N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 2012

Ordinanza del 7 dicembre 2012 emessa dal  Tribunale  di  Firenze  nel
procedimento civile promosso da C. S. A. e P.  G.  contro  Centro  di
fecondazione assistita «Demetra» S.r.l. e  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri. 
 
Procreazione medicalmente assistita - Sperimentazione sugli  embrioni
  umani  -  Divieto  di  qualsiasi  ricerca  clinica  o  sperimentale
  sull'embrione che non risulti finalizzata alla tutela della  salute
  e allo sviluppo dello stesso - Carattere assoluto e inderogabile  -
  Conseguente operativita' anche rispetto agli embrioni residuati  da
  PMA non piu' impiegabili per fini procreativi (in quanto  malati  o
  non biopsiabili) e destinati  all'autodistruzione  -  Irragionevole
  difetto di bilanciamento della tutela dell'embrione con l'interesse
  costituzionalmente rilevante alla ricerca scientifica bio-medica  -
  Contrasto  con  la  promozione   dello   sviluppo   della   ricerca
  scientifica e con la tutela della salute come diritto  fondamentale
  dell'individuo e interesse della collettivita' - Contrasto  con  la
  Convenzione di Oviedo sulle biotecnologie. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 13 (commi 1, 2 e 3). 
- Costituzione, artt. 9, 32 e 33, primo comma; Convenzione di  Oviedo
  sulle biotecnologie, artt. 1, 5 e 18. 
Procreazione  medicalmente  assistita   -   Consenso   informato   al
  trattamento - Irrevocabilita' dopo  la  fecondazione  dell'ovulo  -
  Contrasto con il diritto irretrattabile della persona  al  consenso
  informato e con la liberta' di autodeterminazione  nel  trattamento
  sanitario - Irrazionale diversificazione  della  PMA  da  tutte  le
  altre ipotesi di trattamento terapeutico, in  deroga  al  principio
  della necessita' del consenso  del  paziente  prima  e  durante  il
  trattamento - Richiamo alla sentenza n. 151 del  2009  della  Corte
  costituzionale. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6, comma 3, ultimo capoverso. 
- Costituzione, artt. 2, 13 e 32. 
Procreazione  medicalmente  assistita   -   Consenso   informato   al
  trattamento e sperimentazione sugli embrioni umani -  Disciplina  -
  Impossibilita'  per  i  generanti   di   destinare   alla   ricerca
  scientifica gli embrioni residuati da PMA non piu' impiegabili  per
  fini procreativi (in quanto malati o non biopsiabili), revocando il
  consenso  al  trattamento   prestato   prima   della   fecondazione
  dell'ovulo - Illogicita' e irragionevolezza. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, artt. 13, commi 1, 2 e 3, e 6, comma
  3, ultimo capoverso. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 13, 31, 32 e 33, primo comma. 
(GU n.29 del 17-7-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 18 settembre  2011,
sul ricorso ex art. 700 c.p.c., promosso da C. S. A.  e  P.  G.,  nel
corso della causa sub in RG 4942/2012, osserva quanto segue. 
 
                              In fatto 
 
    1. - Con atto di  citazione  davanti  al  Tribunale  di  Firenze,
notificato in data 30 marzo 2012, C. S. A. e P.  G.  hanno  convenuto
davanti al Tribunale di Firenze il Centro di  Fecondazione  Assistita
Demetra S.r.l. e lo Stato Italiano, in persona della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, chiedendo: 
    1) di ordinare al Centro medico Demetra S.r.l. la  consegna  agli
attori degli embrioni crioconservati, e di accertare e dichiarare  la
piena efficacia e validita' del consenso espresso dalla donna di  non
procedere al trasferimento in  utero  degli  embrioni  crioconservati
presso il centro con ogni effetto conseguenziale; 
    2)   di   condannare   lo   Stato   Italiano,   accertatane    la
responsabilita' per il c.d. illecito legislativo o costituzionale, al
risarcimento del danno patrimoniale (nella misura di euro  5,000,00),
e del danno non patrimoniale nella misura ritenuta di giustizia. 
    2. - Gli attori hanno esposto, a sostegno della loro domanda,  in
fatto: 
    di essersi rivolti al centro Demetra S.r.l. di Firenze al fine di
procedere al trattamento di PMA con preventiva diagnosi  genetica  di
pre-impianto per la prima volta nel gennaio 2009 e che, in ossequio a
quanto previsto dalla legge, erano stati  prodotti  solo  3  embrioni
che, sottoposti all'esame di PDG, erano risultati tutti affetti dalla
patologia genetica dell'esostosi, cosicche' la C. si era  determinata
a non procedere al trasferimento nel proprio utero; 
    che, nell'ottobre 2009, si erano  rivolti  nuovamente  al  centro
Demetra S.r.l. per un nuovo ciclo di PMA, e che a  tale  scopo  erano
stati prodotti a 10 embrioni; dall'esame  genetico  di  pre-impianto,
era peraltro emerso  che  su  4  embrioni  non  era  stato  possibile
eseguire l'esame del  DNA  per  cause  tecniche,  5  erano  risultati
affetti dalla patologia dell'esostosi, e  1  soltanto  era  risultato
sano (come da cartella clinica del Centro Demetra allegata); 
    che, dato il numero ridotto di embrioni con sicurezza non affetti
dalla patologia (n. 1) da trasferire e considerato che si trattava di
materiale di media qualita', avevano comunicato  al  centro  la  loro
intenzione di non procedere al trattamento di PMA; 
    che il Centro Demetra in forza del disposto di  cui  all'art.  6,
comma III, aveva risposto evidenziando l'impossibilita' di dar  corso
a tale richiesta, significando che la volonta' avrebbe potuto  essere
revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al
momento della fecondazione dell'ovulo; 
    che, in un colloquio tra essi attori ed i responsabili del Centro
Medico era stato rappresentato da questi ultimi che la violazione  di
tale previsione, anche se priva di specifica sanzione, avrebbe potuto
dar  luogo  a  non  meglio  precisati  provvedimenti  coercitivi  nei
confronti della donna, da parte dell'autorita' giudiziaria; 
    che, in  conseguenza  di  cio',  la  C.  si  era  determinata  ad
effettuare il trattamento di PMA utilizzando 1 solo embrione,  e  che
degli altri 9 embrioni (di cui  4  non  biopsabili  e  5  affetti  da
patologia), era stata disposta, giocoforza, a  cura  del  centro,  la
crioconservazione; 
    che il tentativo era risultato infruttuoso, e che  dunque  la  C.
aveva assunto informazioni circa la  possibilita'  di  destinare  gli
embrioni  soprannumerari  risultati  affetti   dalla   patologia   ad
attivita' mediche diagnostiche e di ricerca scientifica connesse alla
propria patologia genetica; 
    che da parte del Centro era stato rappresentato, anche in  questo
caso, che in forza del disposto di cui all'art.  13  della  legge  n.
40/2004 cio' risultava assolutamente vietato; 
    che la C. aveva intenzione di  ripetere  il  trattamento  di  PMA
entro i mesi successivi, e, vista la pregressa esperienza,  intendeva
riservarsi all'esito dell'indagine genetica di  pre-impianto  e  alla
qualita' degli embrioni prodotti, di decidere se sottoporsi o meno al
successivo trasferimento nel proprio  utero  del  materiale  genetico
prodotto, ovvero di destinare a fini di ricerca il medesimo, o ancora
di procedere alla sua crioconservazione; 
    che, dunque, risultava evidente l'attualita' del diritto azionato
nel giudizio, atteso che 4 degli embrioni crioconservati, di cui  non
era stato possibile conoscere lo stato di  salute,  non  erano  stati
trasferiti per l'opposizione della C. a procedere in tal senso. 
    3. - In diritto, hanno rilevato: 
        a) con riferimento alle questioni poste dalla  previsione  di
cui all'art.  13,  commi  1,  2,  3  legge  n.  40/2004  in  tema  di
intangibilita' assoluta dell'embrione, ed in  relazione  all'esigenza
di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: 
          che nella sentenza n. 151/2009, la Corte costituzionale non
si e' pronunciata sull'annosa  questione  posta  dall'art.  13  della
legge  n.  40/2004,  inerente  il  bilanciamento   costituzionalmente
ragionevole  tra  tutela  dell'embrione  e  interesse  alla   ricerca
scientifica finalizzata  alla  tutela  della  salute  (individuale  e
collettiva); ne', d'altra parte, la questione risultava essere  stata
rimessa alla Corte dal Giudice di merito in sede di ricorso  ex  art.
700 c.p.c. (come da ordinanze del Tribunale di Firenze 12 luglio 2008
e 26 agosto 2008); 
          che le questioni poste dall'art. 13  risultano  autonome  e
distinte da quelle di  cui  all'art.  14,  oggetto  del  giudizio  di
costituzionalita' deciso con la sentenza n.  151/2009,  prevedendo  e
disciplinando l'art. 13, intitolato «Sperimentazione  sugli  embrioni
umani»,  i  limiti  alla  ricerca  scientifica,  laddove  l'art.   14
regolamenta i «Limiti alla applicazione delle tecniche di PMA»; 
          che, invero, l'art.  13  impone  il  divieto  di  qualsiasi
sperimentazione nonche' di ricerca sugli embrioni  che  non  persegua
finalita' terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate,  volte  alla
tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso;  lo  stesso
articolo  vieta  ogni  forma  di   selezione   a   scopo   eugenetico
dell'embrione  e  dei  gameti,  ovvero  interventi  che,   attraverso
tecniche  di  selezione,  di  manipolazione  e  comunque   attraverso
procedimenti artificiali, siano diretti  ad  alterare  il  patrimonio
genetico  dell'embrione  o  del  gamete,  ovvero  a   predeterminarne
caratteristiche  genetiche,  ad  eccezione  degli  interventi  aventi
finalita' diagnostiche e terapeutiche dello stesso; 
          che, secondo l'interpretazione  accolta  dalla  maggioranza
della dottrina e dalla totalita' della  giurisprudenza  (con  l'unica
esclusione della prima pronuncia in  materia  di  PMA  ad  opera  del
Tribunale di Catania nel maggio 2004), l'art. 13 concerne  unicamente
l'ambito  della  ricerca  scientifica  e  non  l'applicazione   delle
tecniche  di  procreazione  medicalmente  assistita   (Tribunale   di
Cagliari Ordinanza 22 settembre 2007; Tribunale di Firenze, ordinanza
17-19 dicembre 2007; Tribunale di Firenze, ordinanza 11 luglio  2008;
Tribunale di Firenze, ordinanza 23 agosto 2008; Tribunale di  Milano,
ordinanza 6 marzo 2009; Tribunale di Milano, ordinanza 8 marzo  2009;
Tribunale di Bologna, ordinanza 16 giugno 2009; Tribunale di Bologna,
ordinanza del 29 giugno  2009;  Tribunale  di  Salerno,  ordinanza  9
gennaio 2010); 
          che, anche  in  forza  del  disposto  di  cui  al  comma  5
dell'art. 14, la Corte  costituzionale  ha  ritenuto  contrarie  agli
artt. 2, 3, 32 Cost. le previsioni  di  cui  all'art.  14,  comma  2,
limitatamente alle parole «ad  un  unico  e  contemporaneo  impianto,
comunque non superiore a tre», nonche' del comma 3 nella parte in cui
«non prevede che il trasferimento degli embrioni  da  realizzare  non
appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato
senza pregiudizio per la salute della donna»; 
          che, dunque, le questioni  connesse  al  bilanciamento  tra
l'interesse alla vita, allo sviluppo, e a non subire  alcun  tipo  di
intervento  clinico,   sperimentale   o   diagnostico,   riconosciuto
all'embrione ex art. 13,  e  gli  speculari  interessi  alla  ricerca
scientifica e tecnica ex art. 9  Cost.,  connessi  alle  esigenze  di
tutela della salute collettiva ex art.  32,  primo  comma  e  art.  2
Cost., non sono risultati oggetto di una  pronuncia  da  parte  della
Corte costituzionale; 
          che tale questione risulta di assoluta  preminenza  per  il
soddisfacimento degli interessi azionati  in  giudizio,  avendo  essi
attori crioconservato presso il Centro Demetra ben 9 embrioni (di cui
la meta' malati e l'altra meta' non sottoponibili a biopsia), che per
loro espressa decisione non  verranno  mai  utilizzati  nel  processo
procreativo, configurandosi come embrioni  soprannumerari  destinanti
all'autodistruzione; 
          che, dunque, allo stato attuale, il problema del potere dei
generanti il materiale genetico utilizzato per creare  gli  embrioni,
di scegliere sulla sorte di quelli  in  sovrannumero,  e'  del  tutto
attuale e tutt'altro che risolto, posto che il bilanciamento  operato
dalla legge n. 40/2004 all'art. 13 risulta del tutto irragionevole; 
          che, invero, se piu' di un dubbio appare ipotizzabile, alla
luce dell'assetto dei valori e  dei  principi  dell'ordinamento,  che
nell'esercizio del proprio potere discrezionale il legislatore  possa
ritenere di principio prevalente la tutela della salute, della vita e
dell'integrita' dell'embrione  idoneo  ad  essere  impiegato  per  la
procreazione, rispetto agli interessi alla salute collettiva  e  alla
connessa ricerca scientifica, il dubbio  diventa,  sotto  il  profilo
ontologico e di stretto diritto, insuperabile laddove si ritenga  che
tale prevalenza di tutela debba essere riconosciuta sempre e comunque
all'embrione, a prescindere dalle valutazioni delle sue condizioni  e
prospettive di impiego nel caso concreto, dunque per quanto  riguarda
gli embrioni soprannumerari, abbandonati, affetti da patologie gravi; 
          che, in altri termini, non puo' trascurarsi di valutare  in
maniera differenziata, stante l'assetto dei valori e dei principi del
nostro ordinamento, il divieto di produrre  embrioni  da  finalizzare
alla ricerca, rispetto al divieto di utilizzare quelli  residuati  da
procedimenti di PMA - in particolar  modo  per  quanto  riguarda  gli
embrioni abbandonati, malati, ovvero ancora non  biopsiabili,  dunque
sicuramente non piu' impiegabili per  fini  procreativi  e  destinati
percio' all'autodistruzione certa nel  giro  di  qualche  anno  -  ad
impieghi alternativi e sicuramente meritevoli  di  tutela  alla  luce
della Carta  costituzionale  quale,  ad  esempio,  l'impiego  per  la
ricerca  scientifica  in  ambito  medico  e  terapeutico,   dovendosi
altresi' porre mente agli enormi progressi conseguiti  dalla  scienza
medica negli ultimi anni in ambito scientifico-sperimentale  e  anche
terapeutico,  grazie  alla  ricerca  mediante  l'impiego  di  cellule
staminali embrionali, consentita in  pressoche'  tutti  i  paesi  del
mondo e assolutamente vietata in Italia; 
          che, quindi, l'art. 13 legge n. 40/2004, nel  prevedere  un
divieto assoluto di qualsiasi  ricerca  clinica  o  sperimentale  non
finalizzata alla tutela dell'embrione stesso,  non  operando  nessuna
distinzione in proposito, si traduce in un divieto privo di deroghe e
temperamenti e quindi del tutto irragionevole, e percio'  sicuramente
in contrasto non solo con i richiamati principi sanciti  dalla  carta
costituzionale  (art.  9  e  32  Cost.),  ma  anche  da   Convenzioni
internazionali (artt. 1, 5, 18 Conv. Oviedo sulle Biotecnologie); 
          che,  infatti,  l'interesse  allo  sviluppo  della  ricerca
scientifica appare del tutto recessivo  rispetto  all'aspettativa  di
vita del singolo embrione, essendo la previsione di cui  all'art.  13
caratterizzata  dall'opzione  di  fondo  della  tutela  assoluta   di
quest'ultimo interesse, senza alcuna ragionevole distinzione  tra  le
varie  categorie  di  embrioni,  e,  conseguentemente,  senza   alcun
bilanciamento  dei  contrapposti  interessi   coinvolti,   tutti   di
rilevanza costituzionale, specie con riferimento  al  problema  della
sorte degli embrioni soprannumerari, destinati a rimanere inutilmente
crioconservati sino alla loro completa estinzione, non potendo essere
compiuta nessuna attivita' di ricerca o  sperimentazione  scientifica
in relazione agli stessi, a meno che dette attivita' non siano «volte
alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso»; 
          che un tale assetto, comunque, non puo' essere giustificato
dalla  considerazione  di  rischi  connessi  ad  un  eventuale  vuoto
normativo,  posto   che   per   superare   l'evidente   problema   di
ragionevolezza  della  norma  sarebbe   sufficiente   prevedere   che
l'assolutezza della tutela, che si traduce nell'inderogabilita' della
stessa (e quindi dell'impossibilita' di destinare l'embrione  a  fini
diversi dalla sua propria cura), debba essere valutata «tenendo conto
dell'impiego programmato o ragionevolmente prevedibile cui l'embrione
e' destinato», con la conseguenza che ove il medesimo fosse non  piu'
impiegabile a fini procreativi e quindi destinato a naturale e rapida
«estinzione», esso potrebbe  essere  utilizzato,  previo  parere  dei
generanti, per altri impieghi «costituzionalmente rilevanti», come la
ricerca scientifica bio-medica; 
          che, inoltre,  non  e'  possibile  rinvenire  nel  disposto
normativa  nessuna  definizione  precisa  dell'embrione,  venendo  il
termine utilizzato come sinonimo  di  concepito  e  ovulo  fecondato,
poiche' la definizione di embrione, estranea alla scienza giuridica e
propria di quella biologica, individua un'entita' organica  al  terzo
giorno dalla fecondazione dell'ovocita, cosicche' ovulo  fecondato  e
concepito non sarebbero sussumibili nel concetto di  embrione  inteso
come unita' multicellulare con patrimonio genetico ormai distinto  ed
autonomo da quello dei progenitori; 
          che, dunque, sia sotto il profilo della ricerca scientifica
(art. 13), che sotto quello delle tutele normative  apprestate  (art.
1, comma 2; art. 6, comma 3 u.c.; art. 6,  comma  1;  capo  III),  la
qualificazione dell'oggetto  di  tutela  come  embrione  ovvero  come
entita'  in  fase  precedente  (ovulo  fecondato  e/o  concepito  e/o
nascituro)  comporterebbe  conseguenze  estremamente   rilevanti   in
termini  di  disciplina  applicabile  direttamente,  o  in  forza  di
interpretazione conforme, riguardo ai limiti stabiliti  all'attivita'
di ricerca bio-medica,  cosi'  come  al  bilanciamento  di  interessi
operato de jure condito  dalla  legge,  ponendo  nello  stesso  tempo
problemi di coerenza logica e sistematica delle varie disposizioni; 
          che se i divieti assoluti di ricerca clinica e sperimentale
di cui all'art. 13 s'intendono  riferiti  all'embrione,  si  dovrebbe
ritenere che nel tempo  intercorrente  tra  concepimento,  formazione
della blastocisti, morula ed embrione (3 gg. circa), tali  previsioni
non dovrebbero applicarsi, con ogni effetto consequenziale; 
          che,  una  volta  considerato  che  il  bilanciamento   tra
interessi della madre e analoghi interessi dell'embrione non puo' che
condurre ad un giudizio di  prevalenza  dei  primi  sui  secondi,  la
previsione normativa diverrebbe del tutto  incomprensibile,  poiche',
se l'ovulo fecondato non e' neppure (ancora) embrione,  appare  priva
di ratio la previsione dell'irrevocabilita' del consenso; 
        b) sulle questioni poste dalla previsione di cui all'art.  6,
comma 3, legge n. 40/2004 in tema  di  irrevocabilita'  del  consenso
della donna durante il trattamento sanitario di PMA  e  sull'esigenza
di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: 
          che dubbi  di  legittimita'  costituzionale  possono  porsi
relativamente alla previsione di cui all'art. 6, comma 3, in punto di
irrevocabilita' del consenso al trattamento medico  di  PMA  dopo  la
fecondazione dell'ovulo; 
          che la Corte costituzionale nella sentenza n. 151/2009  non
si  e'  espressa  su  tale  questione,  pur  sollevata  dal   giudice
remittente, ritenuto il difetto di motivazione  sulla  rilevanza  nel
giudizio a quo; 
          che detta pronuncia, peraltro, nell'introdurre  una  deroga
significativa  al  divieto  assoluto  di  crioconservazione  previsto
all'art.  14,  comma  1,  ha  sicuramente  inciso   sull'operativita'
dell'art. 6, comma 3; 
          che, infatti, se e' indubbio che tale prescrizione e' stata
ulteriormente circoscritta dalla decisione della Corte di  introdurre
la deroga al divieto assoluto di  crioconservazione  degli  embrioni,
prevedendosi tale possibilita' in tutti  i  casi  in  cui  il  medico
rilevi fondati rischi per la salute della donna nel procedere al loro
impianto, il problema permane sia  sotto  il  profilo  operativo  che
sotto quello sistematico, poiche' la relativa decisione e' pur sempre
demandata al medico, in base ad un'opzione tecnico-scientifica, e non
al soggetto titolare del diritto di autodeterminazione; 
          che, dunque, la modifica introdotta dalla Consulta  con  la
sentenza n. 151/2009  non  viene  in  alcun  modo  ad  incidere,  con
riferimento al disposto dell'art. 6, legge n. 40/2004,  sul  problema
del  rispetto  dei  principi  fondamentali  in  materia  di  consenso
informato  quale  condizione  di  legittimita'  nel/del   trattamento
sanitario,  che,  invece,  devono  trovare  nella  fattispecie  piena
operativita', non vertendosi in ipotesi di  TSO  (art.  3  Carta  dei
Diritti fondamentali dell'UE; art. 32, secondo comma  Cost.;  art.  5
Conv. Oviedo; oltre che numerose leggi speciali); 
          che,   infatti,   come   ritenuto   anche    dalla    Corte
costituzionale con la sentenza n. 438/2008,  la  circostanza  che  il
consenso informato trova il suo fondamento negli artt.  2,  13  e  32
della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di  due
diritti fondamentali della persona, quello  all'autodeterminazione  e
quello alla salute, in quanto, se e' vero che ogni  individuo  ha  il
diritto di essere curato, egli ha, altresi', il diritto  di  ricevere
le opportune informazioni  in  ordine  alla  natura  e  ai  possibili
sviluppi del percorso terapeutico cui puo' essere sottoposto, nonche'
delle eventuali terapie alternative; 
          che, dunque, come ritenuto anche dalla giurisprudenza della
Corte di Cassazione (sentenza 28 luglio 2011, n. 16543),  il  diritto
al  consenso  informato,  in  quanto  diritto  irretrattabile   della
persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario,  a  meno  che
non ricorrano casi di urgenza, a seguito di un intervento  concordato
e programmato e per il quale  sia  stato  richiesto  ed  ottenuto  il
consenso, che pongano, in gravissimo pericolo la vita della  persona,
o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio, e tale consenso e'
talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza per  escluderlo
che  l'intervento  absque  pactis  sia  stato  effettuato   in   modo
tecnicamente corretto; 
          che, comunque, il consenso informato deve  essere  presente
in ogni fase del trattamento sanitario; 
          che appare incontrovertibile che per il trattamento  medico
di PMA devono trovare applicazione i principi  validi  per  qualsiasi
trattamento sanitario, in forza  dei  quali  il  consenso  libero  ed
informato del  paziente,  in  qualita'  di  presupposto  legittimante
l'intervento del medico, deve sussistere prima, e  durante  tutto  il
trattamento, non vertendosi in ipotesi di TSO; 
          che la previsione che esso non possa essere  revocato  dopo
la fecondazione dell'ovocita, contenuta nell'art. 6, comma 3,  seppur
sicuramente ridotta nella sua portata - per effetto della  previsione
di una valutazione medica comparativa inerente la prioritaria  tutela
della salute della donna - rappresenta comunque una palese violazione
dell'enunciato principio  regolativo  del  rapporto  medico/paziente,
posto  che  il  paziente  viene  espropriato  della  possibilita'  di
revocare l'assenso al medico di eseguire  atti  sicuramente  invasivi
della propria integrita' psicofisica, e che cio'  avviene,  peraltro,
in un momento particolarmente delicato dell'attivita' medica,  atteso
che il trattamento, tutt'altro che concluso, si  trova  in  una  fase
intermedia cui necessariamente seguira' il delicatissimo momento  del
trasferimento in utero del materiale prodotto; 
          che, dunque,  la  previsione  normativa  realizza,  pur  in
assenza dei presupposti legittimanti il TSO, una  vistosa  deroga  ai
principi di liberta' e non  vincolativita'/obbligatorieta'  cui  sono
sottoposte tutte le disposizioni inerenti il potere del  soggetto  in
ordine al compimento di atti anche solo potenzialmente  lesivi  della
propria integrita' psicofisica  che,  come  noto,  a  prescindere  da
qualsiasi  valutazione  sulle  ragioni   subiettive   o   motivazioni
personali, consentono sempre, di principio, al paziente di mutare  la
propria volonta', revocando  il  consenso  precedentemente  prestato,
tanto per gli atti satisfattivi,  latu  sensu,  di  interessi  propri
(intervento medico finalizzato alla  tutela  della  salute  propria),
quanto per quelli  sattisfattivi  di  interessi  altrui  (ad  esempio
espianto di organi in favore di terzi); 
          che, quindi, non si comprende la ragione per la quale detti
principi debbano essere negati nel caso di specie, configurandosi  il
trattamento di PMA come intervento medico finalizzato alla  soluzione
di uno stato patologico proprio (sterilita'/infertilita'); 
          che, in contrario, non puo' argomentarsi che il legislatore
ha ritenuto di conferire tutela preminente alla vita e allo  sviluppo
dell'embrione, posto che, come ribadito proprio dalla sentenza  della
Corte costituzionale n. 151/2009, la tutela  dello  stesso  non  puo'
essere assoluta (e osserva la Corte come  gia'  la  stessa  legge  n.
40/2004 non la ritenga tale), e che l'autonomia del legislatore trova
un  limite  inderogabile,  oltre  che  nel   rispetto   dei   diritti
fondamentali, peraltro espressamente richiamati dallo stesso art. 32,
secondo comma Cost., nei principi di' autonomia e responsabilita' del
medico debitamente autorizzato dal paziente; 
          che,  in  ipotesi   di   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della norma, non sussisterebbe alcun rischio di  vuoto
normativo, posto che l'eliminazione dell'ultimo capoverso del comma 3
dell'art. 6  determinerebbe  l'operare  degli  ordinari  principi  di
revocabilita' del consenso da  parte  del  paziente  nel  trattamento
sanitario. 
    4. - Si e' costituito in giudizio il Centro Demetra, deducendo di
aver dovuto, stante l'attuale legislazione,  opporsi  alla  richiesta
della C. di  non  procedere  al  trattamento  di  PMA,  relativamente
all'unico embrione (dei 10 prodotti nel 2009) certamente non  affetto
dalla patologia di cui soffre la medesima, nonche'  rifiutare  quella
di mettere  a  disposizione  gli  embrioni  soprannumerari  risultati
affetti  dalla  patologia  per  destinarli   ad   attivita'   mediche
diagnostiche  e  di  ricerca  scientifica,  connesse   alla   propria
patologia genetica. 
    Ha concluso, pertanto,  chiedendo,  in  via  principale,  che  il
Tribunale dichiari esso Centro non tenuto,  in  forza  della  vigente
normativa, ad  ottemperare  alle  richieste  avanzate  dagli  attori,
indicate nell'atto di citazione; in via subordinata, ha  chiesto  che
il Tribunale sollevi la questione della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 13, legge n. 40/2004, per contrasto con gli  artt.  9,  32,
33, primo comma  Cost.,  nonche'  dell'art.  6,  comma  3,  1egge  n.
40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost., e dell'art. 13,
commi 1, 2, 3, legge n. 40/2004, in quanto affetto da illogicita'  ed
irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32 Cost. 
    5. - Si e' costituito altresi' in giudizio lo Stato Italiano,  in
persona della Presidenza del Consiglio dei  ministri,  eccependo,  in
primo  luogo,  l'incompetenza  territoriale  del   Tribunale   adito,
deducendo al riguardo  che,  anche  a  voler  ritenere  astrattamente
configurabile un illecito legislativo di matrice comunitaria anche in
relazione  ad  atti  legislativi  di   diritto   interno,   l'ufficio
giudiziario competente a conoscere della  domanda  risarcitoria  deve
essere individuato nel  Tribunale  di  Roma,  analogamente  a  quanto
previsto per le ipotesi di violazione da  parte  del  legislatore  di
normativa comunitaria. 
    Ha contestato poi, nel merito,  l'ammissibilita'  della  domanda,
dovendo ritenersi, nel nostro ordinamento, la  responsabilita'  dello
Stato «per atto legislativo» circoscritta alla  sola  violazione,  da
parte dello Stato stesso, di norme comunitarie, e non  configurabile,
invece, con riguardo alla violazione di norme interne,  ancorche'  di
rango costituzionale. 
    Ha chiesto, infine, il rigetto  della  domanda,  per  difetto  di
prova  degli  elementi  costitutivi  dell'illecito,  tanto  sotto  il
profilo soggettivo, che sotto quello oggettivo,  in  particolar  modo
contestando la sussistenza della prova del danno subito alla  salute,
o per perdita di chances procreative, secondo  quanto  dedotto  dagli
attori, comunque contestando l'esistenza del nesso di causalita'  tra
detto danno e la propria condotta. 
    6. - I ricorrenti hanno proposto, in corso di causa,  ricorso  ex
art. 700 c.p.c., chiedendo che il Tribunale, disattesa ogni contraria
istanza, difesa ed eccezione, ordini al centro  medico  convenuto  la
consegna degli embrioni crioconservati, onde consentire l'uso a  fini
di ricerca scientifica e biomedica, ed accerti e  dichiari  la  piena
efficacia e validita' della volonta' espressa  di  non  procedere  al
trasferimento  in  utero  degli  embrioni  crioconservati  presso  il
centro, con ogni effetto conseguenziale, nonche' disponga, in  attesa
della definizione del  giudizio  di  merito  ed  in  via  incidentale
dell'eventuale   giudizio   di   legittimita'   costituzionale,    la
crioconservazione  dei  residui  embrioni  risultati  affetti   dalla
patologia della esostosi, con ogni conseguenziale provvedimento. 
    Hanno altresi' chiesto, in  via  subordinata,  che  il  Tribunale
sollevi la questione di legittimita' costituzionale: 
        A) dell'art. 13,  legge.  n.  40/2004  (divieto  assoluto  di
qualsiasi  ricerca  clinica  o  sperimentale  sull'embrione  che  non
risulti finalizzata alla tutela dello stesso) per contrasto  con  gli
artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; 
        B) dell'art. 6, comma  3  u.c.,  legge  n.  40/2004  (divieto
assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l'avvenuta fecondazione
dell'ovulo) per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.; 
        C) dell'art. 13, comma 1, 2, 3, e 6 comma  3  u.c.  legge  n.
40/2004 in quanto affetto da  illogicita'  ed  irragionevolezza,  per
contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost. 
 
                             In diritto 
 
    1.  -  Osserva  il  giudicante,  sulle  questioni   poste   dalla
previsione di cui all'art. 13, comma 1, 2, 3  legge  n.  40/2004,  in
punto di intangibilita' assoluta dell'embrione, che nella sentenza n.
151/2009,  la  Corte  costituzionale  non  si  e'  pronunciata  sulla
questione posta dall'art. 13 della  legge  n.  40/2004,  inerente  il
bilanciamento costituzionalmente ragionevole tra tutela dell'embrione
e interesse alla ricerca scientifica finalizzata  alla  tutela  della
salute (individuale e collettiva); ne', d'altro canto,  la  questione
risultava essere stata rimessa alla Corte dal Giudice  di  merito  in
sede di ricorso ex art. 700 c.p.c. (Trib. di  Firenze,  ordinanze  12
luglio e 26 agosto 2008). 
    La fattispecie disciplinata dall'art. 13 risulta, come  e'  noto,
autonoma e distinta  da  quella  di  cui  all'art.  14,  oggetto  del
giudizio di costituzionalita' di cui alla sentenza n. 151/2009. 
    Invero l'art.  13,  intitolato  «Sperimentazione  sugli  embrioni
umani», prevede e  disciplina  i  limiti  alla  ricerca  scientifica,
laddove l'art. 14  regolamenta  i  «Limiti  alla  applicazione  delle
tecniche di PMA», imponendo il divieto di qualsiasi sperimentazione e
ricerca sugli embrioni che  non  persegua  finalita'  terapeutiche  e
diagnostiche ad essa collegate, volte alla tutela della salute e allo
sviluppo dell'embrione stesso. 
    Lo  stesso  articolo  vieta  ogni  forma  di  selezione  a  scopo
eugenetico  dell'embrione  e  dei  gameti,  ovvero  interventi   che,
attraverso  tecniche  di  selezione,  di  manipolazione  e   comunque
attraverso procedimenti artificiali, siano  diretti  ad  alterare  il
patrimonio  genetico   dell'embrione   o   del   gamete,   ovvero   a
predeterminarne  caratteristiche  genetiche,   ad   eccezione   degli
interventi aventi finalita' diagnostiche e terapeutiche dello stesso. 
    Secondo  l'interpretazione  accolta   dalla   maggioranza   della
dottrina  e  dalla  totalita'  della  giurisprudenza   (con   l'unica
esclusione della prima pronuncia in  materia  di  PMA  ad  opera  del
Tribunale di Catania nel maggio 2004), l'art. 13 concerne  unicamente
l'ambito  della  ricerca  scientifica  e  non  l'applicazione   delle
tecniche di procreazione medicalmente assistita (ex multis: Tribunale
di Cagliari, ordinanza  22  settembre  2007;  Tribunale  di  Firenze,
ordinanza 17-19 dicembre  2007;Tribunale  di  Firenze,  ordinanza  11
luglio  2008;  Tribunale  di  Firenze,  ordinanza  23  agosto   2008;
Tribunale di Milano, ordinanza 6 marzo  2009;  Tribunale  di  Milano,
ordinanza 8 marzo 2009; Tribunale di  Bologna,  ordinanza  16  giugno
2009; Tribunale di Bologna, ordinanza del 29 giugno  2009;  Tribunale
di Salerno, ordinanza 9 gennaio 2010). 
    Sul presupposto di  tale  interpretazione,  anche  in  forza  del
disposto di cui al comma 5 dell'art. 14, la Corte  costituzionale  ha
ritenuto contrarie agli artt. 2, 3, 32 Cost.  le  previsioni  di  cui
all'art. 14, comma 2,  limitatamente  alle  parole  «ad  un  unico  e
contemporaneo impianto, comunque non superiore a  tre»,  nonche'  del
comma 3 nella parte in cui «non prevede che  il  trasferimento  degli
embrioni da realizzare non appena  possibile,  come  stabilisce  tale
norma, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute  della
donna». 
    Dunque le questioni connesse  al  bilanciamento  tra  l'interesse
alla vita, allo sviluppo,  e  quindi  a  non  subire  alcun  tipo  di
intervento  clinico,   sperimentale   o   diagnostico,   riconosciuto
all'embrione ex art. 13,  e  gli  speculari  interessi  alla  ricerca
scientifica e tecnica ex art. 9 Cost., connessi, in questo caso, alle
esigenze di tutela della salute collettiva ex art. 32, primo comma  e
art. 2 Cost., non sono risultati oggetto di una  pronuncia  da  parte
della Corte costituzionale. 
    Tale questione risulta, dunque, rilevante per il  soddisfacimento
degli interessi azionati nel caso de quo, atteso che gli attori hanno
crioconservato (presso il Centro Demetra) 9 embrioni (di cui la meta'
malati e l'altra meta' non sottoponibili a  biopsia),  che  per  loro
espressa  decisione  non  verranno  mai   utilizzati   nel   processo
procreativo, configurandosi come embrioni  soprannumerari  destinanti
all'autodistruzione. 
    Il problema della disponibilita', da  parte  dei  generanti,  del
materiale genetico utilizzato per creare gli embrioni, e',  a  parere
del giudicante, attuale  e  tutt'altro  che  risolto,  posto  che  il
bilanciamento operato dalla legge n. 40/2004 all'art. 13 risulta  del
tutto irragionevole. 
    E cio', non  con  riferimento  all'ipotesi  della  produzione  di
embrioni in relazione ai quali sussista la prospettiva di impiego nel
trattamento di PMA  (ipotesi  pure  prospettata  come  irragionevole,
quanto a disciplina, dai  ricorrenti),  ben  potendo,  a  parere  del
giudicante,  il  legislatore,  nell'esercizio  del   proprio   potere
discrezionale, ritenere  di  principio  prevalente  la  tutela  della
salute, della vita e dell'integrita' dell'embrione idoneo  ad  essere
impiegato   per   la   procreazione,   rispetto   al    diritto    di
autodeterminazione della donna e/o della  coppia  relativamente  alla
destinazione del materiale soprannumerario, fatte salve, comunque, le
problematiche   inerenti    al    rispetto    della    liberta'    di
autodeterminazione in ordine al trattamento terapeutico, delle  quali
si trattera' in prosieguo. 
    A parere  del  giudicante,  invece,  diversamente  si  prospetta,
stante l'assetto dei valori e dei principi costituzionali, il divieto
di utilizzare gli embrioni residuati da procedimenti di PMA  -  cioe'
gli  embrioni  malati,  ovvero   ancora   non   biopsiabili,   dunque
sicuramente non piu' impiegabili per  fini  procreativi  e  destinati
percio' all'autodistruzione certa nel giro di  qualche  anno  -,  per
impieghi alternativi e sicuramente meritevoli  di  tutela  alla  luce
della Carta  costituzionale  quale,  ad  esempio,  l'impiego  per  la
ricerca scientifica in ambito medico e terapeutico. 
    L'art. 13 legge n. 40/2004, nel prevedere un divieto assoluto  di
qualsiasi ricerca clinica o sperimentale che non sia finalizzato alla
tutela  dell'embrione  stesso,  non  opera  nessuna  distinzione   in
proposito, traducendosi, a parere del giudicante, in un divieto privo
di deroghe e temperamenti e quindi del tutto irragionevole, e percio'
sicuramente in contrasto non solo con i richiamati  principi  sanciti
dalla  carta  costituzionale  (art.  9  e  32  Cost.),  ma  anche  da
Convenzioni  internazionali  (artt.  1,  5,  18  Conv.  Oviedo  sulle
Biotecnologie). 
    Si osserva sul punto che, in base al disposto dell'art. 9  Cost.,
la Repubblica  promuove  lo  sviluppo  della  cultura  e  la  ricerca
scientifica e tecnica. 
    L'espressione «promuove ... la ricerca scientifica» non puo'  che
interpretarsi, per quanto concerne la ricerca che abbia ad oggetto la
salute umana e le patologie che possano riguardarla, in  correlazione
con il disposto dell'art.  32,  che  qualifica  la  salute  sotto  il
duplice profilo del diritto fondamentale  dell'individuo  (con  tutta
evidenza, l'integrita' fisio-pichica costituisce il  presupposto  per
l'esercizio di qualunque altro diritto della persona), e di interesse
della collettivita', consacrando, dunque, la rilevanza sociale  della
tutela della salute di ogni  singolo  individuo;  e,  d'altro  canto,
l'art.  2  Cost.,  nel  prevedere  che  la  Repubblica  riconosce   e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, e richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica,  e
sociale, qualifica il  riconoscimento  dei  diritti  fondamentali  in
senso anche dinamico. 
    Sotto tale profilo, non puo' che  ritenersi  attuale  l'interesse
dei ricorrenti  a  destinare  gli  embrioni  malati  o  comunque  non
biopsabili a finalita' di ricerca scientifica  e  biomedica  connessa
alle problematiche della patologia genetica di  cui  sono  portatori;
ricerca scientifica e biomedica, finalizzata a realizzare  la  tutela
della salute, non solo di essi attori, ma anche degli altri  soggetti
portatori  della  patologia,  e,  dunque,  finalizzata  a  realizzare
l'interesse della collettivita' alla salute, di cui all'alt. 32 Cost. 
    D'altro canto, l'espressione «... promuove», contenuta  nell'art.
9 Cost., non puo' che  intendersi  in  un'accezione  «dinamica»,  nel
senso,  cioe',  che  sia  perseguito  lo   sviluppo   della   ricerca
scientifica, il progresso della stessa (che, ovviamente, e' interesse
di tutti, ma e' particolarmente qualificato per i soggetti  portatori
di una specifica patologia), poiche', diversamente  argomentando,  la
previsione   rimarrebbe   sostanzialmente   priva   di   significato;
quantomeno, dunque, l'espressione deve essere intesa nel senso minimo
di facilitare lo sviluppo della ricerca scientifica volta  alla  cura
delle  patologie,  e,  comunque,  di  non  ostacolarla,  se  non  per
finalita' di tutela di un interesse perlomeno equivalente nella scala
dei valori. 
    E  puo'  ancora  osservarsi  che  dell'importanza  della  ricerca
scientifica come valore tutelato sono indici illuminanti disposizioni
quali, ad esempio, l'art. 110, comma 1,  del  Codice  in  materia  di
protezione  dei  dati  personali,  che  consente  di  trattare   dati
personali idonei a rivelare lo stato di salute per scopi  di  ricerca
in campo medico, biomedico o epidemiologico,  anche  in  assenza  del
consenso degli interessati, quando a causa di particolari ragioni non
sia possibile informarli e il programma di  ricerca  sia  oggetto  di
motivato parere favorevole del competente comitato  etico  a  livello
territoriale e sia autorizzato dal Garante, anche ai sensi  dell'art.
40 del Codice. 
    L'interesse  allo  sviluppo  della  ricerca  scientifica  appare,
invece, nella normativa in questione, non solo del  tutto,  ma  anche
indiscriminatamente, recessivo rispetto all'aspettativa di  vita  del
singolo embrione, essendo l'opzione legislativa orientata alla tutela
assoluta dell'interesse di quest'ultimo. 
    D'altro  canto,  un'eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'
della norma non pone problemi  di  vuoto  normativo,  posto  che  per
superare l'evidente problema  di  ragionevolezza  della  disposizione
sarebbe sufficiente prevedere che l'assolutezza della tutela, che  si
traduce    nell'inderogabilita'    della     stessa     (e     quindi
dell'impossibilita' di destinare l'embrione a fini diversi dalla  sua
propria cura), debba  essere  valutata  «tenendo  conto  dell'impiego
programmato  o  ragionevolmente   prevedibile   cui   l'embrione   e'
destinato», con la conseguenza che ove il  medesimo  fosse  non  piu'
impiegabile a fini procreativi e quindi destinato a naturale e rapida
«estinzione», esso potrebbe  essere  utilizzato,  previo  parere  dei
generanti, per altri impieghi «costituzionalmente rilevanti», come la
ricerca scientifica bio-medica. 
    Va inoltre osservato che la  definizione  di  embrione,  estranea
alla scienza giuridica  e  propria  di  quella  biologica,  individua
un'entita' organica al terzo giorno dalla fecondazione  dell'ovocita;
dunque, ovulo fecondato e concepito non corrisponderebbero a embrione
inteso come unita'  multicellulare,  con  patrimonio  genetico  ormai
distinto e autonomo da quello dei progenitori. 
    Sia sotto il profilo della ricerca  scientifica  (art.  13),  che
sotto quello delle tutele normative apprestate (art. 1, comma 2; art.
6, comma 3 u.c.; art.  6,  comma  1;  capo  III),  la  qualificazione
dell'oggetto di tutela come embrione  ovvero  come  entita'  in  fase
precedente (ovulo fecondato e/o concepito  e/o  nascituro),  comporta
conseguenze  estremamente  rilevanti   in   termini   di   disciplina
applicabile, con riferimento al bilanciamento di interessi operato de
jure condito dalla legge, ponendo  nello  stesso  tempo  problemi  di
coerenza logica e sistematica delle varie disposizioni. 
    Se i divieti assoluti di ricerca clinica e  sperimentale  di  cui
all'art. 13 devono  intendersi  riferiti  all'embrione,  si  dovrebbe
infatti  ritenere  che  nel  tempo  intercorrente  tra  concepimento,
formazione della blastocisti, morula ed embrione (3 gg. circa),  tali
previsioni   non   dovrebbero   applicarsi,    con    ogni    effetto
consequenziale. 
    Le disposizioni  di  cui  all'art.  13  della  legge  n.  40/2004
prevedono dunque una  intangibilita'  assoluta  dell'embrione  umano,
priva di deroghe o eccezioni di qualsiasi natura. 
    Nessun rilievo viene attribuito alla specifica condizione in  cui
il materiale genetico si trova; e cio'  vale,  soprattutto,  per  gli
embrioni soprannumerari o  residuati  al  trattamento  di  PMA),  ne'
tantomeno alla circostanza che l'intervento sia finalizzato alla cura
ed al perseguimento di altri interessi costituzionalmente  rilevanti,
riconducibili ai soggetti coinvolti nella vicenda:  salute,  liberta'
procreativa  come  aspetto  del  piu'  ampio  concetto  di   liberta'
personale,  autodeterminazione  e  consenso  informato,  liberta'  di
ricerca scientifica. 
    L'attivita'  di  ricerca  e  sperimentazione   sull'embrione   e'
consentita solo «... per finalita'  terapeutiche  e  diagnostiche  ad
essa collegate  volte  alla  tutela  della  salute  e  allo  sviluppo
dell'embrione stesso», e la disposizione non sembra ammettere  nessun
compromesso, non consentendo nessuna sintesi fra le diverse  esigenze
espresse dagli interessi coinvolti. 
    E' invece evidente il ben diverso atteggiarsi del divieto di ogni
forma di selezione a scopo eugenetico di gameti ed  embrioni,  ovvero
di produrre embrioni esclusivamente finalizzati alla ricerca ed  alla
sperimentazione,  o  ancora  ad  essere  utilizzati  in   trattamenti
finalizzati alla predeterminazione  di  caratteristiche  genetiche  o
alla donazione, rispetto al  divieto  volto  ad  impedire,  sempre  e
comunque, la crioconservazione del materiale prodotto,  la  selezione
fra embrioni portatori della specifica patologia e non finalizzati al
trasferimento nell'utero della donna, nonche' la possibilita' per  la
gestante, acquisite le  informazioni  inerenti  lo  stato  di  salute
dell'embrione, di rifiutare il trasferimento ovvero  di  revocare  il
consenso all'attuazione dello stesso (a maggior ragione quando questo
risultasse affetto dalla specifica grave patologia  che  l'intervento
era chiamato a scongiurare ovvero determinasse  seri  rischi  per  la
salute della stessa gestante), correlato al divieto assoluto,  per  i
generanti, di destinare gli embrioni residuati alla  ricerca  medica,
anziche' condannarli all'autodistruzione per estinzione. 
    L'equiparazione affermata al comma 3, lett. b),  fra  embrione  e
gamete, pare poi del tutto  irragionevole,  rendendo  sostanzialmente
impossibile la ricerca medica su materiale genetico totipotente. 
    La norma si  risolve,  dunque,  nella  completa  negazione  delle
esigenze individuali e collettive sottese  all'attivita'  di  ricerca
scientifica, proprio in  quei  settori  quali  la  terapia  genica  e
l'impiego  delle  cellule  staminali  embrionali,  che  la  comunita'
medico-scientifica ritiene fra i piu'  promettenti  per  la  cura  di
numerose e gravi patologie, nonche', in modo del  tutto  irrazionale,
nella  negazione  di  qualunque  bilanciamento  tra  dette  esigenze,
espressione di  valori  costituzionalmente  tutelati,  e  lo  statuto
dell'embrione, in assenza di qualunque bilanciamento  che  contemperi
la previsione con le ragioni di inutile salvaguardia di quest'ultimo,
in quanto affetto da patologie. 
    Il problema viene ad essere amplificato laddove si consideri che,
per  effetto  della  piu'  volte  richiamata  pronuncia  della  Corte
costituzionale,  n.  151/2009,  che   ha   legittimato   il   mancato
trasferimento in utero, allorche' sussistano esigenze di salute della
donna,  il  numero  degli  embrioni  destinato  alla  distruzione  e'
notevolmente   aumentato,   moltiplicandosi,   dunque,    tutte    le
problematiche gia' emerse relativamente  ai  costi  di  conservazione
degli embrioni sovrannumerari, abbandonati, ecc., e,  comunque,  alla
destinazione ultima degli stessi, posto, oltretutto,  il  divieto  di
fecondazione eterologa. 
    D'altro canto, come gia' osservato, le incertezze derivanti,  sul
piano interpretativo,  proprio  dalla  mancata,  precisa  definizione
dell'oggetto di tutela, appunto l'embrione,  e  dall'uso  di  termini
qualificatori erroneamente impiegati  come  sinonimi  in  difetto  di
equivalenza  di  significato  (ovulo  fecondato,   nascituro,   feto,
concepito), viene ad estendere l'ambito della negazione, ed a rendere
maggiormente problematica  la  previsione,  sotto  il  profilo  della
legittimita' costituzionale. 
    Per le ragioni sopra evidenziate, non  manifestatamene  infondata
risulta la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 1, 2, 3, legge n. 40/2004 per contrasto con gli  artt.  9,  32,
33, primo comma, Cost. 
    2.  -  Ritiene,  ancora,  il  Giudicante,  con  riferimento  alle
questioni poste dalla previsione di cui all'art. 6, comma 3, legge n.
40/2004 in tema di irrevocabilita' del consenso della  donna  durante
il  trattamento  sanitario  di  PMA,  che   dubbi   di   legittimita'
costituzionale  si  pongono  in  relazione  alla  previsione  di  cui
all'art. 6, comma 3, in punto  di  irrevocabilita'  del  consenso  al
trattamento medico di PMA dopo la fecondazione dell'ovulo. 
    La Corte costituzionale, nella sentenza n. 151/2009,  non  si  e'
espressa su tale questione, pur  sollevata  dal  giudice  remittente,
«per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo». 
    L'intervento della Corte, comunque,  nell'introdurre,  come  gia'
osservato,  una  deroga  significativa   al   divieto   assoluto   di
crioconservazione previsto  all'art.  14,  comma  1,  ha  sicuramente
inciso sull'operativita' dell'art. 6, comma 3. 
    Tale prescrizione, gia' di per se'  sprovvista  di  sanzione  per
l'ipotesi di violazione, e' stata ulteriormente sfumata dalla deroga,
introdotta dalla  pronuncia  della  Corte,  al  divieto  assoluto  di
crioconservazione degli embrioni, in tutti i casi in  cui  il  medico
rilevi fondati rischi per la salute della donna nel procedere al loro
impianto;  ma,  ad  avviso  del  giudicante,   aspetti   problematici
residuano tanto  sotto  il  profilo  sistematico,  che  sotto  quello
pratico-operativo. 
    La deroga al principio generale del divieto di  crioconservazione
di cui al  comma  1  dell'art.  14,  presuppone,  infatti,  l'opzione
terapeutica del medico, finalizzata alla  salvaguardia  della  salute
della donna; si tratta, dunque, di una scelta demandata al sanitario,
che decide in base al riscontrato pericolo per la salute della donna,
escludendosi, peraltro, l'operare di altre possibili ragioni. 
    Dunque,  rispetto  alla  valutazione   in   punto   di   principi
fondamentali in  materia  di  consenso  informato,  quale  condizione
imprescindibile di legittimita' del trattamento sanitario (ex multis:
a livello normativo: art. 3 Carta dei Diritti  fondamentali  dell'UE;
art. 32,  secondo  comma  Cost.;  art.  5  Conv.  Oviedo;  a  livello
giurisprudenziale: Corte  Cost.  438/2008;  Cass.  10014/1994;  Cass.
364/1997; Cass. 7027/2011; Cass. 5444/2006; Cass.  26972/2008;  Cass.
10741/2009; Cass. 2847/2010), la modifica introdotta con la pronuncia
n. 151/2009 non assume alcuna incidenza. 
    D'altro canto, come e' noto, un  lungo  percorso,  dottrinario  e
giurisprudenziale, ha portato alla valorizzazione  del  disposto  del
secondo comma dell'art. 32 Cost., qualificando il consenso  informato
nel trattamento sanitario non solo come condizione indispensabile per
la   legittimita'   del   percorso   terapeutico,   ma   anche   come
bene-interesse   di   per   se'   tutelabile    (Cass.    2847/2010),
indipendentemente   dalla   tutela   del   bene   salute,    rendendo
ipotizzabile, in astratto, una lesione del primo pur  in  assenza  di
una  lesione  del  secondo,  seppur  ritenendosene  l'imprescindibile
correlazione, laddove - forse non senza un certo scambio di  piani  -
si ritiene che il danno risarcibile per la lesione del  bene-consenso
possa riscontrarsi nel solo caso di conseguenze di detta lesione  sul
diverso bene salute, e con la conseguenza di  valutare  il  danno  da
violazione del consenso attraverso il pregiudizio subito dal  diverso
bene della salute. 
    Ma  e'  innegabile  che  nel  diritto  vivente  la  liberta'   di
autodeterminazione   nel   trattamento    sanitario    trovi    ormai
consacrazione nella sua assolutezza, nelle pronunce  nelle  quali  il
consenso diviene il vero discrimine  tra  la  tutela  dell'individuo,
biologicamente inteso, e quella  della  persona,  titolare  del  bene
salute, ma anche del bene-diritto all'autodeterminazione. 
    Il fondamento costituzionale del trattamento medico-chirurgico e'
pacificamente da ravvisarsi non solo nell'art. 32, primo comma, della
Costituzione, ma, anche, nel secondo comma  di  detto  articolo,  che
espressamente di consenso tratta; detto consenso, dunque, non e' solo
espressione concreta della scelta  del  trattamento  sanitario,  che,
pure, e' cio' in cui in pratica si sostanzia, ma, piu'  in  generale,
espressione di liberta' di autodeterminazione, diritto  fondamentale,
che qualifica, come detto, l'individuo inteso in senso  biologico,  e
lo rende persona, caratterizzata dal  complesso  dei  valori  che  ne
esprimono la dignita', e ne determinano le scelte, diritto che impone
non solo il rispetto assoluto da parte  dei  consociati,  ma,  anche,
l'attiva  collaborazione  al  suo  realizzo,  secondo  i  doveri   di
solidarieta' sociale, consacrati nella previsione dell'art.  2  della
Costituzione. 
    Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di  precisare  che  il
diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della
persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario,  a  meno  che
non ricorrano casi di urgenza, a seguito di un intervento  concordato
e programmato e per il quale sia stato richiesto e sia stato ottenuto
il  consenso,  o   ricorra   l'ipotesi   di   trattamento   sanitario
obbligatorio (Cass., Sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543). 
    D'altro canto, la Suprema Corte ha affermato che il  consenso  al
trattamento terapeutico  e'  talmente  inderogabile  che  non  assume
alcuna  rilevanza,  al  fine  di  escluderlo,  la   circostanza   che
l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo  tecnicamente
corretto, per cui nei confronti del paziente,  comunque,  si  consuma
una lesione di quella dignita' che connota nei  momenti  cruciali  la
sua esistenza (Cass, Sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543). 
    Il  rispetto   dell'individuo   presuppone,   dunque,   in   base
all'assetto delle norme  costituzionali,  la  salvaguardia  non  solo
dell'integrita'    fisica    dello    stesso,    ma,     anche     ed
imprescindibilmente, del complesso dei valori  che  ne  delineano  il
patrimonio  morale,  e  lo  identificano  come  persona;  la  persona
s'identifica, dunque, non solo nella sua individualita'  psicofisica,
ma anche nel complesso del suo patrimonio morale. 
    D'altro canto, costante e'  l'affermazione  della  giurisprudenza
secondo la quale il consenso informato deve essere presente in  tutte
le fasi del trattamento terapeutico. 
    E' allora evidente come nell'ipotesi di'  trattamento  medico  di
PMA la normativa sia irrazionalmente diversificata rispetto  a  tutte
le  altre  ipotesi  di  trattamento  terapeutico,  poiche',  pur  non
vertendosi in situazione di  urgenza,  od  in  ipotesi  di  TSO,  non
trovano  tuttavia  applicazione  i  principi  validi  per   qualsiasi
trattamento sanitario, in forza  dei  quali  il  consenso  libero  ed
informato del  paziente,  in  qualita'  di  presupposto  legittimante
l'intervento del medico, deve sussistere, prima e  durante  tutto  il
trattamento. 
    La previsione che il consenso non possa essere revocato  dopo  la
fecondazione dell'ovocita, contenuta  nell'art.  6  comma  3,  seppur
sicuramente ridotta nella sua portata per effetto della previsione di
una valutazione medica comparativa, inerente  la  prioritaria  tutela
della salute della donna, rappresenta comunque una palese  violazione
del principio regolativo del rapporto medico/paziente, posto  che  il
paziente viene espropriato della possibilita' di  revocare  l'assenso
al  medico  di  eseguire  atti  sicuramente  invasivi  della  propria
integrita' psicofisica; e  cio'  avviene,  peraltro,  in  un  momento
particolarmente  delicato  dell'attivita'  medica   atteso   che   il
trattamento, tutt'alto che concluso, si trova in una fase  intermedia
cui   necessariamente   seguira'   il   delicatissimo   momento   del
trasferimento in utero del materiale prodotto. 
    Si e' in presenza, in sostanza, di una fattispecie  che,  pur  in
assenza dei presupposti legittimanti il  TSO,  realizza  una  vistosa
deroga ai principi di liberta' e  non  vincolativita'/obbligatorieta'
che presidiano tutte te disposizioni relative al potere del  soggetto
in ordine al compimento di  atti  anche  solo  potenzialmente  lesivi
della propria integrita' psico-fisica che, come noto,  a  prescindere
da qualsiasi  valutazione  sulle  ragioni  subiettive  o  motivazioni
personali,  consentono  di  principio,  sempre  e   comunque,   senza
necessita' di fornire alcuna giustificazione, di mutare la  volonta',
e revocare il consenso precedentemente prestato. 
    Non vi e' ragione di escludere dalla  regola  della  liberta'  di
autodeterminazione  nel  trattamento  sanitario,  che  presidia,  nel
nostro  ordinamento,  tanto   gli   atti   attinenti   all'integrita'
psico-fisica satisfattivi, latu sensu, di interessi propri (come,  ad
esempio, nell'ipotesi di intervento medico  finalizzato  alla  tutela
della salute del paziente), quanto quelli satisfattivi  di  interessi
altrui (ad esempio  espianto  di  organi  in  favore  di  terzi),  il
trattamento  di  PMA,  che  e'  intervento  medico  finalizzato  alla
soluzione    di     uno     stato     patologico     ben     definito
(sterilita'/infertilita'). 
    Ne' in tal senso puo' ritenersi valida  l'argomentazione  che  il
legislatore  nell'esercizio  del  proprio  potere  discrezionale   ha
ritenuto legittimamente di attribuire rilevanza preminente alla  vita
e allo sviluppo dell'embrione posto che, come ribadito proprio  dalla
sentenza della Corte costituzionale  n.  151/2009,  la  tutela  dello
stesso non puo'  essere  assoluta  (d'altro  canto  la  stessa  Corte
osserva come gia' la stessa legge n. 40/2004 non la ritenga tale),  e
l'autonomia del legislatore trova un limite  inderogabile  oltre  che
nel  rispetto  dei  diritti  fondamentali,   peraltro   espressamente
richiamati dallo stesso art. 32,  2  comma  Cost.,  nei  principi  di
autonomia e responsabilita' del medico  debitamente  autorizzato  dal
paziente. 
    D'altro canto, la giurisprudenza costituzionale ha  ripetutamente
posto l'accento sui  limiti  che  alla  discrezionalita'  legislativa
pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, sulle  quali  si
fonda l'arte medica, sicche', in materia di pratica  terapeutica,  la
regola di fondo deve essere la autonomia  e  la  responsabilita'  del
medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte
professionali (sentenze n. 338 del 2003 e n.  282  del  2002)  (Corte
cost. 151/2009). 
    Nessun rischio di vuoto  normativo,  d'altro  canto,  verrebbe  a
prodursi, anche in questo caso, a parere del giudicante,  in  ipotesi
di  declaratoria  d'incostituzionalita'  della   norma,   posto   che
l'eliminazione  dell'ultimo  capoverso  del  comma  3  dell'art.   6,
determinerebbe l'operare degli ordinari principi di revocabilita' del
consenso da parte del paziente nel trattamento sanitario. 
    3. - I ricorrenti hanno proposto  ricorso  ex  art.  700  c.p.c.,
chiedendo, in via principale, che sia ordinata al  centro  medico  la
consegna (da interpretarsi come messa a  disposizione,  in  relazione
alla finalita' di destinazione alla ricerca in merito alla  patologia
dalla quale sono afflitti), degli embrioni crioconservati (dei quali,
come  detto,  5  affetti  dalla  patologia  dell'esostosi,  e  4  non
biopsabili per cause tecniche); che sia  accertata  e  dichiarata  la
piena efficacia e validita' del consenso espresso dalla donna di  non
procedere al trasferimento in  utero  degli  embrioni  crioconservati
presso il centro; che sia disposto, in attesa della  definizione  del
giudizio di merito ed in via incidentale dell'eventuale  giudizio  di
legittimita'  costituzionale,  la   crioconservazione   dei   residui
embrioni risultati affetti dalla patologia  della  esostosi.  In  via
subordinata,  hanno  chiesto  che  sia  sollevata  la  questione   di
legittimita' costituzionale: a) dell'art. 13, legge n.  40/2004,  per
contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; b) dell'art. 6,
comma 3, u.c., legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt.  2,  13,
32 Cost.; e) dell'art. 13, comma 1, 2, 3 e 6 comma 3, u.c., legge  n.
40/2004 in quanto affetto da  illogicita'  ed  irragionevolezza,  per
contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost. 
    Hanno, quindi, specificato che nel giudizio di merito  si  chiede
di accertare  la  piena  validita'  ed  efficacia  della  revoca  del
consenso al trasferimento  in  utero  degli  embrioni  soprannumerari
malati o non biopsiabili, nonche' il diritto di  essi  ricorrenti  di
poter utilizzare gli embrioni  soprannumerari  per  fini  di  ricerca
scientifica e biomedica connessa alle problematiche  della  patologia
genetica di cui sono portatori. 
    In  punto  di  ammissibilita'  del  rilievo  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  in  sede  cautelare,  si  richiama   la
sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009, che ha rilevato  che
«la giurisprudenza di questa Corte ammette la possibilita' che  siano
sollevate questioni di legittimita' costituzionale in sede cautelare,
sia quando il giudice non provveda sulla domanda, sia quando  conceda
la relativa misura, purche'  tale  concessione  non  si  risolva  nel
definitivo esaurimento del definitivo potere cautelare del  quale  in
quella sede il giudice fruisce (sentenza n. 161 del 2008 e  ordinanze
n. 393 del 2008 e n. 25  del  2006).  Nella  specie,  i  procedimenti
cautelari sono in corso ed  i  giudici  a  quibus  non  hanno  ancora
esaurito   la   propria   potestas   indicandi:   risulta,    quindi,
incontestabile la loro legittimazione a sollevare in  detta  fase  le
questioni  di  costituzionalita'  delle  disposizioni  di  cui   sono
chiamati a fare applicazione (sentenza n. 161 del 2008)». 
    Nel caso, il procedimento cautelare verra' sospeso per il rilievo
della questione di legittimita' costituzionale, e dunque e' ancora in
corso. 
    Quanto alla rilevanza  della  questione,  si  osserva  che  nella
specie i ricorrenti hanno dedotto di voler ripetere il trattamento di
PMA,  avendo  la  C.  espresso  la  propria  volonta'  contraria   al
trasferimento degli embrioni soprannumerari crioconservati presso  il
centro medico, dei  quali  come  detto,  5  affetti  dalla  patologia
dell'esostosi, e 4 non biopsabili per cause tecniche;  in  base  alla
documentazione  in  atti,  contenuta  nel  fascicolo   degli   attori
ricorrenti, risulta, inoltre, la sussistenza dei requisiti  richiesti
dalla legge per accedere al trattamento di PMA. 
    Ancora, i ricorrenti hanno manifestato la volonta'  di  destinare
gli embrioni soprannumerari malati  o  non  biopsabili  per  fini  di
ricerca scientifica e biomedica, connessa  alle  problematiche  della
patologia genetica di cui sono portatori. 
    Si richiama, sul punto, quanto sopra osservato circa il  disposto
dell'art. 9 Cost., e la portata che a parere  del  giudicante  e'  da
attribuire alla disposizione, anche in correlazione con  il  disposto
dell'art. 32, che qualifica la salute sotto il  duplice  profilo  del
diritto fondamentale dell'individuo (con tutta evidenza, l'integrita'
fisio-pichica costituisce il presupposto per l'esercizio di qualunque
altro diritto della persona), e  di  interesse  della  collettivita',
consacrando, dunque, la rilevanza sociale della tutela  della  salute
di ogni singolo individuo. 
    Sotto tale profilo, il giudicante ritiene attuale l'interesse dei
ricorrenti a destinare gli embrioni malati o comunque non  biopsabili
a  finalita'  di  ricerca  scientifica  e  biomedica,  connessa  alle
problematiche della patologia genetica di cui sono portatori; ricerca
scientifica e biomedica, come  detto,  finalizzata  a  realizzare  la
tutela della salute, non solo di essi attori, ma  anche  degli  altri
soggetti  portatori  della  patologia,  e,  dunque,   finalizzata   a
realizzare  l'interesse  della  collettivita'  alla  salute,  di  cui
all'art. 32 Cost. 
    Deve, dunque, ritenersi l'interesse  dei  ricorrenti,  in  quanto
portatori  della  specifica  patologia,  di  destinare  gli  embrioni
affetti dalla stessa,  o,  comunque,  non  biopsabili,  alla  ricerca
scientifica, soprattutto in assenza di  diverso  interesse,  di  pari
rilevanza nella scala dei valori dell'ordinamento  giuridico,  ovvero
prevalente, nel bilanciamento da effettuarsi,  apparendo  irrazionale
l'individuazione  di  detto  interesse  in   quello   alla   cura   e
conservazione dell'embrione malato o non biopsabile,  inevitabilmente
destinato all'estinzione,  in  assenza  dell'obbligo  originariamente
previsto,  nell'impianto  normativo,  di  procedere  all'impianto  in
qualunque caso. 
    I ricorrenti intendono ripetere il ciclo di PMA, onde  impellente
e' la risoluzione di ogni questione relativa 
    alla manifestazione della volonta' di non procedere  all'impianto
degli embrioni malati o non biopsabili, volonta' rilevante, a  parere
del giudicante, alla luce dell'assetto dei valori costituzionali,  di
per se', indipendentemente dalle ricadute sulla salute della donna, e
dalla attestazione del sanitario di detta incidenza. 
    E' evidente, poi, che il trascorrere del tempo determinerebbe una
perdita di qualita' indispensabili per poter  effettuare  l'attivita'
di ricerca cui  gli  attori  intendono  destinare  gli  embrioni  non
biopsabili. 
    Sulla  base  delle  esposte  considerazioni   risulta,   inoltre,
evidente che la decisione sulla fattispecie in  discussione,  per  le
sue peculiarita', non puo' essere  resa  nei  tempi  di  un  giudizio
ordinario, poiche' pregiudicherebbe in modo grave ed irreparabile gli
interessi dei quali si chiede la tutela, e cio' in contrasto  con  il
principio generale di effettivita' della tutela giurisdizionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Solleva la questione di legittimita' costituzionale: 
        a) dell'art.  13,  legge  n.  40/2004  (divieto  assoluto  di
qualsiasi  ricerca  clinica  o  sperimentale  sull'embrione  che  non
risulti finalizzata alla tutela dello stesso) per contrasto  con  gli
artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; 
        b) dell'art. 6, comma  3  u.c.,  legge  n.  40/2004  (divieto
assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l'avvenuta fecondazione
dell'ovulo) per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.; 
        c) dell'art. 13, comma 1, 2, 3, e 6 comma  3  u,c.  legge  n.
40/2004 in quanto affetto da  illogicita'  ed  irragionevolezza,  per
contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost.; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il procedimento in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa nonche' al  Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    Dispone  che  la  presente   ordinanza   sia   comunicata   dalla
cancelleria al Presidente della Camera dei Deputati e  al  Presidente
del Senato delta Repubblica. 
      Firenze, 7 dicembre 2012 
 
                         Il giudice: Pompei