N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2013

Ordinanza del 25  marzo  2013  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Puglia sul ricorso proposto  da  Ciriaco  Fulvio  ed
altri  contro  Universita'  degli   studi   di   Bari   e   Ministero
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento  della  spesa  in  materia  di  pubblico   impiego   -
  Previsione, per i dipendenti pubblici non contrattualizzati, che  i
  meccanismi di adeguamento retributivo non si applicano per gli anni
  2011, 2012 e 2013 e che non danno luogo a  recuperi  -  Previsione,
  altresi', che gli anni 2011, 2012 e 2013 non siano  utili  ai  fini
  della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio e che le
  progressioni hanno effetto per i  predetti  anni  soltanto  a  fini
  giuridici - Irrazionalita' - Ingiustificato  deteriore  trattamento
  dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi  -  Violazione
  dei principi di generalita' e di progressivita' della tassazione  e
  di capacita' contributiva, attesa la sostanziale natura  tributaria
  della prestazione patrimoniale imposta - Violazione  del  principio
  della retribuzione  proporzionata  ed  adeguata  -  Violazione  del
  principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 53 e 97. 
(GU n.26 del 26-6-2013 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2006 del 2011, proposto da: 
    Fulvio  Ciriaco,  Edmondo  Ceci,  Elvira  De  Giglio,  Anna  Rosa
Mangone, Lucia  D'Accolti,  Daniela  Mastrorilli,  Custode  Fiorello,
Paolo  Buono,  Antonio  Piccinno,  Giuseppina   Piazzolla,   Stefania
Massaro, Elibetta Venezia,  Rocco  Addante,  Luisa  Derosa,  Annalisa
Vinnella, Paolo Resta, Eugenio Cazzato,  Angela  Muschitiello,  Maria
Benedetta Saponaro, Vito Marchione,  Fabio  Manca,  Ylenia  De  Luca,
Fabio Milillo, Vera Amicarelli, Annarita  Paiano,  Anna  Vita,  Paola
Bianco, Paola Serlenga, Annalisa De  Boni,  Domenico  Cantucci,  Anna
Civita, Mauro  Gianfranco  Bisceglia,  Pasquale  Ardimento,  Pierluca
Massaro, Claudia Marin,  Maria  Teresa  Baldassare,  Danilo  Caivano,
Giuseppe Visaggio, Caterina Rizzo, Anna Loreta  Concetta  De  Macina,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Angela Rotondi e Massimo Vernola,
con domicilio eletto presso quest'ultimo in Bari, via Dante, 97; 
    Contro: 
        Universita' degli studi di Bari, in persona del  Rettore  pro
tempore, rappresentata e  difesa  dagli  avv.ti  Gaetano  Prudente  e
Simona Sardone, con domicilio eletto in Bari, presso l'Ufficio Legale
dell'Ateneo in piazza Umberto I, 1; 
        Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della  ricerca,
in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Distrettuale dello  Stato  di  Bari,  domiciliata  in
Bari, via Melo, 97; 
    Per l'annullamento delle comunicazioni datate 13 settembre  2011,
tutte dal contenuto  identico,  del  Rettore  dell'Universita'  degli
studi  di  Bari  inviate  singolarmente   a   tutti   i   ricorrenti,
rispettivamente  con  i  numeri  di  protocollo  progressivi   meglio
indicati  nell'indice  dei  documenti,  con  cui  in  relazione  alla
richiesta sull'applicazione in loro favore  dell'art.  9,  comma  21,
della legge 30 luglio 2010, n. 122 (blocco  progressione  automatica)
e' stato comunicato che  per  la  relativa  applicazione  non  vi  e'
necessita' di alcun provvedimento; 
    Nonche' per l'accertamento del diritto dei ricorrenti ad ottenere
il riconoscimento e l'applicazione per il triennio 2011, 2012 e  2013
della  progressione  automatica  delle  classi  e  degli  scatti   di
stipendio previsti per lo  status  e  l'anzianita'  di  servizio  dei
ricercatori universitari ed il conseguente accertamento  del  diritto
ai relativi adeguamenti della retribuzione; 
    E per la conseguente condanna  dell'Universita'  degli  studi  di
Bari alla ricostruzione della carriera sotto il profilo giuridico  ed
economico, ed al pagamento  delle  somme  dovute  per  i  conseguenti
scatti  stipendiali  dei  ricorrenti  con  riferimento  al   triennio
2011/2013,  oltre  rivalutazione  monetaria  ed  interessi  sino   al
soddisfo. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Universita' degli
studi di Bari e del  Ministero  dell'istruzione,  dell'universita'  e
della ricerca; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  6  febbraio  2013  la
dott.ssa Francesca Petrucciani e  uditi  per  le  parti  i  difensori
avv.ti Massimo Vernola,  Cecilia  Antuofermo,  per  delega  dell'avv.
Simona Sardone, e Grazia Matteo; 
    Con il ricorso in epigrafe vengono impugnate le note, indirizzate
a ciascuno dei ricorrenti, con le  quali  l'Universita'  di  Bari  ha
comunicato  che  l'applicazione  dell'art.  9,  comma  21,  legge  n.
122/2010,  di  conversione  del  d.l.  n.  78/2010,  opera  in   modo
automatico  senza  necessita'  di  alcun   provvedimento   da   parte
dell'amministrazione. 
    La  norma  citata  prevede  che  i  meccanismi   di   adeguamento
retributivo previsti per il personale non contrattualizzato dall'art.
24 legge n. 448/1998 non si applicano per gli anni 2011, 2012 e  2013
e non danno luogo a successivi recuperi; inoltre per le categorie  di
personale che fruiscono di un meccanismo di  progressione  automatica
degli stipendi gli anni 2011, 2012 e 2013  non  sono  utili  ai  fini
della maturazione delle classi e degli scatti previsti dai rispettivi
ordinamenti, mentre le progressioni di carriera hanno effetto a  fini
solo giuridici. 
    Con il primo  motivo  i  ricorrenti  hanno  contestato  l'erronea
applicazione di tale norma, dell'art. 6, comma 14, legge n. 240/2010,
dell'art. 3-ter legge n. 1/2009 e  l'eccesso  di  potere  sotto  vari
profili. 
    L'art. 3-ter della legge n. 1/2009, infatti, ha previsto che  gli
scatti stipendiali biennali, a decorrere  dal  2011,  debbano  essere
disposti  previo   accertamento   dell'effettuazione,   nel   biennio
precedente, di pubblicazioni scientifiche e che la mancanza  di  tale
requisito comporta la diminuzione  della  meta'  dello  scatto;  allo
stesso modo con l'art. 6, comma 14 della legge n.  240/2010,  che  ha
disposto la trasformazione dello scatto da biennale in triennale,  e'
stato  introdotto  un  meccanismo  di  valutazione  ogni   tre   anni
dell'attivita' svolta al fine dell'attribuzione degli scatti. 
    Per effetto di tali riforme, quindi, i  ricercatori  universitari
non usufruirebbero piu' di un meccanismo di progressione  stipendiale
automatica, con conseguente esclusione dall'applicazione  del  blocco
degli scatti previsto dall'art. 9 d.l. n. 78/2010. 
    Con il secondo motivo e' stata richiesta la  disapplicazione  del
citato art. 9 per contrasto con gli artt. 36 e ss. del Trattato  U.E.
e con  gli  artt.  1  e  2  della  Dir.  C.E.  2000/78,  non  essendo
giustificata  la  disparita'  di   trattamento   tra   i   dipendenti
universitari e le altre categorie non contrattualizzate. 
    Infine, per il caso in  cui  questo  Tribunale  dovesse  ritenere
applicabile l'art.  9,  comma  21,  d.l.  n.  78/2010,  non  aderendo
all'interpretazione  offerta  dai  ricorrenti,  e'  stata  contestata
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  in   questione,   per
violazione degli artt. 1, 3, 36, 53 e 97 Cost. 
    L'Universita'  resistente   si   e'   costituita   in   giudizio,
contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. 
    Alla pubblica udienza del 6  febbraio  2013  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9 comma  21
d.l. n. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  nella
legge  n.  30  luglio  2010,  n.  122,   appare   rilevante   e   non
manifestamente infondata per le motivazioni che seguono. 
    I ricorrenti censurano l'art. 9 comma 21 d.l. 31 maggio 2010,  n.
78, secondo cui «per le categorie di personale di cui all'articolo  3
del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165   e   successive
modificazioni,  che  fruiscono  di  un  meccanismo  di   progressione
automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono  utili
ai fini della maturazione delle classi e degli  scatti  di  stipendio
previsti  dai  rispettivi  ordinamenti.  Per  il  personale  di   cui
all'articolo 3 del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e
successive  modificazioni  le  progressioni  di   carriera   comunque
denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013  hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». 
    Le norme di cui all'art. 9, comma 21, del d.l.  n.  78  del  2010
prevedono dunque  il  blocco,  per  il  triennio  2011-2013  e  senza
possibilita'  di  «successivi  recuperi»:  a)  dei   «meccanismi   di
adeguamento retributivo» previsti dall'articolo  24  della  legge  23
dicembre 1998, n. 448; b) degli  automatismi  stipendiali  (classi  e
scatti correlati all'anzianita'  di  servizio;  c)  di  ogni  effetto
economico delle  «progressioni  di  carriera»,  comunque  denominate,
conseguite nel triennio 2011-2013. 
    Per quanto riguarda i criteri di adeguamento retributivo  di  cui
all'art. 24 legge n. 448 del 1998, tale disposizione prevede  che  «a
decorrere dal 1° gennaio 1998 gli stipendi, l'indennita'  integrativa
speciale e gli  assegni  fissi  e  continuativi  dei  docenti  e  dei
ricercatori universitari (...) sono adeguati di  diritto  annualmente
in ragione degli incrementi medi,  calcolati  dall'ISTAT,  conseguiti
nell'anno  precedente  dalle   categorie   di   pubblici   dipendenti
contrattualizzati sulle voci retributive, ivi  compresa  l'indennita'
integrativa  speciale,   utilizzate   dal   medesimo   Istituto   per
l'elaborazione degli indici delle retribuzioni  contrattuali»  (comma
1); ai sensi del comma 2 della stessa disposizione,  «la  percentuale
dell'adeguamento annuale prevista dal comma 1 e' determinata entro il
30 aprile di ciascun anno con decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e del
tesoro, del bilancio e della  programmazione  economica»;  sempre  il
comma 2 stabilisce che «a tal fine, entro il mese di  marzo,  l'ISTAT
comunica la variazione percentuale di cui al comma 1», e che «qualora
i dati necessari non siano  disponibili  entro  i  termini  previsti,
l'adeguamento e' effettuato nella stessa misura percentuale dell'anno
precedente, salvo successivo conguaglio». 
    Per quanto concerne invece  gli  automatismi  stipendiali  legati
all'anzianita' di servizio, il vigente sistema (a partire dal  d.P.R.
n. 382 del 1980, recante «Riordinamento della docenza universitaria»,
e con le modifiche  e  gli  aggiustamenti  susseguitisi  negli  anni)
prevede  che  la  progressione  economica   dei   ricercatori   delle
universita'  si  sviluppa  in  una  serie  di  «classi»  biennali  di
stipendio, al conseguimento di ciascuna delle quali  corrisponde  uno
«scatto» stipendiale. In applicazione del citato comma  21  dell'art.
9, pertanto, per l'intero  triennio  2011-2013  le  retribuzioni  dei
ricercatori sono escluse tanto dai meccanismi di adeguamento  di  cui
all'art. 24 della legge n.  448  del  1998,  tanto  dall'applicazione
degli  aumenti  retributivi  («scatti»  e  «classi»   di   stipendio)
collegati   all'anzianita'   di   ruolo;   adeguamenti   ed   aumenti
ricominceranno  a  decorrere  a  partire  dal  2014,   con   espressa
esclusione,  pero',  di  ogni  possibilita'   di   «recupero»   degli
adeguamenti e degli scatti che sarebbero  spettati  per  il  triennio
2011-2013. 
    Preliminarmente  deve  evidenziarsi  la  rilevanza  nel  presente
giudizio  della  questione  prospettata,  in  quanto   la   normativa
richiamata e' stata correttamente applicata ai ricorrenti,  con  cio'
incidendo sulla relativa retribuzione. 
    La   rilevanza   della   questione   discende,   infatti,   dalla
infondatezza del primo motivo di impugnazione, relativo alla  dedotta
inapplicabilita' del blocco stipendiale nei confronti dei ricercatori
universitari  atteso  il  venir  meno  del  sistema  di  progressione
stipendiale automatica  (presupposto  per  l'operativita'  dei  tagli
secondo il disposto dell'art. 9 d.l. n. 78/2010)  per  effetto  delle
successive riforme dell'ordinamento universitario. 
    In rimo luogo deve evidenziarsi,  al  riguardo,  come  l'art.  6,
comma 14, e l'art. 8 della legge n.  240/2010  abbiano  espressamente
fatto salvo quanto disposto dallo stesso d.l. n. 78/2010, di tal che,
dato il tenore letterale della norma, deve ritenersi che le modifiche
introdotte  non  incidano   negativamente   sull'applicazione   delle
disposizioni finalizzate al contenimento della spesa. 
    A  cio'  si   aggiunga   che,   come   gia'   evidenziato   dalla
giurisprudenza in materia, la nozione  di  «progressione  automatica»
contenuta nel detto comma 21 non va riferita  al  singolo  lavoratore
interessato, il quale non ha effettivamente  giuridica  certezza  del
conseguimento dell'aumento di stipendio, rimesso in concreto  ad  una
valutazione del datore di lavoro, ma va riguardata dal punto di vista
del bilancio pubblico, alla cui salvaguardia e' preordinato lo stesso
d.l. n. 78/2010, bilancio che viene  «automaticamente»  intaccato,  a
seguito  della  maturazione  degli  scatti   stipendiali,   dovendosi
stanziare  appositi  fondi  a  copertura  di  tutti  gli  interessati
potenzialmente idonei (T.A.R. Lombardia, Milano, 8  giugno  2012,  n.
1627, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 311/2012). 
    Deve pertanto ritenersi che, benche' per  i  singoli  interessati
l'attribuzione degli scatti  stipendiali  sia  eventuale,  dipendendo
dalle valutazioni previste dalla legge, il fatto che gli  scatti  non
siano dipendenti dall'esito di procedure selettive, tali  da  ridurre
l'importo complessivo dell'incremento degli oneri per  il  personale,
ai fini della  previsione  della  spesa  nel  bilancio  dello  Stato,
comporta  la  necessaria  previsione   e   l'accantonamento   di   un
finanziamento pari agli incrementi stipendiali  spettanti  a  «tutti»
coloro che potenzialmente sono in  grado  di  conseguire  gli  scatti
medesimi. 
    Il sistema retributivo in questione, pertanto, nonostante preveda
comunque la ricorrenza di alcune condizioni il cui  difetto  comporta
«la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio» (art. 11,
comma  12,  d.lgs.  5  aprile  2006,  n.  160),  non  perde  la   sua
caratteristica fondamentale, incentrata su un sistema  automatico  di
collegamento  dell'andamento  delle  retribuzioni  con   quelle   del
pubblico impiego (T.A.R. Lombardia, Milano, ord. n. 59/2012). 
    Infatti  la  progressione  stipendiale  nell'ambito  della   vita
professionale dei ricorrenti e' prefigurabile ex ante,  in  relazione
al decorso del tempo, ed alla conseguenze maturazione degli «scatti»,
ed in cio' deve considerarsi «automatica», in quanto non  subordinata
ad eventi estranei alla sfera lavorativa degli interessati, quali  ad
esempio determinazioni assunte in sede di contrattazione  collettiva,
o superamento di procedure concorsuali tra piu' aspiranti.  Anche  se
il datore di lavoro puo' negare gli avanzamenti per  coloro  che  non
hanno  dimostrato  un  minimo  «impegno  didattico,  di   ricerca   e
gestionale», in applicazione della nuova normativa, ed in  attuazione
dei principi di  cui  all'art.  97  Cost.,  cio'  non  toglie  che  i
ricorrenti  continuino  a  fare  parte  di  un  sistema  in  cui  gli
avanzamenti stipendiali sono appunto  «automaticamente»  previsti,  e
concretamente ottenibili in conseguenza dell'anzianita' di servizio. 
    Dunque, alla luce della ritenuta infondatezza di tale  motivo  di
impugnazione, se non fosse posta la questione  di  costituzionalita',
la pretesa dei ricorrenti sarebbe infondata e  da  respingersi  sotto
tutti i profili dedotti, in quanto l'Universita'  di  Bari  ha  fatto
correttamente applicazione delle disposizioni di legge in vigore. 
    Passando  all'esame  della  non  manifesta   infondatezza   della
questione, vanno vagliate le singole censure  di  incostituzionalita'
sollevate. 
    I ricorrenti hanno dedotto l'illegittimita' costituzionale  della
disciplina in esame poiche' violerebbe gli artt. 1, 3, 36,  53  e  97
della Costituzione. 
    Con un primo ordine di argomenti si deduce la violazione da parte
del legislatore dei criteri di ragionevolezza e ponderazione, posti a
presidio del principio di uguaglianza di cui  all'art.  3,  comma  2,
Cost., non avendo i sacrifici imposti carattere meramente temporaneo,
ma essendo al contrario destinati a produrre effetti permanenti. 
    In  passato  la  Corte  costituzionale  ha  gia'  scrutinato   la
legittimita'  di  una  normativa  analoga  a  quella  contestata  nel
presente giudizio. 
    In particolare, con riferimento all'art. 7 del d.l.  n.  384  del
1992, convertito in legge n. 438 del 1992,  che  stabiliva  che  «per
l'anno 1993 non trovano applicazione le norme che comunque comportano
incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali,
sia dell'attribuzione  di  trattamenti  economici,  per  progressione
automatica di carriera», la Corte, dato che atto che la normativa  in
questione era stata  emanata  «in  un  momento  delicato  della  vita
nazionale», avente «la finalita' di realizzare, con immediatezza,  un
contenimento  della  spesa   pubblica»,   ne   ha   riconosciuto   la
legittimita', atteso che il blocco «esauriva i suoi effetti nell'anno
considerato,  limitandosi  a  impedire  erogazioni  per  esigenze  di
riequilibrio  del  bilancio»  (sentenza  18  luglio  1997,  n.  245),
affermando  che  la  siffatta  norma,  nell'imporre  sacrifici  anche
onerosi, poteva ritenersi non lesiva del principio di cui all'art.  3
della Costituzione, sotto il duplice aspetto della  non  contrarieta'
sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello  della  non
irragionevolezza, a condizione pero' che i suddetti  sacrifici  siano
eccezionali, transeunti,  non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso. 
    La fattispecie in esame non pare pertanto riconducibile ai citati
precedenti gia'  esaminati  dalla  Corte  costituzionale  poiche',  a
differenza di tali  ipotesi,  in  cui  le  misure  restrittive  erano
temporalmente  circoscritte  ad  un  solo  anno,  difetta  ora  nella
sostanza quel requisito  dell'eccezionalita'  e  temporaneita'  della
disciplina, che aveva consentito alla stessa Corte  di  rigettare  le
prospettate questioni di costituzionalita'. 
    L'estensione del blocco alla maturazione delle classi e scatti di
stipendio ad un triennio crea infatti una  vera  e  propria  paralisi
nella progressione stipendiale dei  ricorrenti,  non  comparabile  ai
seppur gravosi effetti prodotti dal citato art. 7 d.l.  n.  384/1992,
che in quanto circoscritti ad un anno potevano essere considerati una
limitata parentesi meramente temporanea, priva di un vero  e  proprio
carattere di stabilita'; in tal  senso,  peraltro,  la  Corte  si  e'
pronunciata  con  la  sentenza  n.  223/2012  in  materia  di  blocco
dell'adeguamento automatico del trattamento economico dei magistrati,
previsto dal medesimo art. 9 d.l. n. 78/2010. 
    Ad ulteriore  conferma  della  natura  non  «eccezionale»  e  non
«transeunte» della disciplina, si consideri come di recente  il  d.l.
n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, all'art.  16,
comma 1, lett. b, preveda la «proroga fino al 31 dicembre 2014  delle
vigenti  disposizioni  che  limitano  la  crescita  dei   trattamenti
economici   anche   accessori   del   personale    delle    pubbliche
amministrazioni previste dalle disposizioni medesime». 
    Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra svolte emerge anche
che la riduzione stipendiale non e' legata alla situazione  economica
contingente, proprio in quanto idonea a protrarre  i  propri  effetti
per le annualita' successive lungo tutta la carriera del  dipendente,
di  tal  che  anche  sotto  profilo  risultano  violati  i  parametri
individuati  dalla  Corte  per  la  legittimita'  di  norme  di  tale
contenuto. 
    Per le ragioni sopra esposte deve  dubitarsi  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  9  comma  21  del  d.l.  n.  78/2010,  per
violazione dell'art. 3 comma 2 Cost. 
    Le considerazioni sopra svolte inducono, altresi', ad  affrontare
il  tema  della  possibile  natura  tributaria  della  normativa   in
questione, cio' che porterebbe a dubitare  della  sua  compatibilita'
con i principi espressi dall'art. 53 Cost. 
    In   base   alla   consolidata   giurisprudenza    della    Corte
costituzionale, il nomen juris  di  volta  in  volta  utilizzato  dal
legislatore non e' infatti qualificante ai  fini  dell'individuazione
della natura tributaria di una norma, dato che la stessa deve  essere
considerata istitutiva di un prelievo quando abbia le caratteristiche
essenziali dell'imposizione tributaria, essendo infatti  ininfluente,
ai  fini  del  giudizio  di  costituzionalita',  l'autoqualificazione
legislativa del prelievo e la conseguente necessita' di  desumere  la
natura  del  prelievo  stesso  dalla  sola   disciplina   posta   dal
legislatore ordinario (Corte costituzionale 8 maggio 2009, n. 141). 
    Premesso quanto precede, ritiene il  Collegio  che  la  normativa
impugnata possieda i  caratteri  sostanziali  richiesti  dalla  Corte
costituzionale,  onde  riconoscere  la  natura  tributaria   di   una
disposizione (Corte cost. 23 maggio 2008, n. 168, 14 marzo  2008,  n.
64). 
    In primo luogo, pare evidente la doverosita'  della  prestazione,
posta in essere mediante l'imposizione  di  un  sacrificio  economico
individuale, realizzata attraverso un atto autoritativo di  carattere
ablatorio, venendo ad  incidere  su  un  trattamento  economico  gia'
prefigurato, con una  modalita'  unilateralmente  predeterminata  dal
legislatore, alla quale ne' l'ente datore ne'  lo  stesso  lavoratore
possono sottrarsi. 
    Secondariamente, il gettito scaturente dal prelievo e'  destinato
alla pubblica spesa, come desumibile dallo  stesso  tenore  letterale
della normativa in esame; il d.l. n. 78/2010  detta  infatti  «misure
urgenti  in  materia   di   stabilizzazione   finanziaria»,   laddove
l'articolo in questione e' espressamente  dedicato  al  «contenimento
delle spese in materia di impiego pubblico». 
    La natura tributaria della normativa in  questione  trova  infine
conferma nel carattere non sinallagmatico  dell'imposizione,  operata
senza che a fronte di essa possa individuarsi  una  controprestazione
da parte  dell'ente  pubblico,  o  una  riduzione  delle  prestazioni
contrattualmente   richieste,   nel    «presupposto    economicamente
rilevante» dei sacrifici imposti,  e  nella  piu'  volte  evidenziata
stabilita' nel tempo delle disposizioni di  cui  al  citato  comma  9
dell'art. 21 d.l. n. 78/2010. 
    Chiarite le ragioni che inducono il Collegio ad attribuire natura
tributaria alla detta norma, occorre chiedersi se la stessa superi il
vaglio di compatibilita' con l'art. 53 Cost. 
    Osserva in proposito il Collegio che, come gia' evidenziato nelle
ordinanze di rimessione alla Corte  costituzionale  n.  311/2012  del
T.A.R. Calabria e n. 1691/2012 del T.A.R. Lombardia-Milano, il  detto
prelievo  si  e'  indirizzato  nei  confronti  di  una  ben  limitata
categoria di contribuenti, accomunati dall'avere  la  parte  pubblica
quale datore di lavoro, risultando  cosi'  esentati  dall'imposizione
straordinaria,   nonostante   l'eccezionalita'    della    situazione
economica,  tutti  gli  altri  contribuenti,  pure  in  possesso   di
rilevanti redditi, non rientranti nella predetta categoria, da cui la
possibile violazione dei principi di cui all'art. 53 Cost. 
    L'imposizione  contributiva  e  fiscale   deve   infatti   essere
improntata a canoni di uniformita', che  nell'ammontare  dei  cespiti
patrimoniali, individuino un criterio certo e non discriminatorio  di
identificazione della capacita' contributiva. 
    La  Costituzione  non  impone  affatto  una  tassazione   fiscale
uniforme, con criteri  assolutamente  identici  e  proporzionali  per
tutte le tipologie di imposizione  tributaria,  ma  esige  invece  un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (Corte Costituzionale, 24 luglio 2000, n. 341). 
    Il principio di capacita' contributiva, come criterio diretto  ad
orientare  la  discrezionalita'  del  legislatore  in   ordine   alla
prefigurazione e configurazione degli  obblighi  tributari,  comporta
che a situazioni uguali,  sul  piano  della  capacita'  contributiva,
corrispondano obblighi uguali, di tal che il sacrificio  patrimoniale
che per contingenti ragioni di  contenimento  della  spesa  pubblica,
incida solo sulla condizione e  sul  patrimonio  di  una  determinata
categoria di lavoratori, lasciando indenni, a  parita'  di  capacita'
reddituale, altre categorie, da'  adito  a  dubbi  di  compatibilita'
costituzionale per contrasto con l'art. 53 Cost. 
    Tale articolo pare peraltro violato anche  sotto  altro  profilo,
evidenziato dagli stessi ricorrenti, sebbene con riferimento al  solo
art. 3 Cost., poiche' il legislatore  non  avrebbe  regolamentato  la
sospensione degli scatti di anzianita', modulando le disposizioni  di
legge in modo  differente,  a  seconda  del  momento  in  cui  doveva
intervenire lo scatto. 
    Infatti,  per  chi  aveva  gia'  maturato  lo  scatto  nel  2010,
risulterebbe perso solo uno scatto, quello  del  2012,  ricominciando
poi la progressione stipendiale  a  decorrere  nel  2014,  mentre,  a
titolo esemplificativo, per chi abbia maturato lo scatto nel 2009  si
perderanno due aumenti, quello  del  2011  e  quello  del  2013,  con
conseguente  irragionevole  sperequazione  sulla   carriera   e   sul
trattamento economico degli interessati. 
    Infine il blocco presenta una spiccata incidenza  regressiva,  in
violazione dell'art. 53 Cost. 
    La  decurtazione  in  questione  influisce  effettivamente  nella
stessa misura  percentuale  praticamente  per  tutti  i  ricercatori,
incidendo quindi nella medesima proporzione su tutti gli stipendi,  a
prescindere dalla loro consistenza, mentre,  ai  sensi  dell'art.  53
della Costituzione, nell'imporre a tutti i dipendenti universitari un
sacrificio in nome di esigenze di contenimento della spesa  pubblica,
una corretta applicazione, oltre  che  del  principio  di  «capacita'
contributiva», anche del criterio  della  «progressivita'»  (art.  53
cost.), avrebbe imposto una  partecipazione  piu'  significativa,  in
termini percentuali, per coloro che sono titolari  di  stipendi  piu'
alti. 
    Il blocco in questione non solo non rispetta  alcun  criterio  di
progressivita' ma,  al  contrario,  produce  un  effetto  addirittura
regressivo, colpendo pertanto in misura maggiore proprio gli stipendi
piu' bassi. Gli «scatti»  stipendiali  conseguenti  alla  maturazione
delle diverse «classi» di  stipendio  non  operano  infatti  in  modo
omogeneo, ma sono profondamente  diversificati,  decrescendo  con  il
progredire dell'anzianita' di ruolo. E' quindi palese che, a  seguito
del blocco degli scatti, l'effetto  sulle  retribuzioni  e'  di  gran
lunga piu' incisivo sulle classi di stipendio piu' basse. 
    Va infine rilevata  la  possibile  illegittimita'  costituzionale
della norma in  questione,  nella  parte  in  cui  esclude  qualsiasi
possibilita' di «successivo recupero»  degli  incrementi  stipendiali
oggetto del blocco, per violazione del  principio  di  eguaglianza  e
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di imparzialita' e buon
andamento dell'azione  amministrativa  (art.  97  Cost.),  anche  con
riferimento  al  diritto  ad  una  retribuzione  proporzionata   alla
quantita' e qualita' del lavoro prestato (art. 36 Cost.). 
    Il  meccanismo  introdotto  con  l'art.  9,  comma  21,  comporta
l'esclusione di qualsiasi recupero successivo degli scatti,  rispetto
ai «meccanismi di adeguamento retributivo», di  cui  all'articolo  24
della legge 23 dicembre 1998, n. 448; ogni possibilita'  di  recupero
e' poi esclusa anche  per  quanto  attiene  alla  «maturazione  delle
classi e degli scatti  di  stipendio»,  e  l'anzianita'  di  servizio
riprendera' a decorrere, a partire dal  2014,  come  se  il  triennio
2011-2012-2013 non fosse mai esistito. 
    Ne  deriva  che  non  solo  per  il  triennio  in  esame  ciascun
ricercatore non gode ne' dei meccanismi  di  adeguamento  retributivo
ne' degli aumenti automatici legati all'anzianita', ma, a partire dal
2014, i meccanismi  di  adeguamento  e  gli  scatti  riprenderanno  a
decorrere, saltando del tutto  lo  stesso  triennio,  i  cui  effetti
sull'anzianita' di carriera e sui correlati istituti saranno  perduti
definitivamente. 
    Si  genera  cosi'  un'evidente  alterazione  del  meccanismo   di
adeguamento delle retribuzioni di cui all'art. 24 della legge n.  448
del 1998, finalizzato  a  salvaguardarne  il  valore  reale  rispetto
all'aumento del costo della vita;  ne  consegue  la  violazione,  per
irragionevolezza ed illogicita', degli artt. 3, 36 e 97 Cost. per  le
ragioni esposte in epigrafe. 
    Peraltro, quando in passato si e' ritenuto di  dover  intervenire
sui meccanismi di «adeguamento retributivo» di cui all'art. 24  della
legge n. 448 del 1998 per ridimensionarne temporaneamente la  portata
(in misura e con effetti, peraltro, nettamente piu' modesti di quanto
accade oggi), e' stato  previsto  espressamente  che,  pur  rimanendo
esclusa la corresponsione di arretrati, l'adeguamento  riprendesse  a
decorrere al cessare della misura temporanea,  senza  cancellare  gli
effetti del tempo decorso (cfr. l'art. 1, comma 576, della  legge  27
dicembre 2006, n. 296 - finanziaria 2007; l'art. 69 del d.l.  n.  112
del 2008). 
    L'irragionevolezza della preclusione si apprezza maggiormente con
la comparazione delle posizioni dei  dipendenti  «contrattualizzati»,
per i quali non sembra essere operante il medesimo vincolo. 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87,  ritenendola  rilevante  e  non  manifestamente
infondata,  questo  Tribunale  solleva  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, n.  78,
come convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122,  per  contrasto  con
gli artt. 3, 36, 97 e 53 della Costituzione, secondo i profili e  per
le ragioni sopra indicate, con sospensione  del  giudizio  fino  alla
pubblicazione nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  italiana
della decisione della Corte costituzionale sulle questioni  indicate,
ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 ed 80  c.p.a.  e  295
c.p.c. 
    Va riservata alla sentenza definitiva ogni  ulteriore  decisione,
nel merito e sulle spese. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari
(Sezione Prima), visti gli artt. 79, comma 1, c.p.a. e  23  legge  11
marzo  1953,  n.  87,  ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
9, comma  21  del  d.l.  31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n.  122,  in  relazione  agli
artt. 3, 36, 97, e 53 della Costituzione, dispone la sospensione  del
giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Rinvia ogni definitiva statuizione in rito, nel  merito  e  sulle
spese di lite all'esito del promosso giudizio incidentale,  ai  sensi
dell'art. 79 ed 80 del c.p.a. 
    Ordina che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri. 
    Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito. 
    Cosi' deciso in Bari nella  camera  di  consiglio  del  giorno  6
febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati: 
        Corrado Allegretta, Presidente; 
        Giacinta Serlenga, Primo Referendario; 
        Francesca Petrucciani, Referendario, Estensore. 
 
                      Il Presidente: Allegretta