N. 204 SENTENZA 3 - 18 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento  civile  -  Dichiarazione  della  colpa  aggravata   dei
  convenuti  per  resistenza  colposa  in  giudizio  -  Condanna   al
  pagamento, a titolo  di  sanzione,  di  una  somma  equitativamente
  determinata - Beneficiario della somma nel  caso  in  cui  l'attore
  vittorioso sia stato  ammesso  al  patrocinio  gratuito  -  Mancata
  inclusione 'pro quota' dello  Stato  gravato  del  pagamento  delle
  spese processuali - Censura di norma non applicabile nel giudizio a
  quo - Incompleta considerazione del quadro normativo di riferimento
  - Inammissibilita' della questione. 
- Codice di procedura civile, art. 96, terzo comma; d.P.R. 30  maggio
  2002, n. 115, art. 133. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111; convenzione  europea  dei  diritti
  dell'uomo, art. 6. 
(GU n.30 del 24-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  96,  terzo
comma, del codice di procedura civile e dell'art. 133 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia  -  Testo  A),  promosso  dal  Tribunale  di  Tivoli,   nel
procedimento vertente tra L. F. e il Comune di Guidonia Montecelio ed
altra, con ordinanza del 30 maggio  2012,  iscritta  al  n.  260  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22  maggio  2013  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 maggio 2012, depositata  in  cancelleria
il 6 novembre 2012 (reg. ord. n.  260  del  2012),  il  Tribunale  di
Tivoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e  111  della
Costituzione ed  all'art.  6  della  legge  4  agosto  1955,  n.  848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma  il  4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla  Convenzione  stessa,
firmato a  Parigi  il  20  marzo  1952),  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  articoli  96,  terzo  comma,  del  codice   di
procedura civile e 133 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia - Testo A), nella parte  in  cui  escludono  pro  quota  lo
Stato, ove gravato dell'onere del patrocinio gratuito in favore della
parte vittoriosa, dal novero dei beneficiari delle somme  oggetto  di
condanna irrogata ai sensi del suddetto  art.  96,  terzo  comma,  in
ipotesi di responsabilita' aggravata. 
    Il giudice rimettente espone che nel  giudizio  a  quo  l'attore,
ammesso al gratuito patrocinio, ha chiesto la condanna di un Comune e
delle Assicurazioni Generali s.p.a. al risarcimento dei danni  subiti
a seguito della caduta da un ciclomotore  causata  da  una  serie  di
buche stradali, nonche' al pagamento di una somma da  determinare  in
via equitativa per un danno qualificato  «punitivo»,  a  causa  della
mancata  conclusione  della  controversia  in   via   stragiudiziale.
Dall'esame delle prove raccolte,  il  giudice  ritiene  essere  stata
raggiunta la prova della responsabilita'  del  Comune  convenuto  per
omessa custodia e per  l'assenza  di  manutenzione  della  strada  in
questione, e di dovere  quindi  procedere  alla  quantificazione  dei
danni subiti dall'attore. 
    In particolare, in riferimento alla domanda relativa al  suddetto
danno «punitivo», per avere i convenuti resistito in  giudizio  senza
addivenire ad un accordo stragiudiziale, stante l'evidenza dei  fatti
per cui e' causa, il giudice  rimettente  osserva  che  essa  risulta
contenuta  nell'atto  di  citazione  notificato  «nel  maggio  2009»;
sicche' deve ritenersi che tale domanda  sia  riferita  all'art.  96,
primo comma, cod. proc. civ., dal momento che il  terzo  comma  dello
stesso articolo e' stato  introdotto  dall'art.  45  della  legge  18
giugno 2009, n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile). Ai fini dell'applicabilita' nel giudizio  a  quo  del  terzo
comma dell'art. 96 cod. proc. civ., il Tribunale di Tivoli  da'  atto
che «l'intera  attivita'  difensiva  e  la  stessa  costituzione  dei
convenuti e' successiva all'entrata in vigore della  legge  69/2009»,
risalente al 4 luglio 2009, per cui la citata disposizione del  terzo
comma «puo' e deve» essere applicata  «anche  in  ragione  della  sua
natura processuale», posto che la condotta  sanzionata  dalla  norma,
costituita dalla resistenza colposa in giudizio, si e'  svolta  tutta
successivamente alla  data  della  entrata  in  vigore  della  citata
modifica legislativa. 
    Nel merito, il giudice rimettente ritiene che nel caso  in  esame
sussistano  gli  estremi  per  dichiarare  la  colpa  aggravata   dei
convenuti, a causa dell'evidenza probatoria e  della  «pretestuosita'
delle difese addotte», che hanno «costretto l'attore ad  un  giudizio
che avrebbe dovuto essere evitato». 
    L'ordinanza osserva che, mentre la previsione di cui all'art. 96,
primo comma, cod. proc. civ. subordina  il  risarcimento  del  danno,
oltre che all'elemento oggettivo della soccombenza, al  comportamento
del soccombente e alla sua mala  fede  o  colpa  grave,  configurando
cosi' un'ipotesi di responsabilita'  ai  sensi  dell'art.  2043  cod.
civ., quella prevista dal  terzo  comma  dello  stesso  articolo  non
individua le specifiche condotte sanzionabili.  A  tale  riguardo  il
giudice  rimettente  condivide  l'opinione  secondo  la  quale,   nel
silenzio del legislatore circa i presupposti della  condanna,  questa
possa essere pronunciata solo ove ricorrano le condizioni di  cui  al
primo comma, e cioe' qualora la parte  abbia  agito  o  resistito  in
giudizio con mala fede o colpa grave, ritenute esistenti nel caso  in
esame. 
    Inoltre, il giudice  a  quo  afferma  che  la  condanna  prevista
dall'art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. si contraddistingue per il
suo carattere sanzionatorio, dal momento che la  sua  quantificazione
non risulta commisurata all'entita' del danno subito, ma  e'  rimessa
all'equo   apprezzamento   del   giudice.   Queste    caratteristiche
distinguono  l'ipotesi  sanzionatoria  in  esame  dal  modello  della
responsabilita' aquiliana, dal momento  che  essa  non  concreta  una
fattispecie risarcitoria  di  un  danno,  ma  risulta  finalizzata  a
prevenire  l'abuso  del   processo   ed   a   tutelare   l'efficienza
dell'amministrazione della giustizia.  Sotto  diverso  profilo,  essa
costituisce  un  adempimento  «degli  obblighi  cosiddetti  positivi»
derivanti dall'art. 6 CEDU, e pertanto la sanzione in esame ha natura
composita  e,  tra  l'altro,  e'  volta  a  compensare   il   rischio
processuale che inevitabilmente corre la parte a causa dell'abuso del
processo. 
    Nella peculiare ipotesi  che  ricorre  nel  giudizio  a  quo,  il
soggetto su cui grava il rischio, a causa dell'ammissione dell'attore
al gratuito patrocinio a spese dello Stato, non e' «la  controparte»,
ma il pubblico erario,  tenuto  comunque  al  pagamento  delle  spese
sostenute  per  il  giudizio.  In  tale  situazione,  sussiste   «una
disparita' di trattamento tra parte privata  gravata  del  rischio  e
delle spese processuali e parte pubblica (intesa come  Stato  persona
giuridica onerato delle spese del patrocinio)  gravata  ex  lege  del
medesimo onere». Poiche', infatti, l'art. 133 del d.P.R. n.  115  del
2002 consente solo il pagamento (o il  recupero  ai  sensi  dell'art.
134) delle spese processuali, ma non considera la possibilita' di  un
ristoro a favore dello Stato del rischio risarcibile con la  sanzione
prevista dall'art. 96, terzo comma, cod.  proc.  civ.,  tale  mancata
previsione nelle norme impugnate risulta lesiva degli artt. 3,  24  e
111 Cost., e dell'art.  6  CEDU,  per  violazione  del  principio  di
parita' di trattamento e degli obblighi positivi gravanti sullo Stato
italiano al fine di ridurre la durata dei processi. Rileva infine  il
giudice rimettente che il chiaro contenuto della disposizione di  cui
all'art.  96,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.,  che  indica   nella
«controparte» il  solo  ed  unico  beneficiario,  e  la  mancanza  di
qualunque previsione nella legge sul patrocinio a spese dello  Stato,
non  consentono  spazi  per  un'interpretazione   adeguatrice   delle
disposizioni censurate. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, per chiedere che la questione  sollevata  sia  dichiarata  non
fondata. 
    Osserva la difesa  dello  Stato  che  la  finalita'  della  nuova
disposizione prevista dall'art. 96, terzo comma, cod. proc.  civ.  e'
quella  di  sanzionare  comportamenti  che  abusino  dello  strumento
processuale  e  che  il   legislatore,   nell'esercizio   della   sua
discrezionalita',  non  ha  previsto  alcuna  liquidazione  a  favore
dell'erario.  L'esclusione  dello  Stato  dal  novero  dei   soggetti
ristorati dalla sanzione civile in questione non assume  una  diversa
rilevanza nei casi  in  cui  le  spese  processuali  siano  a  carico
dell'erario  per  essere  riconosciuto  alla  parte  soccombente   il
patrocinio  a  spese  dello  Stato.  In  casi  di  parte  patrocinata
gratuitamente vittoriosa, infatti, l'art. 133 del d.P.R. n.  115  del
2002 prevede che le spese processuali siano liquidate, a carico della
parte soccombente,  a  favore  dello  Stato.  In  tale  contesto,  la
condanna alle spese di  lite  neutralizza  l'intervento  dello  Stato
nell'assicurare il patrocinio gratuito alla parte vittoriosa, e rende
tale fattispecie equivalente  a  quelle  in  cui  le  parti  assumano
direttamente gli oneri della propria difesa. 
    L'Avvocatura dello Stato afferma che  l'ordinanza  di  rimessione
non considera adeguatamente che la lesione in parola si determina  in
ogni caso, e non unicamente quando lo Stato sostiene  anticipatamente
le  spese  di  lite  della  parte  vittoriosa,  e  ribadisce  che  il
legislatore, nella sua  discrezionalita',  ha  ritenuto  di  tutelare
detti  interessi  pubblici  non  introducendo  anche   una   sanzione
pubblicistica, ma attraverso  l'effetto  dissuasivo  indiretto  della
sanzione civile, a vantaggio della parte  processuale  vittoriosa,  e
lesa dall'abuso del diritto di difesa.  Inoltre,  in  riferimento  al
rischio di mancato  recupero  delle  spese  sostenute,  nel  caso  di
patrocinio a carico dello Stato, l'Avvocatura  dello  Stato  sostiene
che la prospettazione non risulta convincente,  dal  momento  che  la
previsione di cui all'art. 96, cod. proc. civ. rappresenta una  forma
di responsabilita' civile per un comportamento  illecito,  costituito
dall'abuso  del  diritto  di  difesa,  e  la  somma  viene  liquidata
equitativamente, ma sempre in relazione  a  un  danno  effettivamente
patito dalla parte. 
    L'art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. si applica solo nel  caso
in cui il danno non si e' verificato, quando risulti  soccombente  la
parte che ha posto in essere la condotta illecita e  di  conseguenza,
sempre ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, non  puo'  condividersi
l'assunto del giudice rimettente secondo il quale  tale  disposizione
e' volta a ristorare anche il rischio di soccombenza per la parte poi
risultata vittoriosa. Parimenti,  non  e'  configurabile  un  diritto
costituzionale, che vincoli l'esercizio  della  discrezionalita'  del
legislatore ad assegnare allo Stato, che sia vittima del «rischio  di
soccombenza», una quota della somma liquidata dal  giudice  ai  sensi
dell'art. 96, terzo comma, c.p.c.;  a  tale  proposito,  l'Avvocatura
dello Stato richiama anche l'ordinanza della Corte costituzionale  n.
138 del 2012, resa in un caso simile a quello  in  esame,  affermando
che le  argomentazioni  contenute  in  quel  provvedimento  sarebbero
applicabili anche nel caso in esame. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Tivoli  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all'art. 6 della  legge  4
agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questione  di
legittimita' costituzionale  degli  articoli  96,  terzo  comma,  del
codice di procedura civile e 133 del d.P.R. 30 maggio  2002,  n.  115
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di spese  di  giustizia  -  Testo  A),  nella  parte  in  cui
escludono pro quota lo Stato, ove gravato dell'onere  del  patrocinio
gratuito in favore della parte vittoriosa, dal novero dei beneficiari
delle somme oggetto di condanna irrogata ai sensi del  suddetto  art.
96, terzo comma, in ipotesi di responsabilita' aggravata. 
    Ritiene il giudice a quo che tale omissione - risultante,  a  suo
dire, in modo indiscutibile dalla formulazione  letterale  delle  due
censurate disposizioni - sia in contrasto con i richiamati  parametri
costituzionali, in particolare sotto il profilo della violazione  del
principio della parita'  di  trattamento,  «nella  prospettiva  degli
obblighi positivi gravanti sulla Repubblica italiana in  merito  alla
riduzione dei tempi processuali». 
    2.- La questione e' inammissibile. 
    Va  innanzitutto  osservato  -  come  rileva  lo  stesso  giudice
rimettente - che l'art. 96, terzo comma, cod. proc.  civ.,  e'  stato
introdotto dall'art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile), pubblicata  in
data 19 giugno 2009 ed entrata in vigore il  4  luglio  del  medesimo
anno, quindi successivamente all'instaurazione del  giudizio  a  quo,
introdotto mediante atto di citazione notificato «nel  maggio  2009».
Il giudice a quo, tuttavia, sostiene che il  citato  art.  96,  terzo
comma, sia ugualmente applicabile  nel  giudizio  a  lui  sottoposto,
quale norma processuale, dal momento che l'attivita' difensiva  e  la
costituzione  dei  convenuti  si  sarebbero   realizzate   in   epoca
successiva all'entrata in vigore della norma medesima. 
    In tale ricostruzione, pero', il Tribunale di  Tivoli  omette  di
considerare che, per espressa previsione dell'art. 58, comma 1, della
legge n. 69 del 2009, le  norme  della  medesima  che  modificano  il
codice di procedura civile e le  disposizioni  per  l'attuazione  del
codice di procedura civile «si applicano ai giudizi  instaurati  dopo
la data della sua entrata in vigore»; e  la  modifica  dell'art.  96,
terzo comma, cod. proc. civ., non rientrando tra quelle per le  quali
i successivi commi dell'art. 58  prevedono  una  diversa  entrata  in
vigore, segue la menzionata regola generale  quanto  alla  decorrenza
della  sua  applicazione;  punto  questo  che  trova  conferma  anche
nell'ordinanza 17 maggio 2011, n. 10846, della Corte di cassazione. 
    Ne consegue che l'art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. non  puo'
trovare applicazione nel giudizio a quo, instaurato mediante atto  di
citazione notificato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore,
avvenuta in data 4 luglio 2009; e, d'altra parte, il giudice  a  quo,
nel  dare  conto  della  rilevanza  della   presente   questione   di
legittimita'  costituzionale,  non  dimostra  di   aver   tenuto   in
considerazione  l'art.  58  della  legge  n.  69  del  2009,  il  che
costituisce un'ulteriore ragione  di  inammissibilita'  della  stessa
sotto il profilo dell'incompleta considerazione del quadro  normativo
di riferimento. 
    Ne   deriva   l'inammissibilita'   dell'odierna   questione    di
legittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale  degli  articoli  96,  terzo  comma,  del  codice   di
procedura civile, e 133 del d.P.R. 30  maggio  2002,  n.  115  (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di  giustizia  -  Testo  A),  sollevata,  in  riferimento  agli
articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all'art. 6 della  legge  4
agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal Tribunale
di Tivoli con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI