N. 204 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2013

Ordinanza del 18 gennaio  2013  emessa  dal  Tribunale  di  Roma  nel
procedimento civile promosso da R.A. contro INPS. 
 
Lavoro e previdenza (controversie in materia  di)  -  Previsione  che
  nelle  controversie  in  materia  di  invalidita'  civile,  cecita'
  civile, sordita' civile, handicap e disabilita', nonche' di assegno
  di inabilita' e di assegno di invalidita', chi intende proporre  in
  giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta,
  con ricorso al giudice competente, domanda di accertamento  tecnico
  per la verifica preventiva delle condizioni legittimanti la pretesa
  fatta valere - Previsione  che  l'espletamento  tecnico  preventivo
  costituisce condizione di procedibilita' della domanda - Previsione
  che,  a   seguito   dell'espletamento   dell'accertamento   tecnico
  preventivo, in caso di mancata contestazione delle conclusioni  del
  consulente  tecnico  d'ufficio  entro  il  termine  perentorio  non
  superiore a trenta giorni fissato con apposito decreto, il  giudice
  stesso, con decreto non impugnabile  e  non  modificabile,  omologa
  l'accertamento  del  requisito  sanitario  secondo  le   risultanze
  probatorie  indicate  nella  relazione   del   consulente   tecnico
  dell'ufficio provvedendo sulle spese - Previsione  dell'informativa
  obbligatoria all'INPS al fine della partecipazione alle  operazioni
  peritali con un  proprio  perito  -  Violazione  del  principio  di
  uguaglianza  sotto  i  profili  della  irragionevolezza   e   della
  disparita' di trattamento di soggetti nelle stesse  condizioni  (ad
  es. lavoratori di una stessa fabbrica) in dipendenza della  materia
  disciplinata dalla norma processuale (provvedimenti  assistenziali,
  previdenziali e pensionistici  gestiti  dall'INPS)  -  Lesione  del
  diritto di azione e di difesa in giudizio per l'introduzione di una
  giurisdizione  condizionata,  per  l'inesistenza   attiva   di   un
  difensore tecnico e per la mancata previsione di un tempus  per  la
  discussione del caso - Violazione del principio  della  motivazione
  dei  provvedimenti  giurisprudenziali  -  Lesione  della   garanzia
  previdenziale. 
- Codice  di  procedura  civile,  art.  445-bis;   decreto-legge   30
  settembre 2005, n. 203, convertito in legge  2  dicembre  2005,  n.
  248, art. 10, comma 6-bis. 
- Costituzione, artt. 24, 38 e 111. 
Lavoro e previdenza  (controversie  in  materia  di)  -  Accertamento
  tecnico preventivo del requisito sanitario - Decreto di omologa del
  giudice - Mancata attribuzione della qualita' di titolo esecutivo -
  Violazione del principio  di  ragionevolezza  e  dei  principi  del
  giusto processo. 
- Codice di procedura civile, art. 445-bis. 
- Costituzione, artt. 3 e 111. 
Lavoro e previdenza  (controversie  in  materia  di)  -  Accertamento
  tecnico preventivo -  Termine  perentorio  per  il  deposito  della
  dichiarazione di contestazione delle conclusioni del CTU -  Decreto
  di  omologa  dell'accertamento  sul   requisito   sanitario   senza
  preventivo contraddittorio tra le parti - Termine perentorio per il
  deposito del ricorso introduttivo della fase contenziosa - Sanzione
  di inammissibilita' per la mancata specificazione dei motivi  della
  contestazione -  Lesione  del  principio  di  uguaglianza  sotto  i
  profili della irragionevolezza e della  disparita'  di  trattamento
  delle parti - Violazione del diritto  di  azione  e  di  difesa  in
  giudizio - Lesione della garanzia giurisprudenziale. 
- Codice di procedura civile, art. 445-bis, commi 4, 5 e 6. 
- Costituzione, artt. 3 e 38. 
Lavoro  e  previdenza  (controversie  in  materia  di)   -   Prevista
  inappellabilita' della sentenza che definisce il  giudizio  di  cui
  all'art.  445-  bis  del  c.p.c.  -  Violazione  del  principio  di
  uguaglianza  sotto  i   profili   dell'irragionevolezza   e   della
  disparita' di trattamento - Lesione del  diritto  di  azione  e  di
  difesa in giudizio - Violazione dei principi del giusto processo. 
- Codice di procedura civile, art. 445-bis, comma 7. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111. 
(GU n.40 del 2-10-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di  primo
grado, iscritta al n. 7202  R.G.  degli  Affari  Civili  contenziosi,
dell'anno  2012  e  vertente  tra  R.  A.  (21.6.1941)  elettivamente
domiciliato in Roma, via degli Ortaggi n. 4, nello  studio  dell'avv.
Beatrice Devanna che lo rappresenta e difende per procura  a  margine
del  ricorso,  ricorrente  e  I.N.P.S.,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato, in  Roma,  via
Amba Aradam n. 5, rappresentato e  difeso  dal  funzionario  Cristina
Scalamandre'  per  delega  del  Direttore  della  Sede   Provinciale,
resistente. 
    OGGETTO: invalidita' civile. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con ricorso ex art. 445-bis cod. proc. civ., depositato  in  data
8.3.2012 l'istante in epigrafe chiedeva al  Giudice  del  lavoro  del
Tribunale  di  Roma,  l'accertamento  del  requisito  sanitario  onde
ottenere il  pagamento  delle  provvidenze  economiche  d'invalidita'
civile  (indennita'   di   accompagnamento),   affermando   di   aver
inutilmente esperito  il  procedimento  amministrativo  e  di  essere
portatore di una invalidita'/inabilita' di grado tale da giustificare
la   concessione    della    prestazione    pensionistica    (domanda
amministrativa del 27.6.2011). 
    Instauratosi il contraddittorio,  l'INPS  resisteva  al  ricorso,
concludendo in ogni caso per il rigetto della domanda. 
    All'udienza  all'uopo  fissata  il   giudice   cosi'   provvedeva
sull'eccepita  illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  445-bis
cod. proc. civ. nonche' dell'articolo 10, comma 6-bis, del D.L. legge
30 settembre 2005, n. 203 convertito con modificazioni nella legge  2
dicembre 2005, n. 248 per contrasto con i principi di  ragionevolezza
in violazione degli articoli 24, 38, 111 Cost. 
    1° Motivo di illegittimita' costituzionale dell'articolo  445-bis
cod. proc. civ. nonche' dell'articolo 10, comma 6-bis, del D.L. legge
30 settembre 2005, n. 203 convertito con modificazioni nella legge  2
dicembre 2005, n. 248 per contrasto con i principi di  ragionevolezza
in violazione degli articoli 24, 38, 111 Cost. 
    La norma che si svolge sotto il  titolo:  ''accertamento  tecnico
preventivo obbligatorio'' prevede che, nelle controversie in  materia
di invalidita' civile, cecita' civile, sordita'  civile,  handicap  e
disabilita', nonche' di  pensione  di  inabilita'  e  di  assegno  di
invalidita', disciplinate dalla legge 12 giugno  1984,  n.  222,  chi
intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri
diritti,  presenta  con  ricorso  al  giudice  competente  ai   sensi
dell'articolo  442  cod.  proc.  civ.,  presso  il  tribunale   (sede
principale)  nel  cui  circondario  risiede  l'attore,   istanza   di
accertamento  tecnico  della  verifica  preventiva  delle  condizioni
sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. 
    La parte che intende proporre la domanda giudiziale deve, dunque,
presentare ricorso contenente "istanza di accertamento tecnico  della
verifica  preventiva  delle  condizioni  sanitarie  legittimanti   la
pretesa fatta valere". 
    A seguito del deposito del ricorso, il giudice  procede  a  norma
dell'articolo 696-bis cod. proc. civ., in quanto compatibile, nonche'
secondo le  previsioni  inerenti  all'accertamento  peritale  di  cui
all'articolo 10, comma 6-bis del  D.L.  30  settembre  2005  n.  203,
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e
dall'articolo 195 (1) . 
    La richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico interrompe
la prescrizione. 
    Nel verbale di giuramento e di affidamento dell'incarico peritale
il giudice deve invitare il consulente ad adeguarsi al  disposto  del
novellato art. 10 comma 6-bis del decreto-legge 203/2005  cosi'  come
modificato. 
    Ai sensi del comma 8 dell'art. 38  della  legge  n.  111/2011  di
conversione del D.L. n. 98/2011,  il  CTU  ha  l'obbligo  di  inviare
apposita  comunicazione,  anche  telematica,  al  direttore  di  sede
provinciale dell'INPS,  almeno  15  giorni  prima  dell'inizio  delle
operazioni peritali, sotto pena di nullita' eccepibile  e  rilevabile
anche d'ufficio dal giudice. 
    L'espletamento dell'accertamento tecnico  preventivo  costituisce
condizione di procedibilita' della domanda di cui al primo comma. 
    L'articolo 445-bis citato  dispone  che  l'improcedibilita'  deve
essere  eccepita  dal  convenuto  a  pena  di  decadenza  o  rilevata
d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.  Il  giudice,  ove
rilevi che l'accertamento tecnico preventivo non e'  stato  espletato
ovvero che e' iniziato ma non si e' concluso, assegna alle  parti  il
termine  di  15  giorni  per   la   presentazione   dell'istanza   di
accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso. 
    A seguito dell'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo,
in caso di mancata contestazione  delle  conclusioni  del  consulente
tecnico d'ufficio (entro il termine perentorio non superiore a trenta
giorni fissato con apposito decreto), il  giudice,  con  decreto  non
impugnabile e non modificabile, omologa l'accertamento del  requisito
sanitario secondo le risultanze probatorie indicate  nella  relazione
del consulente tecnico dell'ufficio provvedendo sulle spese. 
    A seguito della notifica agli enti competenti, questi provvedono,
subordinatamente alla  verifica  di  tutti  gli  ulteriori  requisiti
previsti  dalla  normativa  vigente,  al  pagamento  delle   relative
prestazioni, entro 120 giorni. 
    Nei casi di mancato accordo la  parte  che  abbia  dichiarato  di
contestare le  conclusioni  del  consulente  tecnico  d'ufficio  deve
depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine
perentorio di 30 giorni dalla  formulazione  della  dichiarazione  di
dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando  a  pena
di inammissibilita', i motivi della contestazione. 
    In base a quanto disposto dall'articolo 152 disp. att. cod. proc.
civ, la parte  ricorrente,  sempre  a  pena  di  inammissibilita'  di
ricorso, deve  formulare  apposita  dichiarazione  del  valore  della
prestazione dedotta  in  giudizio,  quantificandone  l'importo  nelle
conclusioni dell'atto introduttivo. 
    Ai sensi del comma 2 dell'art. 38, la norma entra  in  vigore  il
giorno l° gennaio 2012. 
    La norma non lascia equivoci per dire che qui siamo  in  presenza
di una nuova forma di "giurisdizione condizionata",  espressione  che
descrive le ipotesi nelle quali l'accesso alla tutela giurisdizionale
viene dalla legge subordinato al  previo  adempimento  di  oneri  (in
senso lato) procedurali a carico delle parti. 
    Sulla base  di  un  consolidato  principio  della  giurisprudenza
costituzionale, la previsione  di  una  "giurisdizione  condizionata"
contrasta con la Costituzione solo quando  non  sia  giustificata  da
esigenze di ordine generale o da superiori finalita' di  giustizia  e
non sia ispirata da criteri di ragionevolezza. 
    Secondo Corte cost. 25 luglio 2008, n. 296, il principio generale
e' quello dell'accesso immediato alla  giurisdizione  ordinaria,  che
puo' essere ragionevolmente derogato da norme ordinarie,  di  stretta
interpretazione (sentenza n.  403  del  2007)  solo  in  presenza  di
"interessi generali" o di pericoli di abusi (sentenze n. 403 del 2007
e n. 82 del 1992) o di interessi sociali (sentenza n. 251 del 2003) o
da superiori finalita' di  giustizia  (sentenza  n.  406  del  1993);
circostanze  che  sono  state  ravvisate  nel  caso  di  controversie
nascenti da rapporti di  lavoro  (sentenza  n.  82  del  1992)  o  di
assicurazioni obbligatorie (sentenza n. 251 del 2003). 
    Nella specie si tratta,  peraltro,  di  una  forma  "atipica"  di
giurisdizione  condizionata,   in   quanto   l'accertamento   tecnico
preventivo e' qui diretto ad acquisire elementi di prova direttamente
rilevanti nel successivo, eventuale giudizio "di merito" e, in questo
senso, puo' essere considerato una vera e propria "anticipazione" del
tempo di espletamento della consulenza tecnica  d'ufficio,  che,  dei
giudizi in esame, costituisce accertamento istruttorio ineludibile. 
    In questo senso non puo' non essere segnalato il profilo di forte
differenziazione   rispetto   alla   condizione   di   procedibilita'
costituita   dall'esperimento   del   procedimento   di    mediazione
obbligatoria ex d.lgs. n. 28 del 2010, il quale ha funzione del tutto
diversa e, soprattutto, non e' diretto, per definizione, ad acquisire
elementi di prova rilevanti nel successivo  (ed  eventuale)  giudizio
contenzioso davanti al giudice. 
    Ad una prima lettura d'insieme della normativa, pare  che  questa
limiti, fino ad impedirlo, il diritto costituzionale di azione  e  di
difesa, contemplato dall'articolo 24 Cost., ne' mostra la ragionevole
diversita' di trattamento tra soggetti uguali (ad es.  lavoratori  di
una stessa fabbrica), soltanto per  via  della  materia  disciplinata
dalla norma processuale (provvedimenti assistenziali,  previdenziali,
pensionistici gestiti dall'Inps). 
    Invero, la norma riduce l'organo giurisdizionale a mero organismo
sussidiario che svolge soltanto un ruolo  al  piu'  direttivo  ovvero
esecutivo  degli  interventi  normativamente  previsti  (in  pratica:
nomina il CTU e fissa l'inizio delle operazioni peritali ex 3°  comma
dell'art. 626 cod. proc. civ., richiamato dal 1° comma  dell'articolo
696-bis cod. proc.  civ.;  "ove  rilevi  che  l'accertamento  tecnico
preventivo  non  e'  stato  espletato...  assegna   alle   parti   il
termine..."; "... fissa un termine  perentorio  non  superiore  a  30
giorni...  ";  "...in   assenza   di   contestazione,   ...   omologa
l'accertamento   del    requisito    sanitario...");    tutti    atti
disciplinatori dell'iter, ma non decisionali. 
    Non muta la sostanza delle cose la  disposizione  di  cui  al  5°
comma della norma, per la quale "in assenza di contestazione, se  non
procede ai sensi dell'articolo 196, con decreto... ", giacche' non si
vede  perche'  mai,  nessuna  delle  parti  contestando  la  raccolta
consulenza, il giudice dovrebbe rinnovare le indagini peritali,  fino
a, magari per pretese gravi ragioni da nessuno segnalate,  sostituire
il consulente. 
    In buona sostanza, ancorche' svolgentesi sotto la direzione di un
giudice, il procedimento relativo all'accertamento tecnico preventivo
ha  natura  e  carattere  di   attivita'   svolta   da   organo   non
giurisdizionale.  Si  noti  che  il  giudice   non   partecipa   alla
consulenza, ne' entra in alcun modo nel  merito,  tanto  che,  quando
omologa l'accertamento del requisito sanitario, lo deve fare "secondo
le risultanze probatorie  indicate  nella  relazione  del  consulente
tecnico dell'ufficio". Il che confligge con l'articolo 111, 6° comma,
Cost.   che   esige   la   motivazione   di    tutti    provvedimenti
giurisdizionali. 
    Si pensi, al non infrequente caso in cui al giudice  si  chiedeva
nella  discussione  orale  e/o  scritta  del   "vecchio"   rito,   di
pronunciarsi circa l'anteriorita' della condizione sanitaria rispetto
al  tempo  stabilito  dal  CTU  -  cioe'  un'attivita'  di  decisione
avvalendosi della documentazione in atti,  magari  malamente  gestita
dal CTU - caso non piu' possibile a verificarsi  perche'  il  giudice
non puo' pronunciare  un  decreto  diverso  da  quello  adesivo  alle
risultanze del CTU medesimo. 
    L'inoppugnabilita' e la immodificabilita' del decreto di omologa,
completano il quadro, perche' relegano  al  rango  di  spettatore  il
difensore della parte ricorrente, al quale non e' riservato un  tempo
e un luogo, in cui far sentire la propria voce  (il  procedimento  si
svolge senza neppure un'udienza dopo aver raccolto la consulenza). 
    Ne' si puo' dimenticare che il comma 6-bis dell'art. 10 del  D.L.
30 settembre 2005, n. 203 (v. supra in nota 1)  produce  un  notevole
scompenso  del  principio   del   contraddittorio,   attribuendo   al
consulente  di  parte  INPS  una  sorta  di  libera  mobilita'  e  di
intervento senza regole, delle quali invece non gode l'eventuale - ma
assai raro come ben sanno i giudici del lavoro - consulente di  parte
del lavoratore. Ci si intende riferire  al  fatto  che  la  norma  in
questione ha introdotto un onere  del  CTU  relativo  all'informativa
obbligatoria al direttore dell'INPS circa l'inizio  delle  operazioni
peritali; e cio' al fine di consentire al medico di  parte  INPS,  di
"partecipare alle operazioni peritali in deroga al comma 1  dell'art.
201 del codice di procedura  civile".  Un  privilegio  a  favore  del
consulente della parte processuale INPS, peraltro piu' forte,  mentre
il consulente della parte ricorrente, quella piu' debole, deve ancora
essere nominato con  dichiarazione  ricevuta  dal  cancelliere,  come
prescrive l'art. 201 teste' richiamato. 
    Orbene,   pare   che   siffatto   costrutto   processuale    urti
irrimediabilmente il principio di ragionevolezza perche',  quali  che
siano le scelte del legislatore,  la  causa  legis  voluta  tutelare,
appare  scriteriato,  ovvero  privo  di  razionalita',  il  fatto  di
obbligare la parte ricorrente a dotarsi di  un  accertamento  tecnico
che, come concepito e costruito, non e' il  frutto  di  un  sereno  e
"terzo" esame delle condizioni sanitarie del soggetto, ma  il  frutto
delle inevitabili pressioni che la presenza, libera da vincoli  anche
formali, del medico INPS puo' indurre e di  fatto  induce.  A  questo
riguardo, giova rammentare  che,  in  sedi  INPS  non  grandi,  tutta
l'attivita' di accertamento  sanitario,  viene  svolta  da  due,  tre
medici organici all'ente, che -  poi -  presenziano  alla  CTU  quali
consulenti di parte, frequentemente trovandosi a rivedere  lo  stesso
soggetto, al quale nella fase amministrativa hanno negato l'esistenza
del requisito sanitario. 
    E davvero non si comprende perche' mai, in base a  quale  logica,
si sia il legislatore determinato, per un verso,  a  privilegiare  la
presenza della parte INPS nell'ATP, agevolandone  la  partecipazione;
per altro verso, a  limitare  il  ruolo  del  giudice  ad  interventi
prestabiliti e scevri di contenuto decisorio; per altro verso ancora,
ad eliminare ogni presenza attiva del difensore, per il che, sovente,
nell'ATP il ricorrente e' privo di una qualche assistenza. 
    E' assai difficile pensare che questo procedimento  abbia  dietro
di se' una ragione giustificatrice coerente con l'iter disegnato,  in
quanto, nella realta', introduce una modifica processuale  eccentrica
e peggiorativa rispetto a  quella  previgente,  mentre  le  norme  di
diritto sostanziale  (assistenziale  e  previdenziale),  sono  sempre
uguali ed immutate nel tempo. 
    D'altra parte,  non  v'e'  chi  non  veda  come  venga  stravolta
l'intera disciplina di cui al Titolo  IV,  Capo  II,  del  codice  di
procedura civile (relativa alle controversie in materia di assistenza
e previdenza obbligatorie),  al  tempo  concepita  per  agevolare  il
ricorso al giudice in modo pieno sin dalle sue prime fasi, proprio in
considerazione della delicatezza della materia oggetto del  giudizio,
dove si parla di mali e malanni degli esseri umani. 
    Parallelamente, la normativa in questione si mostra in  conflitto
con l'articolo 24 Cost. in quanto  il  procedimento  di  accertamento
tecnico  preventivo  pone  condizioni  di   sostanziale   impedimento
all'esercizio del diritto  di  azione  e  di  difesa.  Cosi'  e'  per
l'appena vista inesistenza attiva di un difensore tecnico,  ma  cosi'
e' anche per la mancata previsione di un tempus  per  la  discussione
del caso, mentre l'unica verosimile presenza del  difensore,  nel  6°
comma dell'art. 445-bis cod.  proc.  civ.,  e'  relativa  al  ricorso
introduttivo del giudizio (ad accertamento tecnico preventivo  oramai
tutto effettuato sotto l'onnipresenza del medico  INPS),  cui  viene,
peraltro, riservata  la  forca  caudina  della  inammissibilita'  per
mancata specificazione dei motivi della contestazione. 
    2° Motivo di incostituzionalita'  dell'art.  445-bis  cod.  proc.
civ., comma 5°: decreto di omologa  dell'accertamento  del  requisito
sanitario. Mancata attribuzione della qualita' di titolo esecutivo al
decreto  di  omologa.   Illegittimita'   costituzionale   dell'intero
articolo per violazione del principio di ragionevolezza ex art.  3  e
111 Cost. 
    La norma prevede che il decreto di omologa sia  "notificato  agli
enti competenti", i quali, previa verifica di  "tutti  gli  ulteriori
requisiti della normativa vigente", provvedono entro 120  giorni  "al
pagamento delle relative prestazioni". 
    La  mancata  espressa  attribuzione  della  qualita'  di   titolo
esecutivo - necessaria ex articolo 474 cod. proc. civ. per  i  titoli
giudiziali diversi dalla sentenza - pone il problema  se  il  decreto
costituisca titolo idoneo, in caso  di  mancato  spontaneo  pagamento
entro  il  termine  indicato,  a  consentire   l'accesso   all'azione
esecutiva. 
    La questione e' tale da travolgere l'intero articolo. 
    Invero,cosi' com'e' formulata  la  norma,  e'  del  tutto  logico
ritenere  che  il  procedimento  in  esame,  nonostante   l'"accordo"
implicito nel mancato deposito delle dichiarazioni di  dissenso,  non
sia idoneo  a  sfociare  in  un  titolo  esecutivo  (con  conseguente
necessita' di dare impulso ad  un'ulteriore  autonoma  azione,  anche
monitoria); l'intera "architettura" del nuovo procedimento mostra una
irragionevolezza  di  fondo,   tale   da   mettere   in   dubbio   la
costituzionalita' dell'intera normativa. 
    Imporre il  previo  svolgimento  della  consulenza  tecnica,  con
l'introduzione di un  termine  perentorio  per  la  dichiarazione  di
dissenso, decorso il quale il giudice omologa  "l'accertamento  delle
requisito sanitario", significa che il procedimento si  conclude  con
una sorta di provvedimento meramente "dichiarativo" della sussistenza
del requisito sanitario, limitato all'an debeatur. 
    Cosi'  stando  le  cose,  e'  lecito  dubitare  che  l'intervento
normativo abbia finalita' deflattiva, in  quanto  si  risolve  in  un
rilevante  appesantimento  delle  condizioni  di  accesso  a   tutela
giurisdizionale. 
    A questo riguardo, torna utile il richiamo  all'articolo  38  del
D.L. 6 luglio 2011,  n.  98  (quello  che  ha  introdotto  l'articolo
445-bis cod. proc. civ.), il  quale  nell'indicare  gli  scopi  della
legge, del tutto pianamente ammette che, tra i fini perseguiti  dalla
legge, vi e' anche quello di "deflazionare il contenzioso in  materia
previdenziale". 
    Si conferma cosi' che il legislatore ha voluto creare  condizioni
di accesso alla tutela giurisdizionale, notevolmente  piu'  difficili
rispetto al passato, allorquando dalla fase amministrativa si passava
direttamente a quella giudiziale, diretta da magistrato "pleno iure",
che disponeva anche  degli  ulteriori  mezzi  di  penetrazione  della
materia del contendere e  di  formazione  del  convincimento  (ad es.
interrogatorio   libero,   prova   testimoniale,   acquisizione    di
documentazione presso terzi, etc.). 
    Ora, atteso che di norma il ricorso giurisdizionale non puo'  non
comprendere anche la fase di formazione  di  un  titolo  di  condanna
idoneo a consentire l'accesso all'azione esecutiva, nel  nostro  caso
il  "percorso"  imposto  dalla  legge,  per  la  tutela  dei  diritti
soggettivi in gioco, prevede solo  la  possibilita'  di  ottenere  un
provvedimento meramente dichiarativo. 
    Un'interpretazione  siffatta  trova  giustificazione  nel  tenore
testuale della formula  "...  omologa  l'accertamento  del  requisito
sanitario...".  Al  di  la'  dell'utilizzo  improprio   del   termine
"omologazione" - di norma  utilizzato  per  consentire  all'atto  (ad
esempio, accordo di conciliazione o lodo arbitrale), previo controllo
giudiziario, di acquisire  la  qualita'  di  titolo  esecutivo  -  la
formula esprime la volonta' del legislatore  di  rendere  stabile  ed
efficace  il  solo  accertamento  dell'an,   lasciando   agli   "enti
competenti" il compito di accertare la  sussistenza  degli  ulteriori
presupposti necessari per il riconoscimento del trattamento,  nonche'
di quantificare gli importi dovuti e di  provvedere  "spontaneamente"
al relativo pagamento. 
    Balza,  quindi,   evidente   il   dubbio   di   costituzionalita'
dell'intero articolo 445-bis cod. proc. civ. per via,  ancora,  della
non ragionevolezza di una ipotesi di giurisdizione  condizionata,  la
quale, pur dando luogo ad un sostanziale "accordo", non  consente  la
formazione immediata  di  un  titolo  esecutivo  e  comunque  di  una
statuizione di  condanna,  costringendo,  in  ipotesi,  l'invalido  a
rivolgersi nuovamente al giudice (con buona pace, peraltro, del  fine
deflattivo). 
    Per altro verso, la possibilita' di attribuire  al  provvedimento
la qualita' di titolo esecutivo appare non priva di  ostacoli,  anche
richiamando quella giurisprudenza  sul  carattere  "implicito"  della
esecutorieta'. 
    Ad esempio, Cass. 26 maggio 2005,  n.  11196,  ha  ritenuto  che,
nella sentenza di accoglimento della  domanda  di  cessazione  di  un
rapporto agrario,  deve  ritenersi  implicito  l'ordine  di  rilascio
dell'immobile locato con la conseguenza che il concedente puo'  agire
in via esecutiva contro l'ex conduttore per ottenere il rilascio  del
fondo sulla base della sentenza che accerti la cessazione. 
    Nella  specie,  sarebbe  stato  quanto  meno  necessario  che  il
provvedimento di "omologa" contenesse gli elementi indispensabili per
l'individuazione del trattamento  dovuto  e  per  la  quantificazione
degli importi, elementi che sappiamo  essere  sempre  mancanti  nella
relazione del CTU, ove l'indagine peritale e'  gioco  forza  limitata
all'accertamento del solo requisito sanitario. Ne'  appare  possibile
richiamare  l'orientamento  giurisprudenziale  che  attribuisce  alla
sentenza di condanna, che non contenga la determinazione della  somma
dovuta, la  qualita'  di  titolo  esecutivo  "a  condizione  che  dal
complesso  di  informazioni  rinvenibili  nel  dispositivo  e   nella
motivazione, anche mediante l'integrazione con elementi certi perche'
acquisiti agli atti riguardanti dati ufficiali, possa procedersi alla
quantificazione con un'operazione meramente matematica" (Cosi'  Cass.
17 aprile 2009, n. 9245). 
    Il  provvedimento  all'esame  difetta  di  qualsiasi  statuizione
condannatoria  e  cio'  porta  ad  escludere   la   possibilita'   di
"costruire" un capo di  condanna,  nonche'  di  utilizzare  dati  non
contenuti nel provvedimento stesso. 
    3° Motivo di illegittimita' costituzionale dell'articolo  445-bis
cod. proc. civ. per gli ostacoli frapposti all'accesso al diritto  di
azione e di difesa di cui all'art. 24 Cost. con  violazione  altresi'
del  principio  di  ragionevolezza,  del  principio  di  parita'   di
trattamento di cui all'articolo 3 Cost. e dell'articolo 38  Cost.  in
relazione:  a)  al  termine  perentorio   per   il   deposito   della
dichiarazione di contestazione delle conclusioni del CTU (comma  4°);
b) al decreto di "omologa" dell'accertamento sul requisito  sanitario
che non ammette alcun preventivo contraddittorio tra le parti  (comma
5°);  c)  al  termine  perentorio  per  il   deposito   del   ricorso
introduttivo della fase contenziosa (comma 6°); d) alla  sanzione  di
inammissibilita'  sulla  mancata  specificazione  dei  motivi   della
contestazione (gomma 6°). 
    Le norme summenzionate mostrano il reiterato  ostacolo  frapposto
dal legislatore al diritto sancito dall'articolo 24 Cost. di  accesso
all'azione giudiziale per la tutela  dei  propri  diritti  di  natura
previdenziale. 
    Di volta in volta tale ostacolo - che coinvolge, peraltro,  anche
il principio di ragionevolezza, nonche' l'articolo 38  Cost.  perche'
si riverbera sull'ivi affermato diritto all'assistenza sociale  -  e'
manifestato: dal termine perentorio di cui  al  4°  comma,  al  quale
consegue ineluttabilmente una decadenza dal diritto  di  azione;  dal
decreto di omologa che, pronunciato fuori  udienza,  non  prevede  la
possibilita' di un qualche contraddittorio  preventivo;  dal  termine
ancora  perentorio  per  il  deposito   del   ricorso   introduttivo;
dall'inammissibilita'  del  ricorso  di  merito  in   assenza   della
specificazione dei motivi di contestazione. 
    Procedendo piu' analiticamente, possiamo osservare: 
    A) al 4° comma, l'art. 445-bis cod. proc. civ. stabilisce che una
volta concluse le operazioni peritali, con il deposito in Cancelleria
della relativa relazione, il Giudice e'  chiamato  a  pronunciare  un
decreto di fissazione di  "un  termine  perentorio  non  superiore  a
trenta giorni" entro il quale le parti "devono dichiarare"  con  atto
scritto  depositato  in  cancelleria,  se  intendono  contestare   le
conclusioni del CTU. 
    La norma si limita, dunque, a prevedere il  termine  massimo,  ma
non prevede un termine minimo. 
    Questa mancanza comporta che la norma attribuisce al  Giudice  il
potere di determinare la misura del termine, che, in teoria, potrebbe
anche essere di  natura  assai  ridotta,  con  conseguente  possibile
lesione delle garanzie difensive minime. 
    Si potrebbe obiettare che il nuovo testo dell'art. 195 cod. proc.
civ., come modificato dalla legge n. 69 del 2009, prevede che il  CTU
deve trasmettere alle  parti  la  relazione  e  attendere  prima  del
deposito, le eventuali loro osservazioni e che  la  dichiarazione  di
contestazione non ha bisogno di grandi spazi perche' puo'  anche  non
contenere  le  ragioni  del  dissenso.  Ma  l'obiezione  non  sarebbe
conducente perche' la mancata previsione di un termine minimo  espone
in maniera irragionevole il difensore ai rischi connessi  al  mancato
rispetto del termine (vera e' propria decadenza della possibilita' di
contestare le conclusioni della CTU) anche tenuto conto del fatto che
la decisione di accettare o non accettare le conclusioni del CTU deve
essere assunta  dalla  parte  personalmente,  onde  il  difensore  ha
necessita' di un "tempus reflectendi"  non  solo  proprio,  ma  anche
necessario per conferire con il cliente e consentirgli a sua volta di
riflettere, e magari, consultare un suo fiduciario medico  dal  quale
raccogliere un parere; tempo  di  riflessione  che  non  puo'  essere
rimesso alla decisione, caso per caso, del singolo Giudice; 
    B) al 5° comma dell'art. 445-bis cod. proc. civ., e' previsto che
il decreto di omologa dell'accertamento sul requisito sanitario  puo'
essere pronunciato sul presupposto della "assenza  di  contestazione"
ed ha la forma del decreto emesso "fuori udienza". La  fissazione  di
apposita udienza e' espressamente esclusa dalla norma  la  quale  non
ammette,   del   tutto   irragionevolmente,   la   possibilita'    di
contraddittorio tra le parti prima della pronuncia  del  decreto.  Si
pensi che, pur non  contestandosi  la  conclusione  della  consulenza
favorevole   al   ricorrente,   ben   potrebbe    ragionatamente    e
documentatamente contestarsi - come sovente avviene -  la  decorrenza
della prestazione come differita dal  CTU  a  tempo  posteriore  alla
domanda amministrativa. 
    Anche   questa   previsione   normativa    solleva    dubbi    di
costituzionalita', in quanto non consente l'esercizio delle  garanzie
difensive nella fase che precede la pronuncia di  un  decreto,  dalla
stessa norma qualificato come "non impugnabile" e  "non  revocabile";
la mancata previsione di una previa audizione delle parti,  impedisce
palesemente  alle  stesse  di  sottoporre  al  Giudice   difese   che
potrebbero incidere sulla decisione; 
    C) al 6° comma, l'art. 445-bis cod. proc. civ. prevede l'obbligo,
in  capo  alla  parte  che  ha   depositato   la   dichiarazione   di
contestazione, di  depositare  il  ricorso  introduttivo  della  fase
contenziosa entro il termine perentorio di  30  giorni,  che  decorre
dalla  data  di  deposito  in  cancelleria  della  dichiarazione   di
dissenso. A pena di inammissibilita'  il  ricorso  deve  contenere  i
motivi della contestazione. 
    I  dubbi  di   costituzionalita'   -   sempre   con   riferimento
all'articolo 24  Cost.  ma  anche  al  deficit  di  ragionevolezza  -
appaiono  legati  al  fatto  che,  pur  in  presenza  di  un  mancato
"accordo", viene imposto alla parte di dare inizio al giudizio  entro
un termine espressamente dichiarato perentorio. 
    Ciascuno  di  noi  avverte  che  la  perentorieta'  del   termine
coercisce  o  forza  il  comportamento  della  parte,  limitando   la
possibilita',  ad   esempio,   di   ricerche   di   acquisizione   di
documentazione probatoria; pare che il legislatore  sia  stato  colto
dal desiderio, davvero non propriamente  commendevole,  di  liberarsi
pur che sia del ricorso previdenziale al Giudice. 
    Va, comunque, notato che un termine siffatto non si  rinviene  in
nessun altro procedimento di istruzione preventiva e, in generale, in
caso di rigetto della domanda cautelare proposta "ante causam" (viene
alla mente anche sempre l'art. 3  Cost.,  ma  sotto  il  profilo  del
principio di eguaglianza). 
    Il mancato rispetto del termine, pur nel  silenzio  della  norma,
dovrebbe comportare una  decadenza  a  carico  delle  parti,  il  cui
contenuto appare quantomeno oscuro. 
    E', tuttavia, un segno, anche questo, del sostanziale impedimento
all'esercizio del diritto di  azione  che  il  legislatore  dell'art.
445-bis cod.  proc.  civ.  ha,  con  piu'  accenti  e  ripetutamente,
mostrato di volere; 
    D) da ultimo, ma non ultimo,  va  evidenziato  che  la  norma  in
questione, nel suo 6° comma, prevede la sanzione di  inammissibilita'
del ricorso introduttivo del giudizio, quando non siano specificati i
motivi della contestazione. 
    Appare di tutta evidenza l'ulteriore limitazione  al  diritto  di
azione, specie se si considera che la sanzione di inammissibilita' e'
correlata alla specificazione dei  motivi  di  contestazione,  senza,
tuttavia, che la norma indichi quando ricorra l'ipotesi  dell'assenza
dei suddetti motivi, si  da  determinare  dei  criteri  obiettivi  di
valutazione che guidino il giudizio sulla inammissibilita' medesima. 
    In vero, si introduce,  ancora  una  volta,  un'ipotesi,  davvero
unica,  di  ricorso  al  Giudice  del   primo   grado   di   giudizio
condizionata. 
    Cio' viola,  quindi,  non  solo  l'art.  24  Cost.,  ma  anche  e
nuovamente, l'art. 3  Cost.,  della  disparita'  di  trattamento,  in
peius, introdotto dall'art. 445-bis cod. proc. civ., tra il cittadino
che agisce per la tutela di un proprio diritto in  sede  ordinaria  e
chi  deve  agire  per  la  tutela   di   un   diritto   previdenziale
assistenziale. 
    Non solo, ma rende impari il  trattamento,  nello  stesso  ambito
processuale previdenziale, tra chi, ex art. 445-bis cod. proc.  civ.,
deve preventivamente dotarsi dell'accertamento tecnico e chi, invece,
non e' soggetto a limitazioni ed oneri preventivi,  perche'  richiede
al Giudice una prestazione soltanto economica e/o, comunque,  diversa
da quelle ricadenti nella norma  denunciata  (ad  es.  riliquidazione
pensione   per   ulteriore   contribuzione   versata;   pensione   di
reversibilita' del figlio inabile a carico del de cuius; etc.). 
    4° Motivo di illegittimita' costituzionale dell'art. 445-bis cod.
proc. civ. 7° comma introdotto dall'art. 27 della legge  12  novembre
2011 n. 183 per contrasto con l'art. 3, 24 e 111 della Costituzione. 
    La previsione di inappellabilita' della sentenza che definisce il
giudizio di cui all'articolo 445-bis del codice di procedura  civile,
inizialmente  introdotta  dall'articolo  38  del   D.L.   98/2011   e
successivamente soppressa dalla legge n. 111 del 15 luglio  2011,  e'
stata ripristinata nella formulazione  dell'articolo  27  lettera  f)
della legge 12.11.2011, n. 183 il  quale  dispone  che  "all'articolo
445-bis e' aggiunto, in fine, il seguente  comma:  "la  sentenza  che
definisce il giudizio previsto dal comma precedente e'  inappellabile
". 
    Il punto 2  del  medesimo  articolo  prosegue  statuendo  che  la
suddetta disposizione si applica decorsi  30  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge (30 gg. dal 1/1/2012). 
    Dal punto di vista testuale, l'articolo 445-bis,  comma  7,  cod.
proc. civ. non puo' che essere interpretato nel senso di  comprendere
nell'ambito introdotto ai sensi del sesto comma dell'articolo 445-bis
ovvero del procedimento di merito scaturito dal mancato accordo ed in
esito alle contestazioni delle parti rispetto alle  conclusioni  rese
dal  consulente  tecnico   d'ufficio   nella   preventiva   fase   di
accertamento del requisito sanitario. 
    Non  sono  invece  escluse   dall'appellabilita'   le   decisioni
pronunciate nel giudizio per il riconoscimento di una prestazione  di
invalidita' nei casi in cui non sia in discussione la sussistenza del
requisito   sanitario.   In    altri    termini,    l'interpretazione
logico-sistematica della norma induce a ritenere che il  legislatore,
allo scopo di "deflazionare il contenzioso in materia  previdenziale"
e di "contenere la durata dei processi in materia previdenziale,  nei
termini di  durata  ragionevole  dei  processi"  abbia  assunto  come
parametro per definire l'area delle sentenze  inappellabili  solo  il
caso in cui sia  controverso  l'accertamento  della  sussistenza  del
requisito sanitario, lasciando al di fuori i procedimenti  nei  quali
il mancato riconoscimento del diritto assistenziale  o  previdenziale
sia legato invece al requisito amministrativo  o  contributivo  o  di
altra natura. 
    La limitazione all'appello come innanzi delineata  confligge  con
il  principio   di   ragionevolezza   desunto   dall'art.   3   della
Costituzione, non tanto e non solo perche'  distingue  tra  cittadini
che si rivolgono  al  Giudice  previdenziale  dai  cittadini  che  si
rivolgono al Giudice civile in genere,  ma  anche  perche'  pone  una
diversita' di trattamento in relazione a fattispecie ugualmente  tese
a  conseguire  prestazioni   previdenziali   e/o   assistenziali   di
invalidita', non adeguatamente giustificata dalle  caratteristiche  e
finalita' del giudizio e dalle proclamate esigenze di celerita'.  Due
soggetti, entrambi affetti da patologie  ugualmente  invalidanti,  si
porrebbero  in  condizioni  disomogenee   a   seconda   se   sia   in
contestazione il requisito sanitario utile per l'accesso al beneficio
o al contrario quello  amministrativo  e/o  contributivo  e  cio'  in
quanto solamente nel secondo caso resterebbe salvo il doppio grado di
merito. 
    La limitazione ad un unico grado  di  giudizio  dell'accertamento
della sussistenza  del  requisito  sanitario,  riduce  di  fatto  per
l'invalido la possibilita'  di  contestare  il  merito  del  rapporto
potendo egli dolersi per esclusivi motivi di legittimita'  dell'unica
pronuncia che potra' conseguire sul punto. 
    La ratio dell'intervento legislativo data dall'accelerazione  del
procedimento  rivendicata   mediante   la   negazione   del   rimedio
dell'appello rischia di non  verificarsi  nella  realta'  e  cio'  in
quanto la parte ricorrente sara' obbligata a ricorrere nuovamente  al
Giudice  al  fine  di  ottenere  la  condanna  al   pagamento   della
prestazione nel  caso  di  mancato  spontaneo  adempimento  da  parte
dell'Istituto previdenziale, pur nella presenza di tutti i  requisiti
costitutivi  del  diritto,  attesa  la  natura   dichiarativa   della
statuizione resa ai  sensi  dell'art.  445-bis,  6°  comma,  limitata
all'accertamento della sussistenza del presupposto sanitario. 
    Del pari, nel  caso  di  verifica  dell'inesistenza  di  uno  dei
requisiti  richiesti  dalle  norme   per   il   conseguimento   delle
prestazioni, diverso  da  quello  sanitario,  si  avviera'  un  nuovo
giudizio   avverso   il    provvedimento    di    diniego    motivato
dall'accertamento dei requisiti ritenuti carenti. 
    Infine, nel caso in cui il giudizio per il riconoscimento di  una
prestazione  di  invalidita'  sia  introdotto   al   di   fuori   del
procedimento ex art. 445-bis cod.  proc.  civ.,  rimarrebbe  comunque
esperibile il doppio grado di giurisdizione. 
    L'intento di deflazionare  il  contenzioso  e  di  abbreviare  la
durata del processo sembra quindi improbabile da realizzare e rischia
di produrre una differenziata considerazione processuale del soggetto
invalido, a seconda del diverso presupposto costitutivo  del  diritto
in  contestazione.  In  sostanza,  la  sentenza  resa  all'esito  del
giudizio di cui all'art 445-bis, 6°  comma,  cod.  proc.  civ.  e  la
celerita' del procedimento da cui la stessa ha origine, non rende  la
posizione dell'invalido piu' garantita proprio  nel  momento  in  cui
questi avrebbe bisogno  di  una  tutela  cognitiva  piena  avente  ad
oggetto  il  proprio  diritto.  Tenuto  conto  difatti  che  per   le
controversie  assistenziali  e/o  previdenziali  in  cui   siano   in
contestazione requisiti diversi da quello sanitario, nonche'  per  le
controversie   concernenti   il   riconoscimento   di   pensioni   di
reversibilita' ai figli invalidi, all'indennita'  di  accompagnamento
di cui  alla  legge  n.  222/  1984  e  alla  pensione  di  vecchiaia
anticipata per motivi di invalidita',  il  soggetto  puo'  esercitare
un'ordinaria azione di  cognizione,  strutturata  nei  due  gradi  di
merito ed in quello successivo di legittimita', non pare  ragionevole
il diverso trattamento riservato solamente all'invalido che  richieda
l'accertamento  del  requisito  sanitario  per  il  godimento   delle
prestazioni, trattandosi di fattispecie sostanzialmente  identiche  e
comunque di pronunce finalizzate all'accertamento del proprio diritto
ed all'esistenza del rapporto. 
    L'irrazionalita'  della  preclusione  data  dall'inappellabilita'
della  sentenza  e'   resa   ancor   piu'   manifesta   dal   rilievo
costituzionale dei diritti previdenziali ed  assistenziali  i  quali,
traendo origine da  norme  di  legge,  si  configurano  come  diritti
soggettivi  perfetti  ed  indisponibili  essendo  volti  a   tutelare
interessi primari dei cittadini  e  contemporaneamente  a  realizzare
interessi pubblici sovraordinati, connessi all'esigenza collettiva di
evitare l'indigenza di soggetti non in grado di  procurarsi  i  mezzi
adeguati di sussistenza a causa di una limitazione  o  della  perdita
della capacita' di lavoro proficuo.  L'indisponibilita'  del  diritto
rende  pertanto  illegittimo   qualsivoglia   atto   dispositivo   od
abdicativo alla piena realizzabilita' e tutelabilita' dello stesso. 
    L'illegittimita' costituzionale della normativa  posta  dall'art.
445-bis 7° comma cod. proc. civ. e' rilevabile altresi' in  relazione
all'art. 111  della  Costituzione,  nonche'  all'art.  24  Cost.  per
accesso all'azione giudiziale incidendo sull'esplicazione del diritto
di difesa. La preclusione all'appello e la  previsione  di  un  unico
grado  di  merito  non  trova  difatti   nel   procedimento   innanzi
evidenziato un  fondamento  ragionevolmente  commisurato  all'entita'
della limitazione apportata al diritto di difesa ed ai  principi  del
giusto processo. 
    Il criterio in base al quale per alcune prestazioni previdenziali
e  ora  assistenziali  -  quali  la  reversibilita'  figlio  inabile,
indennita' di accompagnamento di cui alla legge 222/1984, pensione di
vecchiaia   anticipata   per   invalidita'   pari   all'80%,    oltre
all'invalidita' civile, pensione di inabilita' ed  assegno  ordinario
di invalidita' disciplinati dalla legge 222/1984, per i quali  ultimi
non e' controverso  il  requisito  sanitario  -  e'  riconosciuta  la
facolta' di appello e per altre e'  invece  negato,  dipende  da  una
circostanza esterna alla natura ed al carattere del diritto in esame,
che ne condiziona fortemente l'esercizio,e determina un irragionevole
sacrificio del soggetto invalido a proporre appello. La previsione di
inappellabilita'  della  sentenza  comporta  inoltre  quale  primaria
conseguenza la sua impugnazione per cassazione ai sensi dell'art. 111
comma 7 della Costituzione. E cio' con buona pace  dei  dichiarati  e
conclamati carichi di  lavoro  della  Corte  di  cassazione  che,  in
conseguenza   di   tale   disposizione,   rischiano   di   aggravarsi
ulteriormente. Il rimedio non compensa  comunque  in  alcun  modo  la
privazione non soltanto perche' posto a favore di entrambe le  parti,
ma anche soprattutto in ragione  della  circostanza  che,  attesa  la
natura eminentemente tecnica dell'oggetto del giudizio e la  funzione
nomofilattica della Corte di Cassazione,  si  esula  dal  riesame  di
merito, consentito dal gravame. La norma censurata priva in  sostanza
il ricorrente della possibilita' di far valere  doglianze  di  merito
contro la  sentenza  di  accertamento  del  requisito  sanitario  per
l'accesso  al  diritto  previdenziale   o   assistenziale   e   detta
preclusione al diritto  di  difesa,  di  cui  il  potere  di  appello
l'espressione, non si presenta costituzionalmente compatibile per  il
suo valore preminente con le enunciate finalita' dei fatti del  rito,
comprimendo  il  diritto  del  soggetto  invalido  ad  una  piena  ed
effettiva  tutela.  L'esclusione  della  appellabilita'  non   deriva
infatti da esigenze intrinseche alla procedura ed alla materia  delle
controversie previdenziali ed assistenziali  in  se'  in  quanto  non
colpisce tutte le decisioni emesse nell'ambito  di  tali  giudizi,  e
tale circostanza determina una effettiva discriminazione alla stregua
del   presupposto   in   contestazione   oggetto   di    accertamento
giurisdizionale. 
    In conclusione, ed alla luce delle illustrate considerazioni,  si
ritiene di dover valutare rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita'  costituzionale  della  norma  indicata  in
dispositivo in relazione ai profili sopra esposti. 
    Il giudizio in corso  deve  quindi  essere  sospeso  e  gli  atti
rimessi alla Corte Costituzionale. 

(1) Il  comma  6-bis  dell'art.  10  del  D.L.  30.9.2005   n.   203,
    convertito, con modificazioni, dalla  legge  2.12.2005,  n.  248,
    come modificato dal comma 7 dell'art. 38  D.L.  n.  98/2011,  poi
    convertito in legge collocato  al  comma  8,  dispone  che  ''Nei
    procedimenti  giurisdizionali  civili  relativi   a   prestazioni
    sanitarie previdenziali ed assistenziali,  nel  caso  in  cui  il
    giudice nomini un consulente  tecnico  d'ufficio,  alle  indagini
    assiste un medico legale dell'ente, su richiesta  del  consulente
    nominato dal giudice il  quale  provvede  ad  inviare,  entro  15
    giorni antecedenti l'inizio delle operazioni peritali,  anche  in
    via telematica, apposita comunicazione al  direttore  della  sede
    provinciale dell'Inps competente o a suo delegato. Alla relazione
    peritale e'  allegato,  a  pena  di  nullita',  il  riscontro  di
    ricevuta della predetta comunicazione.  L'eccezione  di  nullita'
    rilevabile  anche  d'ufficio  dal  giudice.  Il   medico   legale
    dell'ente e' autorizzato a partecipare alle  operazioni  peritali
    in deroga al comma primo dell'art. 201 del  codice  di  procedura
    civile. Al predetto componente competono le facolta' indicate nel
    secondo comma dell'art.  194  del  codice  di  procedura  civile.
    Nell'ipotesi  di  sentenze  di  condanna  relative   ai   ricorsi
    depositati a far data dal 1° aprile 2007 a carico  del  Ministero
    dell'Economia e delle  Finanze  o  del  medesimo  in  solido  con
    l'INPS, all'onere delle spese legali, di consulenza tecnica o del
    beneficio assistenziale provvede comunque l'INPS''. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, comma  2,  della  legge  11  marzo  1953  n.  87
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale: 1) dell'art. 445-bis cod. proc. civ.  in
toto, nonche' dell'art. 10, comma 6-bis, del D.L. 30 settembre  2005,
n. 248, convertito con modificazioni nella Legge 2 dicembre 2005,  n.
48, per contrasto con i principi di ragionevolezza ed  in  violazione
degli artt. 24, 38 e 111 Cost.; 2) dell'art. 445-bis cod. proc.  civ.
in toto per violazione del principio di ragionevolezza, atteso che il
decreto di omologa dell'accertamento del requisito sanitario previsto
dal 5° comma di detto articolo, non attribuisce al  decreto  medesimo
la qualita' di titolo esecutivo; 3) dell'art. 445-bis cod. proc. civ.
per violazione del diritto di azione e di difesa di cui  all'art.  24
Cost., del principio di  ragionevolezza  e  dell'art.  38  Cost.,  in
relazione: al termine perentorio di cui al comma 4 dell'art.  445-bis
medesimo; al  decreto  di  omologa  di  cui  al  5°  comma  dell'art.
medesimo; al termine perentorio di  cui  al  6°  comma;  infine  alla
sanzione di inammissibilita' contemplata al 6° comma  della  ripetuta
norma; 4) dell'art. 445-bis, 7° comma, cod.  proc.  civ.,  introdotto
dall'art. 27 della legge 12 novembre 2011, n. 183, per contrasto  con
gli artt. 3, 24 e 111 Cost.; 
    Sospende il presente giudizio; 
    Manda alla cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio  dei  Ministri  nonche'  di  comunicarla  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del  giudizio
alla Corte Costituzionale unitamente alla prova  delle  comunicazioni
prescritte. 
      Roma, 18 gennaio 2013 
 
                   Il Giudice del lavoro: Mormile