N. 149 ORDINANZA 17 - 20 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento civile - Corte di cassazione -  Sentenza  di  cassazione
  con rinvio - Obbligo del  giudice  del  rinvio  di  uniformarsi  al
  principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, e di
  decidere la causa nel merito qualora non siano necessari  ulteriori
  accertamenti di fatto - Asserito  contenuto  di  automatismo  della
  norma censurata - Censura che si risolve nella rivendicazione di un
  sindacato del giudice del rinvio su (presunti) errores in iudicando
  e in procedendo della Corte di cassazione - Manifesta  infondatezza
  della questione. 
- Codice di procedura civile, art. 384, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 23, 24 e 53. 
(GU n.26 del 26-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  384,
secondo  comma,  del  codice  di  procedura  civile,  promossi  dalla
Commissione tributaria regionale delle Marche  con  ordinanze  del  9
luglio 2010, del 27 maggio 2011 e del 9 luglio 2010,  rispettivamente
iscritte al n. 228, al n. 255 e al n. 258 del registro ordinanze 2012
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 e n. 46,
prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  maggio  2013  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli. 
    Ritenuto che,  con  tre  distinte  ordinanze  di  analogo  tenore
(iscritte al r.o. n. 228, n. 255 e n. 258 del 2012),  la  Commissione
tributaria  regionale  delle  Marche  ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo  384,  secondo  comma,  del
codice di procedura civile, denunciando, in riferimento agli articoli
23, 24 e 53 della Costituzione, «l'automatismo contenuto nel  rinvio»
ivi contemplato; 
    che, in tutti i processi  pendenti  davanti  al  giudice  a  quo,
questi e' chiamato a decidere, come giudice del rinvio a  seguito  di
cassazione di  precedente  pronuncia  di  appello,  una  controversia
tributaria  nella  quale  viene  in  rilievo   la   questione   della
presunzione di distribuzione di utili societari, eccepita dall'erario
nei  confronti  di  un  contribuente  destinatario   di   avviso   di
accertamento emesso a rettifica del reddito dichiarato ai fini IRPEF,
quale maggiore reddito imponibile della quota di reddito di  capitale
a titolo di partecipazione in una societa' di capitali; 
    che, a tal riguardo, la Corte di cassazione ha chiesto al giudice
di rinvio di applicare il principio - che  esso  giudice  del  merito
dichiara di non condividere  -  secondo  il  quale,  in  forza  della
previsione della lettera d) del  primo  comma  dell'articolo  39  del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi), «e' legittima la presunzione
di attribuzione degli utili ai singoli soci definitivamente accertati
in capo ad una societa'  di  capitali  allorquando  ci  si  trovi  al
cospetto di una societa' a ristretta base sociale»; 
    che il rimettente muove, infatti,  dal  presupposto  (su  cui  si
diffonde  ad  argomentare)  che  l'anzidetto  principio  di   diritto
«contiene un evidente errore costituito dalla omissione della mancata
valutazione  dei  tre  requisiti  contemporaneamente  richiesti   dal
legislatore per la validita' della presunzione [gravita',  precisione
e concordanza], tale da  cagionare  (...)  un  danno  giudiziario  al
contribuente poi non rimediabile»; 
    che il giudice a quo osserva, quindi, che, malgrado egli  ritenga
errato il principio enunciato dalla Corte di legittimita',  si  trova
costretto  ad  applicarlo  nelle  controversie   rimesse   alla   sua
cognizione,  e  cio'  in  ragione  appunto  dell'«automatismo   della
previsione» di cui al secondo comma dell'art. 384 cod. proc. civ., il
quale stabilisce che «La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa  la
sentenza  rinviando  la  causa  ad  altro  giudice,  il  quale   deve
uniformarsi al principio di diritto  e  comunque  a  quanto  statuito
dalla Corte, ovvero decide la causa  nel  merito  qualora  non  siano
necessari ulteriori accertamenti di fatto»; 
    che, pertanto, ad avviso della Commissione  tributaria  regionale
rimettente, la norma  denunciata  contrasterebbe,  anzitutto,  con  i
principi di cui al primo, secondo e quarto comma dell'art.  24  della
Costituzione,   «in   quanto,   in   una   situazione   come   quella
rappresentata, la tutela dei diritti e degli interessi legittimi  del
contribuente potrebbe  essere  solo  apparente  o  nominale,  ma  non
effettiva al pari del diritto della difesa che  non  potrebbe  invece
interloquire  nel  corso  di  un  giudizio  di   merito   su   errori
eventualmente  commessi  dalla  Suprema  Corte  al  fine   di   farli
rimuovere», ne' potrebbe (quella difesa) porvi rimedio; 
    che  sussisterebbe,  inoltre,  la  lesione  dell'art.  23  Cost.,
giacche' «nel caso  evidenziato  [...]  la  prestazione  patrimoniale
verrebbe imposta in base ad un (erroneo) principio della  Cassazione»
(la' dove, peraltro, secondo l'ordinanza iscritta al r.o. n. 255  del
2012, la dedotta  lesione  dell'art.  23  Cost.  sarebbe  ancor  piu'
rilevante,  in  quanto  il  principio  enunciato   dalla   Cassazione
confliggerebbe anche con l'art. 293  del  Trattato  istitutivo  della
Comunita' europea in materia di divieto di doppia imposizione); 
    che verrebbe, infine, vulnerato anche l'art. 53 Cost., posto  che
«nel caso in cui la Corte di Cassazione abbia errato la  formulazione
del principio di diritto, il  contribuente  andra'  irrimediabilmente
incontro ad un prelievo costituzionalmente non dovuto e cio'  sarebbe
ancora piu' grave ove l'eventuale errore  sia  stato  rilevato  prima
della definitivita' del giudizio»; 
    che, nei giudizi di cui alle ordinanze n. 228 e n. 255 del  2012,
e'  intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  venga   dichiarata   inammissibile   o
manifestamente infondata; 
    che la difesa  erariale  osserva  che  il  dubbio  sollevato  dal
rimettente, oltre a non risultare pertinente rispetto  all'evocazione
dei parametri di cui agli artt. 23 e 53 Cost., e', comunque,  analogo
a quello gia' affrontato e risolto da questa Corte, con  la  sentenza
n. 224 del 1996, nel senso della non fondatezza,  sul  rilievo  della
connaturalita'  al  sistema  delle  impugnazioni  di  una   pronuncia
terminale, identificabile in quella della Corte  di  cassazione,  che
fornisca   certezza   ai    rapporti    giuridici,    quale    valore
costituzionalmente protetto in funzione della tutela giurisdizionale. 
    Considerato che la Commissione tributaria regionale delle  Marche
dubita, in riferimento agli articoli 23, 24, primo, secondo e  quarto
comma, e 53 della Costituzione (per i profili  innanzi  evidenziati),
della legittimita' costituzionale dell'articolo 384,  secondo  comma,
del codice di procedura civile, il quale, in guisa di  «automatismo»,
stabilisce: «La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la  sentenza
rinviando la causa ad altro giudice, il  quale  deve  uniformarsi  al
principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero
decide la causa nel merito  qualora  non  siano  necessari  ulteriori
accertamenti di fatto»; 
    che la questione, posta da tutte le ordinanze di rimessione negli
stessi termini, e' manifestamente infondata in riferimento a tutti  i
parametri evocati; 
    che, in primo  luogo,  si  palesano  insussistenti  i  denunciati
profili di contrasto dell'art. 384 cod. proc. civ. con  gli  articoli
23 e 53 Cost., in quanto il dubbio di costituzionalita', che fa  leva
sulla paventata lesione, per ingiustificata imposizione, dei  diritti
dei contribuenti, non  e'  direttamente  riferito  in  astratto  alla
previsione della disposizione censurata, bensi'  e'  ipotizzato  come
solo indirettamente conseguente, sul piano  fattuale,  alla  esegesi,
eventualmente errata, che, nel caso specifico, la Corte di cassazione
abbia  in  concreto  dato  alla  disposizione   tributaria   che   la
Commissione rimettente e' chiamata, in sede di rinvio,  ad  applicare
(e che la stessa rimettente, comunque,  non  coinvolge  nei  presenti
giudizi incidentali agli effetti di una verifica di costituzionalita'
della norma risultante da quella sua  interpretazione,  quale  scelta
rimessa alla valutazione del giudice del rinvio  e  che  non  risulta
affatto ostacolata dal vincolo del principio di diritto, come  questa
Corte ha piu' volte affermato: ex plurimis e  tra  le  piu'  recenti,
sentenza n. 214 del 2012); 
    che, del pari, risulta priva di consistenza la  asserita  lesione
dell'art. 24 Cost., sotto ognuno dei dedotti profili di censura; 
    che,  difatti,  questa  Corte,  gia'  in   precedenti   occasioni
(sentenze n. 50 del 1970, n. 21 del 1982, n. 294 del 1995, n. 224 del
1996; ordinanze n. 11 del 1999 e  n.  501  del  2000),  ha  messo  in
evidenza  come  censure  analoghe  a  quelle  proposte   dall'attuale
rimettente si risolvano, in  pratica,  «nella  rivendicazione  di  un
sindacato del giudice del rinvio su (presunti) errores in iudicando e
in procedendo  della  Corte  di  cassazione:  sindacato  da  ritenere
peraltro incompatibile con il sistema delle impugnazioni,  anche  nel
suo "volto costituzionale"»; 
    che l'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.,  nell'ambito  del
giudizio civile, risponde  all'esigenza,  propria  del  principio  di
definitivita' delle  sentenze  di  cassazione,  di  far  si'  che  il
processo pervenga ad una soluzione finale e che questa assuma «valore
definitivo, cosi' da impedire la perpetuazione dei giudizi»; 
    che e',  difatti,  connaturale  «al  sistema  delle  impugnazioni
ordinarie  che  vi  sia  una  pronuncia  terminale  -  identificabile
positivamente in quella della Cassazione "per  il  ruolo  di  supremo
giudice di legittimita' ad essa affidato dalla  stessa  Costituzione"
(...) - la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni  questione
dedotta o  deducibile  al  fine  di  dare  certezza  alle  situazioni
giuridiche  controverse  e  che,  quindi,  non  sia  suscettibile  di
ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso» (sentenza  n.  21
del 1982); 
    che una siffatta esigenza di definitivita' e certezza rappresenta
un valore costituzionalmente protetto, «in quanto  ricollegabile  sia
al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 della  Costituzione),
la cui effettivita'  risulterebbe  gravemente  compromessa  se  fosse
sempre possibile  discutere  sulla  legittimita'  delle  pronunce  di
cassazione (sentenza  n.  224  del  1996),  sia  al  principio  della
ragionevole durata del processo, ora  assunto  a  rango  di  precetto
costituzionale alla  luce  del  secondo  comma  dell'art.  111  della
Costituzione, come modificato dall'art. 1 della legge  costituzionale
23 novembre 1999, n. 2»; 
    che, peraltro, l'impianto, gia' saldo, dei richiamati principi e'
altresi' corroborato dal rilievo che assume, nell'ambito del  sistema
processuale e secondo una direttrice che  e'  alimentata  dal  valore
della certezza  del  diritto,  la  funzione  nomofilattica  assegnata
dall'ordinamento  alla  Cassazione   -   di   recente   ulteriormente
valorizzata dal legislatore a seguito delle riforme  processuali  del
2006 e del 2009 - della quale e' sicuramente partecipe il vincolo del
"principio  di  diritto",  le  cui  fondamenta  poggiano  anche   sul
principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), in forza  del
quale casi analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in
modo analogo; 
    che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo  384,  secondo  comma,  del
codice di procedura civile, sollevata, in riferimento  agli  articoli
23,  24  e  53  della  Costituzione,  dalla  Commissione   tributaria
regionale delle Marche con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI