N. 194 SENTENZA 3 - 17 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Beni culturali - Norme della Regione Lombardia  -  Reperti  mobili  e
  cimeli appartenenti a periodi storici diversi  dalla  prima  guerra
  mondiale -  Attribuzione  alla  Regione  delle  attivita'  e  degli
  interventi di ricerca, raccolta, conservazione e  valorizzazione  -
  Prevista comunicazione del  rinvenimento  del  bene  al  sindaco  e
  successiva  trasmissione  alla  competente  Direzione  regionale  -
  Contrasto  con  il  codice  dei  beni  culturali  che  riserva   le
  competenze in questione allo Stato e stabilisce le  procedure  e  i
  termini relativi alla denuncia della scoperta dei beni di interesse
  culturale  -  Violazione  della  competenza  legislativa  esclusiva
  statale in materia di tutela  dei  beni  culturali  -Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16, artt. 1, comma
  2, 2 e 4, commi 1, 2 e 3. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo; decreto
  legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 10, 88 e 90. 
(GU n.30 del 24-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  articoli  1,
comma 2, 2, 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Lombardia 31
luglio 2012, n. 16 (Valorizzazione dei reperti mobili  e  dei  cimeli
appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra  mondiale),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
spedito il 2 ottobre 2012, notificato il 3 ottobre 2012 e  depositato
in cancelleria il 9 ottobre 2012 ed iscritto al n. 134  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2013 il Giudice relatore
Paolo Grossi; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Alessandro  De  Stefano  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Piera Pujatti  per
la Regione Lombardia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 2 ottobre 2012  e
depositato il successivo 9 ottobre, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, rappresentato e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello
Stato, ha impugnato gli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi  1,  2,  3,
della  legge  della  Regione  Lombardia  31  luglio   2012,   n.   16
(Valorizzazione dei  reperti  mobili  e  dei  cimeli  appartenenti  a
periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale),  per  contrasto
con l'articolo 117, terzo comma, e 117, secondo  comma,  lettera  s),
della Costituzione. 
    Le disposizioni impugnate - sottolinea il ricorrente -  demandano
alla Regione le attivita' di ricerca, raccolta  e  conservazione  dei
reperti e cimeli storici che si trovano sul territorio  regionale,  e
stabiliscono che del rinvenimento venga data comunicazione al sindaco
territorialmente competente, il quale,  a  sua  volta,  trasmette  le
comunicazioni ricevute alla Direzione regionale per i beni  culturali
e paesaggistici della Lombardia per gli atti di sua competenza. 
    Tali disposizioni  eccederebbero  la  competenza  concorrente  in
materia di valorizzazione dei beni culturali, attribuita alle Regioni
dall'art. 117, terzo comma, Cost., invadendo  la  competenza  statale
esclusiva in materia di tutela dei beni culturali,  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera s), della stessa Carta (si rievocano,  al
riguardo, le sentenze n. 9 del 2004 e n.  94  del  2003  della  Corte
costituzionale). 
    Si sottolinea,  infatti,  come  i  compiti  di  tutela  dei  beni
culturali siano stati tradizionalmente riservati allo Stato e come la
disciplina di questa funzione sia attualmente  contenuta  nel  codice
dei beni culturali, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo
10 della legge 6 luglio 2002, n. 137): il quale, agli articoli  10  e
88, attribuisce al Ministero per i beni e le attivita' culturali  «le
opere per il ritrovamento» di tutte le cose «che presentano interesse
artistico, storico, archeologico  o  etnoantropologico»,  stabilendo,
all'art. 90, procedure connesse alla denuncia di scoperte diverse  da
quelle previste dall'art. 4, commi 2 e 3, della legge impugnata. 
    Ne' varrebbe in contrario la disposizione dell'art. 2,  comma  2,
della medesima legge impugnata,  secondo  la  quale  restano  esclusi
dalla relativa disciplina i beni culturali di cui al citato art.  10,
dal momento  che  tutte  le  cose  mobili  rinvenute  nel  territorio
regionale sono suscettibili di ricadere  nella  disciplina  dei  beni
culturali e devono pertanto  essere  valutate  dalla  amministrazione
statale, unica dotata di competenza in  materia,  per  accertarne  la
riconducibilita' o meno entro quella categoria di beni. 
    2.-  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la   Regione   Lombardia,
depositando memoria nella quale ha chiesto dichiararsi  inammissibile
e comunque infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
proposta dal Governo. 
    Il  ricorso  sarebbe  inammissibile,  in  quanto  sarebbe   stato
indicato il parametro costituzionale ma  non  le  ragioni  della  sua
violazione. 
    Nel  merito,  la  questione  sarebbe  infondata,  in  quanto   la
normativa impugnata si porrebbe al di fuori del perimetro applicativo
del codice dei beni culturali, mirando a «completare e anticipare una
forma di tutela che non viene, per il resto,  minimamente  scalfita».
L'art.   2   della   legge   regionale,   infatti,   sarebbe   chiaro
nell'escludere dal  proprio  ambito  applicativo  tutti  i  cimeli  e
reperti mobili di cui all'art. 10 del codice dei beni culturali. 
    D'altra  parte,   alle   Regioni   competerebbero   le   funzioni
amministrative di tutela dei beni culturali, da esercitare secondo il
principio di leale collaborazione con  lo  Stato.  Se  e',  pertanto,
necessario che vi siano «degli standard di tutela minimi su tutto  il
territorio regionale», cio' non escluderebbe «che le Regioni  possano
prevedere ulteriori forme di tutela». 
    Nella specie, la legge impugnata si sarebbe posta  «al  di  fuori
degli standard di tutela minimi», dichiarando  di  voler  valorizzare
reperti diversi da quelli che rientrano nell'ambito dell'art. 10  del
codice dei beni culturali: in tale prospettiva si collocherebbero  le
disposizioni  in  tema  di  ricognizione,  catalogazione,  studio   e
ricerca, che valorizzano i beni che  potranno  anche  successivamente
essere sottoposti al regime di cui al  d.lgs.  n.  42  del  2004.  Lo
stesso dovrebbe dirsi per le  attivita'  di  manutenzione,  restauro,
conservazione, raccolta e pubblicazione dei relativi dati: attivita',
in se', del tutto legittime, anche se riguardanti una  «categoria  di
beni residuali». 
    La  Regione  interverrebbe,  dunque,  in   una   prospettiva   di
valorizzazione dei beni culturali, «con un rafforzamento di  tutela»,
senza che cio' impedisca  allo  Stato  di  esercitare  il  successivo
assoggettamento dei beni in questione al regime di tutela individuato
dal codice dei beni culturali. 
    Si sottolinea, d'altra parte, che la normativa  in  questione  si
inserirebbe in un contesto di disposizioni  gia'  vigenti,  quale  la
legge 7 marzo 2001, n. 78 (Tutela del patrimonio storico della  Prima
guerra mondiale), che riconosce il valore storico e  culturale  delle
vestigia della  Prima  guerra  mondiale,  attribuendo  alla  potesta'
legislativa regionale la disciplina della attivita' di  raccolta  dei
reperti non assoggettati al regime del codice:  possibilita'  che  la
Regione Lombardia  ha  sfruttato  adottando  la  legge  regionale  14
dicembre 2008,  n.  28,  recante  «Promozione  e  valorizzazione  del
patrimonio  storico  della  Prima  guerra  mondiale  in   Lombardia»,
rispetto  alla  quale  la  legge  ora  impugnata  si  porrebbe  quale
disciplina di «completamento». 
    3.-   Con   successiva   memoria,   depositata   in   prossimita'
dell'udienza, la Regione Lombardia, nel ribadire le conclusioni  gia'
rassegnate, ha sottolineato che il carattere "culturale" di  un  bene
sarebbe non «un requisito intrinseco dello stesso», ma  piuttosto  il
«frutto di un procedimento diversificato a  seconda  del  bene»:  per
quelli di cui all'art. 10, commi 1 e  2,  del  codice,  il  carattere
culturale sarebbe presunto, salvo il diverso esito della verifica  di
cui all'art. 12; per i beni  di  cui  all'art.  10,  comma  3,  detta
connotazione sarebbe conferita dalla dichiarazione  di  cui  all'art.
13. 
    Nell'escludere dalla disciplina regionale i beni di cui  all'art.
10 del codice,  la  normativa  censurata  circoscriverebbe  l'oggetto
dell'intervento regionale, nel senso che questo  potrebbe  riguardare
soltanto i reperti o cimeli per i  quali  la  verifica  di  interesse
culturale abbia dato  esito  negativo,  ovvero  quelli  per  i  quali
difetta  una  dichiarazione  ex  art.  13  del  codice.  Da  qui   la
legittimita'  della   disciplina   impugnata,   la   quale   non   si
sovrapporrebbe a quella statale, ma la integrerebbe nel rispetto e in
attuazione dell'art. 9 della Costituzione. 
    D'altra  parte,  l'intervento  legislativo   della   Regione   si
proporrebbe finalita' di mera valorizzazione, e non  di  tutela,  dei
beni  in  questione,  come  risulterebbe  evidente  dalle   attivita'
indicate  nell'art.  1,  comma  2,  che  la  legge  mirerebbe  non  a
promuovere, ma solo a favorire. Lo stesso  sarebbe  a  dirsi  per  le
disposizioni dettate dall'art. 4, commi 1, 2 e 3. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, ha depositato memoria  anche  la
difesa  erariale,  la  quale,  nel  contestare  la  fondatezza  delle
deduzioni regionali, ha richiamato le disposizioni dettate dal codice
dei beni culturali -  attuative  dell'art.  9  Cost.  -  ove  trovano
definizione le nozioni di  tutela  e  valorizzazione  di  quei  beni,
sottolineando come la tutela  passi,  essenzialmente,  attraverso  la
individuazione  (ossia  la  qualificazione  di  una  cosa  come  bene
culturale), la protezione e la conservazione e come queste  attivita'
vengano dal codice riservate allo Stato (in particolare,  agli  artt.
88, 89 e 90). 
    La legge regionale impugnata si porrebbe,  dunque,  in  contrasto
con la richiamata disciplina statale, in quanto  «viene  di  fatto  a
liberalizzare la ricerca nel territorio della  Regione  Lombardia  di
qualsiasi reperto mobile avente valore storico-culturale e/o  cimelio
storico, sottraendo o comunque ostacolando l'esercizio da  parte  del
Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  della   propria
competenza  esclusiva  in  materia   di   individuazione   dei   beni
culturali». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  impugnato  gli
articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della  Regione
Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 (Valorizzazione dei reperti mobili  e
dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima  guerra
mondiale), per contrasto con l'articolo  117,  terzo  comma,  e  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    A parere del ricorrente, le disposizioni impugnate - nella  parte
in cui attribuiscono alla  Regione  Lombardia  «le  attivita'  e  gli
interventi di ricerca, raccolta, conservazione e valorizzazione»  dei
reperti mobili e dei cimeli storici che  si  trovano  sul  territorio
regionale, prevedendo altresi' che del rinvenimento del bene sia data
«comunicazione  scritta  al  sindaco  del   comune   competente   per
territorio entro quindici giorni dal ritrovamento» e che  il  sindaco
trasmetta le comunicazioni ricevute «alla Direzione regionale  per  i
beni culturali e paesaggistici della Lombardia per gli  atti  di  sua
competenza, entro sessanta giorni dal ricevimento» - contrasterebbero
con l'art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 10 e 88 del decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10  della  legge  6  luglio  2002,  n.  137»  (i  quali
stabiliscono che «le opere per il ritrovamento» di tutte le cose «che
presentano   interesse    artistico,    storico,    archeologico    o
etnoantropologico» spettano allo Stato e «sono riservate al Ministero
per i beni e le attivita' culturali») nonche' in riferimento all'art.
90 dello stesso codice (il quale, relativamente alla  denuncia  della
scoperta dei beni d'interesse culturale, stabilisce una  procedura  e
dei termini diversi da quelli stabiliti dall'art. 4,  commi  2  e  3,
della legge impugnata). 
    Lo  Stato  lamenta,  in  definitiva,  che,  con  le  disposizioni
impugnate, la Regione abbia ecceduto dalle proprie competenze in  una
materia, come quella della tutela dei beni  culturali,  riservata  in
via esclusiva allo Stato medesimo. 
    2. - La Regione eccepisce che,  sulla  base  di  quanto  disposto
all'art. 2 impugnato, i beni interessati dalle disposizioni in  esame
sono "diversi" sia da quelli di cui all'art. 10 del codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, sia da quelli oggetto  della  legge  della
Regione  Lombardia  14   novembre   2008,   n.   28   (Promozione   e
valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale  in
Lombardia). Nell'opinione della Regione, il  provvedimento  in  esame
costituirebbe, del resto, appena un "completamento" di  quest'ultima,
alla quale sarebbe dunque  «strettamente  correlato»,  pur  apparendo
evidentemente e programmaticamente dotato di una  destinazione  molto
piu' ampia e indeterminata (oggetti mobili  «appartenenti  a  periodi
storici diversi dalla prima guerra  mondiale»  che  si  trovino  «sul
territorio regionale»). 
    3.- La disciplina impugnata e' diretta,  secondo  le  «finalita'»
indicate all'art.1, comma 2, a favorire, in  riferimento  ai  reperti
mobili e ai cimeli storici di  cui  al  successivo  art.  2,  «a)  la
ricognizione, la catalogazione,  gli  studi  e  le  ricerche;  b)  il
monitoraggio, la manutenzione, il restauro,  la  conservazione  e  la
raccolta;  c)  la  pubblicazione  in  rete  dei  dati  relativi  alle
attivita' di cui alle lettere a) e b)». Nel definire, all'art. 2,  il
proprio «ambito di intervento», la legge prevede che «le attivita'  e
gli interventi di ricerca, raccolta, conservazione  e  valorizzazione
di cui alla presente legge sono rivolti ai reperti mobili e ai cimeli
storici che si trovano sul territorio regionale,  ad  esclusione  dei
beni indicati dall'articolo 2 della legge regionale 14 novembre 2008,
n. 28 (Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima
guerra  mondiale  in  Lombardia),  e  dei  beni  culturali   di   cui
all'articolo 10 del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137)». Dettando «norme per la  ricerca,
la raccolta e la  conservazione  dei  reperti  mobili  e  dei  cimeli
storici», l'art. 4 precisa, al comma 1,  che  le  predette  attivita'
sono consentite «nei limiti e nel rispetto di  quanto  previsto»  dal
medesimo art. 4 e impone, al comma 2, obblighi di  comunicazione  per
«chiunque, sul territorio della Regione, rinvenga o individui reperti
mobili o cimeli» nonche', al comma 3, per i sindaci destinatari delle
comunicazioni medesime o di  «ogni  altra  notizia  di  cui  siano  a
conoscenza riguardo i reperti  mobili  e  i  cimeli  storici  di  cui
all'articolo 2 presenti sul territorio di competenza». 
    4.- La questione e' fondata. 
    5.-  Va  preliminarmente  osservato  che  la   richiamata   legge
regionale n. 28 del 2008, sul patrimonio storico della  prima  guerra
mondiale - della quale, come gia' detto, la  legge  qui  in  discorso
costituirebbe, a giudizio della Regione, appena un «completamento»  -
e' stata espressamente adottata (art. 1) «in attuazione» della  legge
dello Stato 7 marzo 2001, n. 78 (Tutela del patrimonio storico  della
Prima guerra mondiale): la quale, nello stabilire, sin  dall'esordio,
che «la Repubblica riconosce il  valore  storico  e  culturale  delle
vestigia  della  Prima  guerra  mondiale»,  ha,  per  l'appunto,  poi
chiamato lo Stato e le Regioni  a  promuovere  «la  ricognizione,  la
catalogazione,  la  manutenzione,  il  restauro,  la  gestione  e  la
valorizzazione  delle  vestigia  relative  a  entrambe  le  parti  in
conflitto», ciascuno «nell'ambito delle rispettive competenze». 
    Nell'individuare, del resto, le «competenze  delle  regioni»,  la
stessa legge statale ha specificato, all'art.  7,  comma  1,  che  le
Regioni a statuto ordinario potessero, a loro volta - «nelle  materie
di loro competenza ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione e in
quelle loro delegate dalla legislazione vigente» - disciplinare,  tra
l'altro (lettera c), «con legge l'attivita' della raccolta di reperti
mobili, fermo restando quanto previsto dagli articoli 9 e 10»:  fermi
restando, cioe', da un lato, gli obblighi di comunicazione  da  parte
di «chiunque possieda o rinvenga reperti mobili o cimeli relativi  al
fronte terrestre della  prima  guerra  mondiale  di  notevole  valore
storico o documentario» ovvero «possieda collezioni  o  raccolte  dei
citati reperti o cimeli» e, dall'altro,  le  sanzioni  per  «chiunque
esegua interventi di modifica, di  restauro  o  di  manutenzione»  su
alcune di  queste  cose  senza  rispettare  i  previsti  obblighi  di
comunicazione. 
    E' dunque pacifico  che  l'intervento  regolativo  delle  Regioni
resti qui espressamente resecato -  senza  possibilita'  di  indebite
estensioni o di improbabili "completamenti" -  non  solo  all'interno
del perimetro di una disciplina adottata in relazione alla  specifica
natura dei beni che ne formano oggetto, ma anche,  naturalmente,  nei
limiti del sistema ordinario del riparto delle competenze legislative
in materia di beni culturali. 
    6.-  Sul  versante  delle  competenze,  del  resto,  non   appare
superfluo  sottolineare  la  circostanza  che  il  codice  dei   beni
culturali e del paesaggio si "autoqualifichi" (art. 1, comma 1)  come
normativa  di  «attuazione  dell'articolo  9   della   Costituzione»,
assumendo le connotazioni tipiche del  "parametro  interposto",  alla
stregua del quale misurare  la  compatibilita'  costituzionale  delle
disposizioni con esso eventualmente in contrasto: non diversamente da
quanto questa Corte ebbe modo di osservare a proposito della legge 15
dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia  di  tutela  delle  minoranze
linguistiche storiche),  attuativa  dell'art.  6  della  Costituzione
(sentenze n. 170 del 2010 e n. 159 del 2009). 
    Lo stesso art. 1  del  codice,  in  particolare,  nel  dettare  i
principi della relativa disciplina, significativamente sancisce -  al
comma 2 - che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale
concorrono a preservare la memoria della comunita'  nazionale  e  del
suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura»: implicando,
per un  verso,  il  riferimento  a  un  "patrimonio"  intrinsecamente
comune, non suscettibile di arbitrarie o improponibili  frantumazioni
ma, nello stesso tempo, naturalmente esposto alla molteplicita' e  al
mutamento e, percio' stesso,  affidato,  senza  specificazioni,  alle
cure della "Repubblica"; e, per altro  verso,  una  sorta  di  ideale
contiguita', nei limiti  consentiti,  fra  le  distinte  funzioni  di
"tutela" e  di  "valorizzazione"  di  questo  "patrimonio"  medesimo,
ciascuna identificata nel proprio ambito. 
    All'interno di questo sistema appare, percio', indubbio,  che  se
"tutela" e "valorizzazione" esprimono - per dettato costituzionale  e
per espressa disposizione del codice dei beni culturali (artt. 3 e 6)
(secondo anche quanto riconosciuto da questa Corte sin dalle sentenze
n. 26 e n. 9  del  2004)  -  aree  di  intervento  diversificate,  e'
necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo  Stato,  ai
fini  della  tutela,  la  disciplina  e  l'esercizio  unitario  delle
funzioni  destinate  alla  individuazione  dei  beni  costituenti  il
patrimonio culturale nonche' alla loro protezione e conservazione  e,
invece,  anche  alle  Regioni,  ai  fini  della  valorizzazione,   la
disciplina  e  l'esercizio  delle  funzioni  dirette  alla   migliore
conoscenza e utilizzazione e fruizione di quel patrimonio e,  percio'
- secondo i principi di cui agli articoli 111 e seguenti  del  codice
-, la costituzione e l'organizzazione stabile di risorse o la messa a
disposizione di competenze. 
    L'impianto normativo costruito, con tale particolare compattezza,
sull'art. 10 del codice, prevede, come e' noto, una serie di rigorose
e dettagliate misure di  tutela:  da  quelle  concernenti  i  diversi
divieti o le autorizzazioni o gli obblighi conservativi dei  beni,  a
quelle relative alla loro circolazione,  al  regime  delle  eventuali
loro alienazioni o di altre forme di trasmissione in ambito nazionale
o anche  internazionale  o  alla  uscita  dal  (o  all'ingresso  nel)
territorio nazionale, alle espropriazioni e, finalmente,  per  quello
che qui piu' interessa, alle ricerche e ai ritrovamenti. 
    E' opportuno ribadire, infatti, a questo riguardo, che,  a  norma
dell'art. 88 del codice, «le ricerche archeologiche e, in genere,  le
opere per il ritrovamento delle  cose  indicate  all'articolo  10  in
qualunque  parte  del  territorio   nazionale   sono   riservate   al
Ministero»; il quale puo', tuttavia (art. 89), concederne a  soggetti
pubblici  o  privati  l'esecuzione,  fermo  per   il   concessionario
l'obbligo di attenersi alle prescrizioni del Ministero medesimo e con
la possibilita' (comma 6) che questo possa «consentire, a  richiesta,
che le cose rinvenute rimangano, in  tutto  o  in  parte,  presso  la
Regione od altro ente  pubblico  territoriale  per  fini  espositivi,
sempre che l'ente disponga di una sede idonea e  possa  garantire  la
conservazione e la custodia  delle  cose  medesime».  Ne'  di  minore
rilievo  appaiono  le  regole  (art.  90)  concernenti  le   scoperte
fortuite, che impongono (comma 1) all'occasionale scopritore di «cose
immobili o mobili indicate nell'articolo 10» di farne «denuncia entro
ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero  all'autorita'
di pubblica sicurezza» e di provvedere «alla conservazione temporanea
di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui  sono  state
rinvenute»,  con  l'ulteriore  onere,  per  il   soprintendente,   di
informare «anche i carabinieri preposti alla  tutela  del  patrimonio
culturale»; e con la specificazione (comma 2) che «Ove si  tratti  di
cose mobili  delle  quali  non  si  possa  altrimenti  assicurare  la
custodia,  lo  scopritore  ha  facolta'  di  rimuoverle  per   meglio
garantirne  la  sicurezza  e  la  conservazione  sino   alla   visita
dell'autorita' competente e, ove occorra, di chiedere l'ausilio della
forza pubblica», fermo -  oltre  che  l'obbligo  di  conservazione  e
custodia «per ogni detentore di cose scoperte  fortuitamente»  (comma
3) - il rimborso delle spese da parte del Ministero. 
    Appare,  dunque,  del  tutto  evidente  che  eventuali  normative
regionali non potrebbero intervenire su questi stessi oggetti - tanto
piu' se  con  discipline  modificative  di  quelle  statali  -  senza
eccedere dall'ambito di competenza e senza, percio', risultare,  come
nel caso, incompatibili con il sistema  costituzionale  del  relativo
riparto, anche al di la' della specifica materia dei beni  culturali:
ove, infatti, in  ipotesi,  dette  normative  regionali  prevedessero
vincoli o  privilegi  incidenti  nella  sfera  dei  diritti  e  degli
interessi dei privati, potrebbero finire per interessare anche  altre
materie riservate alla competenza  dello  Stato  (come,  ad  esempio,
quelle  riconducibili  alla  materia  dell'  "ordinamento   civile"),
risultando, percio', costituzionalmente illegittime  sotto  ulteriori
profili. 
    7.-  Su  queste  basi,   appare   non   persuasivo   l'argomento,
prospettato dalla Regione resistente a sostegno della propria  scelta
legislativa, secondo cui i «reperti mobili» e i «cimeli  storici  che
si trovano sul territorio regionale» - interessati dalle attivita' di
«ricerca, raccolta, conservazione  e  valorizzazione»,  di  cui  alla
legge impugnata - riguarderebbero - come gia'  ricordato  -  soltanto
beni diversi sia da quelli indicati nella richiamata legge  regionale
sul patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia,  sia
anche dai «beni culturali di cui all'articolo 10» del codice dei beni
culturali. 
    La  portata  regolativa  di  quest'ultima  disposizione   appare,
tuttavia,  con  ogni   evidenza,   talmente   estesa   da   risultare
programmaticamente destinata a riguardare la totalita' delle cose che
presentino  «un  interesse   artistico,   storico,   archeologico   o
etnoantropologico», impedendo di ritenere che alcune di  queste  cose
possano risultare, per se stesse, preventivamente sottratte a  quella
disciplina e percio' - come l'art. 2 impugnato vorrebbe - oggetto  di
un'altra. 
    Cio' che, piuttosto, assume particolare e decisivo rilievo -  sul
piano logico oltre che su quello pratico - e' il profilo  concernente
l'accertamento   o   la   verifica   della   effettiva    sussistenza
dell'interesse  culturale  che  queste  cose  possono  presentare  e,
dunque,  di  quel  carattere  dal  quale  consegua  la  loro   sicura
appartenenza al «patrimonio culturale». 
    Ora,  e'  indubitabile  che  soltanto  la  disciplina  statale  -
specialmente nel codice dei beni culturali  -  possa  assicurare,  in
funzione di  tutela  (e,  in  considerazione  della  unitarieta'  del
patrimonio culturale), le misure  piu'  adeguate  rispetto  a  questo
scopo: anzitutto per la previsione di  specifici  procedimenti  e  di
dettagliate  procedure  di  ricognizione   e   di   riscontro   delle
caratteristiche dei  beni  e  poi  per  l'attribuzione  a  competenti
apparati di compiti che richiedono conoscenze altamente specializzate
e  l'impiego  di  criteri  omogenei,  da  adottare,  «sulla  base  di
indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero», «al fine di
assicurare uniformita' di valutazione» (art. 12, comma 2). 
    Ove,   percio',   la   legge   regionale   in   discorso   avesse
effettivamente inteso evitare di sovrapporsi  alla  disciplina  dello
Stato, avrebbe dovuto prevederlo  in  maniera  inequivoca:  non  gia'
solo, cioe', genericamente escludendo di riferirsi - con una  formula
destinata a risultare quasi di stile - ai beni di cui all'art. 10 del
codice dei beni culturali, ma piuttosto  direttamente  prevedendo  di
rivolgersi soltanto a quelle cose che, in quanto non  riconosciute  o
non dichiarate  di  "interesse  culturale",  all'esito  dei  previsti
procedimenti,  risultassero,   percio',   escluse,   come   previsto,
dall'applicazione delle disposizioni del codice (art. 12, comma 4,  e
artt. 13 e seguenti del codice dei beni  culturali),  in  quanto  non
ricomprensibili nel novero dei beni culturali di cui al predetto art.
10. 
    La  circostanza,  infatti,  che  una  specifica  cosa  non  venga
"classificata" dallo Stato come  di  «interesse  artistico,  storico,
archeologico o etnoantropologico», e  dunque  non  venga  considerata
come «bene culturale», non equivale  ad  escludere  che  essa  possa,
invece, presentare, sia  pure  residualmente,  un  qualche  interesse
"culturale" per  una  determinata  comunita'  territoriale:  restando
questo interesse ancorato, in ipotesi, a  un  patrimonio  identitario
inalienabile, di idealita' e di esperienze e perfino di  simboli,  di
quella singola e specifica comunita'. 
    In  tale  contesto  e  solo  entro  tali  limiti,   la   potesta'
legislativa delle Regioni puo' dunque legittimamente esercitarsi - al
di fuori dello schema tutela/valorizzazione - non gia'  in  posizione
antagonistica rispetto allo Stato, ma in funzione di una salvaguardia
diversa ed aggiuntiva: volta a far  si'  che,  nella  predisposizione
degli strumenti normativi, ci si possa rivolgere - come questa  Corte
ha avuto modo di sottolineare (sentenza n. 232 del 2005) - oltre  che
ai «beni culturali» identificati secondo  la  disciplina  statale,  e
rilevanti sul piano della memoria  dell'intera  comunita'  nazionale,
eventualmente (e residualmente) anche ad  altre  espressioni  di  una
memoria "particolare", coltivata in quelle terre da parte  di  quelle
persone, con le proprie peculiarita' e le proprie storie. 
    8. - Dagli esposti rilievi deriva la fondatezza delle censure  di
cui al ricorso  e  la  conseguente  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale delle disposizioni legislative impugnate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       La Corte costituzionale 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1,  comma
2, 2 e 4, commi 1, 2, 3,  della  legge  della  Regione  Lombardia  31
luglio 2012, n. 16 (Valorizzazione dei reperti mobili  e  dei  cimeli
appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI