N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 maggio 2013

Ordinanza del 17 maggio 2013 emessa dalla  Corte  di  cassazione  sul
ricorso proposto  da  Bozzi  Aldo  ed  altri  contro  Presidenza  del
Consiglio dei ministri e Ministero dell'interno . 
 
Elezioni - Elezioni per la  Camera  dei  deputati  -  Previsione  che
  qualora la coalizione di liste o la singola lista che  ha  ottenuto
  il  maggior  numero  di  voti  validi  espressi,  non  abbia   gia'
  conseguito almeno 340 seggi, ad essa viene attribuito il numero  di
  seggi necessario per raggiungere tale consistenza (c.d. "premio  di
  maggioranza")  -  Irragionevolezza  -  Lesione  del  principio   di
  uguaglianza del voto - Violazione del principio  di  rappresentanza
  democratica. 
- D.P.R. 30 marzo 1957, n.  361,  art.  83,  commi  primo,  n.  5,  e
  secondo. 
- Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, e 67. 
Elezioni - Elezioni per il Senato della Repubblica -  Previsione  che
  nel caso la coalizione o  la  singola  lista  che  ha  ottenuto  il
  maggiore  numero  di  voti  validi   espressi   nell'ambito   della
  circoscrizione  non  abbia  conseguito  almeno  il  55%  dei  seggi
  assegnati alla Regione, con  arrotondamento  all'unita'  superiore,
  l'Ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di  liste  o
  alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti  un
  numero di seggi ulteriore necessario per  raggiungere  il  55%  dei
  seggi  assegnati  alla  Regione,  con   arrotondamento   all'unita'
  superiore (cosiddetto "premio di maggioranza") -  Irrazionalita'  -
  Violazione del principio di uguaglianza del voto. 
- Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, art. 17, commi 2 e 4. 
- Costituzione, artt. 3 e 48, comma secondo. 
Elezioni - Elezioni per la Camera dei deputati - Prevista  disciplina
  delle  modalita'  di  espressione  del  diritto  di  voto  mediante
  attribuzione dello stesso a liste di candidati  concorrenti,  senza
  possibilita' per l'elettore di espressione del voto  di  preferenza
  previsto dalla normativa precedente - Irrazionalita'  -  Violazione
  del principio di uguaglianza del voto -  Violazione  del  principio
  del concorso dei partiti  politici  alla  espressione  del  voto  -
  Violazione del principio del  suffragio  diretto  -  Violazione  di
  obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, artt. 4, comma secondo, e  59,  primo
  comma. 
- Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, 49, 56,  primo  comma,  e
  117, primo comma. 
Elezioni -  Elezioni  per  il  Senato  della  Repubblica  -  Prevista
  disciplina delle modalita'  di  espressione  del  diritto  di  voto
  mediante contrassegno sulla lista prescelta, senza possibilita'  di
  espressione  del  voto  di  preferenza  previsto  dalla   normativa
  precedente  -  Irrazionalita'  -  Violazione   del   principio   di
  uguaglianza del voto - Violazione del principio  del  concorso  dei
  partiti  politici  alla  espressione  del  voto  -  Violazione  del
  principio  del  suffragio  diretto   -   Violazione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, art. 14, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 48, comma secondo, 49, 58,  primo  comma,  e
  117, primo comma. 
(GU n.25 del 19-6-2013 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
n. 18249-2012 proposto da: 
        Bozzi Aldo (c.f. BZZLDA34C12H501E), Setti Andrea Franco (c.f.
STTNRF45E11F205O),   Posa   Massimiliano   (c.f.   PSOMSM66B05F839U),
Salatino  Maria  (c.f.  SLTMRA41R44F839G),  Di  Maro   Biagio   (c.f.
DMRBGI58E27F799W), Nidasio Daniela (c.f. NDSDNL47C50F205P), Porqueddu
Giuseppe   (c.f.   PRQGPP35T06G962Z),   Oliviero   Gianfranco   (c.f.
LVRGFR65R03F839W), Franciosi Carla (c.f.  FRNCRL47L48H803R),  Barbera
Annagrazia  (c.f.   BRBNGR48L49B041K),   Esposito   Maddalena   (c.f.
SPSMDL71L56G812M), Pinto Federica  (c.f.  PNTFRC91E71F839B),  Moretti
Paolo (c.f. MRTPLA69T10E648U), Vetrano Giuseppe, Maniaci Fausto (c.f.
MNCSTF41D24L219L), Provenzali Gino (c.f.  PRVGNI38A04E897I),  Luciani
Luigi  (c.f.  LCNLGU49C11F051D),  Migliavacca   Bossi   Dario   (c.f.
MGLDRA48D18F205C), Di Somma Nicoletta (c.f.  DSMNLT64H56F839B),  Tani
Claudio  Stefano  (c.f.  TNACLD44A09B819K),  Brognoli  Michele  (c.f.
BRGMHL68B07B157F), Gallo Domenico (c.f.  GLLDNC52A01A309B),  Oliviero
Aldo (c.f. LVRLDA34A01F839H), Zecca Emilio  (c.f.  ZCCMLE34M25H501K),
Steccanella  Maurizio  (c.f.  STCMRZ35E16F257U),   Besostri   Felice,
elettivamente domiciliati in Roma, Via degli Scipioni, 268-A,  presso
l'avvocato Bozzi Giuseppe, che li rappresenta  e  difende  unitamente
agli avvocati Bozzi Aldo, Tani Claudio  Stefano,  giusta  procure  in
calce al ricorso, ricorrenti; 
    Contro  Presidenza  del   Consiglio   dei   ministri,   Ministero
dell'interno, intimati; 
    Avverso la sentenza n. 1419/2012 della Corte d'appello di Milano,
depositata il 24 aprile 2012; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
21 marzo 2013 dal Consigliere dott. Antonio Pietro Lamorgese; 
    Uditi, per i ricorrenti, gli avvocati Tani e Besostri Felice  con
delega, che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso; 
    Udito il P.M., in  persona  del  Sostituto  Procuratore  Generale
dott. Libertino Alberto Russo che ha concluso per l'accoglimento  del
ricorso e rimessione alla Corte costituzionale. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Nel novembre 2009 il sig. Aldo Sozzi, in qualita'  di'  cittadino
elettore, ha convenuto in giudizio, davanti al Tribunale  di  Milano,
la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'interno,
deducendo che nelle elezioni per la Camera  dei  deputati  e  per  il
Senato  della  Repubblica  svoltesi  successivamente  all'entrata  in
vigore della legge n. 270/2005 e, in particolare, nelle elezioni  del
2006 e 2008, egli aveva  potuto  esercitare  (e  potrebbe  esercitare
ancora nel futuro) il diritto di voto secondo  modalita'  configurate
dalla predetta legge in senso contrario a principi costituzionali del
voto «personale ed eguale, libero e segreto» (art. 48, coma 2, Cost.)
e «a suffragio universale e diretto» (artt. 56, comma 1, e 58,  comma
1, Cost.). 
    Nell'espressione del voto personale e diretto sarebbe  implicito,
a suo avviso, il  diritto  di  esprimere  la  preferenza  ai  singoli
candidati, possibilita' esclusa dalla  legge  elettorale  citata,  la
quale, attribuendo rilevanza all'ordine di inserimento dei  candidati
nella medesima lista, affida agli organi di partito  la  designazione
di coloro che devono essere nominati, con conseguente creazione di un
effettivo e concreto vincolo di  mandato  dell'eletto  nei  confronti
degli organi  di  partito  che  lo  hanno  prescelto,  in  violazione
dell'art. 67 Cost.  secondo  il  quale  ogni  membro  del  Parlamento
rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza  vincolo  di
mandato. 
    Inoltre il principio di  uguaglianza  del  voto  sarebbe  violato
dall'attribuzione di un «premio di maggioranza» alla lista che  abbia
ottenuto anche un solo voto in piu' delle  altre,  senza  nemmeno  la
previsione di una soglia minima in voti o  seggi,  con  l'effetto  di
riconoscere  un  valore  diverso  ai  singoli  voti,  a  seconda  che
rientrino nel «quoziente elettorale di maggioranza» o «di minoranza»,
e di attribuire a non significative  «minoranze»  uscite  dalle  urne
(anche ampiamente inferiori al 50%) ben 340 seggi alla  Camera  e  la
maggioranza qualificata del 55% dei seggi al Senato. 
    Il principio di uguaglianza del voto sarebbe violato anche per il
peculiare «premio  di  maggioranza»  attribuito  per  l'elezione  del
Senato su base regionale (essendo il numero dei  seggi  assegnati  ad
ogni  regione  proporzionale  alla  popolazione  residente,  il  voto
espresso  dall'elettore  residente  nelle   regioni   piu'   popolose
concorrerebbe all'attribuzione di un premio di maggioranza  ben  piu'
elevato di quello cui potrebbe concorrere  l'elettore  delle  regioni
meno   popolose).   Inoltre   arbitraria   sarebbe   la    previsione
dell'inserimento  nella  scheda  elettorale  del  nome  del  capo  di
ciascuna lista o coalizione, che avrebbe  l'effetto  di  coartare  la
liberta' del voto e di condizionare l'autonomia del Capo dello  Stato
nella nomina del Presidente del Consiglio di ministri. 
    L'attore ha chiesto quindi di dichiarare che il  suo  diritto  di
voto non puo' essere esercitato in modo libero e diretto, secondo  le
modalita' previste e garantite dalla Costituzione e dal Protocollo  l
della CEDU, nonche' nel rispetto delle forme e dei limiti concernenti
il potere del Presidente della Repubblica di nominare  il  Presidente
del  Consiglio  di  ministri,  e  di  conseguenza   ha   chiesto   di
ripristinarlo   secondo    modalita'    conformi    alla    legalita'
costituzionale. A tal fine, in relazione agli artt. 1,  comma  2;  3;
48, comma 2 e 4; 56, comma 1; 67; 117, comma 1; 138 Cost. e 3 Prot. 1
CEDU,   ha   eccepito,   in   via    incidentale,    l'illegittimita'
costituzionale, quanto all'elezione della Camera dei deputati,  degli
artt. 1, comma 1; 4, comma 2; 59; 83, commi 2, 3, 4 e 5,  del  d.P.R.
n. 361/1957, nel testo risultante dalla  legge  n.  270/2005;  quanto
all'elezione del Senato, degli artt. 14, 16, 17, 19, 27 del d.lgs. n.
533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005;  inoltre,  ha
eccepito l'illegittimita' costituzionale degli artt. 14-bis, comma 3,
del d.P.R. n. 361/1957 e 8 del d.lgs. n. 533/1993, nel testo vigente,
a causa della dedotta limitazione del  potere  del  Presidente  della
Repubblica. 
    Nel giudizio  di  primo  grado  sono  intervenuti  ad  adiuvandum
venticinque cittadini elettori e si sono costituiti la Presidenza del
Consiglio dei ministri e il Ministero dell'interno. 
    Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 aprile 2011, ha rigettato
le  eccezioni  preliminari  di  inammissibilita'  delle  domande  per
difetto di giurisdizione e insussistenza dell'interesse ad agire, nel
merito ha rigettato le domande giudicando manifestamente infondate le
proposte eccezioni di illegittimita' costituzionale. 
    Il giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Milano, nel
quale i convenuti  hanno  reiterato  le  eccezioni  preliminari  gia'
proposte, e' stato definito  con  sentenza  24  aprile  2012  che  ha
rigettato l'appello, giudicando manifestamente infondate le  proposte
questioni di costituzionalita'. Infatti, ad  avviso  dei  giudici  di
merito, il principio  del  voto  uguale  deve  intendersi  nel  senso
formale che «nell'urna ogni voto e' "uguale" agli altri voti,  ha  lo
stesso "valore" quale che sia il censo, il sesso o altra connotazione
del votante ed identica uguaglianza  di  "peso"  si  riscontra  nello
scrutinio e nei conteggi»; anche il principio del voto  diretto  deve
intendersi   nel   senso   formale   di   contribuire   «direttamente
all'elezione dei rappresentanti parlamentari, a differenza  di  altri
sistemi elettorali di secondo grado  in  cui  l'elettore  designa  un
proprio rappresentante a far parte di un collegio piu' ristretto  che
poi elegge  il  componente  dell'assemblea  legislativa»;  quanto  al
sistema delle cd. «liste bloccate»,  a  causa  dell'eliminazione  del
voto di preferenza,  la  corte,  premesso  che  la  Costituzione  non
garantisce ne' assicura il  voto  di  preferenza,  ha  osservato  che
rimane pur sempre la liberta' dell'elettore di scegliere tra l'una  e
l'altra lista in cui e' ricompreso  il  candidato  cui  eventualmente
avrebbe dato la preferenza; i dedotti effetti distorsivi sul consenso
elettorale (anche in relazione al premio di  maggioranza)  sono  solo
indiretti e non integrano lesioni costituzionali, ma hanno  rilevanza
come oggetto di valutazioni politiche ai  fini  dell'esercizio  della
discrezionalita' del legislatore; ne'  infine  e'  ravvisabile  alcun
pregiudizio delle  prerogative  del  Capo  dello  Stato  per  effetto
dell'indicazione del nominativo del  «capo  della  coalizione»  sulla
scheda elettorale. 
    Aldo  Bozzi  e  gli  altri  cittadini  elettori   ricorrono   per
cassazione formulando tre motivi illustrati da memoria. 
    La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e   il   Ministero
dell'interno non hanno svolto attivita' difensiva. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. - Nel primo motivo di ricorso,  logicamente  pregiudiziale,  i
ricorrenti imputano ai giudici di  appello  di  essersi  limitati  ad
esaminare e a rigettare la questione di legittimita'  costituzionale,
senza motivare la decisione di  rigetto  nel  merito  della  proposta
domanda di  accertamento,  in  tal  modo  violando  il  principio  di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e le
norme  che  prevedono  l'obbligo  di  motivazione  dei  provvedimenti
giurisdizionali (artt. 111, comma 6, Cost.;  132  n.  4  c.p.c.;  118
disp. att. c.p.c.), 
    1.1. - Il motivo e'  infondato,  La  Corte  territoriale,  avendo
rigettato le eccezioni di illegittimita' costituzionale  delle  norme
censurate della legge n. 270/2005, ha  implicitamente  rigettato  nel
merito la domanda proposta, escludendo la rilevanza  giuridica  della
dedotta  lesione  del  diritto  di   voto,   in   quanto   imputabile
all'esercizio   di   un   potere   (legislativo)   discrezionale    e
insindacabile in materia elettorale. 
    2. - Nel secondo motivo  i  ricorrenti  imputano  alla  corte  di
merito di avere erroneamente rigettato l'eccezione di  illegittimita'
costituzionale di norme nelle quali,  secondo  una  diffusa  opinione
dottrinaria,   sono   presenti   diversi   profili    intrinsecamente
irrazionali e "aspetti problematici" (Corte cost. n. 13/2012, n. 15 e
16/2008).  Essi  reiterano  l'istanza  di   rimessione   alla   Corte
costituzionale delle medesime  questioni  di  costituzionalita'  gia'
sollevate (in particolare con riguardo al  premio  di  maggioranza  e
alle  preferenze),  che  ritengono  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate. 
    Con riguardo all'attribuzione del premio di maggioranza  su  base
regionale, ne deducono ulteriormente l'irrazionalita' trattandosi  di
norme concernenti l'elezione di  un  parlamento  nazionale  che  deve
esprimere  un  governo  nazionale  (del  tutto  avulso  dai  consensi
riscossi in ogni singola regione) e  non  un  governo  regionale.  In
altri termini, il premio di maggioranza non verrebbe  a  premiare  il
partito o la coalizione che ha ottenuto il maggior numero di  voti  a
livello  nazionale,  ma  irragionevolmente  solo  quelli  che   hanno
ottenuto il maggior numero di voti nelle regioni piu'  popolose,  che
assegnano il maggior numero di seggi, con la conseguenza che esso  si
traduce  (e  si  e'  tradotto)  in  un  "premio  di  minoranza",  con
conseguente venir meno della  ratio  del  premio  che  e'  quella  di
favorire una maggiore  stabilita'  degli  esecutivi,  essendo  invece
favorita la ingovernabilita'. I ricorrenti  rilevano  infine  che  la
legge elettorale del Senato era stata modellata dal  legislatore  del
2005 sui  principi  della  contestuale  riforma  costituzionale  (che
prevedeva la creazione del "Senato federale") che successivamente  fu
bocciata all'esito del referendum confermativo del 25 giugno 2006. 
    3. - E' necessario, prima di entrare nel merito  delle  questioni
di costituzionalita', valutare se  sussista  in  capo  ai  ricorrenti
l'interesse (ex art. 100 c.p.c.) a proporre un'azione il cui  petitum
sostanziale e' diretto al riconoscimento della pienezza  del  diritto
di voto, quale diritto politico di rilevanza primaria, attraverso  la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  delle  norme  della
legge n. 270/2005 che, in tesi, ne  precludono  l'esercizio  in  modo
conforme alla Costituzione. 
    Il   tribunale,   decidendo   sull'eccezione   sollevata    dalle
Amministrazioni  convenute  nel  giudizio  di  merito,  ha   valutato
positivamente  l'interesse  ad   agire   in   capo   ai   ricorrenti,
implicitamente ritenendo "piu' ampia [la]  latitudine  dell'interesse
ad agire, della legittimazione e della facolta' di azione concessa  a
ogni elettore" (in tal senso e' Cass.  n.  4103/1982).  La  corte  di
appello, nel confermare "integralmente" la sentenza del tribunale, ha
rigettato l'eccezione che (come risulta dalla sentenza qui impugnata)
era stata riproposta in appello,  ma  le  Amministrazioni  non  hanno
svolto attivita' difensiva in questa sede di  legittimita'  e  quindi
non hanno proposto il ricorso incidentale  in  via  condizionata  che
sarebbe stato necessario per investire questa Corte  della  questione
della esistenza dell'interesse ad agire. 
    3.1. - E tuttavia, una volta riconosciuto  l'interesse  ad  agire
per ottenere il riconoscimento della pienezza del diritto di voto  in
conformita' della disciplina costituzionale, quale  diritto  politico
di rilevanza primaria, in funzione del  suo  esercizio  in  occasione
delle elezione per il rinnovo delle Camere, ci  si  deve  pur  sempre
confrontare con la possibile obiezione secondo cui  quella  in  esame
sarebbe un'azione di mero accertamento con l'unico fine  di  ottenere
dal giudice solo un "visto di  entrata"  per  l'accesso  al  giudizio
costituzionale, in tal modo rivelandosi  la  sua  pretestuosita'.  In
questa prospettiva sarebbe un'azione inammissibile,  per  difetto  di
meritevolezza  o  di  rilevanza  dell'interesse  azionato,   che   si
risolverebbe in una mera ed astratta prospettazione di un pregiudizio
incerto quantomeno nel quando  e  percio'  inidoneo  ad  assurgere  a
giuridica  consistenza,  in  quanto  strumentale  alla  soluzione  di
questioni di diritto soltanto in via teorica. 
    3.1.1. - A  prescindere  dal  rilievo  che  la  (indagine  sulla)
meritevolezza dell'interesse non costituisce un parametro  valutativo
richiesto a norma  dell'art.  100  c.p.c.  (a  differenza  di  quanto
previsto in materia negoziale dall'art. 1322, coma 2, c.c.), si  puo'
replicare che, ai fini della  proponibilita'  delle  azioni  di  mero
accertamento (ammesso che quella proposta  sia  realmente  tale),  e'
sufficiente l'esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva
sull'esatta portata dei diritti e degli  obblighi  scaturenti  da  un
rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto  tale
idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se  non  per
il tramite  del  richiesto  accertamento  giudiziale  della  concreta
volonta' della legge, senza che  sia  necessaria  l'attualita'  della
lesione di  un  diritto  (v.  Cass.  n.  13556  e  n.  4496/2008,  n.
1952/1976, n. 2209/1966). 
    Del resto, come  si  e'  detto,  e'  discutibile  che  si  tratti
realmente di un'azione di mero accertamento,  posto  che  l'interesse
dei ricorrenti non e' tanto quello di  sapere  di  non  avere  potuto
esercitare (nelle elezioni gia' svolte) e di  non  potere  esercitare
(nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale  di  voto  in  modo
conforme a Costituzione, ma e' quello di rimuovere un pregiudizio che
invero non e' dato da una mera situazione di  incertezza  ma  da  una
(gia' avvenuta) modificazione della realta' giuridica che postula  di
essere  rimossa  mediante   un'attivita'   ulteriore,   giuridica   e
materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente
il diritto di  voto  in  modo  pieno  e  in  sintonia  con  i  valori
costituzionali. In tal modo  ci  si  allontana  dall'archetipo  delle
azioni di mero accertamento per avvicinarsi  a  quello  delle  azioni
costitutive o di accertamento-costitutive. 
    Se cosi' e', senza affermare la natura in re ipsa  dell'interesse
ad agire in siffatte tipologie di azioni  (pure  predicata  da  parte
della dottrina), sarebbe ben difficile sostenere  che  l'accertamento
richiesto  abbia  ad  oggetto  una  questione  astratta  o  meramente
ipotetica o che si risolva nella mera richiesta di un  parere  legale
al giudice. 
    L'espressione del voto - attraverso la quale  si  manifestano  la
sovranita' popolare (art. 1, coma 2,  Cost.)  e  la  stessa  dignita'
dell'uomo - costituisce oggetto di un diritto inviolabile  (artt.  2,
48, 56 e 58 Cost., art. 3 prot. 1 CEDU) e "permanente" dei cittadini,
i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e
devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione.  Lo  stato
di incertezza al riguardo e' fonte di un pregiudizio concreto e  cio'
e' sufficiente per giustificare la  meritevolezza  dell'interesse  ad
agire in capo ai ricorrenti. 
    Una interpretazione della normativa elettorale che,  valorizzando
la tipicita' delle azioni previste in materia (di tipo impugnatorio o
concernenti l'ineleggibilita', la decadenza o l'incompatibilita'  dei
candidati),   escludesse   in   radice   ovvero   condizionasse    la
proponibilita' di azioni come quella  qui  proposta  al  maturare  di
tempi indefiniti o al verificarsi di condizioni  non  previste  dalla
legge (come, ad esempio,  la  convocazione  dei  comizi  elettorali),
entrerebbe in conflitto con i parametri costituzionali  (artt.  24  e
113,  comma  2)  della  effettivita'  e  tempestivita'  della  tutela
giurisdizionale (diversa potrebbe essere la conclusione nel  caso  in
cui sia invocato nel giudizio di merito il riconoscimento  preventivo
della pienezza del diritto di elettorato passivo, che si assuma  leso
da una legge incostituzionale che preveda  l'ineleggibilita',  quando
quel diritto non sia stato esercitato ne' contestato: quella  lesione
potrebbe materializzarsi soltanto dopo  che  il  consiglio  regionale
abbia deciso «sulle cause di ineleggibilita' dei propri  componenti»,
non potendo l'interesse ad agire desumersi dalla mera «intenzione» di
un cittadino di candidarsi in una competizione elettorale,  v.  Corte
cost. n. 84/2006). 
    3.2.  -  Si  potrebbe  ancora  obiettare  che  non  si   potrebbe
distinguere tra l'oggetto del giudizio di merito principale e  quello
del  giudizio  avente  ad  oggetto   l'esame   della   questione   di
costituzionalita'. In altri termini, non vi sarebbe  la  possibilita'
di configurare la questione  di  costituzionalita'  come  incidentale
rispetto ad un giudizio principale che non  sarebbe  suscettibile  di
essere definito con una pronuncia di merito. 
    Ci   si   riferisce   evidentemente   alla   tesi   secondo   cui
l'incidentalita' che caratterizza il  giudizio  costituzionale  esige
una maggiore ampiezza del giudizio a quo e, dunque, la necessita'  di
una statuizione ulteriore da parte del giudice di merito in relazione
alla domanda proposta, pur dopo che  la  Corte  costituzionale  abbia
deciso  la  questione  di   costituzionalita'.   Questa   statuizione
ulteriore costituisce il segno ineludibile che la questione e'  stata
sollevata,   appunto,   davvero   in   via   incidentale    e    non,
surrettiziamente,  in  via  principale,  perche'  altrimenti  sarebbe
violato il divieto di accesso diretto alla Corte  costituzionale  che
distingue il  nostro  ordinamento  da  altri  ordinamenti  dove  tale
accesso e' consentito (l'art. 23 della legge  11  marzo  1953  n.  87
stabilisce che e' possibile sollevare una questione  di  legittimita'
costituzionale «nel corso di un giudizio  dinanzi  ad  una  autorita'
giurisdizionale» e «qualora il giudizio  non  possa  essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione»). 
    La tesi sopra ricordata (elaborata  rispetto  al  problema  della
c.d. fictio litis) e' condivisibile nella misura in cui il giudizio a
quo deve effettivamente essere mirato a far ottenere  un  bene  della
vita  proprio  o  comunque  «concettualmente»   distinguibile   dalla
caducazione  della  norma  di  legge  all'esito   del   giudizio   di
costituzionalita', e cosi' non e' nei casi  in  cui  il  petitum  del
giudizio di merito consista esclusivamente nell'impugnazione  diretta
di  una  norma  di  legge   ritenuta   incostituzionale.   La   Corte
costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale che costituiscano «l'oggetto esclusivo del giudizio  a
quo» (n. 256/1982, n. 127/1998), nei casi in cui non sia  ravvisabile
alcuna questione  di  merito  (n.  214/1986),  o  non  sia  possibile
individuare,  venuta  meno  la  norma  censurata,  un   provvedimento
ulteriore emanabile dal giudice a quo per realizzare la tutela  della
situazione  giuridica  fatta  valere  dal  ricorrente  nel   processo
principale (n. 175/2003, n. 38/2009). 
    3.2.1. - A queste obiezioni i giudici di merito  hanno  replicato
evidenziando che la proposta questione di legittimita' costituzionale
«non esaurisce la controversia di merito» ed ha rispetto ad essa  una
«portata piu' ampia in quanto introdotta mediante la formulazione  di
una   domanda   di   accertamento».   Questa    e'    un'affermazione
sostanzialmente condivisibile. Infatti non potrebbe ritenersi che  vi
sia coincidenza (sul piano fattuale e giuridico) tra  il  dispositivo
della sentenza costituzionale e quello della sentenza  che  definisce
il giudizio di merito. Quest'ultima accerta  l'avvenuta  lesione  del
diritto azionato e, allo stesso tempo, lo ripristina  nella  pienezza
della  sua  espansione,  seppure  per  il  tramite   della   sentenza
costituzionale. Il punto merita una riflessione ulteriore. 
    3.2.2.- Si deve considerare che  l'autonomia  tra  l'oggetto  del
giudizio di merito e di quello costituzionale risulta  piu'  evidente
nelle  azioni  di  condanna,  ma  non  scompare   nelle   azioni   di
accertamento    e,    a,    maggior    ragione,    in    quelle    di
accertamento-costitutive. 
    Come osservato da una autorevole  dottrina,  ci  sono  leggi  che
creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a
determinati soggetti, i quali nel momento  stesso  in  cui  la  legge
entra in vigore si trovano gia' pregiudicati da esse,  senza  bisogno
dell'avverarsi di un fatto che trasformi l'ipotesi legislativa in  un
concreto  comando.  In  tali  casi  l'azione  di  accertamento   puo'
rappresentare   l'unica   strada   percorribile   per    la    tutela
giurisdizionale di  diritti  fondamentali  di  cui,  altrimenti,  non
sarebbe  possibile  una  tutela  ugualmente   efficace   e   diretta.
L'esistenza nel nostro ordinamento di un filtro  per  l'accesso  alla
Corte  costituzionale,  che  e'  subordinato  alla  rilevanza   della
questione  di  costituzionalita'  rispetto  alla  definizione  di  un
giudizio comune, di certo  non  puo'  tradursi  in  un  ostacolo  che
precluda quell'accesso qualora  si  debba  rimuovere  un'effettiva  e
concreta   lesione   di   valori    costituzionali    primari.    Una
interpretazione  in  senso  opposto  indurrebbe  a   dubitare   della
compatibilita' del medesimo art. 23 della legge n. 87/1953 con l'art.
134 Cost. (v. Corte cost. n. 130/1971). 
    3.2.3. - E' necessario tenere presente  che  il  requisito  della
rilevanza  «va  valutato   allo   stato   degli   atti   al   momento
dell'emanazione  dell'ordinanza  di  rimessione»  (Corte   cost.   n.
367/1991), esso riguardando «solo  il  momento  genetico  in  cui  il
dubbio  di  costituzionalita'  viene  sollevato»  (Corte   cost.   n.
110/2000), «essendo irrilevante questione di fatto se  le  parti  del
giudizio a  quo  si  possano  o  meno  giovare  degli  effetti  della
decisione con la quale si e'  chiuso  il  giudizio  medesimo»  (Corte
cost. n. 241/2008), ne' ha effetti sulla  rilevanza  della  questione
«l'avvenuto svolgimento della competizione elettorale»  (Corte  cost.
n. 236/2010). La medesima Corte ha puntualizzato che «nel giudizio di
legittimita' costituzionale in via incidentale, la circostanza che la
dedotta  incostituzionalita'  di  una  o   piu'   norme   legislative
costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a  quo,  non
impedisce di considerare sussistente il  requisito  della  rilevanza,
ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale  un  petitum
separato e distinto dalla questione di  legittimita'  costituzionale,
sul quale il giudice rimettente sia chiamato a  pronunciarsi»  (Corte
cost. n. 4/2000). 
    Anche la giurisprudenza della Cassazione  e'  nel  senso  che  la
questione di  costituzionalita'  puo'  formare  oggetto  autonomo  di
impugnazione quando, attraverso la sua riproposizione,  si  tenda  ad
ottenere, per effetto dell'eliminazione dall'ordinamento della  norma
denunciata,  una  decisione  diversa  e  piu'  favorevole  di  quella
adottata dalla  sentenza  impugnata  (v.,  tra  le  altre,  Cass.  n.
5775/1987). 
    Fallace sarebbe quindi l'obiezione  (cui  si  e'  gia'  in  parte
risposto  al  p.  3.2.1)  secondo  cui   l'eventuale   pronuncia   di
accoglimento della Corte cost. verrebbe a consumare ex se  la  tutela
richiesta al giudice remittente, nella successiva fase  del  giudizio
principale, con l'effetto di escludere l'incidentalita' del  giudizio
costituzionale. Infatti, il giudizio sulla rilevanza va  fatto,  come
si e' detto, nel momento in cui il  dubbio  di  costituzionalita'  e'
posto, dalla cui dimostrata fondatezza (per  effetto  della  sentenza
della Corte costituzionale) e' possibile avere solo  una  conferma  e
non certo una smentita  della  correttezza  di  quel  giudizio  sulla
rilevanza. 
    4. - Sebbene  la  questione  di  giurisdizione  sia  coperta  dal
giudicato interno (l'eccezione e'  stata  rigettata  dai  giudici  di
merito e non riproposta in questa sede) e' opportuno evidenziare  che
la  conclusione   qui   raggiunta,   in   ordine   all'ammissibilita'
dell'azione introdotta avanti al giudice ordinario, non  collide  con
la competenza riservata alle  Camere  tramite  le  rispettive  Giunte
parlamentari (art. 66 Cost.), alle quali  spetta  di  conoscere  ogni
questione concernente le operazioni elettorali, ivi  comprese  quelle
relative  all'ammissione  delle  liste  in   materia   di   convalida
dell'elezione dei propri componenti, nonche' al  giudizio  definitivo
su ogni contestazione,  protesta  o  reclamo  presentati  ai  singoli
Uffici elettorali circoscrizionali e all'Ufficio centrale durante  la
loro attivita' o posteriormente (v. Cass., sez. un., n. 3731/2013, n.
9151/2008).  Tale  competenza,  infatti,  non  interferisce  con   la
giurisdizione del giudice naturale dei  diritti  fondamentali  e  dei
diritti politici in particolare, che e' il giudice  ordinario,  senza
bisogno di invocare il pur vigente art. 2 della legge  n.  2248/1865,
all.  E  (non  essendo  parte   nella   controversia   una   Pubblica
amministrazione intesa come articolazione del potere esecutivo). 
    5. - Venendo ad esaminare il secondo motivo di ricorso,  si  deve
valutare se siano non manifestamente infondate le proposte  questioni
di legittimita' costituzionale della legge elettorale n. 270/2005, di
cui si e' riconosciuta la rilevanza, non potendo  il  giudizio  sulla
dedotta lesione del diritto di voto essere definito indipendentemente
da esse. 
    A seguire la tesi espressa dai giudici  di  merito,  i  quali  le
hanno  giudicato  manifestamente  infondate,  sul  presupposto  della
particolare  ampiezza  della  discrezionalita'   di   cui   gode   il
legislatore in materia, si dovrebbe ritenere che le leggi  elettorali
sfuggano di per se' al sindacato di costituzionalita', rappresentando
(come si e' pure  problematicamente  sostenuto  da  una  parte  della
dottrina) una sorta di «zona d'ombra» o «zona  franca»  sottratta  al
giudizio di costituzionalita'. 
    5.1. - Questa impostazione non e' condivisibile. 
    Il  fatto  che  la  materia  dei  sistemi  elettorali  non  abbia
costituito oggetto di un'espressa disciplina nella Costituzione,  che
ha rimesso al legislatore ordinario la scelta e la configurazione del
sistema elettorale, non significa che le norme legislative in materia
non debbano essere concepite in un quadro  coerente  con  i  principi
fondamentali dell'ordinamento e, in  particolare,  con  il  principio
costituzionale   di   uguaglianza,   inteso   come    principio    di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), e con  il  vincolo  costituzionale  al
legislatore di rispettare i parametri  del  voto  personale,  eguale,
libero e diretto (artt.  48,  56  e  58  Cost.),  in  linea  con  una
consolidata  tradizione  costituzionale  comune  agli  Stati   membri
(l'art. 3 prot. 1 CEDU riconosce al popolo il  diritto  alla  «scelta
del corpo legislativo»; di «suffragio universale  diretto,  libero  e
segreto» parla anche l'art. 39 della Carta dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  a  proposito  dell'elezione  dei  membri   del
Parlamento  europeo;  sulla  stessa  linea   gli   artt.   38   della
Costituzione tedesca, 61 di  quella  belga  e,  sull'uguaglianza  del
voto, l'art. 3 di quella francese del 1958). 
    Ne'  varrebbe  l'obiezione  secondo  cui,  rientrando  le   leggi
elettorali nella categoria delle leggi costituzionalmente necessarie,
non ne sarebbe possibile  l'espunzione  dall'ordinamento  nemmeno  in
caso di illegittimita' costituzionale poiche' una eventuale  sentenza
costituzionale avrebbe come effetto quello di creare un inammissibile
vulnus al principio (da ultimo ribadito da Corte cost. n, 13/2012) di
continuita' e costante operativita' degli organi  costituzionali,  al
cui funzionamento quelle leggi sono indispensabili. 
    In realta', come evidenziato da un'autorevole dottrina, e' dubbio
che tale principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale  ai
fini dell'ammissibilita' dei referendum abrogativi, sia  trasferibile
negli  stessi  termini  anche  in  presenza  di  una   illegittimita'
costituzionale conclamata (perche'  si  finirebbe  per  tollerare  la
permanente vigenza di norme incostituzionali, fatto questo  grave  se
si considera la rilevanza essenziale della legge  elettorale  per  la
vita democratica di un Paese). 
    E'  opportuno  puntualizzare  che  la   proposta   questione   di
legittimita' costituzionale non mira a far caducare l'intera legge n.
270/2005 ne' a sostituirla con un'altra eterogenea  impingendo  nella
discrezionalita' del  legislatore,  ma  a  ripristinare  nella  legge
elettorale  contenuti  costituzionalmente  obbligati  (concernenti  -
cosi' anticipando le  conclusioni  -  la  disciplina  del  premio  di
maggioranza e delle preferenze), senza  compromettere  la  permanente
idoneita' del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli  organi
costituzionali. Tale conclusione - ad avviso del Collegio  -  non  e'
contraddetta  ne'  ostacolata  dalla  eventualita'   che   si   renda
necessaria un'opera di mera «cosmesi normativa» e di  ripulitura  del
testo per la presenza di frammenti normativi residui, che puo' essere
realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che  ha
a disposizione (compreso quello di cui all'art. 27, ult. parte, legge
n. 87/1953), o dal legislatore in attuazione dei  principi  enunciati
dalla stessa Corte. 
    6.  - Venendo  al  merito   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale, non sono manifestamente infondate quelle  concernenti
l'attribuzione del premio di maggioranza per la Camera dei Deputati e
il Senato della Repubblica e l'esclusione del voto di preferenza;  e'
manifestamente infondata quella concernente  la  dedotta  menomazione
dei poteri del Capo dello Stato. 
    7. - Con riguardo al premio di maggioranza per la Camera,  l'art.
83 del d.P.R. n. 361/1957, nel testo  risultante  dalla  sostituzione
operata dalla legge n. 270/2005,  prevede  che  l'Ufficio  elettorale
nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista  che
ha  ottenuto  il  maggior  numero  di  voti  validi  espressi   abbia
conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5); «Qualora la  coalizione
di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti
validi espressi ai sensi del comma i non abbia gia' conseguito almeno
340 seggi, ad essa viene ulteriormente attribuito il numero di  seggi
necessario per raggiungere tale consistenza. In tale  caso  l'Ufficio
assegna 340 seggi alla suddetta coalizione di liste o singola  lista.
Divide quindi il totale delle cifre elettorali nazionali di tutte  le
liste della coalizione o della singola lista per 340, ottenendo cosi'
il quoziente  elettorale  nazionale  di  maggioranza»  (comma  2;  la
ripartizione dei seggi restanti tra le altre liste  e  coalizioni  e'
prevista nel comma successivo). 
    7.1. - La legge n. 270/2005 ha in tal modo introdotto  un  premio
di maggioranza assegnato (a livello  nazionale  per  la  Camera  e  a
livello regionale per il Senato) alla lista o coalizione di liste che
abbia ottenuto il maggior numero di voti. E' sufficiente  uno  scarto
minimo di voti per fare attribuire alla lista o  coalizione  vincente
alla Camera un vantaggio in termini di seggi (340) rispetto  a  tutte
le altre liste o  coalizioni,  che  e'  ancor  piu'  evidente  se  si
considera  che  il   premio   e'   attribuito   a   prescindere   dal
raggiungimento di un minimo di voti  o  di  seggi.  L'effetto  e'  di
trasformare una maggioranza relativa di  voti  (potenzialmente  anche
molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, con un vantaggio
rispetto alle altre liste o coalizioni che determina una oggettiva  e
grave alterazione della rappresentanza democratica (artt. 1, comma 2,
e 67 Cost.). 
    La Corte costituzionale ha piu'  volte  segnalato  al  Parlamento
«l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di
una legislazione che  non  subordina  l'attribuzione  del  premio  di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima  di  voti  e/o  di
seggi» (Corte cost. n. 15/2008 e, per il Senato, n. 16/2008; v. anche
la n. 13/2012); il Capo dello Stato (nel discorso del 22 aprile  2013
al Parlamento in seduta comune) ha osservato  che  si  tratta  di  un
premio «abnorme». 
    La finalita' avuta di mira  dalla  legge  n.  270/2005  e'  stata
quella di assicurare la durata della legislatura e la governabilita'.
Del resto, durante i lavori preparatori della Costituzione,  l'ordine
del giorno Perassi (II Sottoc.,  4  settembre  1946)  aveva  espresso
l'opportunita' che la forma parlamentare  venisse  disciplinata  «con
dispositivi  costituzionali  idonei  a  tutelare   le   esigenze   di
stabilita' dell'azione di Governo e ad evitare le  degenerazioni  del
parlamentarismo». 
    Se quindi e'  vero  che  tale  finalita'  puo'  giustificare  una
limitata deroga al principio della rappresentanza  e  la  sottrazione
alla minoranza di un certo numero di seggi (cui essa avrebbe  diritto
in base a un calcolo proporzionale), tuttavia occorre pur sempre  che
il meccanismo che consente  la  traduzione  dei  voti  in  seggi  non
determini una sproporzione talmente grave da risultare  irragionevole
e, quindi, in violazione dell'art. 3 Cost. 
    Cio' e' quanto realizzato dalla legge n. 270/2005. Il premio  per
la Camera, come si e' detto, ha  la  funzione  di  trasformare  anche
modeste maggioranze relative  di  voti  in  maggioranze  assolute  di
seggi, con un effetto ben piu' grave del premio previsto dalla  legge
n. 148/1953, che (sulla scia della legge francese  n.  519/1951,  cd.
loi scelerate) attribuiva alle liste che avessero  gia'  ottenuto  la
maggioranza assoluta dei voti  una  quota  aggiuntiva  di  seggi  (si
parlava di premio «alla» maggioranza) al fine di far  raggiungere  il
64% del totale dei seggi, e persino di quello previsto dalla legge n.
2444/1923 (cd. legge Acerbo) che  richiedeva  il  raggiungimento  del
venticinque per cento dei voti validi per far scattare il premio  dei
due terzi dei seggi. 
    Si tratta di un meccanismo premiale che,  da  un  lato,  come  e'
stato  notato  in  dottrina,  incentivando  (mediante  una  complessa
modulazione  delle  soglie   di   accesso   alle   due   Camere)   il
raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio,
contraddice l'esigenza di assicurare  la  governabilita',  stante  la
possibilita'  che,  anche  immediatamente  dopo   le   elezioni,   la
coalizione beneficiaria del premio si sciolga  o  i  partiti  che  ne
facevano  parte  ne   escano   (con   l'ulteriore   conseguenza   che
l'attribuzione del premio, se era servita a favorire la formazione di
un governo all'inizio della legislatura, potrebbe invece  ostacolarla
con riferimento ai governi successivi, basati su coalizioni diverse);
dall'altro,   esso   provoca   una   ,alterazione   degli   equilibri
istituzionali, tenuto  conto  che  la  maggioranza  beneficiaria  del
premio e' in grado di  eleggere  gli  organi  di  garanzia  che,  tra
l'altro, restano in carica per un tempo piu' lungo della legislatura. 
    Esso e'  quindi  manifestamente  irragionevole  (art.  3  Cost.),
nonche' lesivo dei principi di uguaglianza del voto (art.  48,  comma
2, Cost.) e rappresentanza democratica (art. 1, comma 2, e 67 Cost.).
E' vero, come ha ricordato la Corte  di  appello,  che  il  principio
costituzionale dell'uguaglianza del voto «non si estende al risultato
delle elezioni ma  opera  esclusivamente  nella  fase  in  cui  viene
espresso, con conseguente esclusione del voto  multiplo  e  del  voto
plurimo, considerato che  qualsiasi  sistema  elettorale  implica  un
grado piu' o meno consistente di distorsione  nella  fase  conclusiva
della distribuzione dei seggi» (Corte cost. n. 15 e 16/2008 cit.,  n.
107/1996,   n.   429/1992).   Tuttavia   la   distorsione   provocata
dall'attribuzione del suddetto premio costituisce non  gia'  un  mero
inconveniente  di  fatto  (che  puo'  riscontrarsi  in  vari  sistemi
elettorali) ma il risultato  di  un  meccanismo  che  e'  irrazionale
perche' normativamente programmato per tale esito. Ed e'  per  questo
che i ricorrenti correttamente invocano  come  norma-parametro  anche
l'art. 48, comma 2, Cost., poiche' ad essere compromessa  e'  proprio
la "parita' di condizione dei cittadini nel momento in  cui  il  voto
viene espresso" nella quale l'uguaglianza del  voto  consiste  (Corte
cost. n. 173/2005, n. 107/1996). 
    8. - Per il Senato, l'art. 17 del d.lgs. n. 533/1993,  nel  testo
sostituito dalla legge n. 270/2005, prevede che l'Ufficio  elettorale
regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista  che
ha ottenuto il maggior numero di  voti  validi  espressi  nell'ambito
della circoscrizione abbia conseguito almeno  il  55  per  cento  dei
seggi  assegnati  alla   regione,   con   arrotondamento   all'unita'
superiore» (comma 2); «Nel caso in cui la verifica di cui al comma  2
abbia dato esito negativo,  l'ufficio  elettorale  regionale  assegna
alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia  ottenuto  il
maggior numero di voti un numero di seggi  ulteriore  necessario  per
raggiungere il 55 per cento dei seggi  assegnati  alla  regione,  con
arrotondamento all'unita' superiore» (comma 4;  la  ripartizione  dei
seggi restanti tra le altre liste e coalizioni  e'  disciplinata  nei
commi successivi). 
    8.1. - Il dubbio di legittimita' costituzionale del premio per il
Senato, oltre che per la mancanza di una soglia minima di voti e/o di
seggi (v. Corte cosa. n. 16/2008), sorge per l'ulteriore  profilo  di
irrazionalita' intrinseco in un meccanismo che di  fatto  contraddice
lo scopo che dichiara di voler perseguire (quello  di  assicurare  la
governabilita'). Infatti, essendo il premio diverso per ogni regione,
il risultato e'  una  sommatoria  casuale  dei  premi  regionali  che
finiscono per elidersi tra loro e possono addirittura  rovesciare  il
risultato  ottenuto  dalle  liste  e  coalizioni  di  lista  su  base
nazionale. Le diverse maggioranze regionali non avranno mai  modo  di
esprimersi e di contare, perche' il Senato e' un'assemblea unitaria e
il governo e' nazionale. 
    In  tal  modo  si  favorisce   la   formazione   di   maggioranze
parlamentari non coincidenti, pur in presenza  di  una  distribuzione
del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e si
compromette sia  il  funzionamento  della  nostra  forma  di  governo
parlamentare  nella  quale,  secondo  i  dettami  del   bicameralismo
perfetto, «il Governo deve avere la fiducia delle due  Camere»  (art.
94, comma 1, Cost.), sia l'esercizio della funzione  legislativa  che
l'art. 70 Cost. attribuisce paritariamente alla Camera e al Senato. 
    8.2. - La violazione dei principi di ragionevolezza e uguaglianza
del voto (artt. 3 e 48, comma 2, Cost.) e' per il Senato  ancor  piu'
evidente se si considera che l'entita' del premio,  in  favore  della
lista o coalizione che ha  ottenuto  piu'  voti,  varia  regione  per
regione ed e' maggiore nelle regioni  piu'  grandi  e  popolose,  con
l'effetto che il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e  contare
allo stesso modo ai fini della traduzione  in  seggi)  e'  diverso  a
seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori. 
    Ne' varrebbe obiettare che l'art. 57, comma 1, Cost. prevede  che
il Senato sia «eletto a base regionale», essendo qui  in  discussione
non l'attribuzione dei seggi su base regionale ma le  caratteristiche
e gli effetti di un premio (alle singole liste o coalizioni di liste)
che se introdotto dal legislatore ordinario deve esserlo  rispettando
il principio di uguaglianza  di  tutti  i  cittadini  nel  territorio
nazionale. 
    9. - Con riguardo  all'abolizione  del  voto  di  preferenza,  il
dubbio di legittimita' costituzionale investe, per  l'elezione  della
Camera, l'art.  4,  comma  2,  del  d.P.R.  n.  361/1957,  nel  testo
risultante  dalla  sostituzione  operata  dalla  legge  n.  270/2005,
secondo cui «Ogni elettore dispone di un voto  per  la  scelta  della
lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in  ragione  proporzionale,
da esprimere su un'unica scheda recante il contrassegno di'  ciascuna
lista» (l'ulteriore disposizione censurata  dai  ricorrenti,  secondo
cui il voto e' «attribuito a liste  di  candidati  concorrenti»,  era
gia' contenuta nel testo originario dell'art. 1, comma 1, del  d.P.R.
n. 361/1957). Inoltre la legge n. 270/2005, sopprimendo nell'art.  59
del citato d.P.R. il secondo comma (che cosi' recitava:  «Una  scheda
valida  per  l'elezione  del  candidato  nel   collegio   uninominale
rappresenta un voto individuale»), ha  lasciato  in  vigore  solo  il
comma 1 («Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta  un
voto  di  lista»)  il  quale   e'   anch'esso   investito,   in   via
consequenziale, dal dubbio di costituzionalita' (gli artt.  58  e  60
ss. del d.P.R. n. 361/1957, in parte  sostituiti  o  soppressi  dalla
legge n. 270/2005, disciplinavano poi le modalita' di espressione del
voto). 
    Per l'elezione del Senato, il dubbio investe l'art. 14, comma  1,
del d.lgs. n. 533/1993, come  sostituito  dalla  legge  n.  270/2005,
secondo cui «Il voto si esprime  tracciando,  con  la  matita,  sulla
scheda un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente  il
contrassegno della lista prescelta»  (gli  articoli  successivi,  ora
sostituiti e in parte soppressi, disciplinavano le modalita' del voto
nel  precedente   sistema   elettorale;   l'ulteriore   disposizione,
censurata dai  ricorrenti,  sulla  attribuzione  del  seggio  vacante
«nell'ambito della medesima circoscrizione, al  candidato  che  nella
lista  segue  immediatamente  l'ultimo   degli   eletti   nell'ordine
progressivo di  lista»,  era  gia'  contenuta  nel  testo  originario
dell'art. 19, comma 1, del medesimo d.lgs.). 
    9.1.  -  E'  stata  cosi'  abolita  qualsiasi  possibilita'   per
l'elettore di esprimere una preferenza  (i  nomi  dei  candidati  non
compaiono neppure sulla scheda e per conoscerli egli e'  costretto  a
svolgere apposite  ricerche).  Come  diffusamente  evidenziato  dalla
dottrina,  l'elettore  puo'  votare  solo   una   lista   «bloccata»;
l'elezione sara'  determinata  esclusivamente  dall'ordine  di  lista
stabilito dal partito all'atto della presentazione, poiche'  e'  tale
ordine, e non il  voto  del  cittadino  elettore,  a  distinguere  la
posizione di candidato certamente eletto o, al contrario, non eletto. 
    I ricorrenti dubitano della legittimita' costituzionale di questo
sistema. La questione non e' manifestamente infondata per le  ragioni
che seguono. 
    9.2. - Gli artt. 56, comma 1, e 58, comma 1,  Cost.  stabiliscono
che il suffragio e' «diretto» (oltre che «universale») per l'elezione
dei deputati e dei senatori; l'art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che
il voto e' «personale» e «libero» (oltre che «eguale»  e  «segreto»);
l'art. 3 prot. 1 CEDU riconosce al popolo il diritto alla «scelta del
corpo legislativo», in linea  con  le  costituzioni  di  altri  paesi
europei (i deputati «sono eletti direttamente dai cittadini»  secondo
l'art. 61 della Costituzione  belga;  l'art.  38  della  Costituzione
tedesca stabilisce che «I deputati  del  Bundestag  sono  eletti  con
elezioni a suffragio universale, dirette, libere, uguali e segrete»). 
    La nostra Carta fondamentale, nel prevedere  il  voto  «diretto»,
esclude quindi implicitamente (ma chiaramente) il voto «indiretto» in
qualsiasi forma esso possa essere congegnato dal legislatore. 
    Il dubbio e' se possa considerarsi  come  «diretto»  oppure  come
sostanzialmente  «indiretto»,   e   quindi   incompatibile   con   la
Costituzione, un voto che  non  consente  all'elettore  di  esprimere
alcuna preferenza, ad esempio indicando il nominativo di un candidato
sulla scheda, ma solo di scegliere  una  lista  di  partito,  cui  in
definitiva e' rimessa la designazione dei candidati. 
    I partiti concorrono, con le altre  formazioni  sociali  (art.  2
Cost.), «con metodo democratico a determinare la politica  nazionale»
(art.  49  Cost.),  ma  non  si  identificano  con   le   istituzioni
rappresentative da eleggere ne' con il corpo elettorale. La  loro  e'
una funzione strumentale di proposta e di raccordo tra i cittadini  e
le istituzioni,  cioe'  di  intermediazione;  essi  «concorrono  alla
espressione  del  voto»  (per  usare  le  parole  dell'art.  4  della
Costituzione  francese),  ma  non  possono   sostituirsi   al   corpo
elettorale.  Vi  e'  da  chiedersi  se  sia  rispettato   il   nucleo
sostanziale dell'art. 67 Cost. che, prevedendo che «Ogni  membro  del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue  funzioni  senza
vincolo di  mandato»,  presuppone  evidentemente  l'esistenza  di  un
mandato conferito direttamente dagli elettori. 
    Vi e' anche da chiedersi se possa ritenersi realmente «libero» il
voto quando  all'elettore  e'  sottratta  la  facolta'  di  scegliere
l'eletto (ad  avviso  di  una  parte  della  dottrina,  l'espressione
«liberta' di voto senza  preferenza»  assume  il  significato  di  un
«drammatico ossimoro») e se possa ritenersi «personale» un  voto  che
e' invece «spersonalizzato». 
    Ne' varrebbe sostenere in senso contrario che l'elettore  sarebbe
libero di scegliere tra l'una e l'altra lista in cui e' ricompreso il
candidato prescelto. La sua elezione  infatti  non  dipenderebbe  dal
numero di voti ottenuti ma dall'ordine  di  candidatura  nella  lista
assegnato dagli organi di partito. 
    In definitiva e' dubbio che l'opzione seguita dal legislatore del
2005 costituisca il  risultato  di  un  bilanciamento  ragionevole  e
costituzionalmente accettabile tra i diversi valori in gioco. 
    10. - Nel terzo motivo  di  ricorso  e'  censurato  l'inserimento
nell'art. 14-bis del d.P.R. n. 361/1957,  ad  opera  della  legge  n.
270/2005, della indicazione del nome e cognome  della  persona  «come
unico capo della coalizione» da parte dei partiti o  gruppi  politici
organizzati, tra loro collegati in coalizione,  che  si  candidano  a
governare, con l'effetto  che  il  Presidente  della  Repubblica  non
potrebbe contraddire tale indicazione  contenuta  nel  simbolo  della
coalizione o lista di «minoranza» vincente anche per un solo voto. In
tal modo la  convergente  previsione  del  «premio  di  maggioranza»,
combinata con il «sistema delle liste bloccate» e  con  l'inserimento
nella scheda elettorale  del  nome  del  capo  della  lista  o  della
coalizione,  quale  indicazione  coartante  la  discrezionalita'  del
Presidente della Repubblica nella nomina del Presidente del Consiglio
dei ministri, si tradurrebbe in una surrettizia trasformazione  della
Repubblica da «parlamentare» a «presidenziale». 
    10.1. - La questione di costituzionalita', che e' alla  base  del
motivo  in  esame,  e'  manifestamente  infondata.   E'   sufficiente
considerare che il richiamato art. 14-bis, comma 3, ult.  parte,  del
d.P.R. n. 361/1957, puntualizza che  «Restano  ferme  le  prerogative
spettanti al Presidente della Repubblica previste  dall'articolo  92,
secondo comma, della Costituzione», risultando smentita la tesi della
menomazione dei poteri del Capo  dello  Stato  nella  formazione  del
governo. 
    11. - Nella memoria illustrativa i ricorrenti adombrano ulteriori
profili di  incostituzionalita'  della  legge  n.  270/2005,  per  la
diversita' delle soglie di accesso alla Camera e al Senato e  per  la
previsione solo per la Camera di soglie piu' basse  (anche  sotto  il
2%) per le liste coalizzate. 
    11.1. - La generica deduzione, tuttavia, non si  e'  tradotta  in
una  eccezione   di   legittimita'   costituzionale   di   specifiche
disposizioni di legge. E comunque  la  modulazione  delle  soglie  di
accesso alle due Camere  rientra  nella  piena  discrezionalita'  del
legislatore il quale, al fine di evitare una frammentazione eccessiva
delle liste, puo' provvedervi con una pluralita' di  soluzioni  e  di
meccanismi  che,  se  configurati  in  modo  non  irragionevole,   si
sottraggono al sindacato di costituzionalita'. 
    12.  -  In  conclusione,  sono  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate le questioni di costituzionalita' sollevate  nel  giudizio,
tutte  incidenti  sulle  modalita'  di  esercizio  della   sovranita'
popolare (artt. 1, comma 2, e 67 Cost.), aventi ad oggetto: 
        l'art. 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R.  n.  361/1957,  nel
testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul premio  di  maggioranza
per l'elezione della Camera dei Deputati, in relazione agli artt. 3 e
48, comma 2, Cost.; 
        l'art. 17, commi 2 e 4, del d. lgs. n.  533/1993,  nel  testo
risultante dalla legge n. 270/2005, sul  premio  di  maggioranza  per
l'elezione del Senato della Repubblica, in relazione agli artt.  3  e
48, comma 2, Cost.; 
        gli artt. 4, comma 2, e 59, comma 1, del d.P.R. n.  361/1957,
nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto di  preferenza
per la Camera, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 56,  comma
1, e 117, comma 1, Cost., anche alla luce dell'art. 3 Prot. 1 CEDU; 
        l'art. 14,  comma  1,  del  d.lgs.  n.  533/1993,  nel  testo
risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto  di  preferenza  per  il
Senato, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 58,  comma  1,  e
117, comma 1, Cost., anche alla luce dell'art. 3 Prot. 1 CEDU. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate,  in  relazione
agli artt. 1, comma 2, 3, 48, comma 2, 49, 56, comma 1, 58, comma  1,
67 e 117, comma 1, della Costituzione, anche alla  luce  dell'art.  3
Prot. 1 della Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, le questioni di'  legittimita'  costituzionale
degli artt. 4, comma 2, 59, comma 1, e 83, commi 1, n.  5,  e  2  del
d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; 14,
comma 1, e 17, commi 2  e  4,  del  d.lgs.  n.  533/1993,  nel  testo
risultante dalla legge n. 270/2005. 
    Manda alla Cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente dei Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato della  Repubblica  ed  al  Presidente  della
Camera dei deputati ed alle parti del presente giudizio. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale; 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi a cura della Cancelleria. 
 
        Roma, 21 marzo 2013 
 
                       Il Presidente: Vitrone