale  differenziazione»  tra  personale
docente e personale non docente (tra le altre, la sentenza n. 191 del
2008; nonche' le ordinanze n. 160 del 2003 e n. 262 del 2002), questa
Corte ha  dichiarato,  siccome  in  contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza, l'illegittimita'  costituzionale  di  norme  ritenute
discriminatrici  di  determinate  categorie  del  personale  pubblico
universitario, in presenza  di  trattamenti  differenziati  privi  di
razionale giustificazione (oltre alla gia' richiamata sentenza n. 191
del 2008, tra le altre, le sentenze n. 305  del  1995  e  n.  39  del
1989). 
    4.-  Va,  dunque,  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 10, della legge n. 230 del  2005,  per  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Gli ulteriori profili rimangono assorbiti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  10,
della legge 4 novembre 2005 n. 230 (Nuove disposizioni concernenti  i
professori e i ricercatori universitari e delega al  Governo  per  il
riordino del reclutamento dei professori universitari). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI