N. 103 SENTENZA 22 - 29 maggio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia e urbanistica - Disciplina relativa  ai  requisiti  acustici
  passivi degli edifici - Norma interpretativa  che  ne  esclude,  in
  attesa del riordino della materia,  l'applicabilita'  nei  rapporti
  tra  costruttori-venditori  e  acquirenti  di  alloggi,  fermi  gli
  effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e  la
  corretta esecuzione dei lavori a regola  d'arte  asseverata  da  un
  tecnico abilitato -  Violazione  dei  principi  di  ragionevolezza,
  eguaglianza e legittimo affidamento - Illegittimita' costituzionale
  - Assorbimento di ulteriori censure. 
- Legge 4  giugno  2010,  n.  96,  art.  15,  comma  1,  lettera  c),
  sostitutivo dell'art. 11, comma 5, della legge 7  luglio  2009,  n.
  88. 
- Costituzione, art. 3 (artt. 24, 101, 102 e 104). 
(GU n.23 del 5-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  15,  comma
1, lettera c), della legge 4 giugno 2010,  n.  96  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle  Comunita'  Europee.  Legge   comunitaria   2009),   sostitutivo
dell'art. 11, comma 5, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle  Comunita'  Europee.  Legge  comunitaria  2008),  promosso   dal
Tribunale di Busto  Arsizio  nel  procedimento  vertente  tra  Roveda
Stefano ed altre e la  Immobiliare  Vittoria  s.r.l.  ed  altri,  con
ordinanza del 15 febbraio 2012,  iscritta  al  n.  109  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Immobiliare Vittoria s.r.l.; 
    udito nell'udienza pubblica del  10  aprile  2013  il  Presidente
Franco Gallo in luogo e con l'assenso  del  Giudice  relatore  Sergio
Mattarella. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza  del  15  febbraio   2012,   pervenuta   alla
cancelleria di questa Corte il 22 giugno 2012 (reg. ord. n.  109  del
2012), il Tribunale di Busto Arsizio  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera c),  della
legge 4  giugno  2010,  n.  96  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
Europee. Legge comunitaria 2009), in quanto  prevede  che  l'articolo
11, comma 5, della legge 7  luglio  2009,  n.  88  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' Europee. Legge comunitaria 2008) sia sostituito  dalla
norma  di  interpretazione   autentica   che   recita:   «In   attesa
dell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l'articolo
3, comma 1, lettera e), della legge  26  ottobre  1995,  n.  447,  si
interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici
passivi degli edifici e dei loro componenti  non  trova  applicazione
nei  rapporti  tra  privati  e,  in  particolare,  nei  rapporti  tra
costruttori-venditori e acquirenti  di  alloggi,  fermi  gli  effetti
derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e  la  corretta
esecuzione dei lavori  a  regola  d'arte  asseverata  da  un  tecnico
abilitato». 
    2.- Il giudice remittente premette  che  la  fattispecie  al  suo
esame concerne la domanda risarcitoria proposta  ai  sensi  dell'art.
1669 cod. civ. dall'acquirente  di  un  immobile  nei  confronti  del
venditore-costruttore e dell'appaltatore, per il mancato rispetto dei
requisiti acustici passivi  degli  edifici  fissati  dal  d.P.C.M.  5
dicembre 1997 (Determinazione dei requisiti  acustici  passivi  degli
edifici). In particolare, lo stesso giudice rileva che dalla  lettura
delle conclusioni del  ricorso  ex  art.  702  bis  cod.  proc.  civ.
introduttivo del giudizio, si evince  chiaramente  che  a  fondamento
della  domanda  i   ricorrenti   hanno   inteso   porre   non   gia',
genericamente, la violazione delle regole dell'arte nella costruzione
degli edifici da parte del venditore-costruttore e  dell'appaltatore,
bensi', piu' specificamente, la  violazione  dei  requisiti  acustici
passivi previsti dalla vigente normativa  acustica  e,  segnatamente,
dal richiamato d.P.C.M. 5 dicembre 1997. 
    Tale decreto, emanato in ottemperanza a quanto disposto dall'art.
3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995,  n.  447  (Legge
quadro sull'inquinamento acustico), determina  i  requisiti  acustici
passivi e quelli delle sorgenti sonore interne agli edifici, al  fine
di ridurre l'esposizione  umana  al  rumore,  e  prescrive  i  limiti
espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo la sua entrata  in
vigore devono rispettare. 
    2.1.- Inoltre, il giudice remittente osserva che nella materia e'
intervenuta,  dapprima,  la  direttiva  2002/49/CE,   relativa   alla
determinazione e alla gestione del rumore ambientale, recepita con il
decreto  legislativo  19  agosto  2005,  n.  194  (Attuazione   della
direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del
rumore  ambientale),  e,  dopo  la  scadenza  della  delega  prevista
dall'art. 14 della legge 31 ottobre 2003, n.  306  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee. Legge  comunitaria  2003),  l'art.  11  della
legge 7  luglio  2009,  n.  88  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee. Legge comunitaria 2008), ha previsto  una  nuova  delega  al
Governo, per integrare nell'ordinamento la  direttiva  citata  e  per
assicurare  l'omogeneita'  delle  normative   di   settore   mediante
l'emanazione di uno o piu' decreti legislativi. 
    In  riferimento  ai  requisiti  acustici  passivi  degli  edifici
previsti dal d.P.C.M. 5 dicembre 1997, l'articolo 11, comma 5,  della
legge n. 88 del 2009, recante la delega al Governo per il riordino  e
la disciplina in materia di inquinamento acustico, prevedeva che  «in
attesa  del  riordino  della  materia,  la  disciplina  relativa   ai
requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995,  n.
447,  non  trova  applicazione  nei  rapporti  tra  privati   e,   in
particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e  acquirenti  di
alloggi sorti successivamente alla data di entrata  in  vigore  della
presente legge». Successivamente, e' intervenuta la norma impugnata. 
    2.2.- Ad avviso del giudice remittente, da quanto esposto  emerge
la  rilevanza  della  questione  sollevata,  dal   momento   che   la
controversia «verte sulla responsabilita' ex art. 1669 cod. civ.  del
venditore-costruttore e dell'appaltatore per violazione del  d.P.C.M.
5 dicembre 1997», che la norma censurata  ed  entrata  in  vigore  in
pendenza di giudizio ha reso inapplicabile alla fattispecie in esame.
Pertanto, secondo lo stesso giudice, la sua applicazione comporta che
il mancato rispetto dei valori  di  isolamento  acustico  di  cui  al
d.P.C.M. richiamato «non puo' costituire fonte di responsabilita' per
il  venditore-costruttore  nei  confronti  dell'acquirente,   andando
pertanto a incidere su tutte le situazioni  pregresse  confluite  nei
contratti di vendita degli immobili (come, appunto, quella in esame),
tranne i casi in cui sia gia' intervenuta una sentenza definitiva che
riconosca detta responsabilita' e fatta salva comunque l'esecuzione a
regola d'arte dei lavori». 
    3.- Passando  ad  esporre  un  primo  profilo  di  illegittimita'
costituzionale, il giudice a  quo  afferma  che  il  contenuto  della
«norma interpretata» e' chiaro e non  necessita  di  interpretazione,
non ha dato adito a contrasti giurisprudenziali, e nessun  dubbio  e'
mai stato sollevato circa l'applicabilita' del  d.P.C.M.  5  dicembre
1997 ai rapporti tra privati acquirenti e costruttori di alloggi.  In
tal senso, si osserva che l'art. 11, comma 5 della legge  n.  88  del
2009 - nella versione antecedente alla modifica apportata dalla norma
impugnata - dichiarava pacificamente applicabile lo stesso decreto ai
rapporti tra privati  sorti  antecedentemente  alla  sua  entrata  in
vigore. Pertanto, la norma impugnata  ha  carattere  innovativo,  non
assumendo alcun rilievo l'autoqualificazione di norma interpretativa. 
    In  riferimento  alla  natura  delle  norme  di   interpretazione
autentica, il giudice remittente richiama alcune pronunce della Corte
costituzionale, tra le quali la sentenza n.  155  del  1990,  che  ha
escluso il carattere  interpretativo  nel  caso  di  una  norma  «che
anziche' chiarire il significato di una disciplina precedente  ovvero
privilegiarne una fra le piu'  possibili  interpretazioni,  venga  ad
innovarne i1 contenuto». Inoltre, nell'ordinanza si  ricorda  che  la
Corte ha affermato che le norme interpretative debbono in  ogni  caso
sottostare ai principi costituzionali, come ricordati dalla  sentenza
n. 525 del 2000, che ha statuito che «l'efficacia  retroattiva  della
legge di interpretazione autentica e' soggetta,  tra  gli  altri,  al
limite del rispetto del  principio  dell'affidamento  dei  consociati
nella  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  principio  che   trova
applicazione anche in materia processuale e che nel  caso  di  specie
deve ritenersi violato in conseguenza della non prevedibilita'  della
soluzione interpretativa adottata dal legislatore, rispetto a  quelle
affermatesi nella prassi». Anche recentemente, la sentenza n. 234 del
2007 ha enunciato il principio  per  cui  «nel  rispetto  del  limite
segnato  dall'art.  25  Cost.,  il  legislatore  puo'   emanare   sia
disposizioni  di  interpretazione  autentica,   che   determinano   -
chiarendola  -  la  portata  precettiva  della  norma   interpretata,
fissandola in un contenuto plausibilmente gia' espresso della stessa,
sia  norme  innovative  con   efficacia   retroattiva,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul   piano   della
ragionevolezza  e  non  contrasti  con  altri  valori   e   interessi
costituzionalmente protetti». 
    Il  giudice  a  quo  ribadisce  che  il   contenuto   «falsamente
interpretativo», ma effettivamente innovativo della norma  impugnata,
oltre a incorrere in  un  vizio  di  eccesso  di  potere  legislativo
«conseguente all'uso  deviato  dello  strumento  dell'interpretazione
autentica», viola gli artt. 3 e  24  Cost.,  oltre  al  principio  di
irretroattivita' della legge. Infine, il giudice  riassume  nel  modo
seguente le censure, affermando che la disposizione impugnata: 
    a) viola l'art. 3 della Costituzione, in quanto  e'  suscettibile
di produrre una ingiustificata disparita' di trattamento  tra  coloro
che  hanno  gia'  conseguito,  in  via  pattizia  o  giudiziaria,  un
risarcimento a fronte  dell'acquisto  di  un  immobile  acusticamente
viziato e coloro che, pur trovandosi  nella  stessa  situazione,  non
possano, invece, piu' conseguirlo; 
    b) risulta affetta da eccesso di potere legislativo, non  essendo
fondata su di una adeguata causa giustificativa, risultando  comunque
priva di natura interpretativa e, «pur non abrogando  il  d.P.C.M.  5
dicembre 1997 nei rapporti pubblicistici (...) nello stesso tempo  lo
disapplica ai  rapporti  tra  privati,  con  la  conseguenza  di  non
salvaguardare i diritti del cittadino che acquista l'unita' abitativa
e che e' il vero destinatario degli effetti (...) che il  d.P.C.M.  5
dicembre 1997 persegue»; 
    c) si presenta lesiva di vari principi di rilievo costituzionale,
quali la tutela dell'affidamento legittimamente  sorto  nei  soggetti
interessati, la tutela della certezza dei rapporti giuridici e  della
coerenza dell'ordinamento giuridico; 
    d)  viola  l'art.  24  della  Costituzione,  in   quanto   limita
irragionevolmente il diritto di difesa, non permettendo  la  relativa
azione dei proprietari degli immobili compravenduti nei confronti dei
soggetti responsabili della non corretta esecuzione delle opere; 
    e)  lede  le  funzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere
giudiziario dagli artt. 101, 102, 104  Cost.,  dal  momento  che  «la
Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato il principio  secondo
cui il legislatore vulnera  le  funzioni  giurisdizionali  quando  la
legge  sia  intenzionalmente  diretta   ad   incidere   su   concrete
fattispecie sub iudice», ribadito nelle sentenze n. 397 e  n.  6  del
1994, n. 429, n. 424, n. 283 e n. 39 del 1993, n. 440  del  1992,  n.
429 del 1991. 
    4.- Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  ha  spiegato  intervento
l'Immobiliare Vittoria s.r.l., parte resistente nel giudizio  a  quo,
per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata  inammissibile
per difetto di rilevanza. 
    La parte costituita  espone  che  il  giudizio  a  quo  e'  stato
introdotto  con  ricorso  ex  art.  702  bis  c.p.c.,  sul   ritenuto
presupposto  che  lo  svolgimento  del  precedente  procedimento   di
accertamento tecnico preventivo legittimasse la scelta a  favore  del
rito a cognizione sommaria. 
    L'interveniente  afferma  che  il  procedimento  di  accertamento
preventivo espletato definisce ed esaurisce l'oggetto del contenzioso
come petitum e causa petendi.  Nel  relativo  ricorso,  i  ricorrenti
hanno esplicitato che l'unita' immobiliare e' stata  a  loro  venduta
dall'Immobiliare Vittoria s.r.l., ma  e'  stata  costruita  da  altro
soggetto, la Della Valle e Lavelli s.n.c., ed affermano che  l'unita'
immobiliare in questione non rispetterebbe uno dei parametri previsti
dal d.P.C.M. 5 dicembre 1997, concernente l'isolamento da facciata di
alcuni vani dell'unita'  immobiliare,  ma  riconoscono  che  rispetta
tutti gli altri parametri, relativi  ai  rumori  da  calpestio  e  da
servizi a funzionamento continuo e discontinuo. 
    In tale quadro, nell'atto  di  costituzione  si  osserva  che  il
procuratore dell'attore nell'accertamento tecnico  preventivo  si  e'
avvalso dell'unica delega rilasciatagli in calce all'atto, e da  tale
constatazione si  ricava  che  sono  riferibili  alla  parte  sia  la
confessione della costruzione dell'unita' immobiliare da parte  della
Della Valle e  Lavelli  s.n.c.,  e  non  dalla  Immobiliare  Vittoria
s.r.l., sia la confessione del rispetto di tutti i  parametri  tranne
quello dell'isolamento da facciata. 
    Pertanto il procuratore, in carenza di nuova delega,  non  poteva
introdurre  nel  giudizio  di  cognizione  il  contenzioso  su  altri
parametri, dal momento  che  i  suoi  mandanti  nel  procedimento  di
accertamento  tecnico  preventivo  avevano   confessato   che   detti
parametri  erano  stati  rispettati,  e,   sotto   diverso   profilo,
l'ampliamento  dell'oggetto  del  giudizio  ad  altri  parametri  era
precluso allo stesso  procuratore,  in  quanto  provvisto  dell'unica
delega  rilasciatagli  per  1'accertamento  tecnico  preventivo,  che
contestava il mancato rispetto del solo parametro dell'isolamento  da
facciata. Inoltre, si afferma che nel  giudizio  civile  in  oggetto,
petitum e causa petendi non possono  essere  ampliati  d'ufficio  dal
giudice. 
    Nell'atto di costituzione si  rileva  anche  che  l'ordinanza  di
rimessione contiene due inesattezze nell'esposizione  del  fatto.  In
primo luogo, si riferisce al ricorso ex art. 702 bis c.p.c.  proposto
a seguito di procedimento ex art. 696 c.p.c., la prospettazione della
partecipazione dell'Immobiliare Vittoria all'attivita'  edificatoria,
laddove l'affermazione che l'Immobiliare Vittoria «risulta ...  abbia
preso parte all'attivita' edificatoria e' contenuta  nel  ricorso  ex
art.  702  bis  e  contrasta  nettamente   con   l'esclusione   della
partecipazione affermata nel precedente ricorso ex art. 696 c.p.c.». 
    Secondariamente,  nell'ordinanza  si  riferisce  l'eccezione   di
carenza di delega al difensore della comparente Immobiliare  Vittoria
s.r.l. alla domanda di risarcimento per danni diversi da  quello  del
mancato rispetto del parametro  di  isolamento  da  facciata,  mentre
l'eccezione e' riferita all'introduzione di petitum e  causa  petendi
diversi da quelli introdotti nell'accertamento tecnico preventivo, in
forza dell'unica delega in atti. 
    Sotto  un  ulteriore  profilo,  si  contestano,  nel  merito,   i
risultati dell'indagine svolta nell'accertamento tecnico  preventivo,
in ordine al mancato rispetto di quell'unico  indice  dell'isolamento
da facciata di cui si e' detto, e  si  sostiene  che  nelle  more  vi
sarebbe stata la sostituzione delle parti finestrate da  parte  degli
attori. Pertanto, sarebbe precluso l'accertamento  «nel  giudizio  di
cognizione, se l'insufficiente isolamento da facciata sia  imputabile
al costruttore della  muratura  e/o  al  produttore  e  posatore  dei
serramenti e/o al progettista e direttore dei lavori  o  agli  stessi
ricorrenti/attori per  negligenza  nell'uso  delle  parti  finestrate
protrattosi per ben sei anni». 
    Ad avviso della parte costituita, questa  mutazione  dello  stato
dei luoghi operata dagli attori impedisce loro di provare in giudizio
l'imputabilita' a terzi dell'insufficiente isolamento da facciata. 
    4.1.-  In  prossimita'  dell'udienza,  la  parte  costituita   ha
depositato memoria per ribadire  l'inammissibilita'  della  questione
per  difetto  di  rilevanza,  a  causa  dell'assenza  di  prova   sia
dell'esistenza, che dell'imputabilita' a terzi, del  danno  derivante
dal preteso vizio acustico di insufficiente isolamento della facciata
dell'immobile oggetto della compravendita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Busto Arsizio ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  101,  102  e  104  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell' art. 15,
comma 1, lettera c), della legge 4 giugno 2010, n.  96  (Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' Europee. Legge comunitaria 2009),  in  quanto  prevede
che l'articolo 11,  comma  5,  della  legge  7  luglio  2009,  n.  88
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   Europee.   Legge
comunitaria 2008), sia  sostituito  dalla  norma  di  interpretazione
autentica secondo la quale, «In attesa  dell'emanazione  dei  decreti
legislativi di cui al comma 1, l'articolo 3,  comma  1,  lettera  e),
della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso  che  la
disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei
loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in
particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e  acquirenti  di
alloggi, fermi gli effetti derivanti da pronunce  giudiziali  passate
in giudicato e la corretta esecuzione  dei  lavori  a  regola  d'arte
asseverata da un tecnico abilitato». 
    2.- Al fine di  chiarire  il  contesto  normativo  nel  quale  si
inserisce la disposizione impugnata, giova premettere che  l'art.  3,
comma 1, lettera e), della legge  26  ottobre  1995,  n.  447  (Legge
quadro sull'inquinamento  acustico),  ha  attribuito  allo  Stato  la
determinazione dei requisiti  acustici  passivi  e  di  quelli  delle
sorgenti sonore degli edifici, rinviando la  relativa  disciplina  ad
apposito decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.  In
ottemperanza a tale disposizione, e'  stato  emanato  il  d.P.C.M.  5
dicembre 1997, che determina i suddetti requisiti, al fine di ridurre
l'esposizione umana al rumore,  e  prescrive  i  limiti  espressi  in
decibel che gli edifici costruiti  dopo  la  sua  entrata  in  vigore
devono rispettare. 
    Nella  materia  in  esame  e'  poi   intervenuta   la   direttiva
2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione  del  rumore
ambientale, che e' stata  recepita  con  il  decreto  legislativo  19
agosto 2005, n. 194 (Attuazione della direttiva  2002/49/CE  relativa
alla determinazione e alla gestione  del  rumore  ambientale),  ed  a
seguito della scadenza della delega prevista dall'art. 14 della legge
31 ottobre 2003, n. 306 (Disposizioni per l'adempimento  di  obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge
comunitaria 2003), l'art. 11 della legge 7  luglio  2009,  n.  88  ha
nuovamente  delegato  il  Governo  ad  emanare  uno  o  piu'  decreti
legislativi al fine di integrare nell'ordinamento la direttiva citata
e di assicurare l'omogeneita' delle normative di settore. 
    In particolare, il comma 5 dell'art. 11 della  legge  n.  88  del
2009 ha previsto che  «in  attesa  del  riordino  della  materia,  la
disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei
loro componenti di cui all'articolo 3, comma  1,  lettera  e),  della
legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova  applicazione  nei  rapporti
tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori
e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in
vigore della presente legge». 
    Infine, l'art. 15, comma 1, lettera c), impugnato, ha  introdotto
la norma interpretativa in questione. 
    3.-  In  primo  luogo,  deve  essere  scrutinata  l'eccezione  di
inammissibilita'  prospettata  dalla  parte  costituita   Immobiliare
Vittoria s.r.l., che, limitando la propria difesa a  tale  eccezione,
ha affermato, da un lato, che il  petitum  e  la  causa  petendi  del
giudizio  dovevano  ritenersi  fissati  dall'espletato   accertamento
tecnico preventivo - e pertanto la contestazione  circa  il  rispetto
dei parametri di cui al d.P.C.M. 5 dicembre 1997 doveva limitarsi  al
solo al grado di isolamento della "facciata finestrata" dell'edificio
in questione -,  e  dall'altro,  che  in  nessun  caso  sarebbe  piu'
ottenibile la prova  dell'eventuale  responsabilita'  della  nominata
societa' convenuta, dal momento che parte  attrice  aveva  nel  tempo
mutato i luoghi, sostituendo  i  serramenti  dello  stesso  immobile:
pertanto, ad avviso  della  parte  privata  costituita  nel  presente
giudizio, la questione sarebbe inammissibile in quanto irrilevante ai
fini della definizione del giudizio a quo, che dovrebbe essere deciso
sulla base delle ordinarie disposizioni sull'onere della prova, e nel
quale non troverebbe applicazione la norma impugnata. 
    3.1.-  Al  riguardo,  deve  rilevarsi   che   questa   Corte   ha
costantemente affermato che  ad  essa  non  spetta,  nei  giudizi  di
legittimita'  costituzionale  sollevati  in   via   incidentale,   la
valutazione circa i presupposti di esistenza del giudizio a  quo,  «a
meno che questi non risultino manifestamente e  incontrovertibilmente
carenti»,  essendo  sufficiente  che   «l'ordinanza   di   rimessione
argomenti  non  implausibilmente  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale» (ex plurimis, sentenze n. 270 del 2010 e
n. 41 del 2011; ordinanza n. 25 del 2012). 
    Ora, nell'ordinanza in esame, il giudice remittente  ha  rilevato
che nell'atto introduttivo con il quale  chiedevano  il  risarcimento
dei danni ai sensi dell'art. 1669  cod.  civ.  per  i  gravi  difetti
rilevati nel bene immobile oggetto di compravendita, i ricorrenti non
lamentavano  la  generica  violazione  delle  regole   d'arte   nella
costruzione  degli  edifici  ma,  piu'   specificamente,   chiedevano
l'accertamento  della  violazione  delle  disposizioni  relative   ai
requisiti acustici previste dal d.P.C.M. 2 dicembre 1997, emanato  in
attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera e), della legge n.  447  del
1995, a tal fine  chiedendo  l'acquisizione  del  fascicolo  relativo
all'accertamento tecnico preventivo gia' espletato ai sensi dell'art.
696 bis cod.  proc.  civ..  Inoltre,  nella  medesima  ordinanza,  si
procede ad una esauriente ricostruzione  del  quadro  normativo  alla
base del decreto richiamato, come sopra riportata,  evidenziando,  in
particolare, l'incidenza  della  norma  interpretativa  impugnata  su
quella applicabile nel giudizio  in  corso,  mediante  la  previsione
dell'effetto retroattivo all'art. 3, comma 1, lettera e), citato  che
esclude, fino all'emanazione dei decreti legislativi  finalizzati  ad
integrare nell'ordinamento nazionale le  norme  comunitarie  previste
dalla direttiva 2002/49/CE, l'applicabilita' delle norme relative  ai
requisiti acustici passivi degli edifici «nei rapporti tra privati e,
in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori  e  acquirenti
di alloggi». 
    Pertanto, deve ritenersi che il  giudice,  rilevando  l'incidenza
della disposizione impugnata  sulle  norme  applicabili  relative  ai
requisiti acustici nel giudizio a quo, abbia  motivato  in  modo  non
implausibile sulla  rilevanza  della  questione  sollevata,  restando
invece  a  lui  rimessa,  in  ragione  dell'autonomia  del   giudizio
costituzionale  rispetto  a  quello  a  quo,  la  valutazione   circa
l'esistenza della prova offerta dalla parte in ordine alla violazione
delle suddette norme acustiche. 
    Di conseguenza, l'eccezione di inammissibilita'  della  questione
prospettata dalla parte privata costituita deve essere rigettata. 
    4.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  il  divieto  di
retroattivita' della legge, previsto dall'art. 11 delle  disposizioni
sulla legge in  generale,  pur  costituendo  valore  fondamentale  di
civilta'   giuridica,   non   riceve   nell'ordinamento   la   tutela
privilegiata di cui all'art. 25 Cost. (sentenze n. 78  e  n.  15  del
2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006), e che  «il  legislatore  -
nel rispetto di tale previsione -  puo'  emanare  norme  retroattive,
anche di interpretazione autentica, purche' la  retroattivita'  trovi
adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi,  diritti
e beni  di  rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti
«motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU).
La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi,
non puo' dirsi costituzionalmente illegittima qualora  si  limiti  ad
assegnare alla disposizione interpretata un significato gia' in  essa
contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture  del  testo
originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del  2011,  n.  209
del 2010  e  n.  24  del  2009).  In  tal  caso,  infatti,  la  legge
interpretativa ha lo  scopo  di  chiarire  «situazioni  di  oggettiva
incertezza  del  dato  normativo»,  in  ragione  di   «un   dibattito
giurisprudenziale  irrisolto»  (sentenza  n.  311  del  2009),  o  di
«ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente   alla   originaria
volonta' del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela
della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di
principi di  preminente  interesse  costituzionale.  Accanto  a  tale
caratteristica, questa Corte  ha  individuato  una  serie  di  limiti
generali  all'efficacia  retroattiva  delle  leggi,  attinenti   alla
salvaguardia,  oltre  che  dei  principi  costituzionali,  di   altri
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica,  posti  a  tutela  dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza,  che
si riflette nel divieto di introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento; la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto  delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza
n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto). 
    La norma impugnata  nel  presente  giudizio  travalica  i  limiti
individuati dalla giurisprudenza della Corte ora richiamata. 
    Innanzitutto, seppure formulata quale  norma  di  interpretazione
autentica,  essa  non  interviene  ad  assegnare  alla   disposizione
interpretata un significato gia' in questa contenuto,  «riconoscibile
come una delle possibili letture del testo originario»,  al  fine  di
chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato  normativo»  in
ragione  di  «un  dibattito   giurisprudenziale   irrisolto»   o   di
«ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente   alla   originaria
volonta' del legislatore» a tutela della certezza del diritto e degli
altri principi costituzionali richiamati. 
    La ricostruzione del quadro normativo nel quale si  inserisce  la
disposizione  censurata  conferma  questa   conclusione.   La   norma
"interpretata" [art. 3, comma 1, lettera e), della legge n.  447  del
1995] disciplina infatti la modalita' di esercizio  della  competenza
statale nella individuazione dei requisiti  acustici  degli  edifici,
regolando il procedimento per l'adozione del  relativo  d.P.C.M.,  ma
non considera in alcun modo  i  riflessi  di  tali  disposizioni  nei
rapporti tra privati. La successiva disposizione innovativa contenuta
nell'art. 11, comma 5, della legge n. 88 del 2009, ha  stabilito  che
«In attesa del riordino della  materia,  la  disciplina  relativa  ai
requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui
all'art. 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447,
non trova applicazione nei rapporti tra privati  e,  in  particolare,
nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi  sorti
successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».
Infine, la norma impugnata, sostituendo quest'ultima disposizione, e'
formulata  quale  norma  interpretativa,  ad   effetto   retroattivo,
dell'art. 3, comma 1, lettera e), della legge n. 447 del  1995,  che,
come si e' visto, attiene all'attribuzione della  competenza  statale
nella materia, ma non riguarda i rapporti tra privati. 
    In particolare, questa Corte ha affermato che «per quanto attiene
alle norme che pretendono di avere natura  meramente  interpretativa,
la palese erroneita' di tale auto-qualificazione, ove queste  non  si
limitino ad assegnare alla disposizione interpretata  un  significato
gia' in essa contenuto  e  riconoscibile  come  una  delle  possibili
letture  del  testo  originario,  potra'  costituire  un  indice   di
manifesta irragionevolezza» (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2011, n.
234 del 2007, n. 274 del 2006). 
    In secondo luogo, la retroattivita' della disposizione  impugnata
non trova giustificazione nella tutela di «principi, diritti  e  beni
di rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti  "motivi
imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)». 
    Una tale finalita' della disposizione censurata  non  emerge  ne'
dai lavori parlamentari, ne' dal suo intrinseco contenuto  normativo.
Tale contenuto  viene  ad  incidere  su  rapporti  ancora  in  corso,
vanificando il legittimo affidamento di coloro che  hanno  acquistato
beni  immobili  nel  periodo  nel  quale  vigeva  ancora   la   norma
"sostituita", di cui all'art. 11, comma 5,  della  legge  n.  88  del
2009, che, a tutela di tale affidamento e della certezza del diritto,
specificava che la sospensione  dell'applicazione  nei  rapporti  tra
privati delle norme sull'inquinamento acustico degli edifici  valesse
per il futuro, in riferimento  agli  «alloggi  sorti  successivamente
alla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Al contrario, la norma impugnata, oltre  a  ledere  il  legittimo
affidamento sorto nei soggetti suddetti, contrasta con  il  principio
di ragionevolezza, in quanto produce disparita'  di  trattamento  tra
gli acquirenti di immobili in assenza di  alcuna  giustificazione,  e
favorisce una parte a scapito dell'altra, incidendo  retroattivamente
sull'obbligo dei privati, in particolare  dei  costruttori-venditori,
di rispettare  i  requisiti  acustici  degli  edifici  stabiliti  dal
d.P.C.M. 2 dicembre 1997, di attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera
e), della legge n. 447 del 1995. 
    Di conseguenza la questione sollevata  e'  fondata,  e  la  norma
censurata deve essere dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  a
causa della violazione  dell'art.  3  Cost.,  restando  assorbite  le
censure   prospettate   in   riferimento   agli    altri    parametri
costituzionali invocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,  comma  1,
lettera c), della legge  4  giugno  2010,  n.  96  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle  Comunita'  Europee.  Legge   comunitaria   2009),   sostitutivo
dell'art. 11, comma 5, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' Europee. Legge comunitaria 2008). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI