N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2013

Ordinanza del 5 febbraio 2013  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  per  il  Molise   sul   ricorso   proposto   da   Ruscitto
Corrado contro il Ministero della difesa ed altri.. 
 
Militari - Sanzioni disciplinari - Ricorso al giudice  amministrativo
  senza preventivo esperimento  del  ricorso  gerarchico  -  Prevista
  configurazione quale illecito disciplinare  -  Lesione  di  diritto
  fondamentale  della  persona  -   Violazione   del   principio   di
  uguaglianza per irragionevolezza - Lesione del diritto di azione  e
  di difesa in giudizio - Violazione del  principio  di  legalita'  -
  Violazione  del  principio  della  responsabilita'  dei  dipendenti
  pubblici, per la riconduzione della genesi della  stessa  non  alla
  violazione, bensi' all'esercizio di un  diritto  -  Violazione  del
  principio  della  conformazione  dell'ordinamento   militare   allo
  spirito democratico - Violazione dei  principi  costituzionali  che
  disciplinano la delega legislativa. 
- Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, artt. 1352 e 1363,  comma
  2; legge 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 14 e 14-ter, come
  modificati dall'art. 4, comma 1, lett. a), della  legge  18  giugno
  2009, n. 69. 
- Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 24, comma secondo, 25, comma
  secondo, 28, 52, comma terzo, e 76. 
(GU n.29 del 17-7-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  299  del  2011,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto  da  Ruscitto  Corrado,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Costantino D'Angelo, con elezione di  domicilio  in  Campobasso,  via
Garibaldi n. 5; 
    Contro Ministero della difesa, in persona  del  Ministro  p.  t.,
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante
p. t.,  Comando  Legione  Carabinieri  del  Molise,  in  persona  del
Comandante p. t., Comando Provinciale Carabinieri di  Campobasso,  in
persona del  Comandante  p.  t.,  Comando  Compagnia  Carabinieri  di
Campobasso, in persona del Comandante p. t.,  tutti  rappresentati  e
difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la  cui  sede
in Campobasso, via Garibaldi n. 124, sono legalmente domiciliati, per
l'annullamento dei seguenti atti: 1) il provvedimento n. 238/5 datato
12.7.2011, notificato il 14.7.2011, del Comando  Legione  Carabinieri
del Molise - Compagnia di Campobasso, di irrogazione  della  sanzione
disciplinare  del  «rimprovero»;  2)  ogni   atto   o   provvedimento
presupposto, conseguente o connesso; quanto ai  motivi  aggiunti  del
28.11.2011, dei seguenti atti: 1) il  provvedimento  prot.  n.  281/9
datato 15.10.2011, notificato al ricorrente  il  18.10.2011,  con  il
quale  il  Comandante  della  Compagnia  Carabinieri  di   Campobasso
infliggeva la sanzione disciplinare del «rimprovero»  al  ricorrente,
con la seguente motivazione: «Maresciallo  Capo  addetto  a  Stazione
distaccata, agendo con  minore  senso  di  responsabilita'  proponeva
ricorso   giurisdizionale   al   T.a.r.   Molise   avverso   sanzione
disciplinare  di  Corpo  comminatagli  dal  proprio   Comandante   di
Compagnia, nella consapevolezza di non aver preliminarmente  esperito
il ricorso gerarchico,  in  contrasto  con  le  disposizioni  di  cui
all'art. 717 del Testo  Unico  delle  disposizioni  regolamentari  in
materia di ordinamento  militare,  in  relazione  all'art.  1363  del
Codice dell'ordinamento  militare»;  2)  ogni  atto  o  provvedimento
presupposto, conseguente o connesso; 
    Visto il ricorso  con  i  relativi  allegati,  nonche'  i  motivi
aggiunti del ricorrente; 
    Visti l'atto  di  costituzione  in  giudizio  e  le  due  memorie
difensive dell'Amministrazione intimata; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  20  dicembre  2012  il
dott. Orazio  Ciliberti  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
            Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: 
 
    I - Il ricorrente, Maresciallo Capo dei  Carabinieri,  addetto  a
una Stazione distaccata, chiamato a partecipare, in  sostituzione  di
un altro  sottufficiale,  a  una  cerimonia  dell'Arma,  non  essendo
provvisto di tutti i capi di  abbigliamento  dell'alta  uniforme,  si
riteneva dispensato dal partecipare alle prove generali, tenutesi  il
3.6.2011, per la celebrazione del 197° anniversario della  fondazione
dell'Arma. Sennonche', il Comando di  Compagnia  gli  contestava  per
iscritto l'assenza alle  dette  prove  generali  e  gli  irrogava  la
sanzione del «rimprovero». Il ricorrente  insorge,  per  impugnare  i
seguenti  atti:  1)  il  provvedimento  n.  238/5  datato  12.7.2011,
notificato il 14.7.2011, del Comando Legione Carabinieri del Molise -
Compagnia di Campobasso, di irrogazione della  sanzione  disciplinare
del  «rimprovero»;  2)  ogni  atto   o   provvedimento   presupposto,
conseguente o connesso.  Il  ricorrente  deduce  i  seguenti  motivi:
violazione e falsa applicazione di legge, in particolare delle  norme
del Testo  Unico  delle  disposizioni  regolamentari  di  ordinamento
militare,   eccesso   di   potere   per   difetto   di   istruttoria,
contraddittorieta',    travisamento    dei     fatti,     erroneita',
arbitrarieta', ingiustizia manifesta, motivazione apparente. 
    L'Amministrazione si costituisce, per resistere nel giudizio. 
    Sennonche', il ricorrente, per il sol fatto di aver  proposto  un
ricorso al T.a.r., senza aver previamente esperito la via gerarchica,
riceve una nuova sanzione disciplinare. 
    Con i motivi aggiunti del 28.11.2011,  il  ricorrente  impugna  i
seguenti atti: 1) il provvedimento prot. n. 281/9 datato  15.10.2011,
notificato al ricorrente il 18.10.2011, con il  quale  il  Comandante
della Compagnia Carabinieri  di  Campobasso  infliggeva  la  sanzione
disciplinare  del  «rimprovero»  al  ricorrente,  con   la   seguente
motivazione: «Maresciallo Capo addetto a Stazione distaccata,  agendo
con minore senso di responsabilita' proponeva ricorso giurisdizionale
al T.a.r. Molise avverso sanzione disciplinare di Corpo  comminatagli
dal proprio Comandante di Compagnia, nella consapevolezza di non aver
preliminarmente esperito il ricorso gerarchico, in contrasto  con  le
disposizioni di cui all'art. 717 del Testo Unico  delle  disposizioni
regolamentari  in  materia  di  ordinamento  militare,  in  relazione
all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare»; 2) ogni  atto  o
provvedimento presupposto,  conseguente  o  connesso.  Il  ricorrente
deduce le seguenti censure: violazione  e  falsa  applicazione  delle
norme di cui all'art. 20 della legge n. 1034 del 1971,  in  relazione
all'art. 717 del Testo  Unico  delle  disposizioni  regolamentari  in
materia  di  ordinamento  militare  e  all'art.   1363   del   Codice
dell'ordinamento militare, eccesso di potere per  irragionevolezza  e
illogicita', disparita' di trattamento. 
    L'Amministrazione deduce - anche con  due  successive  memorie  -
l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  del  ricorso  e   dei   motivi
aggiunti. Conclude per la reiezione. 
    Con ordinanza collegiale n. 195 del 2011, questa Sezione respinge
la domanda cautelare di parte ricorrente. 
    Con ordinanza collegiale n. 27 del 2012, questa Sezione  accoglie
la domanda cautelare connessa ai motivi  aggiunti,  con  la  seguente
motivazione: «considerato che, stando a  una  prima  delibazione,  il
provvedimento impugnato con i motivi aggiunti  appare  carente  nella
motivazione,  poiche'  non  prende  affatto  in   considerazione   la
circostanza  che  la  condotta  del   ricorrente   potrebbe   trovare
fondamento e giustificazione in una particolare  esigenza  di  difesa
dell'interessato,  posta  a   sostegno   della   scelta   diretta   e
privilegiata dello strumento giustiziale; considerato altresi' che  -
in una lettura costituzionalmente orientata -  la  normativa  di  cui
all'art. 1363 del Codice dell'ordinamento militare (di cui al  D.Lgs.
15.3.2010 n. 66), appare gravemente lesiva del  principio  di  difesa
nel giudizio, da garantire incondizionatamente a  ciascun  cittadino,
prescindendo dalla condizione personale e professionale». 
    Con ordinanza  n.  1514/2012,  il  Consiglio  di  Stato,  Sezione
Quarta, riforma l'ordinanza T.a.r. n. 27/2012, respingendo  l'istanza
cautelare di primo grado, con la seguente  motivazione:  «considerato
quanto al "fumus" che: - il previo esperimento del ricorso gerarchico
(o il decorso di novanta  giorni  dalla  data  di  presentazione  del
ricorso gerarchico) di cui all'art. 1363 2° co., del Codice  militare
di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n.  66,  non  e'  affatto  lesiva  del
diritto di difesa nel giudizio perche' non condiziona, ne'  impedisce
la tutela giurisdizionale del militare in quanto non costituisce  una
condizione dell'azione, che resta processualmente ammissibile  (cfr.:
Consiglio  Stato  sez.  IV  26  marzo  2010  n.   1778);   la   Corte
costituzionale (cfr.:  22  aprile  1997  n.  113)  ha  affermato  che
l'assoggettamento  all'onere  del  previo  esperimento   dei   rimedi
amministrativi, con  conseguente  differimento  della  proponibilita'
dell'azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione
del ricorso, e' legittimo perche'  e'  il  risultato  di  un  congruo
bilanciamento tra l'esigenza di coesione dei corpi militari e  quella
di tutela dei diritti individuali (cfr.: sentenza n. 22 del 1991); in
tale prospettiva, tuttavia, se la  disposizione  si  pone  sul  piano
ordinamentale, come regola di azione  dei  militari  nell'ambito  del
peculiare rapporto di  servizio,  non  vi  sono  elementi  per  poter
affermare che il suo mancato rispetto possa  costituire  un  illecito
disciplinare sanzionabile, ai sensi  dell'art.  1352  del  D.Lgs.  n.
66/2010; non essendovi alcun  fondamento  normativo  per  configurare
l'illiceita'  disciplinare  dell'esperimento  diretto   del   gravame
giurisdizionale  senza  il  previo  ricorso  gerarchico,   il   danno
lamentato  non  appare,  in  conseguenza,  meritevole  di   giuridica
favorevole considerazione». 
    Con ordinanza  presidenziale  n.  580  del  2012,  sono  disposti
incombenti istruttori. 
    All'udienza del 20 dicembre 2012, la causa viene  introitata  per
la decisione. 
    II - La difesa erariale eccepisce l'inammissibilita' del ricorso,
stante la mancata proposizione del preventivo ricorso  gerarchico,  a
tenore di quanto previsto dall'art. 1363  comma  secondo  del  Codice
dell'ordinamento militare (C.o.m.), di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n.
66. La  soluzione  della  questione  di  ammissibilita'  del  ricorso
dipende dall'interpretazione che si da' della normativa in argomento.
L'art. 1363 comma  secondo  del  C.o.m.  cosi'  recita:  «avverso  le
sanzioni disciplinari di corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale
o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, se prima  non
e' stato esperito ricorso gerarchico o sono trascorsi novanta  giorni
dalla presentazione del ricorso». 
    La Corte costituzionale, pronunciandosi su una previgente analoga
norma (precisamente, sull'art. 16,  secondo  comma,  della  legge  11
luglio 1978, n. 382), ha avuto  modo  di  affermare  che  il  rimedio
gerarchico non e' obbligatorio rispetto alla possibilita' di  opzione
del rimedio giurisdizionale (cfr.: Corte Cost. 22.4.1997 n. 113). 
    Peraltro, qualora la  normativa  in  esame  avesse  un  contenuto
generale e innovativo rispetto al previgente art. 16 della  legge  n.
382/1978, tale da determinare l'ammissibilita' o la procedibilita' di
un  giudizio  instaurato  dinanzi  al  giudice   amministrativo,   si
tratterebbe di verificare se la norma di  cui  all'art.  1363,  comma
secondo, del C.o.m., fosse coerente con la delega legislativa,  cioe'
rispettosa  dei  limiti  e  criteri  di   cui   all'art.   76   della
Costituzione. La delega contenuta nell'art. 14, comma  14  lett.  c),
d), e)  della  legge  28  novembre  2005,  n.  246,  come  modificata
dall'art. 4 comma primo lett. a) della legge 18 giugno 2009,  n.  69,
stabilisce che siano identificate  disposizioni  da  trasfondere  nel
nuovo Codice, al netto di quelle la cui lesione comporti  lesione  di
diritti costituzionali (lett. c), procedendosi alla  regolamentazione
settore per settore (lett.  d)  e  organizzando  le  disposizioni  da
mantenere in vigore per settori omogenei o per materie (lett. e).  Si
tratta, dunque, di una disposizione mantenuta in vigore, cioe'  della
stessa  norma  sulla  quale  si  e'   gia'   pronunciata   la   Corte
costituzionale con la citata  sentenza  n.  113/1997.  Se  cosi'  non
fosse, sarebbe ipotizzabile un vizio di  legittimita'  costituzionale
della norma  delegata,  per  eccesso  di  delega,  poiche'  la  norma
delegata sarebbe non coerente  ed  eccessiva  rispetto  a  un  limite
intrinseco  di  delega  per   materia   riguardante   non   gia'   la
giurisdizione, ma «l'organizzazione, le  funzioni  e  l'attivita'  di
difesa e sicurezza militare e delle forze armate» (art. 1 primo comma
del C.o.m.). 
    Anche il Consiglio di Stato, a tal riguardo, ha affermato che  la
norma in esame - in una lettura costituzionalmente orientata - non e'
lesiva del diritto di difesa nel giudizio,  perche'  non  condiziona,
ne' impedisce la tutela giurisdizionale del militare, ne' costituisce
condizione   dell'azione,   la   quale   resterebbe   processualmente
ammissibile (cfr.: Consiglio Stato sez. IV 26 marzo  2010  n.  1778).
Tutto lascia intendere che gli organi giurisdizionali non siano,  ne'
possano essere destinatari della norma di  cui  all'art.  1363  comma
secondo del C.o.m. e che essa non rechi  in  se'  una  condizione  di
ammissibilita' o procedibilita' delle azioni  giudiziali  avverso  le
sanzioni disciplinari  militari,  ma  soltanto  una  prescrizione  di
comportamento  per  i  militari  che  hanno   subito   una   sanzione
disciplinare. Si puo',  dunque,  escludere  un'interpretazione  della
norma che renda inammissibile il ricorso in epigrafe, anche alla luce
del gia' ricordato orientamento della Corte,  di  cui  alla  sentenza
22.4.1997, n. 113. 
    III - Attenendosi a tale orientamento,  il  ricorso  in  epigrafe
dovra' essere considerato ammissibile,  pur  in  assenza  del  previo
esperimento del ricorso gerarchico da parte del militare  ricorrente.
Se e' vero che la norma di cui  all'art.  1363,  comma  secondo,  del
C.o.m. si debba intendere come precetto avente  per  destinatari  non
gia' gli organi giurisdizionali, ma soltanto i militari sottoposti  a
sanzioni disciplinari, allora si tratta di verificare se detta norma,
letta in combinato disposto con l'art. 1352, comma primo, del C.o.m.,
sia compatibile con un quadro costituzionale di diritti  e  garanzie.
Pertanto, allo scopo di decidere il merito dell'impugnativa di cui ai
motivi aggiunti - cioe' della legittimita' della sanzione irrogata al
militare ricorrente per aver disatteso ingiustificatamente  la  norma
di cui all'art. 1363 comma secondo del C.o.m., proponendo ricorso  al
T.a.r. senza aver preventivamente esperito il rimedio  amministrativo
gerarchico -  sara'  necessario  valutare  la  rilevanza  e  la   non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della norma che cosi' recita: «avverso le  sanzioni  disciplinari  di
corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso  straordinario
al Presidente della  Repubblica,  se  prima  non  e'  stato  esperito
ricorso  gerarchico   o   sono   trascorsi   novanta   giorni   dalla
presentazione del ricorso». Tale normativa, di  cui  al  citato  art.
1363 comma secondo C.o.m., deve essere letta  in  combinato  disposto
con la norma dell'art. 1352 comma primo del C.o.m.,  a  tenore  della
quale «costituisce illecito disciplinare ogni violazione  dei  doveri
del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente Codice,
dal Regolamento, o conseguenti dall'emanazione di un ordine». 
    IV -  La  Corte  Costituzionale  (22  aprile  1997,  n.  113)  ha
affermato che l'assoggettamento all'onere del previo esperimento  dei
rimedi   amministrativi,   con   conseguente    differimento    della
proponibilita' dell'azione a un certo termine decorrente  dalla  data
di presentazione del ricorso, e' legittimo perche' e' il risultato di
un  congruo  bilanciamento  tra  l'esigenza  di  coesione  dei  corpi
militari e quella di tutela dei diritti individuali  (cfr.  anche  la
sentenza  n.  22  del  1991).  Tale  riflessione  e'  solo  in  parte
condivisibile, poiche' non si  comprende  in  che  modo  la  coesione
dell'ordinamento militare - che dipende da  efficacia,  efficienza  e
velocita' organizzativa e dalla pronta  obbedienza  dei  militari  ai
comandi - possa subire  influenza  negativa  dall'immediatezza  della
tutela giurisdizionale, che riguarda invece il  piano  parallelo  dei
tempi di risposta della giustizia alla domanda  di  un  militare  che
adisca un giudice. Ad ogni modo,  nella  prospettiva  indicata  dalla
Corte, come gia' osservato, la  disposizione  in  esame  si  pone,  a
livello ordinamentale, come regola di azione dei militari nell'ambito
del peculiare rapporto  di  servizio.  Se  -  putacaso -  si  dovesse
affermare che  il  mancato  rispetto  di  tale  regola  d'azione  non
costituisca illecito disciplinare sanzionabile,  ai  sensi  dell'art.
1352 citato, allora la norma di cui all'art. 1363, comma secondo, del
C.o.m. sarebbe un mero «flatus vocis», una disposizione  a  contenuto
ottativo,  del  tutto  priva  di  vigore  e  vigenza,   poiche'   non
limiterebbe  l'ammissibilita'  o  la   procedibilita'   del   ricorso
giurisdizionale  e  neppure  farebbe  seguire   una   sanzione   alla
trasgressione del militare che, disattendendone il precetto,  impugni
dinanzi al T.a.r. la misura disciplinare, senza aver  preventivamente
esperito il rimedio gerarchico. Beninteso, questa sarebbe una lettura
plausibile della norma, persino  compatibile  sul  piano  dei  valori
costituzionali, ma non e' la lettura  che  ne  da'  l'Amministrazione
resistente nel giudizio in  epigrafe,  ne'  e'  una  lettura  che  il
giudice   amministrativo   puo'   asseverare,   senza    che    sulla
compatibilita'  costituzionale  della  norma  si  pronunci  la  Corte
costituzionale,  atteso   che   si   tratta   di   un'interpretazione
sostanzialmente abrogativa del contenuto dispositivo della norma. 
    Invero, il tenore letterale  per  cui  «non  e'  ammesso  ricorso
giurisdizionale... se prima non e' stato esperito ricorso gerarchico»
puo' essere inteso soltanto come  dovere  attinente  alla  dipendenza
gerarchica. Cosi' almeno lo intende l'art. 715 del  D.P.R.  15  marzo
2010, n. 90, recante il Testo unico delle disposizioni  regolamentari
in materia di ordinamento militare. Detto art. 715, al comma secondo,
prescrive  che  «nelle  relazioni  di  servizio  e  disciplinari,  il
militare e' tenuto a osservare la via gerarchica». Se  cosi'  e',  la
violazione  della  disciplina  costituisce,  senza  dubbio,  illecito
disciplinare  sanzionabile,  ai  sensi  dell'art.  1352  del   Codice
militare. Si tratta, allora, come gia' detto, di porre  la  questione
della compatibilita' di tale normativa con il quadro  costituzionale,
non senza aver prima verificato  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza di essa. 
    V - Va, in via preliminare, affrontato il profilo della rilevanza
della questione, ai fini della decisione della  controversia.  Con  i
motivi  aggiunti  del  28.11.2011,  il  ricorrente  ha  impugnato  il
provvedimento prot. n. 281/9  datato  15.10.2011,  con  il  quale  il
Comandante della Compagnia Carabinieri di Campobasso gli ha  inflitto
la  sanzione  disciplinare  del   «rimprovero»,   con   la   seguente
motivazione: «Maresciallo Capo addetto a Stazione distaccata,  agendo
con   minore   senso   di    responsabilita',    proponeva    ricorso
giurisdizionale al T.a.r. Molise avverso la sanzione disciplinare  di
Corpo  comminatagli  dal  proprio  Comandante  di  Compagnia,   nella
consapevolezza  di  non  aver  preliminarmente  esperito  il  ricorso
gerarchico, in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 717  del
Testo  Unico  delle  disposizioni   regolamentari   in   materia   di
ordinamento  militare,  in  relazione  all'art.   1363   del   Codice
dell'ordinamento militare». L'art. 717 del citato T.U.  regolamentare
riguarda il senso di responsabilita' del militare, consistente «nella
convinzione della necessita' di adempiere integralmente ai doveri che
derivano dalla condizione di militare per la realizzazione  dei  fini
istituzionali delle Forze armate». Ebbene, porre tra i  detti  doveri
anche quello di esperire il ricorso  gerarchico  prima  di  impugnare
dinanzi al T.a.r. la sanzione disciplinare - come sembra fare  l'art.
1363 comma secondo del C.o.m., letto in combinato disposto con l'art.
1352 del C.o.m. e con gli artt. 715 e 717 del  T.U.  regolamentare  -
significa che da un non conforme  esercizio  del  diritto  di  difesa
possa derivare una violazione disciplinare sanzionabile, in  capo  al
militare. E' evidente, allora, che la questione della  compatibilita'
costituzionale della normativa di  cui  al  citato  art.  1363  comma
secondo del C.o.m., e' rilevante per la decisione della  controversia
in epigrafe indicata. Invero, se si considera  che  ne'  l'intervento
correttivo del Codice, attuato con il d.lgs. 24 febbraio 2012, n. 20,
ne' altra sopravvenuta fonte di produzione primaria hanno minimamente
modificato la normativa in esame, si tratta di  comprendere  se  essa
possa resistere, cosi' com'e', al vaglio del giudizio  costituzionale
delle leggi. 
    VI - Piu' precisamente, si tratta  di  valutare  la  legittimita'
costituzionale della normativa di cui  al  combinato  disposto  degli
artt. 1363 comma secondo e 1352 del Codice militare, nella  parte  in
cui  rende   possibile   di   configurare   l'illecito   disciplinare
consistente  nella  condotta  dell'esperimento  diretto  del  gravame
giurisdizionale senza  il  previo  ricorso  gerarchico.  Quanto  alla
attendibilita' o non manifesta infondatezza della questione,  occorre
avere  riguardo   ai   parametri   delle   norme   e   dei   principi
costituzionali. 
    VII - Si tratta di verificare - come gia' anticipato -  se  detta
normativa sia compatibile con un quadro costituzionale di  diritti  e
garanzie, quale quello delineato dagli artt. 2,  3  primo  comma,  24
secondo  comma,  25  secondo  comma,  28  e  52  terzo  comma   della
Costituzione. 
    L'art. 24, comma secondo, della Costituzione qualifica il diritto
alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive, come «diritto
inviolabile», annoverandolo tra i principi supremi  dell'ordinamento,
al quale e' intimamente connesso lo stesso principio  di  democrazia,
con garanzie inderogabili di certezza e di  stabilita'  (cfr.:  Corte
cost. 2.2.1982, n. 18). La normativa del  Codice  militare  in  esame
sembrerebbe gravemente lesiva del principio di difesa  nel  giudizio,
da garantire incondizionatamente a  ciascun  cittadino,  prescindendo
dalla condizione personale e professionale. Sennonche', quel che piu'
rileva nell'art. 24, comma secondo e'  il  rinvio  all'art.  2  della
Costituzione, contenuto nell'espressione «diritto  inviolabile»,  con
cui e' qualificato il diritto alla difesa, in ogni stato e grado  del
procedimento. 
    Sia detto per inciso, ma analoga tutela dei  diritto  di  difesa,
sia pure in termini testualmente  diversi,  e'  offerta  dall'art.  6
comma terzo della C.E.D.U.,  dall'art.  14,  comma  terzo  del  Patto
internazionale sui diritti civili e politici  e  dall'art.  47  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. 
    Si tratta  allora  di  comprendere  come  sia  possibile  che  un
soggetto titolare di un diritto inviolabile, largamente riconosciuto,
possa, nell'esercizio di esso, commettere la violazione  della  norma
disciplinare. 
    In via di  principio,  «qui  jure  suo  utitur  neminem  laedit»,
intendendosi con tale  brocardo  che  nell'esercizio  di  un  diritto
normalmente non vi  e'  mai  violazione.  Tale  principio  e'  sempre
valido, fuorche' quando del proprio diritto si  faccia  abuso,  cioe'
quando l'esercizio del diritto rechi danno  ad  altro  soggetto.  Per
giudicare  dell'abuso  del  diritto,  occorre,  sul  piano  concreto,
analizzare le disfunzioni della norma che si presume abusata, ponendo
a confronto il diritto stesso con la  posizione  lesa  dall'esercizio
del diritto. Nel caso di specie, il conflitto  che  si  determina  e'
quello tra il diritto difensivo e l'esigenza di  coesione  dei  corpi
militari, incarnata nel principio di gerarchia  (cfr.:  Corte  cost.,
sent. 24.1.1991 n.  22).  Sennonche',  si  tratta  di  due  beni  non
comparabili, da un lato un «diritto  inviolabile»  riconosciuto  come
tale  dalla  Costituzione,  dall'altro  l'esigenza  della  disciplina
militare, che non ha  alcun  riconoscimento  costituzionale,  se  non
indiretto  nell'interpretazione  che  si  da'  dell'art.   52   della
Costituzione.  La   questione   qui   non   riguarda   le   modalita'
dell'esercizio del diritto di difesa, il  presunto  «aggravamento»  o
l'auspicabile semplificazione nell'esercizio di  esso  (come  dedotti
nel caso di cui si occupo'  la  Corte  con  la  citata  decisione  n.
113/1997), bensi' la diversa questione  di  come  possa  derivare  un
illecito disciplinare dall'esercizio di un diritto. 
    La non comparabilita' - in termini ponderativi -  di  un  diritto
inviolabile con un'esigenza di coesione  dei  corpi  militari  induce
persino a ritenere irragionevole - cioe' lesivo del principio di  cui
all'art. 3 primo comma della Costituzione - il sacrificio del diritto
di difesa, in nome della disciplina e  della  coesione  militare.  In
particolare, il meccanismo afflittivo della  normativa  in  esame  e'
irragionevole nella parte in cui  non  prende  in  considerazione  la
circostanza  che  la  condotta  del   ricorrente   potrebbe   trovare
fondamento e giustificazione in una particolare  esigenza  di  difesa
dell'interessato,  posta  a   sostegno   della   scelta   diretta   e
privilegiata  dello  strumento  giustiziale,  che  peraltro  potrebbe
essere  l'oggetto  delle  valutazioni  e  delle   scelte   non   gia'
dell'interessato, ma del professionista legale che lo assiste in sede
giudiziale. 
    Altro  aspetto  da  considerare  e'  la  dubbia  conformita'   al
principio di legalita',  di  cui  all'art.  25  comma  secondo  della
Costituzione di una norma «aperta», qual e' l'art. 1352  primo  comma
del  C.o.m.:  invero,  una  norma   che   qualifica   come   illecito
disciplinare  ogni  violazione  dei  doveri  del  servizio  e   della
disciplina militare sanciti dal Codice militare, dal regolamento o da
un  ordine,  affida  alla  libera   interpretazione   del   superiore
gerarchico la qualificazione di  cosa  sia  «dovere  di  servizio»  o
«disciplina militare». Anche  a  voler  riconoscere  la  peculiarita'
dello «status» di militare, in  relazione  ai  compiti  istituzionali
delle Forze armate e alle esigenze che  ne  derivano,  la  disciplina
militare, ancorche' teleologicamente elevata  a  regola  fondamentale
per  i  cittadini  alle  armi,  in  quanto  fattore  di  coesione  ed
efficienza,  non  puo'  qualificare   l'esercizio   di   un   diritto
fondamentale come abusivo, cioe' posto  in  violazione  di  regole  e
lesivo di altrui  posizioni  giuridiche,  se  non  vi  sia  chiara  e
inequivoca previsione del seguire di  una  sanzione  alla  violazione
disciplinare.  E'  opportuno  precisare  che  qui  non   si   censura
l'utilizzo   di   una   norma   sanzionatoria   «in    bianco»,    ma
l'estremizzazione dell'uso  di  tale  strumento,  fino  al  punto  da
qualificare  come  illecito  sanzionabile,  mediante  un  nebuloso  e
incerto rinvio normativo, un comportamento consistente  nel  semplice
esercizio di un diritto fondamentale  e  «inviolabile»,  qual  e'  il
diritto alla tutela giurisdizionale. In altri termini, e'  necessario
che quando il comportamento consista nell'esercizio  di  un  diritto,
non  vi  sia  incertezza   sui   limiti   violabili,   sull'effettiva
qualificazione di illiceita' del comportamento e sulla  sanzione  che
ne consegue. 
    Altro profilo di incostituzionalita' puo' essere ravvisato  nella
salvaguardia dell'art. 28 della Costituzione, a mente  del  quale  la
responsabilita' dei pubblici dipendenti nasce dalla violazione di  un
diritto, non gia' dall'esercizio di un  diritto.  Le  responsabilita'
dei pubblici agenti - ivi comprese la responsabilita'  amministrativa
e quella disciplinare -  di  norma  sono  connesse  all'esercizio  di
potesta' pubbliche che incidono su posizioni di diritto  o  interesse
protetto, sono  cioe'  connesse  all'espressione  di  un  potere  che
appartiene all'agente pubblico come tale, non in quanto  cittadino  o
persona fisica titolare di diritti fondamentali  (cfr.,  ex  multiis:
Corte. cost., nn. 64/1992, 453/1998, 164/1982, 70/1983). 
    Infine, l'art. 52, comma terzo della  Costituzione,  che  informa
l'ordinamento militare allo spirito democratico, non  sembra  affatto
giustificare l'esistenza di una norma di rango primario che conculchi
il diritto fondamentale alla difesa giurisdizionale  (pilastro  della
democrazia, nella considerazione dello stesso giudice  delle  leggi),
al punto da considerare illecito un uso diretto e non  mediato  degli
strumenti di tutela giurisdizionale che la stessa Costituzione  offre
a  tutti  i  cittadini.  Si  puo',  per  contro,  ritenere   che   un
qualsivoglia meccanismo di rallentamento dell'azione  giurisdizionale
dei militari contro atti, comportamenti, provvedimenti illegittimi  o
illeciti dei superiori gerarchici e dell'Amministrazione  -  rispetto
ai quali i poteri dei giudici, in particolare quelli  cautelari,  non
intervengano  tempestivamente  -  renda  persino  possibili,  se  non
frequenti,  violazioni  dei  diritti  fondamentali,   al   punto   da
incrinare, compromettere  o  mettere  in  pericolo  non  soltanto  la
democraticita' dell'ordinamento militare, ma addirittura quella dello
Stato, inteso come comunita'. 
    IX - In via subordinata, questo Collegio solleva la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 14  e  14-ter,  della
legge 28 novembre 2005, n. 246, come modificata  dall'art.  4,  comma
primo, lett. a) della legge 18 giugno 2009,  n.  69,  per  violazione
dell'art. 76, in quanto la legge delega non specifica il settore  nel
quale il Governo e' delegato a esercitare  la  funzione  legislativa,
limitandosi a indicare una totale abrogazione di  norme  anteriori  a
una data e senza  distinzione  di  materie,  nonche'  in  assenza  di
principi  e  criteri  direttivi  sufficientemente   determinati.   La
questione  e'  rilevante  perche'  -  ove  si  dovesse  ritenere   la
compatibilita' costituzionale della norma delegata - l'illegittimita'
costituzionale della legge-delega avrebbe l'effetto di travolgere  la
norma delegata, applicabile al caso di specie. La  questione  appare,
altresi', non manifestamente  infondata,  poiche'  la  legge  delega,
disattendendo il dettato dell'art. 76 Cost., e'  totalmente  muta  in
ordine al settore nel quale il Governo e' chiamato a  legiferare,  in
quanto, a fronte di una deliberata  abrogazione  di  tutte  le  norme
anteriori a una certa data, senza distinzione di materie, il  Governo
e'  delegato  a  scegliere  quali  pregresse   discipline   normative
mantenere in vigore (cfr.: Corte Cost., ord. 9.11.2011 n. 296). 
    X  -  In  conclusione,  il  Collegio  dichiara  rilevante  e  non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3  primo  comma,
24 secondo  comma,  25  secondo  comma,  28,  52  terzo  comma  della
Costituzione, la questione di legittimita'  degli  artt.  1363  comma
secondo e 1352 del Codice militare, di cui al d.lgs. 15 marzo 2010 n.
66, nella parte in cui  rendono  possibile  configurare  l'illiceita'
disciplinare dell'esperimento  diretto  del  gravame  giurisdizionale
senza  il  previo  ricorso  gerarchico.  In  subordine,  il  Collegio
dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in  relazione
all'art.  76  della  Costituzione,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14,  commi  14  e  14-ter,  della  legge  28
novembre 2005 n. 246, come modificata dall'art. 4 comma  primo  lett.
a) della legge 18 giugno 2009, n. 69. Infine, il Collegio dispone  la
sospensione del presente giudizio e ordina  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
 
                              P. Q .M. 
 
    Cosi' dispone: 
        1) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 2, 3 primo comma, 24 secondo comma,  25  secondo
comma, 28,  52  terzo  comma  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' degli  artt.  1363  comma  secondo  e  1352  del  Codice
militare, di cui al D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, nella  parte  in  cui
rendono    possibile    configurare     l'illiceita'     disciplinare
dell'esperimento diretto del gravame giurisdizionale senza il  previo
ricorso gerarchico; 
        2)in  subordine,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 14 e 14-ter, della
legge 28 novembre 2005 n. 246,  come  modificata  dall'art.  4  comma
primo lett. a) della legge 18 giugno 2009 n. 69; 
        3) dispone la sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        4) ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza
sia notificata alle parti costituite e al  Presidente  del  Consiglio
dei Ministri, nonche'  comunicata  ai  Presidenti  della  Camera  dei
Deputati e del Senato della Repubblica. 
          Cosi' deciso in Campobasso nella camera  di  consiglio  del
giorno 20 dicembre 2012. 
 
                       Il Presidente: Zaccardi 
 
 
                                               L'estensore: Ciliberti