N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 2012
Ordinanza del 7 dicembre 2012 emessa dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile promosso da C. S. A. e P. G. contro Centro di fecondazione assistita «Demetra» S.r.l. e Presidenza del Consiglio dei ministri. Procreazione medicalmente assistita - Sperimentazione sugli embrioni umani - Divieto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull'embrione che non risulti finalizzata alla tutela della salute e allo sviluppo dello stesso - Carattere assoluto e inderogabile - Conseguente operativita' anche rispetto agli embrioni residuati da PMA non piu' impiegabili per fini procreativi (in quanto malati o non biopsiabili) e destinati all'autodistruzione - Irragionevole difetto di bilanciamento della tutela dell'embrione con l'interesse costituzionalmente rilevante alla ricerca scientifica bio-medica - Contrasto con la promozione dello sviluppo della ricerca scientifica e con la tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettivita' - Contrasto con la Convenzione di Oviedo sulle biotecnologie. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 13 (commi 1, 2 e 3). - Costituzione, artt. 9, 32 e 33, primo comma; Convenzione di Oviedo sulle biotecnologie, artt. 1, 5 e 18. Procreazione medicalmente assistita - Consenso informato al trattamento - Irrevocabilita' dopo la fecondazione dell'ovulo - Contrasto con il diritto irretrattabile della persona al consenso informato e con la liberta' di autodeterminazione nel trattamento sanitario - Irrazionale diversificazione della PMA da tutte le altre ipotesi di trattamento terapeutico, in deroga al principio della necessita' del consenso del paziente prima e durante il trattamento - Richiamo alla sentenza n. 151 del 2009 della Corte costituzionale. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6, comma 3, ultimo capoverso. - Costituzione, artt. 2, 13 e 32. Procreazione medicalmente assistita - Consenso informato al trattamento e sperimentazione sugli embrioni umani - Disciplina - Impossibilita' per i generanti di destinare alla ricerca scientifica gli embrioni residuati da PMA non piu' impiegabili per fini procreativi (in quanto malati o non biopsiabili), revocando il consenso al trattamento prestato prima della fecondazione dell'ovulo - Illogicita' e irragionevolezza. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, artt. 13, commi 1, 2 e 3, e 6, comma 3, ultimo capoverso. - Costituzione, artt. 2, 3, 13, 31, 32 e 33, primo comma.(GU n.29 del 17-7-2013 )
IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 18 settembre 2011, sul ricorso ex art. 700 c.p.c., promosso da C. S. A. e P. G., nel corso della causa sub in RG 4942/2012, osserva quanto segue. In fatto 1. - Con atto di citazione davanti al Tribunale di Firenze, notificato in data 30 marzo 2012, C. S. A. e P. G. hanno convenuto davanti al Tribunale di Firenze il Centro di Fecondazione Assistita Demetra S.r.l. e lo Stato Italiano, in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo: 1) di ordinare al Centro medico Demetra S.r.l. la consegna agli attori degli embrioni crioconservati, e di accertare e dichiarare la piena efficacia e validita' del consenso espresso dalla donna di non procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati presso il centro con ogni effetto conseguenziale; 2) di condannare lo Stato Italiano, accertatane la responsabilita' per il c.d. illecito legislativo o costituzionale, al risarcimento del danno patrimoniale (nella misura di euro 5,000,00), e del danno non patrimoniale nella misura ritenuta di giustizia. 2. - Gli attori hanno esposto, a sostegno della loro domanda, in fatto: di essersi rivolti al centro Demetra S.r.l. di Firenze al fine di procedere al trattamento di PMA con preventiva diagnosi genetica di pre-impianto per la prima volta nel gennaio 2009 e che, in ossequio a quanto previsto dalla legge, erano stati prodotti solo 3 embrioni che, sottoposti all'esame di PDG, erano risultati tutti affetti dalla patologia genetica dell'esostosi, cosicche' la C. si era determinata a non procedere al trasferimento nel proprio utero; che, nell'ottobre 2009, si erano rivolti nuovamente al centro Demetra S.r.l. per un nuovo ciclo di PMA, e che a tale scopo erano stati prodotti a 10 embrioni; dall'esame genetico di pre-impianto, era peraltro emerso che su 4 embrioni non era stato possibile eseguire l'esame del DNA per cause tecniche, 5 erano risultati affetti dalla patologia dell'esostosi, e 1 soltanto era risultato sano (come da cartella clinica del Centro Demetra allegata); che, dato il numero ridotto di embrioni con sicurezza non affetti dalla patologia (n. 1) da trasferire e considerato che si trattava di materiale di media qualita', avevano comunicato al centro la loro intenzione di non procedere al trattamento di PMA; che il Centro Demetra in forza del disposto di cui all'art. 6, comma III, aveva risposto evidenziando l'impossibilita' di dar corso a tale richiesta, significando che la volonta' avrebbe potuto essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo; che, in un colloquio tra essi attori ed i responsabili del Centro Medico era stato rappresentato da questi ultimi che la violazione di tale previsione, anche se priva di specifica sanzione, avrebbe potuto dar luogo a non meglio precisati provvedimenti coercitivi nei confronti della donna, da parte dell'autorita' giudiziaria; che, in conseguenza di cio', la C. si era determinata ad effettuare il trattamento di PMA utilizzando 1 solo embrione, e che degli altri 9 embrioni (di cui 4 non biopsabili e 5 affetti da patologia), era stata disposta, giocoforza, a cura del centro, la crioconservazione; che il tentativo era risultato infruttuoso, e che dunque la C. aveva assunto informazioni circa la possibilita' di destinare gli embrioni soprannumerari risultati affetti dalla patologia ad attivita' mediche diagnostiche e di ricerca scientifica connesse alla propria patologia genetica; che da parte del Centro era stato rappresentato, anche in questo caso, che in forza del disposto di cui all'art. 13 della legge n. 40/2004 cio' risultava assolutamente vietato; che la C. aveva intenzione di ripetere il trattamento di PMA entro i mesi successivi, e, vista la pregressa esperienza, intendeva riservarsi all'esito dell'indagine genetica di pre-impianto e alla qualita' degli embrioni prodotti, di decidere se sottoporsi o meno al successivo trasferimento nel proprio utero del materiale genetico prodotto, ovvero di destinare a fini di ricerca il medesimo, o ancora di procedere alla sua crioconservazione; che, dunque, risultava evidente l'attualita' del diritto azionato nel giudizio, atteso che 4 degli embrioni crioconservati, di cui non era stato possibile conoscere lo stato di salute, non erano stati trasferiti per l'opposizione della C. a procedere in tal senso. 3. - In diritto, hanno rilevato: a) con riferimento alle questioni poste dalla previsione di cui all'art. 13, commi 1, 2, 3 legge n. 40/2004 in tema di intangibilita' assoluta dell'embrione, ed in relazione all'esigenza di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: che nella sentenza n. 151/2009, la Corte costituzionale non si e' pronunciata sull'annosa questione posta dall'art. 13 della legge n. 40/2004, inerente il bilanciamento costituzionalmente ragionevole tra tutela dell'embrione e interesse alla ricerca scientifica finalizzata alla tutela della salute (individuale e collettiva); ne', d'altra parte, la questione risultava essere stata rimessa alla Corte dal Giudice di merito in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c. (come da ordinanze del Tribunale di Firenze 12 luglio 2008 e 26 agosto 2008); che le questioni poste dall'art. 13 risultano autonome e distinte da quelle di cui all'art. 14, oggetto del giudizio di costituzionalita' deciso con la sentenza n. 151/2009, prevedendo e disciplinando l'art. 13, intitolato «Sperimentazione sugli embrioni umani», i limiti alla ricerca scientifica, laddove l'art. 14 regolamenta i «Limiti alla applicazione delle tecniche di PMA»; che, invero, l'art. 13 impone il divieto di qualsiasi sperimentazione nonche' di ricerca sugli embrioni che non persegua finalita' terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso; lo stesso articolo vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico dell'embrione e dei gameti, ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione e comunque attraverso procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete, ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalita' diagnostiche e terapeutiche dello stesso; che, secondo l'interpretazione accolta dalla maggioranza della dottrina e dalla totalita' della giurisprudenza (con l'unica esclusione della prima pronuncia in materia di PMA ad opera del Tribunale di Catania nel maggio 2004), l'art. 13 concerne unicamente l'ambito della ricerca scientifica e non l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Tribunale di Cagliari Ordinanza 22 settembre 2007; Tribunale di Firenze, ordinanza 17-19 dicembre 2007; Tribunale di Firenze, ordinanza 11 luglio 2008; Tribunale di Firenze, ordinanza 23 agosto 2008; Tribunale di Milano, ordinanza 6 marzo 2009; Tribunale di Milano, ordinanza 8 marzo 2009; Tribunale di Bologna, ordinanza 16 giugno 2009; Tribunale di Bologna, ordinanza del 29 giugno 2009; Tribunale di Salerno, ordinanza 9 gennaio 2010); che, anche in forza del disposto di cui al comma 5 dell'art. 14, la Corte costituzionale ha ritenuto contrarie agli artt. 2, 3, 32 Cost. le previsioni di cui all'art. 14, comma 2, limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre», nonche' del comma 3 nella parte in cui «non prevede che il trasferimento degli embrioni da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna»; che, dunque, le questioni connesse al bilanciamento tra l'interesse alla vita, allo sviluppo, e a non subire alcun tipo di intervento clinico, sperimentale o diagnostico, riconosciuto all'embrione ex art. 13, e gli speculari interessi alla ricerca scientifica e tecnica ex art. 9 Cost., connessi alle esigenze di tutela della salute collettiva ex art. 32, primo comma e art. 2 Cost., non sono risultati oggetto di una pronuncia da parte della Corte costituzionale; che tale questione risulta di assoluta preminenza per il soddisfacimento degli interessi azionati in giudizio, avendo essi attori crioconservato presso il Centro Demetra ben 9 embrioni (di cui la meta' malati e l'altra meta' non sottoponibili a biopsia), che per loro espressa decisione non verranno mai utilizzati nel processo procreativo, configurandosi come embrioni soprannumerari destinanti all'autodistruzione; che, dunque, allo stato attuale, il problema del potere dei generanti il materiale genetico utilizzato per creare gli embrioni, di scegliere sulla sorte di quelli in sovrannumero, e' del tutto attuale e tutt'altro che risolto, posto che il bilanciamento operato dalla legge n. 40/2004 all'art. 13 risulta del tutto irragionevole; che, invero, se piu' di un dubbio appare ipotizzabile, alla luce dell'assetto dei valori e dei principi dell'ordinamento, che nell'esercizio del proprio potere discrezionale il legislatore possa ritenere di principio prevalente la tutela della salute, della vita e dell'integrita' dell'embrione idoneo ad essere impiegato per la procreazione, rispetto agli interessi alla salute collettiva e alla connessa ricerca scientifica, il dubbio diventa, sotto il profilo ontologico e di stretto diritto, insuperabile laddove si ritenga che tale prevalenza di tutela debba essere riconosciuta sempre e comunque all'embrione, a prescindere dalle valutazioni delle sue condizioni e prospettive di impiego nel caso concreto, dunque per quanto riguarda gli embrioni soprannumerari, abbandonati, affetti da patologie gravi; che, in altri termini, non puo' trascurarsi di valutare in maniera differenziata, stante l'assetto dei valori e dei principi del nostro ordinamento, il divieto di produrre embrioni da finalizzare alla ricerca, rispetto al divieto di utilizzare quelli residuati da procedimenti di PMA - in particolar modo per quanto riguarda gli embrioni abbandonati, malati, ovvero ancora non biopsiabili, dunque sicuramente non piu' impiegabili per fini procreativi e destinati percio' all'autodistruzione certa nel giro di qualche anno - ad impieghi alternativi e sicuramente meritevoli di tutela alla luce della Carta costituzionale quale, ad esempio, l'impiego per la ricerca scientifica in ambito medico e terapeutico, dovendosi altresi' porre mente agli enormi progressi conseguiti dalla scienza medica negli ultimi anni in ambito scientifico-sperimentale e anche terapeutico, grazie alla ricerca mediante l'impiego di cellule staminali embrionali, consentita in pressoche' tutti i paesi del mondo e assolutamente vietata in Italia; che, quindi, l'art. 13 legge n. 40/2004, nel prevedere un divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale non finalizzata alla tutela dell'embrione stesso, non operando nessuna distinzione in proposito, si traduce in un divieto privo di deroghe e temperamenti e quindi del tutto irragionevole, e percio' sicuramente in contrasto non solo con i richiamati principi sanciti dalla carta costituzionale (art. 9 e 32 Cost.), ma anche da Convenzioni internazionali (artt. 1, 5, 18 Conv. Oviedo sulle Biotecnologie); che, infatti, l'interesse allo sviluppo della ricerca scientifica appare del tutto recessivo rispetto all'aspettativa di vita del singolo embrione, essendo la previsione di cui all'art. 13 caratterizzata dall'opzione di fondo della tutela assoluta di quest'ultimo interesse, senza alcuna ragionevole distinzione tra le varie categorie di embrioni, e, conseguentemente, senza alcun bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti, tutti di rilevanza costituzionale, specie con riferimento al problema della sorte degli embrioni soprannumerari, destinati a rimanere inutilmente crioconservati sino alla loro completa estinzione, non potendo essere compiuta nessuna attivita' di ricerca o sperimentazione scientifica in relazione agli stessi, a meno che dette attivita' non siano «volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso»; che un tale assetto, comunque, non puo' essere giustificato dalla considerazione di rischi connessi ad un eventuale vuoto normativo, posto che per superare l'evidente problema di ragionevolezza della norma sarebbe sufficiente prevedere che l'assolutezza della tutela, che si traduce nell'inderogabilita' della stessa (e quindi dell'impossibilita' di destinare l'embrione a fini diversi dalla sua propria cura), debba essere valutata «tenendo conto dell'impiego programmato o ragionevolmente prevedibile cui l'embrione e' destinato», con la conseguenza che ove il medesimo fosse non piu' impiegabile a fini procreativi e quindi destinato a naturale e rapida «estinzione», esso potrebbe essere utilizzato, previo parere dei generanti, per altri impieghi «costituzionalmente rilevanti», come la ricerca scientifica bio-medica; che, inoltre, non e' possibile rinvenire nel disposto normativa nessuna definizione precisa dell'embrione, venendo il termine utilizzato come sinonimo di concepito e ovulo fecondato, poiche' la definizione di embrione, estranea alla scienza giuridica e propria di quella biologica, individua un'entita' organica al terzo giorno dalla fecondazione dell'ovocita, cosicche' ovulo fecondato e concepito non sarebbero sussumibili nel concetto di embrione inteso come unita' multicellulare con patrimonio genetico ormai distinto ed autonomo da quello dei progenitori; che, dunque, sia sotto il profilo della ricerca scientifica (art. 13), che sotto quello delle tutele normative apprestate (art. 1, comma 2; art. 6, comma 3 u.c.; art. 6, comma 1; capo III), la qualificazione dell'oggetto di tutela come embrione ovvero come entita' in fase precedente (ovulo fecondato e/o concepito e/o nascituro) comporterebbe conseguenze estremamente rilevanti in termini di disciplina applicabile direttamente, o in forza di interpretazione conforme, riguardo ai limiti stabiliti all'attivita' di ricerca bio-medica, cosi' come al bilanciamento di interessi operato de jure condito dalla legge, ponendo nello stesso tempo problemi di coerenza logica e sistematica delle varie disposizioni; che se i divieti assoluti di ricerca clinica e sperimentale di cui all'art. 13 s'intendono riferiti all'embrione, si dovrebbe ritenere che nel tempo intercorrente tra concepimento, formazione della blastocisti, morula ed embrione (3 gg. circa), tali previsioni non dovrebbero applicarsi, con ogni effetto consequenziale; che, una volta considerato che il bilanciamento tra interessi della madre e analoghi interessi dell'embrione non puo' che condurre ad un giudizio di prevalenza dei primi sui secondi, la previsione normativa diverrebbe del tutto incomprensibile, poiche', se l'ovulo fecondato non e' neppure (ancora) embrione, appare priva di ratio la previsione dell'irrevocabilita' del consenso; b) sulle questioni poste dalla previsione di cui all'art. 6, comma 3, legge n. 40/2004 in tema di irrevocabilita' del consenso della donna durante il trattamento sanitario di PMA e sull'esigenza di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: che dubbi di legittimita' costituzionale possono porsi relativamente alla previsione di cui all'art. 6, comma 3, in punto di irrevocabilita' del consenso al trattamento medico di PMA dopo la fecondazione dell'ovulo; che la Corte costituzionale nella sentenza n. 151/2009 non si e' espressa su tale questione, pur sollevata dal giudice remittente, ritenuto il difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo; che detta pronuncia, peraltro, nell'introdurre una deroga significativa al divieto assoluto di crioconservazione previsto all'art. 14, comma 1, ha sicuramente inciso sull'operativita' dell'art. 6, comma 3; che, infatti, se e' indubbio che tale prescrizione e' stata ulteriormente circoscritta dalla decisione della Corte di introdurre la deroga al divieto assoluto di crioconservazione degli embrioni, prevedendosi tale possibilita' in tutti i casi in cui il medico rilevi fondati rischi per la salute della donna nel procedere al loro impianto, il problema permane sia sotto il profilo operativo che sotto quello sistematico, poiche' la relativa decisione e' pur sempre demandata al medico, in base ad un'opzione tecnico-scientifica, e non al soggetto titolare del diritto di autodeterminazione; che, dunque, la modifica introdotta dalla Consulta con la sentenza n. 151/2009 non viene in alcun modo ad incidere, con riferimento al disposto dell'art. 6, legge n. 40/2004, sul problema del rispetto dei principi fondamentali in materia di consenso informato quale condizione di legittimita' nel/del trattamento sanitario, che, invece, devono trovare nella fattispecie piena operativita', non vertendosi in ipotesi di TSO (art. 3 Carta dei Diritti fondamentali dell'UE; art. 32, secondo comma Cost.; art. 5 Conv. Oviedo; oltre che numerose leggi speciali); che, infatti, come ritenuto anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438/2008, la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona, quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se e' vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresi', il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui puo' essere sottoposto, nonche' delle eventuali terapie alternative; che, dunque, come ritenuto anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza 28 luglio 2011, n. 16543), il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, a seguito di un intervento concordato e programmato e per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, che pongano, in gravissimo pericolo la vita della persona, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio, e tale consenso e' talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza per escluderlo che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto; che, comunque, il consenso informato deve essere presente in ogni fase del trattamento sanitario; che appare incontrovertibile che per il trattamento medico di PMA devono trovare applicazione i principi validi per qualsiasi trattamento sanitario, in forza dei quali il consenso libero ed informato del paziente, in qualita' di presupposto legittimante l'intervento del medico, deve sussistere prima, e durante tutto il trattamento, non vertendosi in ipotesi di TSO; che la previsione che esso non possa essere revocato dopo la fecondazione dell'ovocita, contenuta nell'art. 6, comma 3, seppur sicuramente ridotta nella sua portata - per effetto della previsione di una valutazione medica comparativa inerente la prioritaria tutela della salute della donna - rappresenta comunque una palese violazione dell'enunciato principio regolativo del rapporto medico/paziente, posto che il paziente viene espropriato della possibilita' di revocare l'assenso al medico di eseguire atti sicuramente invasivi della propria integrita' psicofisica, e che cio' avviene, peraltro, in un momento particolarmente delicato dell'attivita' medica, atteso che il trattamento, tutt'altro che concluso, si trova in una fase intermedia cui necessariamente seguira' il delicatissimo momento del trasferimento in utero del materiale prodotto; che, dunque, la previsione normativa realizza, pur in assenza dei presupposti legittimanti il TSO, una vistosa deroga ai principi di liberta' e non vincolativita'/obbligatorieta' cui sono sottoposte tutte le disposizioni inerenti il potere del soggetto in ordine al compimento di atti anche solo potenzialmente lesivi della propria integrita' psicofisica che, come noto, a prescindere da qualsiasi valutazione sulle ragioni subiettive o motivazioni personali, consentono sempre, di principio, al paziente di mutare la propria volonta', revocando il consenso precedentemente prestato, tanto per gli atti satisfattivi, latu sensu, di interessi propri (intervento medico finalizzato alla tutela della salute propria), quanto per quelli sattisfattivi di interessi altrui (ad esempio espianto di organi in favore di terzi); che, quindi, non si comprende la ragione per la quale detti principi debbano essere negati nel caso di specie, configurandosi il trattamento di PMA come intervento medico finalizzato alla soluzione di uno stato patologico proprio (sterilita'/infertilita'); che, in contrario, non puo' argomentarsi che il legislatore ha ritenuto di conferire tutela preminente alla vita e allo sviluppo dell'embrione, posto che, come ribadito proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009, la tutela dello stesso non puo' essere assoluta (e osserva la Corte come gia' la stessa legge n. 40/2004 non la ritenga tale), e che l'autonomia del legislatore trova un limite inderogabile, oltre che nel rispetto dei diritti fondamentali, peraltro espressamente richiamati dallo stesso art. 32, secondo comma Cost., nei principi di' autonomia e responsabilita' del medico debitamente autorizzato dal paziente; che, in ipotesi di declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma, non sussisterebbe alcun rischio di vuoto normativo, posto che l'eliminazione dell'ultimo capoverso del comma 3 dell'art. 6 determinerebbe l'operare degli ordinari principi di revocabilita' del consenso da parte del paziente nel trattamento sanitario. 4. - Si e' costituito in giudizio il Centro Demetra, deducendo di aver dovuto, stante l'attuale legislazione, opporsi alla richiesta della C. di non procedere al trattamento di PMA, relativamente all'unico embrione (dei 10 prodotti nel 2009) certamente non affetto dalla patologia di cui soffre la medesima, nonche' rifiutare quella di mettere a disposizione gli embrioni soprannumerari risultati affetti dalla patologia per destinarli ad attivita' mediche diagnostiche e di ricerca scientifica, connesse alla propria patologia genetica. Ha concluso, pertanto, chiedendo, in via principale, che il Tribunale dichiari esso Centro non tenuto, in forza della vigente normativa, ad ottemperare alle richieste avanzate dagli attori, indicate nell'atto di citazione; in via subordinata, ha chiesto che il Tribunale sollevi la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 13, legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma Cost., nonche' dell'art. 6, comma 3, 1egge n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost., e dell'art. 13, commi 1, 2, 3, legge n. 40/2004, in quanto affetto da illogicita' ed irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32 Cost. 5. - Si e' costituito altresi' in giudizio lo Stato Italiano, in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri, eccependo, in primo luogo, l'incompetenza territoriale del Tribunale adito, deducendo al riguardo che, anche a voler ritenere astrattamente configurabile un illecito legislativo di matrice comunitaria anche in relazione ad atti legislativi di diritto interno, l'ufficio giudiziario competente a conoscere della domanda risarcitoria deve essere individuato nel Tribunale di Roma, analogamente a quanto previsto per le ipotesi di violazione da parte del legislatore di normativa comunitaria. Ha contestato poi, nel merito, l'ammissibilita' della domanda, dovendo ritenersi, nel nostro ordinamento, la responsabilita' dello Stato «per atto legislativo» circoscritta alla sola violazione, da parte dello Stato stesso, di norme comunitarie, e non configurabile, invece, con riguardo alla violazione di norme interne, ancorche' di rango costituzionale. Ha chiesto, infine, il rigetto della domanda, per difetto di prova degli elementi costitutivi dell'illecito, tanto sotto il profilo soggettivo, che sotto quello oggettivo, in particolar modo contestando la sussistenza della prova del danno subito alla salute, o per perdita di chances procreative, secondo quanto dedotto dagli attori, comunque contestando l'esistenza del nesso di causalita' tra detto danno e la propria condotta. 6. - I ricorrenti hanno proposto, in corso di causa, ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedendo che il Tribunale, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, ordini al centro medico convenuto la consegna degli embrioni crioconservati, onde consentire l'uso a fini di ricerca scientifica e biomedica, ed accerti e dichiari la piena efficacia e validita' della volonta' espressa di non procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati presso il centro, con ogni effetto conseguenziale, nonche' disponga, in attesa della definizione del giudizio di merito ed in via incidentale dell'eventuale giudizio di legittimita' costituzionale, la crioconservazione dei residui embrioni risultati affetti dalla patologia della esostosi, con ogni conseguenziale provvedimento. Hanno altresi' chiesto, in via subordinata, che il Tribunale sollevi la questione di legittimita' costituzionale: A) dell'art. 13, legge. n. 40/2004 (divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull'embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso) per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; B) dell'art. 6, comma 3 u.c., legge n. 40/2004 (divieto assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l'avvenuta fecondazione dell'ovulo) per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.; C) dell'art. 13, comma 1, 2, 3, e 6 comma 3 u.c. legge n. 40/2004 in quanto affetto da illogicita' ed irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost. In diritto 1. - Osserva il giudicante, sulle questioni poste dalla previsione di cui all'art. 13, comma 1, 2, 3 legge n. 40/2004, in punto di intangibilita' assoluta dell'embrione, che nella sentenza n. 151/2009, la Corte costituzionale non si e' pronunciata sulla questione posta dall'art. 13 della legge n. 40/2004, inerente il bilanciamento costituzionalmente ragionevole tra tutela dell'embrione e interesse alla ricerca scientifica finalizzata alla tutela della salute (individuale e collettiva); ne', d'altro canto, la questione risultava essere stata rimessa alla Corte dal Giudice di merito in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c. (Trib. di Firenze, ordinanze 12 luglio e 26 agosto 2008). La fattispecie disciplinata dall'art. 13 risulta, come e' noto, autonoma e distinta da quella di cui all'art. 14, oggetto del giudizio di costituzionalita' di cui alla sentenza n. 151/2009. Invero l'art. 13, intitolato «Sperimentazione sugli embrioni umani», prevede e disciplina i limiti alla ricerca scientifica, laddove l'art. 14 regolamenta i «Limiti alla applicazione delle tecniche di PMA», imponendo il divieto di qualsiasi sperimentazione e ricerca sugli embrioni che non persegua finalita' terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. Lo stesso articolo vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico dell'embrione e dei gameti, ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione e comunque attraverso procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete, ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalita' diagnostiche e terapeutiche dello stesso. Secondo l'interpretazione accolta dalla maggioranza della dottrina e dalla totalita' della giurisprudenza (con l'unica esclusione della prima pronuncia in materia di PMA ad opera del Tribunale di Catania nel maggio 2004), l'art. 13 concerne unicamente l'ambito della ricerca scientifica e non l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (ex multis: Tribunale di Cagliari, ordinanza 22 settembre 2007; Tribunale di Firenze, ordinanza 17-19 dicembre 2007;Tribunale di Firenze, ordinanza 11 luglio 2008; Tribunale di Firenze, ordinanza 23 agosto 2008; Tribunale di Milano, ordinanza 6 marzo 2009; Tribunale di Milano, ordinanza 8 marzo 2009; Tribunale di Bologna, ordinanza 16 giugno 2009; Tribunale di Bologna, ordinanza del 29 giugno 2009; Tribunale di Salerno, ordinanza 9 gennaio 2010). Sul presupposto di tale interpretazione, anche in forza del disposto di cui al comma 5 dell'art. 14, la Corte costituzionale ha ritenuto contrarie agli artt. 2, 3, 32 Cost. le previsioni di cui all'art. 14, comma 2, limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre», nonche' del comma 3 nella parte in cui «non prevede che il trasferimento degli embrioni da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna». Dunque le questioni connesse al bilanciamento tra l'interesse alla vita, allo sviluppo, e quindi a non subire alcun tipo di intervento clinico, sperimentale o diagnostico, riconosciuto all'embrione ex art. 13, e gli speculari interessi alla ricerca scientifica e tecnica ex art. 9 Cost., connessi, in questo caso, alle esigenze di tutela della salute collettiva ex art. 32, primo comma e art. 2 Cost., non sono risultati oggetto di una pronuncia da parte della Corte costituzionale. Tale questione risulta, dunque, rilevante per il soddisfacimento degli interessi azionati nel caso de quo, atteso che gli attori hanno crioconservato (presso il Centro Demetra) 9 embrioni (di cui la meta' malati e l'altra meta' non sottoponibili a biopsia), che per loro espressa decisione non verranno mai utilizzati nel processo procreativo, configurandosi come embrioni soprannumerari destinanti all'autodistruzione. Il problema della disponibilita', da parte dei generanti, del materiale genetico utilizzato per creare gli embrioni, e', a parere del giudicante, attuale e tutt'altro che risolto, posto che il bilanciamento operato dalla legge n. 40/2004 all'art. 13 risulta del tutto irragionevole. E cio', non con riferimento all'ipotesi della produzione di embrioni in relazione ai quali sussista la prospettiva di impiego nel trattamento di PMA (ipotesi pure prospettata come irragionevole, quanto a disciplina, dai ricorrenti), ben potendo, a parere del giudicante, il legislatore, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, ritenere di principio prevalente la tutela della salute, della vita e dell'integrita' dell'embrione idoneo ad essere impiegato per la procreazione, rispetto al diritto di autodeterminazione della donna e/o della coppia relativamente alla destinazione del materiale soprannumerario, fatte salve, comunque, le problematiche inerenti al rispetto della liberta' di autodeterminazione in ordine al trattamento terapeutico, delle quali si trattera' in prosieguo. A parere del giudicante, invece, diversamente si prospetta, stante l'assetto dei valori e dei principi costituzionali, il divieto di utilizzare gli embrioni residuati da procedimenti di PMA - cioe' gli embrioni malati, ovvero ancora non biopsiabili, dunque sicuramente non piu' impiegabili per fini procreativi e destinati percio' all'autodistruzione certa nel giro di qualche anno -, per impieghi alternativi e sicuramente meritevoli di tutela alla luce della Carta costituzionale quale, ad esempio, l'impiego per la ricerca scientifica in ambito medico e terapeutico. L'art. 13 legge n. 40/2004, nel prevedere un divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale che non sia finalizzato alla tutela dell'embrione stesso, non opera nessuna distinzione in proposito, traducendosi, a parere del giudicante, in un divieto privo di deroghe e temperamenti e quindi del tutto irragionevole, e percio' sicuramente in contrasto non solo con i richiamati principi sanciti dalla carta costituzionale (art. 9 e 32 Cost.), ma anche da Convenzioni internazionali (artt. 1, 5, 18 Conv. Oviedo sulle Biotecnologie). Si osserva sul punto che, in base al disposto dell'art. 9 Cost., la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. L'espressione «promuove ... la ricerca scientifica» non puo' che interpretarsi, per quanto concerne la ricerca che abbia ad oggetto la salute umana e le patologie che possano riguardarla, in correlazione con il disposto dell'art. 32, che qualifica la salute sotto il duplice profilo del diritto fondamentale dell'individuo (con tutta evidenza, l'integrita' fisio-pichica costituisce il presupposto per l'esercizio di qualunque altro diritto della persona), e di interesse della collettivita', consacrando, dunque, la rilevanza sociale della tutela della salute di ogni singolo individuo; e, d'altro canto, l'art. 2 Cost., nel prevedere che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica, e sociale, qualifica il riconoscimento dei diritti fondamentali in senso anche dinamico. Sotto tale profilo, non puo' che ritenersi attuale l'interesse dei ricorrenti a destinare gli embrioni malati o comunque non biopsabili a finalita' di ricerca scientifica e biomedica connessa alle problematiche della patologia genetica di cui sono portatori; ricerca scientifica e biomedica, finalizzata a realizzare la tutela della salute, non solo di essi attori, ma anche degli altri soggetti portatori della patologia, e, dunque, finalizzata a realizzare l'interesse della collettivita' alla salute, di cui all'alt. 32 Cost. D'altro canto, l'espressione «... promuove», contenuta nell'art. 9 Cost., non puo' che intendersi in un'accezione «dinamica», nel senso, cioe', che sia perseguito lo sviluppo della ricerca scientifica, il progresso della stessa (che, ovviamente, e' interesse di tutti, ma e' particolarmente qualificato per i soggetti portatori di una specifica patologia), poiche', diversamente argomentando, la previsione rimarrebbe sostanzialmente priva di significato; quantomeno, dunque, l'espressione deve essere intesa nel senso minimo di facilitare lo sviluppo della ricerca scientifica volta alla cura delle patologie, e, comunque, di non ostacolarla, se non per finalita' di tutela di un interesse perlomeno equivalente nella scala dei valori. E puo' ancora osservarsi che dell'importanza della ricerca scientifica come valore tutelato sono indici illuminanti disposizioni quali, ad esempio, l'art. 110, comma 1, del Codice in materia di protezione dei dati personali, che consente di trattare dati personali idonei a rivelare lo stato di salute per scopi di ricerca in campo medico, biomedico o epidemiologico, anche in assenza del consenso degli interessati, quando a causa di particolari ragioni non sia possibile informarli e il programma di ricerca sia oggetto di motivato parere favorevole del competente comitato etico a livello territoriale e sia autorizzato dal Garante, anche ai sensi dell'art. 40 del Codice. L'interesse allo sviluppo della ricerca scientifica appare, invece, nella normativa in questione, non solo del tutto, ma anche indiscriminatamente, recessivo rispetto all'aspettativa di vita del singolo embrione, essendo l'opzione legislativa orientata alla tutela assoluta dell'interesse di quest'ultimo. D'altro canto, un'eventuale pronuncia di incostituzionalita' della norma non pone problemi di vuoto normativo, posto che per superare l'evidente problema di ragionevolezza della disposizione sarebbe sufficiente prevedere che l'assolutezza della tutela, che si traduce nell'inderogabilita' della stessa (e quindi dell'impossibilita' di destinare l'embrione a fini diversi dalla sua propria cura), debba essere valutata «tenendo conto dell'impiego programmato o ragionevolmente prevedibile cui l'embrione e' destinato», con la conseguenza che ove il medesimo fosse non piu' impiegabile a fini procreativi e quindi destinato a naturale e rapida «estinzione», esso potrebbe essere utilizzato, previo parere dei generanti, per altri impieghi «costituzionalmente rilevanti», come la ricerca scientifica bio-medica. Va inoltre osservato che la definizione di embrione, estranea alla scienza giuridica e propria di quella biologica, individua un'entita' organica al terzo giorno dalla fecondazione dell'ovocita; dunque, ovulo fecondato e concepito non corrisponderebbero a embrione inteso come unita' multicellulare, con patrimonio genetico ormai distinto e autonomo da quello dei progenitori. Sia sotto il profilo della ricerca scientifica (art. 13), che sotto quello delle tutele normative apprestate (art. 1, comma 2; art. 6, comma 3 u.c.; art. 6, comma 1; capo III), la qualificazione dell'oggetto di tutela come embrione ovvero come entita' in fase precedente (ovulo fecondato e/o concepito e/o nascituro), comporta conseguenze estremamente rilevanti in termini di disciplina applicabile, con riferimento al bilanciamento di interessi operato de jure condito dalla legge, ponendo nello stesso tempo problemi di coerenza logica e sistematica delle varie disposizioni. Se i divieti assoluti di ricerca clinica e sperimentale di cui all'art. 13 devono intendersi riferiti all'embrione, si dovrebbe infatti ritenere che nel tempo intercorrente tra concepimento, formazione della blastocisti, morula ed embrione (3 gg. circa), tali previsioni non dovrebbero applicarsi, con ogni effetto consequenziale. Le disposizioni di cui all'art. 13 della legge n. 40/2004 prevedono dunque una intangibilita' assoluta dell'embrione umano, priva di deroghe o eccezioni di qualsiasi natura. Nessun rilievo viene attribuito alla specifica condizione in cui il materiale genetico si trova; e cio' vale, soprattutto, per gli embrioni soprannumerari o residuati al trattamento di PMA), ne' tantomeno alla circostanza che l'intervento sia finalizzato alla cura ed al perseguimento di altri interessi costituzionalmente rilevanti, riconducibili ai soggetti coinvolti nella vicenda: salute, liberta' procreativa come aspetto del piu' ampio concetto di liberta' personale, autodeterminazione e consenso informato, liberta' di ricerca scientifica. L'attivita' di ricerca e sperimentazione sull'embrione e' consentita solo «... per finalita' terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso», e la disposizione non sembra ammettere nessun compromesso, non consentendo nessuna sintesi fra le diverse esigenze espresse dagli interessi coinvolti. E' invece evidente il ben diverso atteggiarsi del divieto di ogni forma di selezione a scopo eugenetico di gameti ed embrioni, ovvero di produrre embrioni esclusivamente finalizzati alla ricerca ed alla sperimentazione, o ancora ad essere utilizzati in trattamenti finalizzati alla predeterminazione di caratteristiche genetiche o alla donazione, rispetto al divieto volto ad impedire, sempre e comunque, la crioconservazione del materiale prodotto, la selezione fra embrioni portatori della specifica patologia e non finalizzati al trasferimento nell'utero della donna, nonche' la possibilita' per la gestante, acquisite le informazioni inerenti lo stato di salute dell'embrione, di rifiutare il trasferimento ovvero di revocare il consenso all'attuazione dello stesso (a maggior ragione quando questo risultasse affetto dalla specifica grave patologia che l'intervento era chiamato a scongiurare ovvero determinasse seri rischi per la salute della stessa gestante), correlato al divieto assoluto, per i generanti, di destinare gli embrioni residuati alla ricerca medica, anziche' condannarli all'autodistruzione per estinzione. L'equiparazione affermata al comma 3, lett. b), fra embrione e gamete, pare poi del tutto irragionevole, rendendo sostanzialmente impossibile la ricerca medica su materiale genetico totipotente. La norma si risolve, dunque, nella completa negazione delle esigenze individuali e collettive sottese all'attivita' di ricerca scientifica, proprio in quei settori quali la terapia genica e l'impiego delle cellule staminali embrionali, che la comunita' medico-scientifica ritiene fra i piu' promettenti per la cura di numerose e gravi patologie, nonche', in modo del tutto irrazionale, nella negazione di qualunque bilanciamento tra dette esigenze, espressione di valori costituzionalmente tutelati, e lo statuto dell'embrione, in assenza di qualunque bilanciamento che contemperi la previsione con le ragioni di inutile salvaguardia di quest'ultimo, in quanto affetto da patologie. Il problema viene ad essere amplificato laddove si consideri che, per effetto della piu' volte richiamata pronuncia della Corte costituzionale, n. 151/2009, che ha legittimato il mancato trasferimento in utero, allorche' sussistano esigenze di salute della donna, il numero degli embrioni destinato alla distruzione e' notevolmente aumentato, moltiplicandosi, dunque, tutte le problematiche gia' emerse relativamente ai costi di conservazione degli embrioni sovrannumerari, abbandonati, ecc., e, comunque, alla destinazione ultima degli stessi, posto, oltretutto, il divieto di fecondazione eterologa. D'altro canto, come gia' osservato, le incertezze derivanti, sul piano interpretativo, proprio dalla mancata, precisa definizione dell'oggetto di tutela, appunto l'embrione, e dall'uso di termini qualificatori erroneamente impiegati come sinonimi in difetto di equivalenza di significato (ovulo fecondato, nascituro, feto, concepito), viene ad estendere l'ambito della negazione, ed a rendere maggiormente problematica la previsione, sotto il profilo della legittimita' costituzionale. Per le ragioni sopra evidenziate, non manifestatamene infondata risulta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, 2, 3, legge n. 40/2004 per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma, Cost. 2. - Ritiene, ancora, il Giudicante, con riferimento alle questioni poste dalla previsione di cui all'art. 6, comma 3, legge n. 40/2004 in tema di irrevocabilita' del consenso della donna durante il trattamento sanitario di PMA, che dubbi di legittimita' costituzionale si pongono in relazione alla previsione di cui all'art. 6, comma 3, in punto di irrevocabilita' del consenso al trattamento medico di PMA dopo la fecondazione dell'ovulo. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 151/2009, non si e' espressa su tale questione, pur sollevata dal giudice remittente, «per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo». L'intervento della Corte, comunque, nell'introdurre, come gia' osservato, una deroga significativa al divieto assoluto di crioconservazione previsto all'art. 14, comma 1, ha sicuramente inciso sull'operativita' dell'art. 6, comma 3. Tale prescrizione, gia' di per se' sprovvista di sanzione per l'ipotesi di violazione, e' stata ulteriormente sfumata dalla deroga, introdotta dalla pronuncia della Corte, al divieto assoluto di crioconservazione degli embrioni, in tutti i casi in cui il medico rilevi fondati rischi per la salute della donna nel procedere al loro impianto; ma, ad avviso del giudicante, aspetti problematici residuano tanto sotto il profilo sistematico, che sotto quello pratico-operativo. La deroga al principio generale del divieto di crioconservazione di cui al comma 1 dell'art. 14, presuppone, infatti, l'opzione terapeutica del medico, finalizzata alla salvaguardia della salute della donna; si tratta, dunque, di una scelta demandata al sanitario, che decide in base al riscontrato pericolo per la salute della donna, escludendosi, peraltro, l'operare di altre possibili ragioni. Dunque, rispetto alla valutazione in punto di principi fondamentali in materia di consenso informato, quale condizione imprescindibile di legittimita' del trattamento sanitario (ex multis: a livello normativo: art. 3 Carta dei Diritti fondamentali dell'UE; art. 32, secondo comma Cost.; art. 5 Conv. Oviedo; a livello giurisprudenziale: Corte Cost. 438/2008; Cass. 10014/1994; Cass. 364/1997; Cass. 7027/2011; Cass. 5444/2006; Cass. 26972/2008; Cass. 10741/2009; Cass. 2847/2010), la modifica introdotta con la pronuncia n. 151/2009 non assume alcuna incidenza. D'altro canto, come e' noto, un lungo percorso, dottrinario e giurisprudenziale, ha portato alla valorizzazione del disposto del secondo comma dell'art. 32 Cost., qualificando il consenso informato nel trattamento sanitario non solo come condizione indispensabile per la legittimita' del percorso terapeutico, ma anche come bene-interesse di per se' tutelabile (Cass. 2847/2010), indipendentemente dalla tutela del bene salute, rendendo ipotizzabile, in astratto, una lesione del primo pur in assenza di una lesione del secondo, seppur ritenendosene l'imprescindibile correlazione, laddove - forse non senza un certo scambio di piani - si ritiene che il danno risarcibile per la lesione del bene-consenso possa riscontrarsi nel solo caso di conseguenze di detta lesione sul diverso bene salute, e con la conseguenza di valutare il danno da violazione del consenso attraverso il pregiudizio subito dal diverso bene della salute. Ma e' innegabile che nel diritto vivente la liberta' di autodeterminazione nel trattamento sanitario trovi ormai consacrazione nella sua assolutezza, nelle pronunce nelle quali il consenso diviene il vero discrimine tra la tutela dell'individuo, biologicamente inteso, e quella della persona, titolare del bene salute, ma anche del bene-diritto all'autodeterminazione. Il fondamento costituzionale del trattamento medico-chirurgico e' pacificamente da ravvisarsi non solo nell'art. 32, primo comma, della Costituzione, ma, anche, nel secondo comma di detto articolo, che espressamente di consenso tratta; detto consenso, dunque, non e' solo espressione concreta della scelta del trattamento sanitario, che, pure, e' cio' in cui in pratica si sostanzia, ma, piu' in generale, espressione di liberta' di autodeterminazione, diritto fondamentale, che qualifica, come detto, l'individuo inteso in senso biologico, e lo rende persona, caratterizzata dal complesso dei valori che ne esprimono la dignita', e ne determinano le scelte, diritto che impone non solo il rispetto assoluto da parte dei consociati, ma, anche, l'attiva collaborazione al suo realizzo, secondo i doveri di solidarieta' sociale, consacrati nella previsione dell'art. 2 della Costituzione. Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, a seguito di un intervento concordato e programmato e per il quale sia stato richiesto e sia stato ottenuto il consenso, o ricorra l'ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio (Cass., Sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543). D'altro canto, la Suprema Corte ha affermato che il consenso al trattamento terapeutico e' talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, la circostanza che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per cui nei confronti del paziente, comunque, si consuma una lesione di quella dignita' che connota nei momenti cruciali la sua esistenza (Cass, Sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543). Il rispetto dell'individuo presuppone, dunque, in base all'assetto delle norme costituzionali, la salvaguardia non solo dell'integrita' fisica dello stesso, ma, anche ed imprescindibilmente, del complesso dei valori che ne delineano il patrimonio morale, e lo identificano come persona; la persona s'identifica, dunque, non solo nella sua individualita' psicofisica, ma anche nel complesso del suo patrimonio morale. D'altro canto, costante e' l'affermazione della giurisprudenza secondo la quale il consenso informato deve essere presente in tutte le fasi del trattamento terapeutico. E' allora evidente come nell'ipotesi di' trattamento medico di PMA la normativa sia irrazionalmente diversificata rispetto a tutte le altre ipotesi di trattamento terapeutico, poiche', pur non vertendosi in situazione di urgenza, od in ipotesi di TSO, non trovano tuttavia applicazione i principi validi per qualsiasi trattamento sanitario, in forza dei quali il consenso libero ed informato del paziente, in qualita' di presupposto legittimante l'intervento del medico, deve sussistere, prima e durante tutto il trattamento. La previsione che il consenso non possa essere revocato dopo la fecondazione dell'ovocita, contenuta nell'art. 6 comma 3, seppur sicuramente ridotta nella sua portata per effetto della previsione di una valutazione medica comparativa, inerente la prioritaria tutela della salute della donna, rappresenta comunque una palese violazione del principio regolativo del rapporto medico/paziente, posto che il paziente viene espropriato della possibilita' di revocare l'assenso al medico di eseguire atti sicuramente invasivi della propria integrita' psicofisica; e cio' avviene, peraltro, in un momento particolarmente delicato dell'attivita' medica atteso che il trattamento, tutt'alto che concluso, si trova in una fase intermedia cui necessariamente seguira' il delicatissimo momento del trasferimento in utero del materiale prodotto. Si e' in presenza, in sostanza, di una fattispecie che, pur in assenza dei presupposti legittimanti il TSO, realizza una vistosa deroga ai principi di liberta' e non vincolativita'/obbligatorieta' che presidiano tutte te disposizioni relative al potere del soggetto in ordine al compimento di atti anche solo potenzialmente lesivi della propria integrita' psico-fisica che, come noto, a prescindere da qualsiasi valutazione sulle ragioni subiettive o motivazioni personali, consentono di principio, sempre e comunque, senza necessita' di fornire alcuna giustificazione, di mutare la volonta', e revocare il consenso precedentemente prestato. Non vi e' ragione di escludere dalla regola della liberta' di autodeterminazione nel trattamento sanitario, che presidia, nel nostro ordinamento, tanto gli atti attinenti all'integrita' psico-fisica satisfattivi, latu sensu, di interessi propri (come, ad esempio, nell'ipotesi di intervento medico finalizzato alla tutela della salute del paziente), quanto quelli satisfattivi di interessi altrui (ad esempio espianto di organi in favore di terzi), il trattamento di PMA, che e' intervento medico finalizzato alla soluzione di uno stato patologico ben definito (sterilita'/infertilita'). Ne' in tal senso puo' ritenersi valida l'argomentazione che il legislatore nell'esercizio del proprio potere discrezionale ha ritenuto legittimamente di attribuire rilevanza preminente alla vita e allo sviluppo dell'embrione posto che, come ribadito proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009, la tutela dello stesso non puo' essere assoluta (d'altro canto la stessa Corte osserva come gia' la stessa legge n. 40/2004 non la ritenga tale), e l'autonomia del legislatore trova un limite inderogabile oltre che nel rispetto dei diritti fondamentali, peraltro espressamente richiamati dallo stesso art. 32, 2 comma Cost., nei principi di autonomia e responsabilita' del medico debitamente autorizzato dal paziente. D'altro canto, la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l'accento sui limiti che alla discrezionalita' legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, sulle quali si fonda l'arte medica, sicche', in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilita' del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali (sentenze n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002) (Corte cost. 151/2009). Nessun rischio di vuoto normativo, d'altro canto, verrebbe a prodursi, anche in questo caso, a parere del giudicante, in ipotesi di declaratoria d'incostituzionalita' della norma, posto che l'eliminazione dell'ultimo capoverso del comma 3 dell'art. 6, determinerebbe l'operare degli ordinari principi di revocabilita' del consenso da parte del paziente nel trattamento sanitario. 3. - I ricorrenti hanno proposto ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedendo, in via principale, che sia ordinata al centro medico la consegna (da interpretarsi come messa a disposizione, in relazione alla finalita' di destinazione alla ricerca in merito alla patologia dalla quale sono afflitti), degli embrioni crioconservati (dei quali, come detto, 5 affetti dalla patologia dell'esostosi, e 4 non biopsabili per cause tecniche); che sia accertata e dichiarata la piena efficacia e validita' del consenso espresso dalla donna di non procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati presso il centro; che sia disposto, in attesa della definizione del giudizio di merito ed in via incidentale dell'eventuale giudizio di legittimita' costituzionale, la crioconservazione dei residui embrioni risultati affetti dalla patologia della esostosi. In via subordinata, hanno chiesto che sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 13, legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; b) dell'art. 6, comma 3, u.c., legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.; e) dell'art. 13, comma 1, 2, 3 e 6 comma 3, u.c., legge n. 40/2004 in quanto affetto da illogicita' ed irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost. Hanno, quindi, specificato che nel giudizio di merito si chiede di accertare la piena validita' ed efficacia della revoca del consenso al trasferimento in utero degli embrioni soprannumerari malati o non biopsiabili, nonche' il diritto di essi ricorrenti di poter utilizzare gli embrioni soprannumerari per fini di ricerca scientifica e biomedica connessa alle problematiche della patologia genetica di cui sono portatori. In punto di ammissibilita' del rilievo della questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009, che ha rilevato che «la giurisprudenza di questa Corte ammette la possibilita' che siano sollevate questioni di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando il giudice non provveda sulla domanda, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva nel definitivo esaurimento del definitivo potere cautelare del quale in quella sede il giudice fruisce (sentenza n. 161 del 2008 e ordinanze n. 393 del 2008 e n. 25 del 2006). Nella specie, i procedimenti cautelari sono in corso ed i giudici a quibus non hanno ancora esaurito la propria potestas indicandi: risulta, quindi, incontestabile la loro legittimazione a sollevare in detta fase le questioni di costituzionalita' delle disposizioni di cui sono chiamati a fare applicazione (sentenza n. 161 del 2008)». Nel caso, il procedimento cautelare verra' sospeso per il rilievo della questione di legittimita' costituzionale, e dunque e' ancora in corso. Quanto alla rilevanza della questione, si osserva che nella specie i ricorrenti hanno dedotto di voler ripetere il trattamento di PMA, avendo la C. espresso la propria volonta' contraria al trasferimento degli embrioni soprannumerari crioconservati presso il centro medico, dei quali come detto, 5 affetti dalla patologia dell'esostosi, e 4 non biopsabili per cause tecniche; in base alla documentazione in atti, contenuta nel fascicolo degli attori ricorrenti, risulta, inoltre, la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per accedere al trattamento di PMA. Ancora, i ricorrenti hanno manifestato la volonta' di destinare gli embrioni soprannumerari malati o non biopsabili per fini di ricerca scientifica e biomedica, connessa alle problematiche della patologia genetica di cui sono portatori. Si richiama, sul punto, quanto sopra osservato circa il disposto dell'art. 9 Cost., e la portata che a parere del giudicante e' da attribuire alla disposizione, anche in correlazione con il disposto dell'art. 32, che qualifica la salute sotto il duplice profilo del diritto fondamentale dell'individuo (con tutta evidenza, l'integrita' fisio-pichica costituisce il presupposto per l'esercizio di qualunque altro diritto della persona), e di interesse della collettivita', consacrando, dunque, la rilevanza sociale della tutela della salute di ogni singolo individuo. Sotto tale profilo, il giudicante ritiene attuale l'interesse dei ricorrenti a destinare gli embrioni malati o comunque non biopsabili a finalita' di ricerca scientifica e biomedica, connessa alle problematiche della patologia genetica di cui sono portatori; ricerca scientifica e biomedica, come detto, finalizzata a realizzare la tutela della salute, non solo di essi attori, ma anche degli altri soggetti portatori della patologia, e, dunque, finalizzata a realizzare l'interesse della collettivita' alla salute, di cui all'art. 32 Cost. Deve, dunque, ritenersi l'interesse dei ricorrenti, in quanto portatori della specifica patologia, di destinare gli embrioni affetti dalla stessa, o, comunque, non biopsabili, alla ricerca scientifica, soprattutto in assenza di diverso interesse, di pari rilevanza nella scala dei valori dell'ordinamento giuridico, ovvero prevalente, nel bilanciamento da effettuarsi, apparendo irrazionale l'individuazione di detto interesse in quello alla cura e conservazione dell'embrione malato o non biopsabile, inevitabilmente destinato all'estinzione, in assenza dell'obbligo originariamente previsto, nell'impianto normativo, di procedere all'impianto in qualunque caso. I ricorrenti intendono ripetere il ciclo di PMA, onde impellente e' la risoluzione di ogni questione relativa alla manifestazione della volonta' di non procedere all'impianto degli embrioni malati o non biopsabili, volonta' rilevante, a parere del giudicante, alla luce dell'assetto dei valori costituzionali, di per se', indipendentemente dalle ricadute sulla salute della donna, e dalla attestazione del sanitario di detta incidenza. E' evidente, poi, che il trascorrere del tempo determinerebbe una perdita di qualita' indispensabili per poter effettuare l'attivita' di ricerca cui gli attori intendono destinare gli embrioni non biopsabili. Sulla base delle esposte considerazioni risulta, inoltre, evidente che la decisione sulla fattispecie in discussione, per le sue peculiarita', non puo' essere resa nei tempi di un giudizio ordinario, poiche' pregiudicherebbe in modo grave ed irreparabile gli interessi dei quali si chiede la tutela, e cio' in contrasto con il principio generale di effettivita' della tutela giurisdizionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva la questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 13, legge n. 40/2004 (divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull'embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso) per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, primo comma Cost.; b) dell'art. 6, comma 3 u.c., legge n. 40/2004 (divieto assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l'avvenuta fecondazione dell'ovulo) per contrasto con gli artt. 2, 13, 32 Cost.; c) dell'art. 13, comma 1, 2, 3, e 6 comma 3 u,c. legge n. 40/2004 in quanto affetto da illogicita' ed irragionevolezza, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, primo comma Cost.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone che la presente ordinanza sia comunicata dalla cancelleria al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato delta Repubblica. Firenze, 7 dicembre 2012 Il giudice: Pompei