N. 131 SENTENZA 3 - 7 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Obbligazioni - Norme della Regione Calabria -  Cessioni  dei  crediti
  vantati nei confronti della pubblica amministrazione  -  Previsione
  che le cessioni  di  credito  hanno  effetto  nei  confronti  della
  Regione Calabria qualora siano alla  stessa  notificate  presso  la
  sede legale ed accettate  con  provvedimento  del  dirigente  della
  struttura regionale  competente,  prima  della  liquidazione  della
  correlata spesa - Interferenza con la specifica regolamentazione di
  diritto privato speciale - Violazione della competenza  legislativa
  statale esclusiva in materia di ordinamento civile - Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8, art. 46. 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera l). 
(GU n.24 del 12-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  46
della legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8 (Ordinamento
del bilancio e della contabilita' della Regione  Calabria),  promosso
dal Tribunale ordinario di Catanzaro nel  giudizio  vertente  tra  la
Regione Calabria ed altro e la Publiday s.a.s.  di  I.A.  &  C.,  con
ordinanza del 22 novembre 2010,  iscritta  al  n.  275  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Udito nella camera di consiglio del 24  aprile  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro,   in   composizione
monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha  sollevato,  in
riferimento  all'articolo  117,  secondo  comma,  lettera  l),  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
46  della  legge  della  Regione  Calabria  4  febbraio  2002,  n.  8
(Ordinamento  del  bilancio  e  della  contabilita'   della   Regione
Calabria). 
    In punto di fatto,  il  rimettente  premette  che:  a)  con  atto
pubblico del 24 luglio 2007, M.F.G.,  quale  titolare  della  omonima
impresa individuale, cedeva alla Publiday s.a.s.  di  I.A.  &  C.  il
credito  di  euro  69.211,92  vantato  nei  confronti  della  Regione
Calabria, in corrispettivo di lavori di somma  urgenza  eseguiti  per
conto di tale  ente  ed  in  relazione  ai  quali  era  stato  emesso
certificato  di  regolare  esecuzione;  b)  l'atto  di  cessione  era
notificato   all'amministrazione   regionale,   dipartimento   lavori
pubblici, in data 8 agosto 2007;  c)  in  difetto  di  pagamento,  la
societa' cessionaria richiedeva la pronuncia di  decreto  ingiuntivo,
emesso  il  10  luglio  2008;  d)  la  Regione   Calabria   proponeva
opposizione,  eccependo,  in  via  preliminare,  l'inefficacia  della
cessione di credito non accettata dalla amministrazione regionale; e)
la societa' creditrice si costituiva  nel  giudizio  di  opposizione,
insistendo nella domanda proposta in via  monitoria  e  chiedendo  di
essere autorizzata a chiamare in causa il sig. V.A., responsabile dei
procedimenti amministrativi  dai  quali  era  sorto  il  credito  poi
cedutole, affinche', in via subordinata, fosse accertata la validita'
del rapporto contrattuale intercorso tra la ditta M.F.G. ed  il  sig.
V.A., e quest'ultimo fosse  condannato  al  pagamento  integrale  del
debito nascente dalle fatture di cui agli  ordinativi  oggetto  della
controversia;  f)  autorizzata  la  chiamata  in  causa  del   terzo,
quest'ultimo si  costituiva  eccependo,  tra  l'altro,  l'inefficacia
della cessione di credito; g) autorizzato lo scambio  di  memorie  ai
sensi dell'art. 183  del  codice  di  procedura  civile,  all'udienza
dell'8 luglio 2010 era sollecitato il contraddittorio  tra  le  parti
sulla possibile esistenza di  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 46 della legge  della  Regione  Calabria  n.  8  del  2002,
autorizzando lo scambio, sul punto, di ulteriori memorie difensive. 
    Il giudice a quo trascrive il testo dell'art. 46 della legge  ora
citata, ai sensi del quale: «Le cessioni di credito hanno effetto nei
confronti della Regione qualora siano alla stessa  notificate  presso
la sede legale ed accettate con  provvedimento  del  dirigente  della
struttura  regionale  competente,  prima  della  liquidazione   della
correlata spesa». 
    Il rimettente rileva che dalla  citata  norma  risulta  come  non
abbiano effetto nei confronti della Regione Calabria le  cessioni  di
credito che non siano state accettate, prima della liquidazione della
spesa, dal dirigente della struttura regionale competente. 
    In punto di rilevanza, il giudicante  osserva  che  occorre  fare
applicazione del detto art. 46, al fine  di  risolvere  la  questione
preliminare  di  merito   relativa   all'efficacia,   nei   confronti
dell'amministrazione pubblica regionale, della cessione  del  credito
verso la Regione Calabria,  intervenuta  tra  M.F.G.  e  la  Publiday
s.a.s. di I.A. & C. 
    Preliminarmente, il giudice a  quo  rileva  che  il  giudizio  di
opposizione a  decreto  ingiuntivo,  di  cui  e'  investito,  non  e'
improcedibile, benche' la causa sia stata iscritta a ruolo il settimo
giorno dalla notificazione del relativo atto. Sul punto,  afferma  di
non condividere il mutato orientamento di  cui  alla  sentenza  della
Corte di cassazione, resa a sezioni unite, il 9  settembre  2010,  n.
19246,  in  tema  di  improcedibilita'  dell'opposizione  a   decreto
ingiuntivo per costituzione dell'opponente  oltre  il  quinto  giorno
dalla  notificazione  ed  afferma  di  condividere   il   consolidato
orientamento  giurisprudenziale  precedente,  secondo  il  quale   il
termine  di  iscrizione  della  causa  a   ruolo,   nell'ipotesi   di
concessione all'opposto di termini a comparire non inferiori a quelli
ordinari, era di dieci giorni. 
    Il rimettente, al fine di  verificare  come  la  norma  censurata
incida sulla risoluzione della questione di merito,  ricostruisce  la
disciplina in materia di opponibilita' della  cessione  dei  crediti,
con  particolare  riferimento  ai  crediti  vantati   nei   confronti
dell'amministrazione pubblica. 
    Egli richiama la  regula  iuris  di  carattere  generale  di  cui
all'art. 1260 del codice civile, ai sensi  del  quale  «Il  creditore
puo' trasferire a titolo oneroso o gratuito  il  suo  credito,  anche
senza  il  consenso  del  debitore,  purche'  il  credito  non  abbia
carattere strettamente personale o il trasferimento non  sia  vietato
dalla legge». 
    Aggiunge che, in base all'art. 1264 cod.  civ.,  la  cessione  ha
effetto nei confronti  del  debitore  ceduto  quando  questi  l'abbia
accettata o, in alternativa, quando gli sia stata  notificata,  fermo
restando che il  debitore  il  quale  paga  al  cedente  prima  della
notificazione o dell'accettazione non e' liberato dal debito,  se  si
dia dimostrazione che era a conoscenza dell'avvenuta cessione. 
    Il giudicante sottolinea come,  al  momento  dell'emanazione  del
codice civile, era presente nell'ordinamento una specifica disciplina
in ordine alla cessione  dei  crediti  vantati  nei  confronti  delle
amministrazioni pubbliche. 
    L'art. 9, allegato E, della legge 20 marzo 1865, n.  2248  (Legge
sul   contenzioso    amministrativo-Allegato    E)    e    successive
modificazioni, stabiliva, in materia di contratti pubblici, che  «Sul
prezzo  dei  contratti  in  corso  non  potra'  avere  effetto  alcun
sequestro,   ne'   convenirsi   cessione,   se   non   vi    aderisca
l'amministrazione interessata». 
    L'art. 339, allegato F, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 (Legge
sui lavori pubblici-Allegato F) - abrogato dal decreto del Presidente
della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di  attuazione
della legge 11 febbraio 1994,  n.  109-legge  quadro  in  materia  di
lavori pubblici e successive modificazioni) -  sanciva:  «E'  vietata
qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano
riconosciute». 
    Il giudice a quo evidenzia  come  una  piu'  generale  disciplina
della   cessione   dei   crediti   vantati   nei   confronti    delle
amministrazioni  pubbliche  fosse  contenuta  nel  regio  decreto  18
novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni  sull'amministrazione  del
patrimonio  e  sulla  contabilita'  generale  dello  Stato),  di  cui
richiama gli artt. 69 e 70. 
    Il Tribunale  sottolinea  come,  in  questo  contesto  normativo,
sorgesse, in primo luogo, la questione se la disposizione  originaria
dell'art. 9, allegato E, della legge n. 2248  del  1865,  concernente
tutti i  contratti,  fosse  stata  confermata  da  quella  successiva
dell'art. 70 r.d. n. 2440 del 1923, oppure se il  legislatore  avesse
cosi'  inteso  restringere  la  portata  della  prima,  limitando  la
necessita' dell'adesione dell'amministrazione pubblica  soltanto  per
determinati crediti, cioe' per quelli  derivanti  dall'esecuzione  di
contratti di somministrazione, di appalto o di fornitura. 
    Il rimettente prosegue esponendo che quest'ultima tesi  e'  stata
ritenuta preferibile dalla Corte di cassazione, sezione terza civile,
con la sentenza 28 gennaio 2002, n. 981, in forza  del  principio  di
cui  all'art.  14  delle  disposizioni  sulla  legge   in   generale,
essenzialmente in base al  rilievo  che  la  disciplina  speciale  in
questione deroga a quella ordinaria, secondo la quale la cessione  ha
effetto nei  confronti  del  debitore  ceduto  in  conseguenza  della
semplice accettazione o notificazione. 
    La Corte suddetta, inoltre, ha ritenuto tale  soluzione  conforme
al principio per cui, nei rapporti nei quali  lo  Stato  agisce  iure
privatorum, le disposizioni che definiscono l'area di  incidenza  dei
privilegi della pubblica amministrazione, comportanti una restrizione
dell'autonomia negoziale dei privati, devono essere  interpretate  in
senso restrittivo, in linea con il precetto di cui all'art. 41, primo
comma, Cost. 
    Cio'  ha  comportato,  ad  avviso  della  Corte  di   cassazione,
l'abrogazione  del  citato  art.  9,  ai  sensi  dell'art.  15  delle
disposizioni sulla legge in generale, per tutti i casi in cui non  e'
espressamente richiamato dall'art. 70 del r.d. n. 2440 del 1923. 
    Il rimettente sottolinea come, alla stregua di quanto esposto, il
divieto di cessione senza l'adesione della  pubblica  amministrazione
si applicasse,  in  definitiva,  solo  ai  rapporti  di  durata  come
l'appalto e la somministrazione (o la fornitura), rispetto  ai  quali
il legislatore aveva ravvisato, in deroga al principio generale della
cedibilita' dei crediti anche senza il consenso  del  debitore  (art.
1260 cod. civ.), l'esigenza di garantire con questo mezzo la regolare
esecuzione, evitando che, durante la medesima, potessero venire  meno
le risorse finanziarie al soggetto obbligato e, cosi', potesse essere
compromessa   l'ulteriore   regolare   prosecuzione   del    rapporto
(Cassazione, sezione prima civile,  sentenza  18  novembre  1994,  n.
9789). 
    Il giudice a quo evidenzia come,  secondo  la  giurisprudenza  di
legittimita' (Cassazione, sezione terza civile, sentenza 21 settembre
2005, n. 18610), la disciplina sopra richiamata trovasse applicazione
non solo nei confronti delle amministrazioni dello  Stato,  ma  anche
degli altri enti pubblici, in tal  senso  deponendo  sia  la  portata
generale di tali disposizioni  -  confermata  dal  riferimento  delle
predette leggi anche ai beni ed alle attivita' di enti diversi  dallo
Stato, nonche' dalle norme secondarie che le estendevano ai Comuni ed
alle Province -  sia  il  comune  scopo  delle  norme  in  questione,
consistente nel garantire la regolare  esecuzione  dei  contratti  di
durata in esse considerati, impedendo che, nel  corso  degli  stessi,
l'appaltatore potesse privarsi dei mezzi finanziari erogatigli  dalla
pubblica amministrazione secondo lo stato di avanzamento dei lavori e
lo sviluppo delle forniture. 
    Il     rimettente     richiama,     altresi',      l'orientamento
giurisprudenziale  (Cassazione,  sezione  prima  civile,  sentenza  8
maggio 2008, n. 11475; sezione  terza  civile,  sentenza  6  febbraio
2007, n. 2541) secondo  cui  la  deroga  al  principio  della  libera
cedibilita' dei crediti,  essendo  intesa  ad  evitare  che,  durante
l'esecuzione del  contratto,  potessero  venire  a  mancare  i  mezzi
finanziari al soggetto obbligato alla  prestazione  in  favore  della
pubblica  amministrazione,  cessava  alla  conclusione  del  rapporto
contrattuale - come si desumeva dall'inciso «contratti  in  corso»  -
con la conseguenza che risultavano opponibili all'amministrazione  le
cessioni di credito fatte valere e  realizzate  senza  la  preventiva
adesione, purche' intervenute dopo la conclusione del rapporto. 
    Peraltro, ad avviso della giurisprudenza di legittimita', in tema
di  appalto  di  opere  pubbliche  il  contratto  cessa   di   essere
considerato  in  corso  soltanto  a   seguito   dell'espletamento   e
dell'approvazione   del   collaudo   da    parte    della    pubblica
amministrazione, costituendo tale approvazione  lo  strumento  legale
con il quale le conclusioni  dell'appaltatore  sono  accettate  dalla
amministrazione con conseguente obbligo della medesima  di  liquidare
il corrispettivo sulla base dell'importo determinato in quella  sede.
Solo in tale momento puo' ritenersi esaurito il rapporto contrattuale
e superata la ragione della deroga. 
    Il Tribunale rileva come, in questo contesto normativo, sia stato
introdotto l'art. 26, comma 5, della legge 11 febbraio 1994,  n.  109
(Legge quadro in materia di lavori pubblici), ai sensi del quale  «Le
disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 , sono  estese
ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da  contratti
di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da
contratti di progettazione nell'ambito della realizzazione di  lavori
pubblici». 
    Il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre  1999,  n.
554 (Regolamento di attuazione  della  legge  quadro  in  materia  di
lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive  modificazioni)
disponeva: «Ai sensi dell'articolo  26,  comma  5,  della  legge,  le
cessioni di  crediti  vantati  nei  confronti  delle  amministrazioni
pubbliche  a  titolo  di  corrispettivo  di  appalto  possono  essere
effettuate dagli  appaltatori  a  banche  o  intermediari  finanziari
disciplinati dalle leggi in materia bancaria  e  creditizia,  il  cui
oggetto sociale preveda l'esercizio  dell'attivita'  di  acquisto  di
crediti di impresa. 
    La cessione  deve  essere  stipulata  mediante  atto  pubblico  o
scrittura   privata   autenticata   e    deve    essere    notificata
all'amministrazione debitrice. 
    La cessione del credito da corrispettivo di appalto  e'  efficace
ed opponibile alla pubblica amministrazione  qualora  questa  non  la
rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario
entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2. 
    L'amministrazione  pubblica,  al  momento   della   stipula   del
contratto o  contestualmente,  puo'  preventivamente  riconoscere  la
cessione da parte dell'appaltatore di tutti o di  parte  dei  crediti
che devono venire a maturazione. 
    In  ogni  caso,  l'amministrazione   ceduta   puo'   opporre   al
cessionario tutte le eccezioni  opponibili  al  cedente  in  base  al
contratto di appalto». 
    Il giudice a quo rileva come la disciplina risultante dalla legge
e dal regolamento sia stata  sostanzialmente  integrata  nel  decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle  direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), peraltro ritenuto non applicabile  al  caso
di specie in quanto successivo all'avvenuta cessione di credito. 
    Il Tribunale sottolinea che la  giurisprudenza  di  legittimita',
coordinando l'innovativa disciplina dettata a  partire  dal  1994  in
materia di appalti pubblici con quella gia' in  vigore,  ha  concluso
nel senso che l'estensione ai crediti  vantati  nei  confronti  delle
pubbliche amministrazioni  (derivanti  da  contratti  di  appalto  di
lavori pubblici) delle previsioni della legge 21 febbraio 1991, n. 52
(Disciplina della  cessione  dei  crediti  di  impresa),  derogatorie
rispetto  alla  disciplina  comune  prevista  dal  codice  civile  ed
applicabili a condizione che  il  cessionario  sia  una  banca  o  un
intermediario  finanziario,  non  avrebbe  significato  l'abrogazione
delle norme speciali che regolavano in  precedenza  la  cessione  dei
crediti  nei  confronti  della  pubblica  amministrazione.  Pertanto,
continuerebbe ad essere applicabile  la  normativa  speciale  di  cui
all'art. 9, allegato E,  della  legge  n.  2248  del  1865,  nonche',
trattandosi di contratto della pubblica  amministrazione,  quella  di
cui agli artt. 69 e 70 del r.d. n. 2440 del 1923 (Cassazione, sezione
prima civile, sentenza 24 settembre 2007, n. 19571). 
    Il giudice a quo, schematizzando quanto sopra enunciato,  precisa
che, in ragione delle norme di diritto privato  speciale  applicabili
all'amministrazione pubblica, si possono avere le  seguenti  ipotesi:
1) cessione a soggetto non qualificato, ai sensi della  legge  n.  52
del  1991,  di  crediti  vantati   nei   confronti   della   pubblica
amministrazione,   derivanti   da   contratti    non    relativi    a
"somministrazioni, forniture ed appalti" ovvero,  pur  rientranti  in
tale categoria, non piu' in corso  di  esecuzione:  la  cessione,  ai
sensi dell'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923,  ha  efficacia  quando,
redatta in forma solenne, e' notificata all'amministrazione  centrale
ovvero  all'ente,  ufficio  o  funzionario  cui  spetta  ordinare  il
pagamento; 2) cessione a soggetto non  qualificato,  ai  sensi  della
legge n. 52 del 1991, di crediti vantati nei confronti della pubblica
amministrazione derivanti da contratti relativi a  "somministrazioni,
forniture ed appalti" ancora in corso di esecuzione: la cessione,  ai
sensi dell'art. 70 del r.d. n. 2240 del 1923 e dell'art. 9,  allegato
E della  legge  n.  2248  del  1865,  ha  efficacia  solo  a  seguito
dell'accettazione da parte dell'amministrazione pubblica; 3) cessione
a soggetto qualificato, ai sensi della  legge  n.  52  del  1991,  di
crediti  vantati  nei  confronti   della   pubblica   amministrazione
derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori:  la  cessione,
ai sensi dell'art. 117 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha efficacia se e'
stata preventivamente accettata dall'amministrazione nel contratto di
appalto o in altro atto separato e contestuale ovvero,  se  stipulata
in forma solenne e notificata all'amministrazione, non sia da  questa
rifiutata nel termine normativamente previsto; 4) cessione a soggetto
qualificato, ai sensi della legge n. 52 del 1991, di crediti  vantati
nei  confronti  della  pubblica  amministrazione  non  derivanti   da
contratti  di  servizi,  forniture  e  lavori:  e'   applicabile   la
disciplina di cui all'art. 69 del r.d. n. 2240 del 1923, per  cui  la
cessione  redatta  in  forma  solenne   deve   essere   semplicemente
notificata all'amministrazione. 
    Il rimettente osserva che la norma regionale censurata deroga  al
complesso    normativo    delineato,    "appiattendo"    l'articolata
regolamentazione di diritto privato speciale. Infatti, ai sensi della
detta norma, le cessioni dei crediti, qualunque sia la loro  origine,
in ogni tempo ed indipendentemente dalla natura del cessionario,  non
risultano opponibili all'amministrazione regionale se  non  accettate
da questa per il tramite  del  dirigente  del  competente  settore  e
sempre che la spesa non sia stata gia' liquidata. 
    Il Tribunale ritiene rilevante  la  questione,  dato  che,  nella
fattispecie concreta devoluta alla sua cognizione,  la  cessione  del
credito a soggetto non qualificato, ai sensi della legge  n.  52  del
1991,  in  mancanza  della  censurata  norma  regionale  derogatoria,
sarebbe stata certamente opponibile alla Regione Calabria, in  quanto
- pur essendo il credito relativo ad opere pubbliche - i  sottostanti
rapporti negoziali erano esauriti al momento della cessione, peraltro
regolarmente notificata all'amministrazione regionale. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a  quo  dubita
della legittimita' costituzionale  dell'art.  46  della  legge  della
Regione Calabria n. 8 del 2002, in riferimento all'evocato  parametro
costituzionale. 
    Il  rimettente  richiama  una  serie  di  pronunce  della   Corte
costituzionale, nelle quali si e' precisato  che  e'  sottratta  alla
potesta' legislativa  regionale  l'emanazione  di  norme  di  diritto
privato (cosi' intendendosi le norme  oggetto  di  codificazione,  ma
anche le norme extravagantes regolanti i rapporti tra le parti che si
pongano su un piano paritario) e, in particolare, di regole  inerenti
alla disciplina dei contratti, delle obbligazioni,  della  proprieta'
intellettuale e delle garanzie patrimoniali. 
    Alla luce di tale giurisprudenza, il giudicante  sottolinea  come
il censurato art. 46 della legge della Regione Calabria n. 8 del 2002
- al contrario di quanto sostenuto, nel giudizio a quo, dalla  difesa
regionale - pone  una  regola  che  non  si  riferisce  alla  materia
dell'ordinamento  contabile  della  Regione,  ovvero  alla  «gestione
finanziaria ed economica della  Regione»  (art.  1,  comma  2,  della
medesima legge regionale n.  8  del  2002),  ma  incide  direttamente
sull'efficacia della cessione dei crediti verso l'amministrazione  ed
e', pertanto, volta a disciplinare i rapporti privatistici. 
    Il  rimettente   esclude   che,   attraverso   un'interpretazione
adeguatrice e costituzionalmente orientata, la norma censurata  possa
essere diversamente intesa, attribuendole  un  significato  tale  che
essa non vada ad esplicare effetti  sull'ordinamento  civile,  ma  su
ambiti diversi. 
    Infine, il giudice a quo sottolinea la legittimazione del giudice
comune a sollevare la questione di legittimita' costituzionale  anche
in relazione al parametro costituzionale che  disciplina  il  riparto
delle competenze legislative tra Stato e Regioni, benche' il  Governo
non abbia proposto  detta  questione  in  via  principale,  ai  sensi
dell'art. 127, primo  comma,  Cost.  (sul  punto,  e'  richiamata  la
sentenza n. 370 del 2008). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro,   in   composizione
monocratica,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dubita,   in
riferimento  all'articolo  117,  secondo  comma,  lettera  l)   della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  46
della legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8 (Ordinamento
del bilancio e della contabilita' della Regione Calabria),  il  quale
disciplina le cessioni di credito. 
    Ad avviso del rimettente, detta disposizione violerebbe l'evocato
parametro, nella  materia  dell'ordinamento  civile,  riservata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    Infatti - premesso che e'  sottratta  alla  potesta'  legislativa
regionale  la  emanazione  di  norme  di  diritto   privato   e,   in
particolare, di regole inerenti alla disciplina dei contratti,  delle
obbligazioni  e  delle  garanzie  patrimoniali  -   la   disposizione
censurata, nel disporre che non hanno  effetto  nei  confronti  della
Regione Calabria le cessioni di  credito  che  non  siano  accettate,
prima della liquidazione della correlata spesa, dal  dirigente  della
struttura regionale competente, verrebbe ad incidere in via  diretta,
"appiattendo" l'articolata regolamentazione  del  cosiddetto  diritto
privato speciale, sull'efficacia della cessione dei  crediti  vantati
nei confronti  della  pubblica  amministrazione  e,  pertanto,  sulla
disciplina  dei  rapporti  privatistici,  sottratti   alla   potesta'
legislativa regionale. 
    2.- In via preliminare, si deve osservare che, come il rimettente
rileva, la  causa  di  opposizione  a  decreto  ingiuntivo  e'  stata
iscritta a ruolo sette giorni  dopo  la  notificazione  del  relativo
atto. Il Tribunale, pero', «ritiene che essa  non  sia  improcedibile
(secondo quanto invece ritenuto in un  obiter  dictum  da  Cassazione
civile, sezioni unite, 9 settembre 2010, n. 19246), nel qual caso  si
porrebbe  nell'oblio  dell'irrilevanza  la  questione  che  quivi  si
solleva. Infatti, la posizione della Suprema Corte - non vincolante -
non appare condivisibile  [in  tal  senso,  nella  giurisprudenza  di
questa Autorita' giudiziaria: Tribunale di Catanzaro, sezione seconda
civile, ordinanza del 4 novembre 2010 (...)] e, comunque, tale da non
comportare un giudizio di tardivita' della costituzione  della  parte
opponente  che  confidava  sul  precedente,   costante   orientamento
giurisprudenziale per il quale il  termine  di  iscrizione  a  ruolo,
nell'ipotesi di concessione all'opposto di termini  a  comparire  non
inferiori a quelli ordinari, era  di  dieci  giorni  (sull'overruling
della giurisprudenza di legittimita' e sulla non imputabilita'  degli
errori di diritto commessi sulla base dell'orientamento smentito cfr.
Cass. civ., Sez. II, 17 giugno 2010 n. 14627)». 
    Al riguardo, va rilevato che, in epoca  successiva  all'ordinanza
di rimessione, e' entrata in vigore, in  data  20  gennaio  2012,  la
legge  29  dicembre  2011,  n.  218  (Modifica  dell'articolo  645  e
interpretazione autentica dell'articolo 165 del codice  di  procedura
civile  in  materia  di  opposizione  a   decreto   ingiuntivo).   In
particolare,  l'art.  1  della  citata  legge,  intitolato  «Modifica
all'articolo 645 del codice di  procedura  civile»,  ha  disposto  la
soppressione nel secondo comma di detta  norma  delle  parole  «ma  i
termini di comparizione sono ridotti  a  meta'».  Inoltre,  l'art.  2
della legge medesima, recante «Disposizione transitoria», ha previsto
che «Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in  vigore  della
presente legge, l'art. 165, primo  comma,  del  codice  di  procedura
civile si interpreta nel  senso  che  la  riduzione  del  termine  di
costituzione  dell'attore  ivi  prevista  si  applica,  nel  caso  di
opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato
all'opposto un termine di comparizione  inferiore  a  quello  di  cui
all'articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice». 
    Nel caso in esame, il giudizio a quo era certamente pendente alla
data di entrata in vigore della citata legge, mentre, come si  desume
dall'ordinanza  di  rimessione,  all'opposto  erano  stati   concessi
termini a comparire non inferiori a quelli ordinari. Ne deriva che al
detto giudizio e' applicabile la normativa sopravvenuta,  sicche'  il
profilo messo in luce dal rimettente non ha piu' ragion d'essere. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    La  disposizione  censurata,  sotto  la  rubrica   «Cessioni   di
credito», stabilisce che: «Le cessioni di credito hanno  effetto  nei
confronti della Regione qualora siano alla stessa  notificate  presso
la sede legale ed accettate con  provvedimento  del  dirigente  della
struttura  regionale  competente,  prima  della  liquidazione   della
correlata spesa». 
    Al riguardo, si deve osservare che la cessione dei crediti e'  un
istituto proprio del diritto civile e trova la  sua  prima  fonte  di
disciplina nel relativo codice (artt. da 1260 a 1267).  Essa  rientra
nel novero delle modificazioni soggettive del  rapporto  obbligatorio
dal lato attivo e risponde all'esigenza di  regolare  le  fattispecie
nelle quali si debba  trasferire  non  una  cosa  ma  un  diritto  di
credito. Dalla stessa esigenza e' nata la possibilita' di incorporare
il credito in un documento, attuando  la  cessione  con  la  semplice
dazione del documento stesso: e' il caso dei  titoli  di  credito  e,
segnatamente, della cambiale. 
    In particolare, l'art. 1260, primo comma, cod. civ., dispone  che
«Il creditore puo' trasferire a titolo  oneroso  o  gratuito  il  suo
credito, anche senza il consenso del debitore, purche' il credito non
abbia carattere strettamente personale o  il  trasferimento  non  sia
vietato dalla legge». L'art. 1264, primo comma, cod. civ.  stabilisce
che «La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto  quando
questi l'ha accettata o quando gli e' stata notificata». 
    A  fianco  della   citata   disciplina   generale   del   codice,
l'ordinamento civile prevede  varie  normative  speciali,  dirette  a
regolare determinate categorie  di  crediti.  Si  possono  ricordare,
oltre al settore dei titoli di credito cui dianzi si e' fatto  cenno,
i crediti d'impresa per i quali la  cessione  e'  disciplinata  dalla
legge 21 febbraio 1991, n. 52 (Disciplina della cessione dei  crediti
di impresa), le cui disposizioni sono richiamate  dall'art.  117  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE)  e  l'articolata  regolamentazione
statale della  cessione  dei  crediti  vantati  nei  confronti  della
pubblica amministrazione (richiamata nell'ordinanza di  rimessione  e
in narrativa). 
    Con riferimento a tale  ultima  categoria  di  crediti,  si  deve
sottolineare che le loro  caratteristiche  peculiari  non  giovano  a
sottrarli alla materia dell'ordinamento civile. Tali caratteristiche,
infatti, attengono alla necessita' di particolari requisiti di forma,
oppure a talune deroghe alla disciplina  stabilita  dalle  norme  del
codice civile, ma non incidono sullo schema legale della cessione  e,
soprattutto, non fanno venir meno la natura negoziale di essa. 
    Orbene, questa Corte ha piu' volte  affermato  che  l'ordinamento
del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale,
in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio  costituzionale
di eguaglianza, di garantire sul territorio  nazionale  l'uniformita'
della disciplina dettata  per  i  rapporti  tra  privati.  Il  limite
dell'ordinamento civile, quindi, identifica  un'area  riservata  alla
competenza  esclusiva  della  legislazione  statale  e  comprende   i
rapporti tradizionalmente  oggetto  di  codificazione  (ex  plurimis:
sentenze n. 123 del 2010, n. 295 e n. 160 del 2009, n. 326  e  n.  51
del 2008). 
    La disposizione censurata, introducendo  -  per  le  cessioni  di
credito vantate nei confronti della Regione Calabria -  una  apposita
disciplina, supera il  suddetto  limite  dell'ordinamento  civile  e,
quindi, viola l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Di essa, pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'articolo  46  della
legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8  (Ordinamento  del
bilancio e della contabilita' della Regione Calabria). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI