N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 dicembre 2012

Ordinanza del 28 dicembre 2012 emessa  dal  Consiglio  di  Stato  sul
ricorso  proposto   da   Sielpa   Societa'   industriale   estrazione
lavorazione pietre ed affini Srl contro  Regione  Marche,  Comune  di
Cingoli e Provincia di Macerata. 
 
Miniere, cave e torbiere - Norme della Regione  Marche  -  Previsione
  che le tariffe di cui al comma 1 dell'art. 17 della legge regionale
  n. 71/1997, come sostituito dall'art. 24 della legge  regionale  n.
  19/2007 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio  annuale  e
  pluriennale della Regione - Legge finanziaria 2008),  si  applicano
  anche alle convenzioni gia'  stipulate  alla  data  di  entrata  in
  vigore della medesima legge regionale n. 19/2007  relativamente  ai
  materiali estratti a decorrere dal 1° gennaio 2009 - Violazione dei
  principi di  uguaglianza  e  di  affidamento  dei  cittadini  nella
  certezza   dei   rapporti   giuridici   -   Lesione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31, art. 42,  comma
  3. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, primo comma, in relazione  all'art.  1
  del  Primo  Protocollo  addizionale  della   Convenzione   per   la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.39 del 25-9-2013 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3985  del  2012,  proposto  da  Sielpa  -  Societa'
Industria   Estrazione   Lavorazione   Pietre   ed   Affini   s.r.l.,
rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Lucchetti, con  domicilio
eletto  presso  l'avv.  Angelo  Clarizia  in  Roma,  via  Principessa
Clotilde n. 2; 
    Contro Regione Marche, rappresentata e difesa dall'avv. Gabriella
De Berardinis, con domicilio eletto presso l'avv. Michele  Romano  in
Roma, via Domenico Morichini n. 41; 
    Comune di Cingoli; 
    Provincia di Macerata; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Marche - Ancona: Sezione
I  n.  00821/2011,  resa  tra  le  parti,  concernente   accertamento
insussistenza  diritto  del  comune  a  percepire  l'incremento   del
contributo per l'attivita' estrattiva. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Marche; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  11  dicembre  2012  il
Cons. Fabio Franconiero e uditi le parti  gli  avvocati  Lucchetti  e
Romano, per delega dell'avv. De Berardinis; 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. - La SIELPA  -  Societa'  Industriale  Estrazione  Lavorazione
Pietre e Affini s.r.l., titolare del diritto di  coltivare  una  cava
sita nel territorio del Comune di Cingoli, in virtu'  di  convenzione
ex  l.r.  n.  71/1997  («Norme  per  la  disciplina  delle  attivita'
estrattive) in data 8 marzo 2004, ha adito il TAR Marche esponendo: 
        di corrispondere al predetto  Comune  un  contributo  per  le
spese necessarie  all'esecuzione  di  interventi  pubblici  ulteriori
rispetto al mero recupero dell'area di cava e delle strade di accesso
inizialmente fissato in 0,88 e 031 euro  per  ogni  mc  di  materiale
inerte da estrarre (rispettivamente calcare massiccio e bugarone)  da
estrarre in base al progetto autorizzato, poi adeguato ad € 1, quanto
al calcare; il tutto  in  virtu'  di  delibere  di  giunta  regionale
regolanti tale aspetto del rapporto concessorio; 
        che sulla tariffa era intervenuto il  legislatore  regionale,
dapprima con l'art. 24 della l.r. n. 19/2007  [«Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  della  Regione  (legge
finanziaria 2008)»], disponendone un aumento ad € 1,40 per il calcare
massiccio e 0,42 per il bugarone, ma facendo espressamente  salve  le
convenzioni  gia'  stipulate;  quindi  estendendo   l'incremento   in
questione anche a queste ultime, con l'art. 42, comma 3,  della  l.r.
n. 31/2009 [«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2010
e pluriennale 2010/2012 della Regione (Legge finaziaria 2010)»]; 
        che, per l'effetto, il contributo preteso dal Comune  di  San
Severino Marche era passato da 135.303,73 a 204.359,15 euro. 
    Tanto premesso, chiedeva che venisse accertata l'infondatezza  di
tale richiesta di  pagamento,  sostenendo  che  l'ultima  finanziaria
regionale e' in contrasto con gli artt. 3, 23, 41, 53, 97, 102, 111 e
117, comma 1, Cost. ed instando  pertanto  per  la  rimessione  della
questione alla Corte costituzionale. 
    In via subordinata deduceva  che  il  Comune  aveva  erroneamente
applicato  l'incremento  del  contributo  anche  a  quantitativi   di
materiale  non  effettivamente  estratto  o  sui  quali  aveva   gia'
corrisposto il contributo, formulando analoga domanda con riguardo  a
questi ultimi, previa compensazione legale  della  somma  maturata  a
proprio  credito   o,   in   via   ulteriormente   subordinata,   con
dichiarazione del proprio diritto alla restituzione delle somme  gia'
versate e corrispondenti ai quantitativi non estratti. 
    2. - Con la sentenza appellata il TAR adito: 
        respingeva la domanda principale,  giudicando  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale formulata dalla
societa' ricorrente in relazione a tutti i parametri dedotti; 
        accoglieva la domanda  subordinata,  dichiarando  il  diritto
della  ricorrente  ad  assolvere  il  contributo   sui   quantitativi
effettivamente estratti l'anno precedente, in conformita' al disposto
dell'art. 17 della l.r. n. 71/1997 e dunque a vedersi scomputati  gli
importi corrispondenti a quantitativi non estratti nondimeno  pretesi
in pagamento dall'amministrazione comunale resistente. 
    3. - La SIELPA propone appello, nel quale reitera la questione di
costituzionalita' della norma  di  legge  finanziaria  regionale  per
l'anno 2010 in relazione ai seguenti parametri: 
        artt. 3, 23 e 53, sulla premessa  del  carattere  retroattivo
dell'incremento tariffario contestato, circostanza in relazione  alla
quale assume violato il proprio legittimo affidamento alla stabilita'
e  prevedibilita'  del  contributo  originariamente   fissato   nella
convenzione per  la  coltivazione  della  cava,  da  intendersi  come
variabile  necessaria  per  la  stima   del   margine   di   profitto
ragionevolmente ritraibile dalla gestione di tale attivita' economica
e dunque per il  mantenimento  dell'equilibrio  economico-finanziario
dell'impresa.  Al  riguardo  evidenzia  che  in  virtu'  della  legge
mineraria regionale (l.r. n. 71/997, art. 17, comma 2) il  contributo
e' soggetto ad adeguamento sulla base dell'indice  ISTAT  dei  prezzi
delle  attivita'  estrattive,  con  decisione  rimessa  alla   giunta
regionale, e dunque con provvedimento amministrativo  sindacabile  in
sede giurisdizionale, mentre con la norma contestata si  e'  disposto
in via diretta un aumento del tutto disancorato dalle  dinamiche  del
mercato delle  suddette  attivita',  al  solo  scopo  di  coprire  il
disavanzo regionale, come evincibile dal contemporaneo aumento  della
quota di riparto del contributo in favore della Regione; 
        artt. 117 e 10 in  relazione  ai  principi  di  stabilita'  e
certezza del diritto  ricavabili  dalla  Convenzione  europea  per  i
diritti dell'uomo (art. 1, prot. n. 1 allegato alla Convenzione); 
        art. 41, per la  vanificazione  retroattivamente  determinata
nei  confronti  di  assetti  economici  cristallizzati  in   rapporti
contrattuali gia' perfezionatisi; 
        art. 97,  sulla  negativa  incidenza  della  regolamentazione
normativa retroattiva nei confronti dell'attivita' amministrativa con
riguardo  alla  rideterminazione  della  quota  di  ripartizione  del
contributo tra Regione, Provincia e Comune; 
        artt. 102  e  111  Cost.,  per  l'interferenza  in  tal  modo
attuatasi   del   potere   legislativo    regionale    nell'attivita'
giurisdizionale. 
    4. - Dal canto suo la Regione resistente obietta che l'incremento
tariffario in contestazione e' ragionevole, visto che dopo 10 anni di
durata  contrattuale,  l'adeguamento  in  base  agli   indici   Istat
«potrebbe risultare non piu' congrua allo scopo e fuori dal  mercato»
(pag. 2 della memoria conclusionale). 
    Sul punto l'amministrazione resistente si dilunga sull'evoluzione
culturale che ha condotto ad una maggiore sensibilita' per  i  valori
paesaggistico-ambientali e le connesse  responsabilita'  sociali  per
l'attivita'  estrattiva.  In  sostanza,   assume   che   l'incremento
tariffario  costituisce  la  monetizzazione   per   lo   sfruttamento
dell'habitat naturale, nonche' la  presa  d'atto  della  sopravvenuta
inadeguatezza delle tariffe  fissate  sotto  l'egida  della  l.r.  n.
71/1997: riporta uno studio di Legambiente - Rapporto Cave 2011,  dal
quale si ricava che l'importo medio dei canoni concessori si  attesta
al 4% del prezzo di vendita degli inerti (per  le  Marche  lo  studio
evidenzia che a fronte di entrate dai canoni  di  estrazione  pari  a
593.642 euro,  il  volume  d'affari  da  attivita'  estrattive  delle
imprese  della  regione,  per  i  prezzi  di  produzione  e  vendita,
ammontano rispettivamente a 489.278 e 10.451.450). 
    L'amministrazione   resistente,   inoltre,   sostiene   che    la
disposizione  censurata  e'  espressiva  di   opzioni   di   politica
legislativa ampiamente discrezionali, a fronte  delle  quali  non  e'
invocabile alcun affidamento (Corte Cost., sent.  n.  374/2002);  nei
cui confronti il sindacato di costituzionalita' e' ammesso nei limiti
della irragionevolezza (Corte Cost., sent. n. 393/2000);  e  che  con
essa si e'  posto  rimedio  ad  una  disparita'  di  trattamento  tra
operatori sottoposti all'incremento e operatori invece  ad  esso  non
soggetti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Cosi'  riassunte  le  opposte  prospettazioni  delle  parti,
occorre  subito  sgomberare  il  campo  da  quest'ultima   eccezione,
giacche' l'effetto lesivo lamentato dalla societa' odierna appellante
deriva - con norma che la  stessa  assume  (infondatamente,  come  si
vedra') retroattiva - dall'estensione alle concessioni gia' stipulate
dell'incremento tariffario stabilito con la legge finanziaria di  due
anni precedenti, quale operata dalla  manovra  finanziaria  regionale
per il 2010, con il comma 3 dell'art. 42.  Per  cui  e'  quest'ultima
disposizione legislativa regionale  che  la  medesima  appellante  ha
interesse  a  rimuovere,  giacche'  da  cio'  essa  si   sottrarrebbe
all'aumento disposto in via legislativa, ottenendo il ripristino  del
regime tariffario vigente al momento della stipula della convenzione. 
    2. - Quest'ultima notazione denota la rilevanza  della  questione
di costituzionalita' che qui viene chiamati a  deliberare.  In  altri
termini,  l'accoglimento  della  domanda  principale   azionata   nel
presente giudizio non  puo'  che  passare  attraverso  l'annullamento
della norma regionale censurata, in quanto fondante la  richiesta  di
pagamento contestata. 
    3. - Passando ora ad esaminare il requisito della  non  manifesta
infondatezza, come accennato poc'anzi deve in primo luogo  escludersi
che l'estensione tariffaria operata dall'art. 42 in  questione  abbia
carattere retroattivo. 
    La convenzione pone infatti a carico dell'impresa  concessionaria
l'obbligo di pagare il contributo  su  base  annuale:  l'obbligazione
corrisponde quindi ad una annualita' di attivita'  estrattiva,  sulla
falsariga delle obbligazioni tributarie per imposte dirette,  benche'
la  stessa  debba  essere  assolta,  in  virtu'  dell'art.  16  della
convenzione, entro il 31 marzo dell'anno successivo. Cio' al fine  di
consentire di  quantificare  il  contributo  dovuto  sulla  base  del
materiale estratto nell'anno, con  eventuale  conguaglio  rispetto  a
quanto gia' versato. 
    Tanto precisato, la norma finanziaria regionale censurata ha reso
efficace l'incremento  tariffario  gia'  nel  2009:  anticipatamente,
quindi, rispetto all'anno finanziario che la manovra era destinata  a
regolare, ma, tenuto conto della sua entrata in vigore il 25 dicembre
2009 (ex art. 60, il  giorno  successivo  la  sua  pubblicazione  sul
bollettino ufficiale della regione n. 121 del 24 dicembre), prima che
l'obbligazione contributiva annuale venisse a scadenza. 
    La ridetta norma non  incide  quindi  su  situazioni  esaurite  e
risponde peraltro ad un'evenienza del tutto fisiologica, in base alla
quale il potere legislativo interviene nel senso modificare nel corso
del tempo la disciplina normativa di situazioni giuridiche ad effetti
permanenti o comunque durature. 
    3.1. - Sono  pertanto  manifestamente  infondate  le  censure  di
violazione degli artt. 102 e 111 Cost., formulate specificatamente su
tale presupposto, oltre che per la  radicale  mancanza  di  qualsiasi
interferenza  della  norma  sospettata  di  incostituzionalita'   con
l'attivita' giurisdizionale. 
    3.2. - Del  pari,  non  e'  dato  cogliere  alcuna  ricaduta  con
l'attivita' amministrativa ed il principio di buon andamento ex  art.
97  Cost.,  quand'anche  si  volesse  annettere  alla  ridetta  norma
efficacia retroattiva, nella rideterminazione delle quote di  riparto
del contributo tra i vari livelli di governo territoriale  in  ambito
regionale. 
    3.3. - Ad analoga conclusione deve  pervenirsi  in  relazione  al
supposto contrato con il principio costituzionale della  liberta'  di
impresa ex art. 41 Cost., considerato che la  disposizione  censurata
non  impedisce   l'esercizio   di   tale   diritto,   limitandosi   a
regolamentarne gli aspetti economici nel corso della sua durata. 
    4. - In generale, la  questione  di  costituzionalita'  e'  posta
sulla base di una premessa argomentativa non condivisibile,  ma  cio'
nondimeno, dalla stessa e'  possibile  enucleare  alcuni  profili  in
grado di condurre ad una deliberazione positiva della stessa. 
    5. - Ha infatti ragione la Sielpa a  dolersi  dell'ingiustificata
lesione del proprio affidamento e dunque dell'irragionevolezza  della
disposizione censurata ai sensi dell'art. 3 Cost. 
    5.1.  -  Sul  punto,  si  e'  formato  presso  la  giurisprudenza
costituzionale un indirizzo interpretativo tendente  a  frapporre  al
libero esplicarsi  della  potesta'  legislativa  di  regolazione  dei
rapporti di durata il limite della ragionevolezza, intesa quale  equo
contemperamento delle aspettative  riposte  dai  privati  destinatari
della   normativa   sopravvenuta   in   ordine    alla    stabilita',
prevedibilita' e certezza dei diritti da tale rapporto  nascenti  (ex
multis: sentenze 24 luglio 2009, n. 23 e 22 ottobre 2010, n. 302). 
    Degna  di  particolare  attenzione   ai   fini   della   presente
deliberazione e' la seconda delle citate  pronunce,  nella  quale  la
Corte Costituzionale ha si'  rigettato  la  questione  -  concernente
l'incremento dei  canoni  di  concessione  demaniale  deciso  con  la
finanziaria per il  2007  (legge  n.  296/2006)  -  ma  al  tal  fine
valorizzando la circostanza che l'incremento era stato disposto sulla
base di un  parametro  ragionevole,  avente  il  legittimo  scopo  di
riallineare i canoni di concessione demaniale a valori di  mercato  e
che l'aumento in se' non era giunto inaspettato per gli operatori del
settore, essendo stato gia' disposto dal d.l. n.  269/2003,  peraltro
attraverso una  rivalutazione  delle  tariffe  vigenti  del  300%,  e
prorogato di anno in anno. Cosicche' l'intervento  della  finanziaria
del 2007  si  e'  posto  in  funzione  correttiva  di  un  incremento
stabilito in misura fissa, attraverso l'introduzione  di  un  sistema
parametrico, ancorato a  valori  medi  rilevati  su  base  statistica
(moltiplicando superficie complessiva del manufatto per la media  dei
valori mensili unitari minimi e  massimi  indicati  dall'Osservatorio
del mercato immobiliare per la zona  di  riferimento),  in  grado  di
rendere manifesta l'opzione di politica legislativa ad esso sottesa. 
    5.2. - Esattamente l'opposto e' avvenuto nel caso di specie. 
    In questo caso, nell'estendersi alle convenzioni gia'  in  essere
alla data della sua entrata in vigore, che solo due anni prima  erano
state espressamente fatte salve, la disposizione censurata  introduce
un aumento indiscriminato per tutti gli operatori. 
    Con riguardo alla misura  dell'aumento  in  se',  esso  e'  stato
fissato, per il materiale estratto nella cava coltivata dalla Sielpa,
nella non irrilevante  misura  pari  quasi  ad  un  mezzo  di  quello
originariamente convenuto (0,88 contro 1,40  euro  per  metro  cubo),
nonche' di un quinto rispetto alla misura successivamente  rivalutata
con delibera di giunta (n. 1657 del 28 dicembre 2004), e di un  terzo
per quanto riguarda il bugarone (da 0,31 a 0,42 per metro  cubo).  Il
tutto senza tenere conto, appunto, degli incrementi  fino  ad  allora
stabiliti in via amministrativa, impedendo in tal modo agli operatori
economici  interessati  di  interloquire  sul  punto,  al   fine   di
rappresentare la specifica situazione, con il risultato che al quinto
anno  di  durata  del  contratto  l'onere  economico,  a  parita'  di
materiale estratto, risulta aumentato di circa un  terzo,  ben  oltre
quindi l'adeguamento Istat originariamente convenuto,  in  pedissequa
applicazione dell'art. 17, comma 2, della legge  mineraria  regionale
del 1997. 
    A questo specifico riguardo, in base al  diritto  vivente,  quale
ricostruibile sulla base delle  pronunce  dell'Adunanza  plenaria  di
questo Consiglio, l'intervento autoritativo comportante a  posteriori
conseguenze  economiche  sfavorevoli  per  soggetti   imprenditoriali
nell'ambito di un rapporto  di  durata  «impone  l'osservanza  di  un
percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che
assicuri l'equilibrato contemperamento degli  interessi  in  rilievo,
nonche' esige una motivazione tanto piu' approfondita quanto maggiore
e' il distacco dalla prevista  percentuale  di  tagli»  (sentenza  12
aprile 2012, n. 3, relativa alla fissazione di  tetti  provvisori  di
spesa per le strutture private  accreditate  col  Servizio  sanitario
nazionale). 
    Pertanto,  l'equilibrato  bilanciamento  tra   le   esigenze   di
raggiungimento degli obiettivi di  bilancio  da  parte  dei  pubblici
poteri ed il correlativo  sacrificio  economico  imposto  ai  privati
esige in linea di principio una sede amministrativa  di  ponderazione
degli  opposti  interessi,  al  fine  di  consentire  ai  secondi  di
rappresentare le proprie posizioni e le conseguenze che  l'intervento
determinerebbe per gli equilibri economico-finanziari delle attivita'
imprenditoriali esercitate. 
    Per contro, la determinazione tariffaria  con  atto  legislativo,
pur ammessa in astratto, costituisce una forte deviazione rispetto  a
questo modello partecipativo di esercizio della  potesta'  d'imperio,
costringendo il soggetto inciso a spostare  l'oggetto  della  propria
impugnativa  dal   giudizio   di   legittimita'   del   provvedimento
amministrativo a quello sulla costituzionalita' dell'atto  normativo,
sulla base di uno scrutinio stretto, sostanzialmente riproduttivo del
primo. 
    Il che conferma ulteriormente la non manifesta infondatezza della
questione sollevata  dalla  societa'  appellante,  sotto  il  profilo
suddetto. 
    5.2.1. Ne' ha pregio l'argomentazione  difensiva  della  Regione,
secondo cui la norma avrebbe lo scopo  di  parificare  la  situazione
degli  operatori  sottoposti  all'incremento  tariffario   contestato
rispetto a quelli ad esso non soggetti. 
    Ad essa, infatti, puo' replicarsi  osservando  che,  in  disparte
l'ondivago atteggiamento tenuto sul punto dal  legislatore  regionale
nel giro di soli due anni, per i primi l'incremento  non  puo'  dirsi
inaspettato,  cosicche'  deve  supporsi  che  esso  costituisca   una
variabile nota  nel  necessario  calcolo  di  convenienza  prodromico
all'avvio di un'iniziativa imprenditoriale, diversamente da quelli le
cui convenzioni sono state stipulate in epoca precedente.  E'  quindi
l'equiparazione di queste due categorie  a  rivelarsi  irragionevole,
vista la sostanziale diversita' delle rispettive posizioni. 
    5.2.2.  Deve  ancora   essere   disatteso   l'assunto   difensivo
dell'amministrazione   resistente   secondo   cui   l'incremento   in
contestazione  e'  stato  disposto  in  ossequio  ad  una   rinnovata
concezione  del  contributo  per  attivita'  estrattiva,   volto   ad
addossare agli operatori del settore  la  conseguente  compromissione
dei valori paesaggistico-ambientali. 
    Si tratta infatti  di  un  opzione  di  politica  legislativa  in
astratto incensurabile, ma nel caso di  specie  essa  non  emerge  in
alcun modo dal contenuto e dalle finalita' della normativa censurata,
che ha ad oggetto la manovra finanziaria triennale della Regione. 
    5.3. - La questione di costituzionalita' dell'art. 42,  comma  3,
l.r. n. 31/2009 puo' dunque essere sollevata  sotto  questo  profilo,
esclusi  invece  dallo  stesso  gli  altri  parametri  evocati  dalla
societa' odierna appellante e cioe' l'art. 23 e 53 Cost., non  avendo
il contributo in questione natura di tributo ma di corrispettivo  per
l'uso di un bene pubblico. 
    6. - La questione non risulta  manifestamente  infondata  nemmeno
per contrasto dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 1,
del 1 protocollo addizionale alla Convenzione europea per  i  diritti
dell'uomo («protezione della proprieta'»). 
    Posto che la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha  infatti
adottato una nozione ampia di «bene patrimoniale», includendovi anche
i crediti e le legittime aspettative,  il  Giudice  convenzionale  ha
anche stabilito che l'ingerenza dei pubblici poteri deve  cogliere  i
giusti equilibri tra le esigenze imperative di interesse  generale  e
l'imprescindibile preservazione dei  diritti  fondamentali  dell'uomo
(da ultimo: sentenze 26 aprile 2011, su ric. n. 32521/05 e 24 gennaio
2012 - su ric. n. 11838/07 e n. 12302/07), si e'  finora  visto  come
nel caso di specie dall'intervento  normativo  censurato  non  emerga
alcun  bilanciamento,  essendo  lo  stesso  motivato  unicamente   da
finalita' di riequilibrio dei conti pubblici. Ed anzi, tale finalita'
appare nettamente preponderante, atteso che - come sopra accennato  -
l'incremento tariffario qui contestato e' stato reso operativo gia' a
partire dal 2009 e dunque in  un  anno  non  compreso  nella  manovra
triennale 2010-2012. Tuttavia, nel relativo perseguimento si e' posto
un sacrificio economico nei confronti dei soli operatori del  settore
minerario, circoscrivendo  solo  a  questi  ultimi,  dunque,  l'onere
economico imposto dalla necessita' di correzione dei conti pubblici. 
    7. - Pertanto,  vanno  adottate  le  conseguenti  statuizioni  di
sospensione  del  giudizio  e  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti  gli  artt.  134  della   Costituzione,   1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
n.  87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,   in
relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 117 Cost., la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 42,  comma  3,  della  legge
regionale Marche n. 31/2009. 
    Sospende il giudizio in corso ed ordina l'immediata  trasmissione
degli atti  alla  Corte  costituzionale.  Ordina  che  a  cura  della
Segreteria la presente ordinanza sia  notificata  alle  parti  e  sia
comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  11
dicembre 2012. 
 
                        Il Presidente: Branca 
 
 
                                             L'Estensore: Franconiero