N. 216 SENTENZA 3 - 18 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento civile - Calendario del processo  -  Previsione  che  il
  giudice "fissa" e non che "puo' fissare" il calendario del processo
  - Asserita violazione del principio della  ragionevole  durata  del
  processo - Asserita violazione del principio  di  ragionevolezza  -
  Insussistenza - Prospettazione di argomenti e difficolta'  di  mero
  fatto che  non  incidono  sulla  ragionevolezza  delle  scelte  del
  legislatore - Non fondatezza delle questioni. 
- Disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile,  art.
  81-bis, come modificato dall'art. 1-ter del decreto-legge 13 agosto
  2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 3 e 111. 
(GU n.30 del 24-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81-bis
delle disposizioni per l'attuazione del codice di  procedura  civile,
modificato dall'art. 1-ter del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla  legge  14  settembre
2011,  n.  148,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Varese  nel
procedimento vertente tra B.C. e  la  S.I.  di  T.A.  ed  altra,  con
ordinanza del 28  giugno  2012,  iscritta  al  n.  309  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  3  luglio  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale   ordinario   di   Varese,   in   composizione
monocratica, con ordinanza del 28 giugno 2012 (r.o. n. 309 del 2012),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111  della  Costituzione,
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81-bis  delle
disposizioni per l'attuazione del codice di  procedura  civile,  come
modificato dall'articolo 1-ter del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione  finanziaria  e
per lo sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  14
settembre 2011, n. 148, «nella parte in cui prevede  che  il  giudice
"fissa"   il    calendario    del    processo,    cosi'    sancendone
l'obbligatorieta' in ogni caso». 
    1.1.- In punto di fatto, il rimettente espone che,  con  atto  di
citazione notificato il 23 settembre 2011 e depositato in cancelleria
il successivo 26 settembre, il sig.  B.C.:  1)  ha  assunto  di  aver
promesso di acquistare dalla societa' costruttrice L.I.  un  immobile
situato  in  Varese  alla  Via  Brunico,  n.  50,   con   contestuale
conferimento d'incarico alla societa'  S.I.  di  T.A.  di  curare  la
mediazione per la vendita di un proprio immobile situato in  Cugliate
Fabiasco alla Via Verdi, n. 31; 2) ha precisato che, dopo la  stipula
dei contratti, il locale oggetto di promessa di acquisto e' risultato
inidoneo ad ottenere il certificato di agibilita' o abitabilita';  3)
ha chiesto  la  dichiarazione  di  risoluzione  del  contratto  e  la
condanna delle due societa' convenute (la S.I. di T.A. e la L.I.)  al
risarcimento di tutti i danni subiti, oltre alle spese sostenute  per
la complessiva operazione negoziale. 
    Il giudice a quo aggiunge che la convenuta S.I. si e' costituita,
eccependo la  mancanza  di  proprie  responsabilita'  contrattuali  e
chiedendo, in via riconvenzionale,  il  pagamento  del  corrispettivo
spettante per l'attivita' di mediazione svolta. 
    Il rimettente riferisce che: 1) all'udienza di prima comparizione
del 20 gennaio 2012, la societa' L.I. e' stata dichiarata  contumace;
2) le parti costituite hanno richiesto la concessione dei termini, ai
sensi dell'art. 183, sesto comma, del codice di procedura civile;  3)
il giudice ha concesso i termini richiesti, fissando l'udienza del 22
giugno 2012 per l'ammissione  delle  prove;  4)  all'udienza  del  22
giugno  2012,  le  parti  hanno  insistito  per  l'ammissione   delle
richieste  istruttorie  e,  sentite  le  stesse  sul  calendario  del
processo, non hanno formulato osservazioni. 
    Con  l'ordinanza  di  rimessione,  emessa  a  scioglimento  della
riserva espressa all'udienza del 22 giugno 2012, il giudice a quo  ha
ritenuto parzialmente ammissibili i mezzi istruttori articolati dalle
parti, compreso l'interrogatorio formale  dei  legali  rappresentanti
delle societa' convenute; quanto ai profili tecnici, si e'  riservato
di  provvedere  sulla  consulenza  tecnica  d'ufficio,   qualora   ne
emergesse la necessita' all'esito delle prove orali. 
    Il  rimettente  rileva  che,  dovendosi  svolgere  l'istruttoria,
dovrebbe redigere il calendario del processo,  in  ossequio  all'art.
81-bis disp. att. cod. proc. civ. 
    Egli osserva che, nel contesto del proprio  ufficio  giudiziario,
l'obbligo  di  provvedere  sempre  e  comunque  alla  formazione  del
calendario produce effetti pregiudizievoli per il processo sub iudice
e per gli altri chiamati nella medesima udienza (sul  punto,  precisa
che  all'udienza  del  22  giugno  2012  erano  chiamati,  in  tutto,
trentadue processi, di cui sei per l'ammissione delle prove). 
    Il Tribunale ritiene che il  dover  redigere  un  calendario  del
processo,  senza   consentire   al   giudice   discrezionalmente   di
disattenderlo, in ragione della gravosita'  del  ruolo,  produrrebbe,
stante  la  minaccia  della   sanzione   disciplinare,   un   effetto
paradossale di "allungamento"  dei  tempi  processuali.  Infatti,  il
giudice, temendo di non poter rispettare il calendario, tenderebbe  a
stabilire  scansioni  temporali  ben  piu'  lunghe  di  quelle   che,
fisiologicamente e senza la minaccia  di  un  illecito  disciplinare,
avrebbe, invece, pianificato. 
    Il  giudice  a  quo  sottolinea  come  la  legge,  finalizzata  a
realizzare  l'accelerazione  e  la  prevedibilita'  dei   tempi   del
processo, produrrebbe in modo paradossale e irragionevole un  aumento
dei  tempi  stessi.  Questo,  in  quanto   l'obbligo,   astrattamente
disegnato, non sarebbe concretamente  collocato  nel  contesto  degli
uffici giudiziari ordinari italiani in  cui,  diversamente  da  altre
magistrature, non vige una norma ad  hoc  per  i  carichi  esigibili,
sicche' i ruoli, particolarmente gravosi, imporrebbero  attivita'  di
udienza in cui i  fascicoli  trattati  contemporaneamente  potrebbero
arrivare anche a cento ed oltre. 
    Il rimettente rileva come, nel  caso  di  specie,  la  differenza
effettiva sia  evidente.  Infatti,  qualora  lo  stesso  giudice  non
dovesse predisporre il calendario, tenuto conto anche del fatto che i
difensori non  ne  hanno  chiesto  la  formazione,  verrebbe  fissata
l'udienza del 24 ottobre 2012 per l'escussione di tutti i testi e per
il raccoglimento degli interrogatori  formali  nonche',  qualora  non
fosse ritenuta necessaria la CTU, l'udienza dell'8 marzo 2013 per  la
precisazione delle conclusioni. 
    Diversamente,  essendo   obbligatoria   la   pianificazione   del
calendario, lo  stesso  giudice,  stante  la  gravosita'  del  ruolo,
tenderebbe ad applicare il principio di precauzione, per  riuscire  a
rispettare le scansioni del calendario stesso, tenuto conto del fatto
che diverse e molteplici potrebbero essere le variabili sopravvenute.
Pertanto,  sarebbe  fissata  l'udienza  del  24  ottobre   2012   per
l'escussione  dei  soli  testi,  l'udienza  dell'8  marzo  2013   per
l'espletamento degli interrogatori formali, l'udienza  interlocutoria
del 26 giugno 2013 per l'eventuale consulenza tecnica  di  ufficio  e
l'udienza del 27 dicembre 2013 per la precisazione delle conclusioni,
garantendo la ragionevole durata - tre anni dall'iscrizione a ruolo -
ma agendo per fare fronte al rischio di dovere  incontrare  variabili
sopravvenute. 
    Ad avviso del rimettente, la collocazione  della  norma  astratta
(art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ.) nella realta'  concreta  dei
tribunali italiani produrrebbe effetti  irragionevoli  (sulle  scelte
discrezionali del legislatore con il limite della  ragionevolezza  e'
richiamata la sentenza della Corte costituzionale  n.  1  del  2012).
Infatti, la norma censurata, al momento dell'innesto nel settore  del
diritto processuale civile, reso vivo dalla "realta'  effettiva"  del
tribunale, comporterebbe un allungamento dei tempi del  procedimento,
una irrazionale gestione delle singole procedure  e  una  preclusione
per il giudice  di  attingere  al  bacino  della  propria  governance
giudiziale per garantire il celere ed efficiente governo delle  cause
sul ruolo. 
    1.2.- In punto di rilevanza,  il  rimettente  osserva,  in  primo
luogo, che, nel caso di  specie,  stante  la  notifica  dell'atto  di
citazione in  data  23  settembre  2011,  occorre  fare  applicazione
dell'art.  81-bis  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,  come   modificato
dall'articolo 1-ter  del  d.l.  n.  138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. Pertanto, avuto  riguardo
alla attuale obbligatorieta' del calendario del processo, il  giudice
sarebbe tenuto, provvedendo sulle istanze istruttorie, alla redazione
del detto calendario. 
    Sempre in punto di rilevanza, il giudice a quo,  pur  consapevole
che il tenore letterale dell'art. 23, secondo comma, della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale) - secondo  cui  la  questione  di  legittimita'
costituzionale in via incidentale e' ammissibile qualora il  giudizio
non possa essere definito indipendentemente dalla  risoluzione  della
questione stessa - sembrerebbe escludere la possibilita'  di  giudizi
aventi ad oggetto norme processuali concernenti il  mero  svolgimento
del rito, ritiene che si debba ritenere sottintesa la rilevanza della
questione  anche  quando  il  giudizio  non  possa  essere   definito
«ragionevolmente» prescindendo dalla risoluzione della  questione  di
legittimita' costituzionale, valorizzando il  diritto  dell'individuo
non ad un qualsiasi processo, ma a quello «giusto» ai sensi dell'art.
111  Cost.  Tale  carattere  mancherebbe  se  norme  irrazionali   ne
impediscano la definizione entro il termine  di  ragionevole  durata,
con sacrificio intollerabile di posizioni giuridiche tutelate. 
    1.3.- Quanto all'oggetto della questione, il  rimettente  precisa
che si tratta dell'art. 81-bis  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,  come
modificato  dalla  normativa  sopra  indicata,  nella  parte  in  cui
l'inciso "fissa", contenuto nel primo comma, interpretato  alla  luce
del secondo comma, determina  l'obbligatorieta'  del  calendario  del
processo e non anche la discrezionalita'.  Pertanto,  ad  avviso  del
rimettente,  dovrebbe  dichiararsi  l'illegittimita'   costituzionale
della norma «nella parte in cui prevede che il giudice "fissa" e  non
che "puo' fissare" il calendario del processo». 
    1.4.-  In   ordine   all'ammissibilita'   della   questione,   il
rimettente, dopo avere richiamato  la  giurisprudenza  costituzionale
sulla necessita'  di  motivazione  in  ordine  all'impossibilita'  di
interpretare la norma in senso conforme a Costituzione  (sentenze  n.
57 del 2006; n. 336 del 2001 e n. 361 del 1997), con  il  limite  del
dato letterale della norma stessa, ritiene di  non  poter  dare  alla
norma censurata un'interpretazione diversa da quella emergente  dalla
mera lettura  del  testo.  Infatti,  ad  avviso  del  rimettente,  il
legislatore del 2011 ha, di fatto, smentito  l'interpretazione  verso
la  discrezionalita'  del  calendario,  introducendo,  peraltro,   la
sanzione  disciplinare  nel  caso  di  violazione   dell'obbligo   di
fissarlo. Rimarrebbe, dunque, infruttuoso il tentativo, da parte  del
giudicante, di  individuare  un'interpretazione  compatibile  con  la
Costituzione (sono citate le sentenze n. 427 e n. 306 del 2005). 
    1.5.- In punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 81-bis disp.  att.  cod.  proc.  civ.,  come
modificato dall'art. 1-ter del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. 
    In primo luogo, il giudicante  ritiene  che  la  norma  censurata
violi  l'art  3  Cost.,   sotto   il   profilo   del   principio   di
ragionevolezza. 
    Egli  precisa  che  la  funzione  del  calendario  e'  quella  di
contribuire alla ragionevole durata del processo civile, anche se  in
dottrina  si  e'  sostenuto  che  la  sua  fissazione  non  serve  ad
accelerare i tempi processuali, bensi' solo a renderli prevedibili. 
    Il rimettente  ricorda  come,  dopo  l'introduzione  della  prima
versione dell'art. 81-bis, la dottrina si fosse interrogata circa  la
discrezionalita' o obbligatorieta' della  fissazione  del  calendario
del processo e la giurisprudenza di merito avesse ritenuto  che  esso
dovesse intendersi necessariamente in termini di "discrezionalita'". 
    Non essendo, ad avviso  del  rimettente,  piu'  sostenibile  tale
opinione dopo l'intervento del legislatore del 2011, ne conseguirebbe
il problema di un adempimento obbligatorio di impossibile  attuazione
per i ruoli carichi. 
    Il  giudicante  sottolinea  come  l'adempimento  de  quo  che  si
richiede al magistrato debba  essere  necessariamente  collocato  nel
contesto concreto  dell'ufficio  in  cui  quest'ultimo  si  trova  ad
operare. Ne consegue che piu' saranno le cause  iscritte  sul  ruolo,
minore sara' la possibilita' oggettiva di pianificare  e  programmare
lo svolgimento delle singole udienze per ogni processo. 
    Pertanto, ad avviso del rimettente,  l'imposizione  dell'uso  del
calendario, nel senso di obbligo del giudice alla relativa formazione
sempre e  comunque,  a  prescindere  dal  contesto  concreto  in  cui
l'attivita'  giurisdizionale  e'  esercitata,  potrebbe  pregiudicare
proprio quelle esigenze di celerita' e di organizzazione che la legge
18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), ha inteso tutelare. 
    Il  Tribunale  sottolinea  come,  per  insegnamento  della  Corte
costituzionale, una norma e' irragionevole,  ove  tradisca,  in  modo
insanabile, la ratio legis che ne ha giustificato l'introduzione  nel
sistema normativo. E, allora, se il calendario del processo  persegue
la finalita' di consentire la prevedibilita' dei tempi  del  processo
nonche' di contenerne la durata entro tempi  ragionevoli,  ad  avviso
del rimettente darebbe luogo ad un'aporia ritenerne l'obbligatorieta'
anche qualora la sua  applicazione,  rigida  e  obbligatoria  in  uno
specifico contesto giudiziario, porti di fatto ad  un  risultato  del
tutto inverso e contrario. 
    Al riguardo, il giudice a quo rimarca il consumo di tempo che  si
richiede al magistrato chiamato a gestire un  ruolo  di  migliaia  di
cause per pianificare ognuna di esse, predisponendo un calendario del
processo, sentiti i difensori. In tal caso anche la stessa  ordinanza
emessa ai  sensi  dell'art.  183,  settimo  comma,  cod.  proc.  civ.
rischierebbe di essere emanata solo dopo una difficile  attivita'  di
programmazione, con  ulteriori  ritardi  nell'eventuale  scioglimento
delle riserve. 
    Inoltre, il rimettente evidenzia l'inevitabile prevenzione che si
innesca nei giudici con ruoli  particolarmente  gravosi,  in  quanto,
dato che il calendario del processo va predisposto, anche  a  rischio
di rilievi disciplinari, allora il  magistrato  sarebbe  indotto,  in
prevenzione, a pianificare tempi piu' lunghi proprio per  evitare  di
dover incorrere in  continue  proroghe  o  rinvii  determinati  dalla
oggettiva difficolta' di gestire ruoli molto carichi. 
    Infine,  ad  avviso   del   giudicante,   l'obbligatorieta'   del
calendario non consente di scegliere i  processi  in  cui  adottarlo,
tenuto conto di eventuali urgenze, dei temi oggetto del contendere  o
della natura dei diritti coinvolti. 
    Alla luce delle suddette argomentazioni,  il  rimettente  ritiene
che  la  norma  censurata  contrasti   con   l'art.   3   Cost.   per
irragionevolezza  ed  incoerenza  con  il   fine   perseguito   dalla
disposizione stessa, nonche' con l'art. 111 Cost., per violazione del
principio di ragionevole durata del processo. 
    2.- Con atto depositato in data 12 febbraio 2013, e'  intervenuto
il Presidente del Consiglio  del  ministri,  rappresentato  e  difeso
dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata. 
    In primo luogo, la difesa erariale  eccepisce  l'inammissibilita'
della questione - tesa ad ottenere  una  pronuncia  additiva  con  la
quale si dichiari la facoltativita' anziche' l'obbligatorieta'  della
predisposizione del calendario giudiziale  -  in  quanto  la  materia
sarebbe  rimessa  alla  discrezionalita'  del   legislatore   e   non
esisterebbe un'unica soluzione costituzionalmente obbligata. 
    Nel merito, ad avviso del Presidente del Consiglio dei  ministri,
la questione sarebbe infondata. 
    Preliminarmente, la difesa statale evidenzia come, rispetto  alla
previgente disposizione introdotta dall'art. 52 della legge n. 69 del
2009, con la novella di cui al d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla
legge n. 148 del 2011, il legislatore ha previsto: 1) la  indicazione
nel calendario del processo anche del  momento  di  rimessione  della
causa in decisione; 2) il rispetto da  parte  del  magistrato,  nella
fissazione del calendario stesso, del principio di ragionevole durata
del processo; 3) la responsabilita' disciplinare dei protagonisti del
processo, oltre che una possibile  ripercussione  sulla  progressione
della carriera del magistrato, nel caso  di  mancato  rispetto  delle
scadenze cosi' fissate e in assenza,  al  riguardo,  di  giustificati
motivi. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  rileva   come   il
calendario     del     processo     costituisca     uno     strumento
tecnico-organizzativo che si inserisce  nella  fase  istruttoria  del
procedimento, la quale,  a  differenza  di  quella  introduttiva  del
giudizio in cui si sono gia' verificate le preclusioni  dei  termini,
necessita di razionalizzazione mediante  la  calendarizzazione  delle
successive udienze  istruttorie  e  degli  adempimenti  previsti  per
ciascuna di esse. La previsione nel calendario anche della fissazione
dell'udienza di precisazione delle conclusioni confermerebbe la ratio
della norma in esame, diretta a far pervenire il giudizio  alla  fase
decisoria in tempi certi e, quindi, di far si' che il giudizio abbia,
a  partire  dalla  fase  istruttoria,  una   durata   tendenzialmente
predeterminata. 
    La difesa erariale  sottolinea  come  il  censurato  art.  81-bis
specifichi, quindi, il potere direttivo gia'  attribuito  al  giudice
dall'art.  175  cod.  proc.  civ.,  attribuendo  nuovi  contenuti  al
potere-dovere del giudice di dirigere il  processo  e  di  gestire  i
procedimenti sul ruolo. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  rileva  che,  con  tale
istituto,  il  legislatore,  oltre  a  perseguire  lo   scopo   della
ragionevole durata del processo, ha voluto razionalizzare i tempi del
processo stesso, rendendoli certi  e  prevedibili  per  le  parti  ed
eliminando la possibilita' di meri rinvii. 
    Ad avviso  della  difesa  erariale,  il  rimettente  non  avrebbe
interpretato  la  norma  in  questione  in  senso  costituzionalmente
orientato. 
    Infatti,  l'interpretazione  costituzionalmente   orientata   non
sarebbe da  escludere  solo  in  quanto  la  calendarizzazione  delle
udienze non e' prevista come  discrezionale,  ma  come  obbligatoria,
dovendosi verificare se, data la  obbligatorieta'  della  norma,  sia
possibile una interpretazione rispettosa dei parametri costituzionali
che si assumono violati. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene  possibile  tale
interpretazione in quanto, in primo luogo,  il  giudice  puo'  sempre
revocare e modificare le proprie ordinanze (art. 177, secondo  comma,
cod. proc.  civ.),  salvo  quelle  espressamente  previste  come  non
revocabili o non modificabili (art.  177,  terzo  comma,  cod.  proc.
civ.), tra le quali non e' indicata l'ordinanza di  calendarizzazione
delle udienze. 
    Inoltre, il giudice deve fissare la chiusura del processo entro i
tempi "ragionevoli" indicati dall'art. 2, comma 2-bis, della legge 24
marzo 2001,  n.  89  (Previsione  di  equa  riparazione  in  caso  di
violazione  del  termine  ragionevole   del   processo   e   modifica
dell'articolo 375 del codice  di  procedura  civile),  nonche'  dalla
Corte di cassazione e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo  (tre
anni per il primo grado del procedimento civile, due per il grado  di
appello e un anno per il giudizio di legittimita') e, pertanto, entro
tale spazio temporale puo' calendarizzare la propria attivita'. 
    All'interno  del  detto  confine   temporale,   il   legislatore,
consapevole della  reale  situazione  della  giustizia  italiana,  ha
previsto che  il  magistrato  possa  tenere  conto  anche  di  alcune
variabili  quali  la  natura,  l'urgenza  e   la   complessita'   del
procedimento per stabilire un calendario piu' o meno sollecito. 
    Al giudice sarebbe richiesto soltanto  di  consentire,  indicando
tempi certi, la prevedibile durata del processo  e,  soprattutto,  di
garantire che essa sia ragionevole. 
    Da qui la ritenuta non fondatezza della questione, in  quanto  la
norma censurata imporrebbe al magistrato, nel fissare  il  calendario
del processo, di rispettare il  criterio  della  ragionevole  (e  non
accelerata) durata dei processi, facendo si' che questi si concludano
entro i tempi indicati, in ossequio all'art. 111 Cost. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma  de
qua consentirebbe, dunque, al magistrato di organizzare, nel suddetto
arco temporale, il proprio ruolo  al  meglio,  modulando  i  processi
sulla base delle caratteristiche delle controversie da trattare. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale   ordinario   di   Varese,   in   composizione
monocratica, dubita -  in  riferimento  agli  artt.  3  e  111  della
Costituzione - della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  81-bis
delle disposizioni per l'attuazione del codice di  procedura  civile,
come modificato dall'art. 1-ter del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione  finanziaria  e
per lo sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  14
settembre 2011, n. 148, nella parte in cui  prevede  che  il  giudice
"fissa" e non che "puo' fissare" il calendario del processo. 
    Ad avviso del rimettente, la norma  censurata  violerebbe  l'art.
111, secondo comma, Cost., in relazione al principio  di  ragionevole
durata del processo, nonche' l'art. 3 Cost. sotto  il  profilo  della
ragionevolezza. La detta norma, dopo l'intervento del legislatore del
2011, avrebbe introdotto il carattere obbligatorio del calendario del
processo   a   prescindere   dal   contesto   in   cui    l'attivita'
giurisdizionale e' esercitata. In tal modo sarebbe stata  tradita  la
ratio legis che ne  aveva  giustificato  l'introduzione  nel  sistema
normativo, andando a pregiudicare  le  esigenze  di  celerita'  e  di
organizzazione che la legge 18 giugno 2009, n. 69  (Disposizioni  per
lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita'  nonche'
in materia di processo civile), avrebbe inteso tutelare e  frustrando
la  stessa  funzione  del   calendario,   volta   a   consentire   la
prevedibilita' dei tempi del  processo  ed  a  contribuire  alla  sua
ragionevole durata. Cio' in quanto l'imposizione del detto  strumento
comporterebbe che: 1) negli uffici giudiziari con carichi  lavorativi
molto gravosi, il giudice sarebbe  indotto  "in  prevenzione"  -  nel
timore di non essere in grado di rispettare  i  termini  fissati  nel
calendario e stante la minaccia della sanzione disciplinare nel  caso
di mancato rispetto degli stessi - a  stabilire  scansioni  temporali
ben piu' lunghe rispetto a quelle che di regola avrebbe  pianificato,
con un paradossale effetto di allungamento  dei  medesimi  tempi;  2)
considerata la difficolta' di gestire ruoli di migliaia di cause e di
pianificare e programmare ognuna di esse, si allungherebbero i  tempi
per la pronuncia della  stessa  ordinanza  ai  sensi  dell'art.  183,
settimo comma, del codice di procedura  civile;  3)  al  giudice  non
sarebbe consentito  scegliere  razionalmente  i  processi  nei  quali
adottare o meno il calendario del processo, tenuto conto di eventuali
urgenze, dei temi del contendere o della natura giuridica dei diritti
coinvolti. 
    2.-  La  difesa  dello  Stato,  costituendosi  nel  giudizio   di
legittimita' costituzionale,  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della
questione, «perche' tende ad una pronuncia additiva con la  quale  la
Corte costituzionale dichiari che la predisposizione  del  calendario
e'  facoltativa  anziche'  obbligatoria.  Nel  caso  in  esame   tale
pronuncia non e' possibile in  quanto  la  materia  e'  rimessa  alla
discrezionalita' del legislatore e non  esiste  una  unica  soluzione
costituzionalmente obbligata». 
    L'eccezione non e' fondata. Infatti, il rimettente non chiede una
pronuncia additiva scegliendola in un arco di possibili soluzioni, ma
pone la questione in termini di  stretta  alternativa  tra  carattere
obbligatorio o facoltativo  del  calendario  giudiziario.  In  questa
prospettiva la  questione  e'  ammissibile,  perche'  circoscrive  lo
scrutinio di legittimita' alla suddetta alternativa, con  una  decisa
opzione a favore del carattere facoltativo  che,  a  suo  avviso,  il
calendario  giudiziale  dovrebbe  avere,  sulla  base  dei  parametri
costituzionali invocati. 
    3.- Il giudice a quo ha addotto una motivazione non  implausibile
sulla rilevanza della  questione,  come  esposto  in  narrativa.  Sul
punto, del resto, non sono state sollevate specifiche eccezioni dalla
difesa  statale.  Pertanto,  anche  per  tale   profilo   essa   deve
considerarsi ammissibile. 
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    La norma censurata (art. 81-bis  disp.  att.  cod.  proc.  civ.),
sotto la rubrica «Calendario  del  processo»,  stabilisce  nel  primo
comma quanto segue: «Il  giudice,  quando  provvede  sulle  richieste
istruttorie,  sentite  le  parti  e  tenuto   conto   della   natura,
dell'urgenza e della complessita' della causa,  fissa,  nel  rispetto
del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle
udienze successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna
di essa espletati, compresi quelli di  cui  all'articolo  189,  primo
comma. I termini fissati nel  calendario  possono  essere  prorogati,
anche d'ufficio, quando  sussistono  gravi  motivi  sopravvenuti.  La
proroga deve essere richiesta dalle parti prima  della  scadenza  dei
termini». 
    Nel secondo  comma,  essa  aggiunge:  «Il  mancato  rispetto  dei
termini fissati nel calendario di cui al comma  precedente  da  parte
del giudice, del difensore o del consulente  tecnico  d'ufficio  puo'
costituire violazione disciplinare, e puo' essere considerato ai fini
della valutazione di professionalita' e della nomina o conferma  agli
uffici direttivi e semidirettivi». 
    La norma suddetta costituisce diretta  emanazione  dell'art.  175
cod. proc. civ., che affida al giudice istruttore  la  direzione  del
procedimento, attribuendogli «tutti i poteri intesi al piu' sollecito
e leale svolgimento» di esso. In particolare, «egli fissa le  udienze
successive e i termini entro i quali le parti  debbono  compiere  gli
atti processuali». Il legislatore, rendendo esplicito e disciplinando
con maggior dettaglio il potere-dovere  del  giudice  di  formare  il
calendario del processo (quando provvede sulle richieste  istruttorie
e, quindi, non in relazione ad ogni causa e ad ogni momento di essa),
ha inteso perseguire l'esigenza di  rendere  conoscibili  alle  parti
(sia pure in modo  non  rigido)  i  tempi  del  processo  stesso,  la
necessita' di evitare (per quanto possibile) inutili rinvii e  ancora
la possibilita' di realizzare il principio di ragionevole durata  del
processo,  richiamato  in  modo  espresso  nel  testo  normativo.  In
sostanza, come e' stato autorevolmente osservato, si  tratta  di  uno
strumento che consente un'organizzazione  programmata  del  processo,
attraverso  un  «governo  dei  tempi»  delle   fasi   di   necessaria
articolazione della procedura, che ne riduca la durata,  introducendo
elementi di prevedibilita' concreta del momento nel  quale  la  causa
arrivera' a decisione. 
    Ad avviso del rimettente, le  finalita'  perseguite  dalla  norma
censurata sarebbero rese vane, tradendo la ratio legis  dell'istituto
(di  qui  l'irragionevolezza  della  norma  stessa,   in   violazione
dell'art. 3 Cost.), in quanto l'imposizione dell'uso del  calendario,
specialmente negli uffici giudiziari  con  carichi  lavorativi  molto
gravosi,  indurrebbe  il  giudicante  -  nel  timore  di  non   poter
rispettare i termini fissati e, percio', d'incorrere  nella  sanzione
disciplinare minacciata dal secondo comma della disposizione de qua -
a stabilire scansioni temporali piu' lunghe di quelle che  altrimenti
avrebbe pianificato, con un paradossale effetto di "allungamento" dei
tempi processuali. Inoltre, considerata  la  difficolta'  di  gestire
ruoli di migliaia  di  cause  e,  quindi,  di  programmarle  in  modo
adeguato,  si  dilaterebbero   anche   i   tempi   per   l'emanazione
dell'ordinanza ai sensi dell'art. 183, settimo comma, cod. proc. civ.
Infine, non sarebbe consentito al giudice scegliere i processi in cui
adottare o meno il calendario, tenuto  conto  di  eventuali  urgenze,
temi del contendere o della natura giuridica dei diritti coinvolti. 
    Queste tesi non possono essere condivise. 
    Si deve premettere che, per  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte,  il  legislatore  dispone  di  ampia  discrezionalita'   nella
conformazione degli istituti processuali (ex  plurimis:  sentenza  n.
304 del 2011), con il solo limite  della  manifesta  irragionevolezza
delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 117 del 2012;  n.  52
del 2010; e n. 237 del 2007). Gia' le  considerazioni  svolte  dianzi
impongono di escludere che la norma censurata  sia  incorsa  in  tale
vizio. 
    Il rimettente, per sostenere il contrario, si affida ad una serie
di argomenti e ad asserite difficolta' non discendenti in via diretta
ed immediata dalla norma censurata, ma ricollegabili ad inconvenienti
di mero fatto che,  secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, non rilevano ai fini del controllo  di  costituzionalita'  (ex
multis: sentenze n. 117 del 2012, n. 303 del 2011 e n. 230 del 2010).
Tali sono le preoccupazioni disciplinari del giudice,  peraltro  poco
giustificate in presenza di una norma come quella dettata dal secondo
comma della disposizione censurata, che prospetta in termini di  mera
eventualita' l'iniziativa disciplinare come conseguenza  del  mancato
rispetto dei termini fissati dal calendario, rendendo cosi'  evidente
che l'inosservanza deve essere quanto meno colposa. Tali  sono  anche
gli altri profili addotti dal rimettente, ai quali  va  eventualmente
posto   rimedio   approntando   le   idonee   ed   opportune   misure
organizzative. 
    Alla stregua delle considerazioni che precedono, la questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dal rimettente  in  riferimento
all'art. 3 Cost. deve essere dichiarata non fondata. 
    Ad analoghe conclusioni bisogna pervenire in ordine alla  censura
mossa in riferimento all'art. 111 Cost. Invero, la pretesa violazione
del principio della ragionevole durata del processo  risulta  dedotta
non  quale  conseguenza  astratta  e  generale   della   disposizione
impugnata, ma  in  quanto  derivante  dalla  situazione  dell'ufficio
giudiziario nel quale  il  rimettente  e'  chiamato  ad  operare.  Si
tratta,  ancora  una  volta,  di  possibili  inconvenienti  di  fatto
concernenti aspetti organizzativi della giustizia,  che  non  toccano
profili di legittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 81-bis delle disposizioni per l'attuazione  del  codice  di
procedura civile, come modificato dall'art. 1-ter  del  decreto-legge
13  agosto  2011,  n.  138   (Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, «nella parte in
cui prevede che il giudice "fissa" il calendario del processo,  cosi'
sancendone l'obbligatorieta' in ogni caso», sollevate, in riferimento
agli artt. 3 e 111 della Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di
Varese, in composizione  monocratica,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI