N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2013
Ordinanza del 5 febbraio 2013 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Molise sul ricorso proposto da Ruscitto Corrado contro il Ministero della difesa ed altri.. Militari - Sanzioni disciplinari - Ricorso al giudice amministrativo senza preventivo esperimento del ricorso gerarchico - Prevista configurazione quale illecito disciplinare - Lesione di diritto fondamentale della persona - Violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Lesione del diritto di azione e di difesa in giudizio - Violazione del principio di legalita' - Violazione del principio della responsabilita' dei dipendenti pubblici, per la riconduzione della genesi della stessa non alla violazione, bensi' all'esercizio di un diritto - Violazione del principio della conformazione dell'ordinamento militare allo spirito democratico - Violazione dei principi costituzionali che disciplinano la delega legislativa. - Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, artt. 1352 e 1363, comma 2; legge 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 14 e 14-ter, come modificati dall'art. 4, comma 1, lett. a), della legge 18 giugno 2009, n. 69. - Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 24, comma secondo, 25, comma secondo, 28, 52, comma terzo, e 76.(GU n.29 del 17-7-2013 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 299 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ruscitto Corrado, rappresentato e difeso dall'avv. Costantino D'Angelo, con elezione di domicilio in Campobasso, via Garibaldi n. 5; Contro Ministero della difesa, in persona del Ministro p. t., Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante p. t., Comando Legione Carabinieri del Molise, in persona del Comandante p. t., Comando Provinciale Carabinieri di Campobasso, in persona del Comandante p. t., Comando Compagnia Carabinieri di Campobasso, in persona del Comandante p. t., tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede in Campobasso, via Garibaldi n. 124, sono legalmente domiciliati, per l'annullamento dei seguenti atti: 1) il provvedimento n. 238/5 datato 12.7.2011, notificato il 14.7.2011, del Comando Legione Carabinieri del Molise - Compagnia di Campobasso, di irrogazione della sanzione disciplinare del «rimprovero»; 2) ogni atto o provvedimento presupposto, conseguente o connesso; quanto ai motivi aggiunti del 28.11.2011, dei seguenti atti: 1) il provvedimento prot. n. 281/9 datato 15.10.2011, notificato al ricorrente il 18.10.2011, con il quale il Comandante della Compagnia Carabinieri di Campobasso infliggeva la sanzione disciplinare del «rimprovero» al ricorrente, con la seguente motivazione: «Maresciallo Capo addetto a Stazione distaccata, agendo con minore senso di responsabilita' proponeva ricorso giurisdizionale al T.a.r. Molise avverso sanzione disciplinare di Corpo comminatagli dal proprio Comandante di Compagnia, nella consapevolezza di non aver preliminarmente esperito il ricorso gerarchico, in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 717 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in relazione all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare»; 2) ogni atto o provvedimento presupposto, conseguente o connesso; Visto il ricorso con i relativi allegati, nonche' i motivi aggiunti del ricorrente; Visti l'atto di costituzione in giudizio e le due memorie difensive dell'Amministrazione intimata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: I - Il ricorrente, Maresciallo Capo dei Carabinieri, addetto a una Stazione distaccata, chiamato a partecipare, in sostituzione di un altro sottufficiale, a una cerimonia dell'Arma, non essendo provvisto di tutti i capi di abbigliamento dell'alta uniforme, si riteneva dispensato dal partecipare alle prove generali, tenutesi il 3.6.2011, per la celebrazione del 197° anniversario della fondazione dell'Arma. Sennonche', il Comando di Compagnia gli contestava per iscritto l'assenza alle dette prove generali e gli irrogava la sanzione del «rimprovero». Il ricorrente insorge, per impugnare i seguenti atti: 1) il provvedimento n. 238/5 datato 12.7.2011, notificato il 14.7.2011, del Comando Legione Carabinieri del Molise - Compagnia di Campobasso, di irrogazione della sanzione disciplinare del «rimprovero»; 2) ogni atto o provvedimento presupposto, conseguente o connesso. Il ricorrente deduce i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione di legge, in particolare delle norme del Testo Unico delle disposizioni regolamentari di ordinamento militare, eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorieta', travisamento dei fatti, erroneita', arbitrarieta', ingiustizia manifesta, motivazione apparente. L'Amministrazione si costituisce, per resistere nel giudizio. Sennonche', il ricorrente, per il sol fatto di aver proposto un ricorso al T.a.r., senza aver previamente esperito la via gerarchica, riceve una nuova sanzione disciplinare. Con i motivi aggiunti del 28.11.2011, il ricorrente impugna i seguenti atti: 1) il provvedimento prot. n. 281/9 datato 15.10.2011, notificato al ricorrente il 18.10.2011, con il quale il Comandante della Compagnia Carabinieri di Campobasso infliggeva la sanzione disciplinare del «rimprovero» al ricorrente, con la seguente motivazione: «Maresciallo Capo addetto a Stazione distaccata, agendo con minore senso di responsabilita' proponeva ricorso giurisdizionale al T.a.r. Molise avverso sanzione disciplinare di Corpo comminatagli dal proprio Comandante di Compagnia, nella consapevolezza di non aver preliminarmente esperito il ricorso gerarchico, in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 717 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in relazione all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare»; 2) ogni atto o provvedimento presupposto, conseguente o connesso. Il ricorrente deduce le seguenti censure: violazione e falsa applicazione delle norme di cui all'art. 20 della legge n. 1034 del 1971, in relazione all'art. 717 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare e all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare, eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita', disparita' di trattamento. L'Amministrazione deduce - anche con due successive memorie - l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti. Conclude per la reiezione. Con ordinanza collegiale n. 195 del 2011, questa Sezione respinge la domanda cautelare di parte ricorrente. Con ordinanza collegiale n. 27 del 2012, questa Sezione accoglie la domanda cautelare connessa ai motivi aggiunti, con la seguente motivazione: «considerato che, stando a una prima delibazione, il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti appare carente nella motivazione, poiche' non prende affatto in considerazione la circostanza che la condotta del ricorrente potrebbe trovare fondamento e giustificazione in una particolare esigenza di difesa dell'interessato, posta a sostegno della scelta diretta e privilegiata dello strumento giustiziale; considerato altresi' che - in una lettura costituzionalmente orientata - la normativa di cui all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare (di cui al D.Lgs. 15.3.2010 n. 66), appare gravemente lesiva del principio di difesa nel giudizio, da garantire incondizionatamente a ciascun cittadino, prescindendo dalla condizione personale e professionale». Con ordinanza n. 1514/2012, il Consiglio di Stato, Sezione Quarta, riforma l'ordinanza T.a.r. n. 27/2012, respingendo l'istanza cautelare di primo grado, con la seguente motivazione: «considerato quanto al "fumus" che: - il previo esperimento del ricorso gerarchico (o il decorso di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico) di cui all'art. 1363 2° co., del Codice militare di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, non e' affatto lesiva del diritto di difesa nel giudizio perche' non condiziona, ne' impedisce la tutela giurisdizionale del militare in quanto non costituisce una condizione dell'azione, che resta processualmente ammissibile (cfr.: Consiglio Stato sez. IV 26 marzo 2010 n. 1778); la Corte costituzionale (cfr.: 22 aprile 1997 n. 113) ha affermato che l'assoggettamento all'onere del previo esperimento dei rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilita' dell'azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, e' legittimo perche' e' il risultato di un congruo bilanciamento tra l'esigenza di coesione dei corpi militari e quella di tutela dei diritti individuali (cfr.: sentenza n. 22 del 1991); in tale prospettiva, tuttavia, se la disposizione si pone sul piano ordinamentale, come regola di azione dei militari nell'ambito del peculiare rapporto di servizio, non vi sono elementi per poter affermare che il suo mancato rispetto possa costituire un illecito disciplinare sanzionabile, ai sensi dell'art. 1352 del D.Lgs. n. 66/2010; non essendovi alcun fondamento normativo per configurare l'illiceita' disciplinare dell'esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico, il danno lamentato non appare, in conseguenza, meritevole di giuridica favorevole considerazione». Con ordinanza presidenziale n. 580 del 2012, sono disposti incombenti istruttori. All'udienza del 20 dicembre 2012, la causa viene introitata per la decisione. II - La difesa erariale eccepisce l'inammissibilita' del ricorso, stante la mancata proposizione del preventivo ricorso gerarchico, a tenore di quanto previsto dall'art. 1363 comma secondo del Codice dell'ordinamento militare (C.o.m.), di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66. La soluzione della questione di ammissibilita' del ricorso dipende dall'interpretazione che si da' della normativa in argomento. L'art. 1363 comma secondo del C.o.m. cosi' recita: «avverso le sanzioni disciplinari di corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, se prima non e' stato esperito ricorso gerarchico o sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione del ricorso». La Corte costituzionale, pronunciandosi su una previgente analoga norma (precisamente, sull'art. 16, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382), ha avuto modo di affermare che il rimedio gerarchico non e' obbligatorio rispetto alla possibilita' di opzione del rimedio giurisdizionale (cfr.: Corte Cost. 22.4.1997 n. 113). Peraltro, qualora la normativa in esame avesse un contenuto generale e innovativo rispetto al previgente art. 16 della legge n. 382/1978, tale da determinare l'ammissibilita' o la procedibilita' di un giudizio instaurato dinanzi al giudice amministrativo, si tratterebbe di verificare se la norma di cui all'art. 1363, comma secondo, del C.o.m., fosse coerente con la delega legislativa, cioe' rispettosa dei limiti e criteri di cui all'art. 76 della Costituzione. La delega contenuta nell'art. 14, comma 14 lett. c), d), e) della legge 28 novembre 2005, n. 246, come modificata dall'art. 4 comma primo lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69, stabilisce che siano identificate disposizioni da trasfondere nel nuovo Codice, al netto di quelle la cui lesione comporti lesione di diritti costituzionali (lett. c), procedendosi alla regolamentazione settore per settore (lett. d) e organizzando le disposizioni da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie (lett. e). Si tratta, dunque, di una disposizione mantenuta in vigore, cioe' della stessa norma sulla quale si e' gia' pronunciata la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 113/1997. Se cosi' non fosse, sarebbe ipotizzabile un vizio di legittimita' costituzionale della norma delegata, per eccesso di delega, poiche' la norma delegata sarebbe non coerente ed eccessiva rispetto a un limite intrinseco di delega per materia riguardante non gia' la giurisdizione, ma «l'organizzazione, le funzioni e l'attivita' di difesa e sicurezza militare e delle forze armate» (art. 1 primo comma del C.o.m.). Anche il Consiglio di Stato, a tal riguardo, ha affermato che la norma in esame - in una lettura costituzionalmente orientata - non e' lesiva del diritto di difesa nel giudizio, perche' non condiziona, ne' impedisce la tutela giurisdizionale del militare, ne' costituisce condizione dell'azione, la quale resterebbe processualmente ammissibile (cfr.: Consiglio Stato sez. IV 26 marzo 2010 n. 1778). Tutto lascia intendere che gli organi giurisdizionali non siano, ne' possano essere destinatari della norma di cui all'art. 1363 comma secondo del C.o.m. e che essa non rechi in se' una condizione di ammissibilita' o procedibilita' delle azioni giudiziali avverso le sanzioni disciplinari militari, ma soltanto una prescrizione di comportamento per i militari che hanno subito una sanzione disciplinare. Si puo', dunque, escludere un'interpretazione della norma che renda inammissibile il ricorso in epigrafe, anche alla luce del gia' ricordato orientamento della Corte, di cui alla sentenza 22.4.1997, n. 113. III - Attenendosi a tale orientamento, il ricorso in epigrafe dovra' essere considerato ammissibile, pur in assenza del previo esperimento del ricorso gerarchico da parte del militare ricorrente. Se e' vero che la norma di cui all'art. 1363, comma secondo, del C.o.m. si debba intendere come precetto avente per destinatari non gia' gli organi giurisdizionali, ma soltanto i militari sottoposti a sanzioni disciplinari, allora si tratta di verificare se detta norma, letta in combinato disposto con l'art. 1352, comma primo, del C.o.m., sia compatibile con un quadro costituzionale di diritti e garanzie. Pertanto, allo scopo di decidere il merito dell'impugnativa di cui ai motivi aggiunti - cioe' della legittimita' della sanzione irrogata al militare ricorrente per aver disatteso ingiustificatamente la norma di cui all'art. 1363 comma secondo del C.o.m., proponendo ricorso al T.a.r. senza aver preventivamente esperito il rimedio amministrativo gerarchico - sara' necessario valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma che cosi' recita: «avverso le sanzioni disciplinari di corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, se prima non e' stato esperito ricorso gerarchico o sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione del ricorso». Tale normativa, di cui al citato art. 1363 comma secondo C.o.m., deve essere letta in combinato disposto con la norma dell'art. 1352 comma primo del C.o.m., a tenore della quale «costituisce illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente Codice, dal Regolamento, o conseguenti dall'emanazione di un ordine». IV - La Corte Costituzionale (22 aprile 1997, n. 113) ha affermato che l'assoggettamento all'onere del previo esperimento dei rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilita' dell'azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, e' legittimo perche' e' il risultato di un congruo bilanciamento tra l'esigenza di coesione dei corpi militari e quella di tutela dei diritti individuali (cfr. anche la sentenza n. 22 del 1991). Tale riflessione e' solo in parte condivisibile, poiche' non si comprende in che modo la coesione dell'ordinamento militare - che dipende da efficacia, efficienza e velocita' organizzativa e dalla pronta obbedienza dei militari ai comandi - possa subire influenza negativa dall'immediatezza della tutela giurisdizionale, che riguarda invece il piano parallelo dei tempi di risposta della giustizia alla domanda di un militare che adisca un giudice. Ad ogni modo, nella prospettiva indicata dalla Corte, come gia' osservato, la disposizione in esame si pone, a livello ordinamentale, come regola di azione dei militari nell'ambito del peculiare rapporto di servizio. Se - putacaso - si dovesse affermare che il mancato rispetto di tale regola d'azione non costituisca illecito disciplinare sanzionabile, ai sensi dell'art. 1352 citato, allora la norma di cui all'art. 1363, comma secondo, del C.o.m. sarebbe un mero «flatus vocis», una disposizione a contenuto ottativo, del tutto priva di vigore e vigenza, poiche' non limiterebbe l'ammissibilita' o la procedibilita' del ricorso giurisdizionale e neppure farebbe seguire una sanzione alla trasgressione del militare che, disattendendone il precetto, impugni dinanzi al T.a.r. la misura disciplinare, senza aver preventivamente esperito il rimedio gerarchico. Beninteso, questa sarebbe una lettura plausibile della norma, persino compatibile sul piano dei valori costituzionali, ma non e' la lettura che ne da' l'Amministrazione resistente nel giudizio in epigrafe, ne' e' una lettura che il giudice amministrativo puo' asseverare, senza che sulla compatibilita' costituzionale della norma si pronunci la Corte costituzionale, atteso che si tratta di un'interpretazione sostanzialmente abrogativa del contenuto dispositivo della norma. Invero, il tenore letterale per cui «non e' ammesso ricorso giurisdizionale... se prima non e' stato esperito ricorso gerarchico» puo' essere inteso soltanto come dovere attinente alla dipendenza gerarchica. Cosi' almeno lo intende l'art. 715 del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, recante il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare. Detto art. 715, al comma secondo, prescrive che «nelle relazioni di servizio e disciplinari, il militare e' tenuto a osservare la via gerarchica». Se cosi' e', la violazione della disciplina costituisce, senza dubbio, illecito disciplinare sanzionabile, ai sensi dell'art. 1352 del Codice militare. Si tratta, allora, come gia' detto, di porre la questione della compatibilita' di tale normativa con il quadro costituzionale, non senza aver prima verificato la rilevanza e la non manifesta infondatezza di essa. V - Va, in via preliminare, affrontato il profilo della rilevanza della questione, ai fini della decisione della controversia. Con i motivi aggiunti del 28.11.2011, il ricorrente ha impugnato il provvedimento prot. n. 281/9 datato 15.10.2011, con il quale il Comandante della Compagnia Carabinieri di Campobasso gli ha inflitto la sanzione disciplinare del «rimprovero», con la seguente motivazione: «Maresciallo Capo addetto a Stazione distaccata, agendo con minore senso di responsabilita', proponeva ricorso giurisdizionale al T.a.r. Molise avverso la sanzione disciplinare di Corpo comminatagli dal proprio Comandante di Compagnia, nella consapevolezza di non aver preliminarmente esperito il ricorso gerarchico, in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 717 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in relazione all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare». L'art. 717 del citato T.U. regolamentare riguarda il senso di responsabilita' del militare, consistente «nella convinzione della necessita' di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate». Ebbene, porre tra i detti doveri anche quello di esperire il ricorso gerarchico prima di impugnare dinanzi al T.a.r. la sanzione disciplinare - come sembra fare l'art. 1363 comma secondo del C.o.m., letto in combinato disposto con l'art. 1352 del C.o.m. e con gli artt. 715 e 717 del T.U. regolamentare - significa che da un non conforme esercizio del diritto di difesa possa derivare una violazione disciplinare sanzionabile, in capo al militare. E' evidente, allora, che la questione della compatibilita' costituzionale della normativa di cui al citato art. 1363 comma secondo del C.o.m., e' rilevante per la decisione della controversia in epigrafe indicata. Invero, se si considera che ne' l'intervento correttivo del Codice, attuato con il d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20, ne' altra sopravvenuta fonte di produzione primaria hanno minimamente modificato la normativa in esame, si tratta di comprendere se essa possa resistere, cosi' com'e', al vaglio del giudizio costituzionale delle leggi. VI - Piu' precisamente, si tratta di valutare la legittimita' costituzionale della normativa di cui al combinato disposto degli artt. 1363 comma secondo e 1352 del Codice militare, nella parte in cui rende possibile di configurare l'illecito disciplinare consistente nella condotta dell'esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico. Quanto alla attendibilita' o non manifesta infondatezza della questione, occorre avere riguardo ai parametri delle norme e dei principi costituzionali. VII - Si tratta di verificare - come gia' anticipato - se detta normativa sia compatibile con un quadro costituzionale di diritti e garanzie, quale quello delineato dagli artt. 2, 3 primo comma, 24 secondo comma, 25 secondo comma, 28 e 52 terzo comma della Costituzione. L'art. 24, comma secondo, della Costituzione qualifica il diritto alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive, come «diritto inviolabile», annoverandolo tra i principi supremi dell'ordinamento, al quale e' intimamente connesso lo stesso principio di democrazia, con garanzie inderogabili di certezza e di stabilita' (cfr.: Corte cost. 2.2.1982, n. 18). La normativa del Codice militare in esame sembrerebbe gravemente lesiva del principio di difesa nel giudizio, da garantire incondizionatamente a ciascun cittadino, prescindendo dalla condizione personale e professionale. Sennonche', quel che piu' rileva nell'art. 24, comma secondo e' il rinvio all'art. 2 della Costituzione, contenuto nell'espressione «diritto inviolabile», con cui e' qualificato il diritto alla difesa, in ogni stato e grado del procedimento. Sia detto per inciso, ma analoga tutela dei diritto di difesa, sia pure in termini testualmente diversi, e' offerta dall'art. 6 comma terzo della C.E.D.U., dall'art. 14, comma terzo del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Si tratta allora di comprendere come sia possibile che un soggetto titolare di un diritto inviolabile, largamente riconosciuto, possa, nell'esercizio di esso, commettere la violazione della norma disciplinare. In via di principio, «qui jure suo utitur neminem laedit», intendendosi con tale brocardo che nell'esercizio di un diritto normalmente non vi e' mai violazione. Tale principio e' sempre valido, fuorche' quando del proprio diritto si faccia abuso, cioe' quando l'esercizio del diritto rechi danno ad altro soggetto. Per giudicare dell'abuso del diritto, occorre, sul piano concreto, analizzare le disfunzioni della norma che si presume abusata, ponendo a confronto il diritto stesso con la posizione lesa dall'esercizio del diritto. Nel caso di specie, il conflitto che si determina e' quello tra il diritto difensivo e l'esigenza di coesione dei corpi militari, incarnata nel principio di gerarchia (cfr.: Corte cost., sent. 24.1.1991 n. 22). Sennonche', si tratta di due beni non comparabili, da un lato un «diritto inviolabile» riconosciuto come tale dalla Costituzione, dall'altro l'esigenza della disciplina militare, che non ha alcun riconoscimento costituzionale, se non indiretto nell'interpretazione che si da' dell'art. 52 della Costituzione. La questione qui non riguarda le modalita' dell'esercizio del diritto di difesa, il presunto «aggravamento» o l'auspicabile semplificazione nell'esercizio di esso (come dedotti nel caso di cui si occupo' la Corte con la citata decisione n. 113/1997), bensi' la diversa questione di come possa derivare un illecito disciplinare dall'esercizio di un diritto. La non comparabilita' - in termini ponderativi - di un diritto inviolabile con un'esigenza di coesione dei corpi militari induce persino a ritenere irragionevole - cioe' lesivo del principio di cui all'art. 3 primo comma della Costituzione - il sacrificio del diritto di difesa, in nome della disciplina e della coesione militare. In particolare, il meccanismo afflittivo della normativa in esame e' irragionevole nella parte in cui non prende in considerazione la circostanza che la condotta del ricorrente potrebbe trovare fondamento e giustificazione in una particolare esigenza di difesa dell'interessato, posta a sostegno della scelta diretta e privilegiata dello strumento giustiziale, che peraltro potrebbe essere l'oggetto delle valutazioni e delle scelte non gia' dell'interessato, ma del professionista legale che lo assiste in sede giudiziale. Altro aspetto da considerare e' la dubbia conformita' al principio di legalita', di cui all'art. 25 comma secondo della Costituzione di una norma «aperta», qual e' l'art. 1352 primo comma del C.o.m.: invero, una norma che qualifica come illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal Codice militare, dal regolamento o da un ordine, affida alla libera interpretazione del superiore gerarchico la qualificazione di cosa sia «dovere di servizio» o «disciplina militare». Anche a voler riconoscere la peculiarita' dello «status» di militare, in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano, la disciplina militare, ancorche' teleologicamente elevata a regola fondamentale per i cittadini alle armi, in quanto fattore di coesione ed efficienza, non puo' qualificare l'esercizio di un diritto fondamentale come abusivo, cioe' posto in violazione di regole e lesivo di altrui posizioni giuridiche, se non vi sia chiara e inequivoca previsione del seguire di una sanzione alla violazione disciplinare. E' opportuno precisare che qui non si censura l'utilizzo di una norma sanzionatoria «in bianco», ma l'estremizzazione dell'uso di tale strumento, fino al punto da qualificare come illecito sanzionabile, mediante un nebuloso e incerto rinvio normativo, un comportamento consistente nel semplice esercizio di un diritto fondamentale e «inviolabile», qual e' il diritto alla tutela giurisdizionale. In altri termini, e' necessario che quando il comportamento consista nell'esercizio di un diritto, non vi sia incertezza sui limiti violabili, sull'effettiva qualificazione di illiceita' del comportamento e sulla sanzione che ne consegue. Altro profilo di incostituzionalita' puo' essere ravvisato nella salvaguardia dell'art. 28 della Costituzione, a mente del quale la responsabilita' dei pubblici dipendenti nasce dalla violazione di un diritto, non gia' dall'esercizio di un diritto. Le responsabilita' dei pubblici agenti - ivi comprese la responsabilita' amministrativa e quella disciplinare - di norma sono connesse all'esercizio di potesta' pubbliche che incidono su posizioni di diritto o interesse protetto, sono cioe' connesse all'espressione di un potere che appartiene all'agente pubblico come tale, non in quanto cittadino o persona fisica titolare di diritti fondamentali (cfr., ex multiis: Corte. cost., nn. 64/1992, 453/1998, 164/1982, 70/1983). Infine, l'art. 52, comma terzo della Costituzione, che informa l'ordinamento militare allo spirito democratico, non sembra affatto giustificare l'esistenza di una norma di rango primario che conculchi il diritto fondamentale alla difesa giurisdizionale (pilastro della democrazia, nella considerazione dello stesso giudice delle leggi), al punto da considerare illecito un uso diretto e non mediato degli strumenti di tutela giurisdizionale che la stessa Costituzione offre a tutti i cittadini. Si puo', per contro, ritenere che un qualsivoglia meccanismo di rallentamento dell'azione giurisdizionale dei militari contro atti, comportamenti, provvedimenti illegittimi o illeciti dei superiori gerarchici e dell'Amministrazione - rispetto ai quali i poteri dei giudici, in particolare quelli cautelari, non intervengano tempestivamente - renda persino possibili, se non frequenti, violazioni dei diritti fondamentali, al punto da incrinare, compromettere o mettere in pericolo non soltanto la democraticita' dell'ordinamento militare, ma addirittura quella dello Stato, inteso come comunita'. IX - In via subordinata, questo Collegio solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 14 e 14-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246, come modificata dall'art. 4, comma primo, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69, per violazione dell'art. 76, in quanto la legge delega non specifica il settore nel quale il Governo e' delegato a esercitare la funzione legislativa, limitandosi a indicare una totale abrogazione di norme anteriori a una data e senza distinzione di materie, nonche' in assenza di principi e criteri direttivi sufficientemente determinati. La questione e' rilevante perche' - ove si dovesse ritenere la compatibilita' costituzionale della norma delegata - l'illegittimita' costituzionale della legge-delega avrebbe l'effetto di travolgere la norma delegata, applicabile al caso di specie. La questione appare, altresi', non manifestamente infondata, poiche' la legge delega, disattendendo il dettato dell'art. 76 Cost., e' totalmente muta in ordine al settore nel quale il Governo e' chiamato a legiferare, in quanto, a fronte di una deliberata abrogazione di tutte le norme anteriori a una certa data, senza distinzione di materie, il Governo e' delegato a scegliere quali pregresse discipline normative mantenere in vigore (cfr.: Corte Cost., ord. 9.11.2011 n. 296). X - In conclusione, il Collegio dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3 primo comma, 24 secondo comma, 25 secondo comma, 28, 52 terzo comma della Costituzione, la questione di legittimita' degli artt. 1363 comma secondo e 1352 del Codice militare, di cui al d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, nella parte in cui rendono possibile configurare l'illiceita' disciplinare dell'esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico. In subordine, il Collegio dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 14 e 14-ter, della legge 28 novembre 2005 n. 246, come modificata dall'art. 4 comma primo lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69. Infine, il Collegio dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q .M. Cosi' dispone: 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3 primo comma, 24 secondo comma, 25 secondo comma, 28, 52 terzo comma della Costituzione, la questione di legittimita' degli artt. 1363 comma secondo e 1352 del Codice militare, di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, nella parte in cui rendono possibile configurare l'illiceita' disciplinare dell'esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico; 2)in subordine, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 14 e 14-ter, della legge 28 novembre 2005 n. 246, come modificata dall'art. 4 comma primo lett. a) della legge 18 giugno 2009 n. 69; 3) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 4) ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012. Il Presidente: Zaccardi L'estensore: Ciliberti