N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2013

Ordinanza del 13 giugno 2013 emessa dalla  Corte  di  cassazione  nel
procedimento  civile  promosso  da  Spagnoli  Angelo  contro   Comune
dell'Aquila. 
 
Usi civici - Commissario regionale per gli usi  civici  -  Potere  di
  iniziare d'ufficio i procedimenti giudiziari che egli stesso dovra'
  decidere - Violazione del principio di terzieta' e di imparzialita'
  del giudice. 
- Legge 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29. 
- Costituzione, artt. 24 e 111. 
(GU n.40 del 2-10-2013 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
15982-2007 proposto da Spagnoli Angelo, C.F. SPGNGL30T24A345H, presso
la Corte di Cassazione, rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Ludovici
Rodolfo, ricorrente; 
    Contro comune di  L'Aquila  in  persona  del  sindaco  p.t.  P.I.
800022700660, elettivamente domiciliato in Roma, Via G. D'Arezzo, 18,
presso lo studio dell'avv. Petillo Alfredo,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Giuliani Paola, controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 4/2007  della  Corte  d'Appello  di  Roma,
depositata il 28 marzo 2007; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
16 aprile 2013 dal Consigliere dott. Gaetano Antonio Bursese; 
    Udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso che ha concluso per l'improcedibilita',  in  subordine,
il rigetto del ricorso. 
    Letti gli atti; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Angelo Spagnoli con atto notificato in data 25  maggio  2007
ha proposto ricorso per cassazione  avverso  la  sentenza  n.  4/2007
emessa  dalla  Corte  d'Appello  di  Roma  -  sezione  Usi  Civici  -
depositata in data 28 marzo 2007 e comunicata in data 19 aprile 2007,
con la quale era stato respinto il reclamo da lui  formulato  avverso
la  sentenza  del  Commissariato  regionale  per   gli   Usi   Civici
dell'Abruzzo n. 26, del 18-26 ottobre 2005. 
    Occorre premettere che la presente vicenda ha  avuto  inizio  nel
1993 quando quel Commissario per gli Usi  Civici,  a  seguito  di  un
esposto nel quale si  denunziava  un'occupazione  abusiva  del  suolo
gravato da uso civico (terre demaniali), iniziava d'ufficio la  causa
de qua, evocando in giudizio il Comune  dell'Aquila  ed  esso  Angelo
Spagnoli, che aveva occupato e recintato alcuni  fondi,  sottraendoli
al pubblico transito, fondi che si  ritenevano  di  natura  demaniale
civica. Il Commissario, con  la  sentenza  reclamata,  dichiarava  la
natura demaniale civica  dei  terreni  in  contestazione  riscontrata
sulla base della documentazione acquisita e delle  indagini  storiche
condotte. 
    La corte capitolina - sez. usi  civici  -  rigettava  il  reclamo
avverso la  sentenza  commissariale,  disattendendo  in  primo  luogo
l'eccezione relativa all'illegittimita' dell'intero processo di primo
grado  in  quanto  iniziato  d'ufficio   dallo   stesso   Commissario
decidente, in violazione del principio della terzieta'  del  giudice,
da  ultimo  ribadito  dal  testo  novellato   dell'art.   111   della
Costituzione sul giusto processo. Al  riguardo  la  corte  capitolina
richiamava la sentenza  n.  46  del  20  febbraio  1995  della  Corte
costituzionale che aveva dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
del secondo comma dell'art. 29  della  legge  n.  1766  del  1927  se
interpretato come  preclusivo  del  potere  del  commissario  per  la
liquidazione degli usi civico  di  esercitare  d'ufficio  la  propria
giurisdizione,  una  volta  trasferite  alle  Regioni   le   funzioni
amministrative previste dal primo comma. 
    La Corte costituzionale aveva infatti ritenuto che la  confluenza
nel giudice anche  di  poteri  d'impulso  processuale  poteva  essere
«transitoriamente giustificata»  in  attesa  di  una  nuova  organica
disciplina legislativa  degli  usi  civici,  precisando  di  ritenere
preferibile il mantenimento del regime interiore, all'assenza  di  un
organo dello Stato abilitato ad agire dinanzi ai Commissari,  per  la
salvaguardia   dell'interesse   della   comunita'   nazionale    alla
conservazione dell'ambiente naturale delle terre civiche  soggetto  a
vincolo paesaggistico ex lege n.  431/1985.  Ad  avviso  del  giudice
distrettuale la situazione all'esame della Corte delle leggi non  era
modificata  neppure  a  seguito  dell'introduzione  del  nuovo  testo
dell'art. 111 della Costituzione di cui alla legge costituzionale del
23 novembre 1999, n. 2, che ha  sancito  e  rafforzato  il  principio
della terzieta' del giudice. 
    Il ricorso per cassazione  si  fonda  su  3  mezzi;  resiste  con
controricorso il Comune dell'Aquila. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    2.1. - Con il terzo motivo il  ricorrente  denunzia  la  nullita'
della sentenza e  del  procedimento,  per  difetto  di  terzieta'  ed
imparzialita' del giudice  (il  commissario  regionale  per  gli  usi
civici) che  promuovendo  d'ufficio  il  giudizio  in  questione,  ha
cumulato in se' sia la veste di parte che quella  di  giudicante.  In
specie l'esponente censura la sentenza, laddove la  Corte  Capitolina
ha ritenuto che l'introduzione del nuovo testo di  cui  all'art.  111
della Costituzione, disposto dalla legge  costituzionale  n.  2/1999,
non abbia  innovato  la  disciplina  della  materia,  per  cui  debba
«considerarsi ancora  vigente»  la  sentenza  addittiva  della  Corte
costituzionale n. 46/1995 dell'8  febbraio  1995,  senza  nulla  dire
circa il principio del giusto procedimento di cui  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo -  pure
espressamente invocato  nei  motivi  di  reclamo  -  in  uno  con  il
novellato articolo 111 della Costituzione. Ad avviso del  ricorrente,
dunque, non sembra piu' possibile ammettere, nel  nostro  ordinamento
giuridico, sia per la  normativa  europea  e  sia  per  l'ordinamento
interno costituzionale, un giudizio che  non  offra  idonee  garanzie
d'imparzialita'. Osserva ancora  l'esponente,  con  riferimento  alla
pronuncia n. 46 del 1995 della Corte costituzionale,  che  la  stessa
Corte, utilizzando  il  criterio  della  legittimita'  costituzionale
provvisoria,  aveva  specificato  che   la   legittimita'   costituz.
dell'art. 29 legge  n.  1766/1927  poteva  essere  giustificata  solo
temporaneamente fino a quando una nuova  disciplina  legislativa  non
avesse assicurato una piu' grossa tutela della terzieta' del giudice,
disciplina che doveva ritenersi entrata in  vigore  a  seguito  della
legge cost. n. 2/1999 che  aveva  modificato  l'art.  111  Cost.  per
quanto riguarda l'ordinamento interno e dell'art. 6 della Convenzione
di Strasburgo per la salvaguardia di diritti dell'uomo ratificata con
legge 4 agosto 1995, n. 848. Il motivo si conclude  con  il  seguente
quesito di diritto ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c.: 
    «Dica la Corte, se la ratifica della Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, avvenuta con legge 4 agosto  1995
e la modifica dell'art. 111 della Costituzione,  disposta  con  legge
costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999, rappresenti «quella  "nuova
disciplina  legislativa  improntata  ad  una  rigorosa  tutela  della
terzieta' del giudice", alla  quale  la  Corte  costituzionale  aveva
collegato la scadenza della costituzionalita' provvisoria dei  poteri
d'ufficio, decisa con sentenza  della  Corte  costituzionale  del  20
febbraio 1995, n. 46.». 
    «Dica pertanto, se, alla  luce  della  normativa  ricordata,  sia
ancora  consentito  al  Commissario  regionale  per  gli  usi  civici
d'iniziare d'ufficio i procedimenti giudiziari che  dovra'  decidere,
ai sensi della legge n. 1766/1927». 
    2.2. - Ritiene questa S.C., tanto premesso,  che  sia  necessaria
una nuova verifica della legittimita' costituzionale del  piu'  volte
richiamato art. 29  della  legge  n.  1766/1927,  la  cui  questione,
sollevata dal  ricorrente,  appare  non  manifestamente  infondata  e
rilevante ai fini del giudizio. 
    Invero la Corte cost., con la ricordata sentenza n. 46  del  1995
ha tra l'altro osservato: 
    «"La nuova giurisprudenza delle  Sezioni  unite  [cfr.  Cass.  n.
858/1994] - secondo cui la  giurisdizione  d'ufficio  originariamente
attribuita al commissario  aveva  soltanto  carattere  incidentale  e
quindi  e'  in  toto  cessata  per  il  venir  meno  delle   funzioni
amministrative da cui dipendeva - ascrive all'art. 29 un  significato
normativo che non ammette  alcun  organo  statale  ad  agire  in  via
preventiva davanti al commissario per la tutela dell'interesse  della
collettivita' generale sopra definito, lasciando allo Stato  solo  il
rimedio, successivo  alla  consumazione  dell'abuso,  dell'azione  di
risarcimento del danno ambientale prevista dall'art. 18, commi 3 e 4,
della  legge  8  luglio  1986,  n.  349;  rimedio   oltre   a   tutto
inutilizzabile quando l'abuso sia stato mediato  da  una  alienazione
irregolarmente autorizzata di terre civiche a un acquirente di  buona
fede. Tale significato non e' consono con  l'art.  24,  primo  comma,
Cost., coordinato con l'art. 3 Cost., nonche' con l'art. 9 Cost., che
garantisce  il  detto  interesse  insieme   con   l'art.   32   Cost.
(quest'ultimo non richiamato dal giudice  a  quo,  ma  accoppiato  al
primo dall'art. 1 della legge quadro citata sulle aree protette).". 
    "Certo, dagli artt. 9 e 32 Cost.  non  discende,  come  soluzione
costituzionalmente obbligata, l'attribuzione  al  commissario  di  un
potere di impulso processuale. Anzi la rammentata sentenza n. 133 del
1993 ha manifestato dubbi non lievi in  merito  alla  correttezza  di
questa soluzione, specialmente sotto il profilo dell'art. 24, secondo
comma, Cost., ed  ha  sollecitato  il  legislatore  a  trovare  altre
soluzioni,   esemplificandone   alcune.   Ma   tra   la    situazione
ordinamentale  attuale  che,  violando  il  principio  della   tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, non  abilita
alcun organo dello Stato ad agire  davanti  ai  commissari  agli  usi
civici per la salvaguardia dell'interesse della  comunita'  nazionale
alla  conservazione  dell'ambiente  naturale  nelle   terre   civiche
soggette a vincolo paesaggistico, e la  situazione  anteriore,  nella
quale - con incerta legittimita' dal punto  di  vista  dell'art.  24,
secondo  comma,  Cost.,  ma  in  aderenza  alle  esigenze  di  tutela
ambientale poste dagli artt. 9 e 32 Cost. - il potere  di  iniziativa
processuale era attribuito agli  stessi  commissari,  e'  preferitile
allo  stato  la  seconda,  giusta   un   criterio   di   legittimita'
costituzionale provvisoria piu' volte applicato da questa Corte,  "in
attesa  del  riordino  generale  della  materia  degli  usi   civici"
preannunciato dall'art. 5 della legge 4 dicembre  1993,  n.  491.  La
figura del commissario e' stata inserita nell'ordinamento giudiziario
(sentenza n. 398 del 1989) senza costituzione presso il  medesimo  di
uno specifico ufficio del pubblico ministero (cfr.  sentenza  n.  133
del 1993 cit.). Tuttavia la confluenza nel giudice anche di  funzioni
di impulso processuale puo' essere transitoriamente  giustificata  in
vista di una nuova disciplina legislativa improntata a una  "rigorosa
tutela della terzieta' del giudice" (cfr.  in  un  contesto  analogo,
sentenze nn. 268 del 1986 e  172  del  1987).  Deve  pertanto  essere
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  29,  secondo
comma, della legge n. 1766 del 1927, nella parte in cui non  consente
la  permanenza  del  potere  del  commissario  agli  usi  civici   di
esercitare  d'ufficio  la   propria   giurisdizione   pur   dopo   il
trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative previste dal
primo comma dell'articolo medesimo.». 
    3.1. - Osserva il  Collegio  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale nuovamente sollevata in relazione alla suddetta  norma
non appare priva di pregio, ne' appare manifestamente  infondata.  E'
necessario puntualizzare che la Corte costituzionale, con  l'indicata
sentenza n. 46 del 1995, ha fatto esplicito richiamo ad  un  criterio
di legittimita' costituzionale provvisoria per giustificare la  norma
in esame che consente la confluenza  nel  giudice  degli  usi  civici
anche di funzioni di impulso processuale,  «in  attesa  del  riordino
generale della materia degli usi civici»  preannunciato  dall'art.  5
della legge 4 dicembre 1993, n. 491, nonche' in vista  di  una  nuova
disciplina  legislativa  improntata  a  una  "rigorosa  tutela  della
terzieta' del giudice". 
    Sotto il primo profilo e' agevole osservare che dal 1995 ad  oggi
il legislatore non si e' ancora attivato per risolvere la prospettata
questione "del riordino generale della  materia  degli  usi  civici",
nonostante siano passati ben 18 anni da tale pronuncia  (e  molti  di
piu' dalla legge del 1927); anzi l'auspicata riforma degli usi civici
si preannuncia ancora di difficile attuazione,  per  le  contrapposte
prospettive di chi vorrebbe l'abolizione  della  demanialita'  civica
attraverso  la  trasformazione  del  demanio   civico,   in   demanio
disponibile  da  assegnare  ai  comuni  e  chi  invece   auspica   la
conservazione dei beni cosi' come si trovano, appellandosi alla  loro
valenza  ambientale.  Non  pare  inutile  rilevare  peraltro  che  la
dottrina  ha  piu'  volte   mosso   rilievi   all'indicata   sentenza
«paralegislativa» della Corte cost.,  sottolineando  che  in  realta'
neppure si  configurerebbe  il  paventato  vuoto  normativo  in  essa
evidenziato, che si assume voler riempire, in  quanto  il  potere  di
dare impulso ai giudizi riguardanti gli usi civici, spetta per  legge
agli enti territoriali, come le regioni  e  i  comuni,  nonche'  alle
amministrazioni frazionali ed anche  ai  singoli  cittadini.  Ne'  va
sottaciuto, d'altra parte, che  molte  regioni  hanno  legiferato  in
materia di usi civici, con competenza ed attenzione oltre che in modo
organico. Parlare ancora di «vuoto normativo» sembrerebbe dunque poco
plausibile, anche perche', secondo alcuni, alla fattispecie in  esame
non si attaglierebbe il criterio  della  legittimita'  costituzionale
provvisoria adottato in passato dalla Corte cost., ma con riferimento
a  diritti  fondamentali   messi   in   discussione   medio   tempore
dall'inerzia del  legislatore,  tra  cui  sembra  una  forzatura  far
rientrare anche quelli relativi alla demanialita' civica. 
    3.2. -  Sotto  altro  profilo  e'  pero'  certamente  intervenuta
l'auspicata normativa di ordine costituzionale e comunitario  che  ha
indiscutibilmente  sancito  in  modo   rigoroso   la   terzieta'   ed
imparzialita' del giudice tra  i  principi  fondamentali  del  giusto
processo. Di conseguenza e'  stata  certamente  attuata  -  in  epoca
successiva alla pronuncia n. 46  del  1995  -  tale  nuova  specifica
disciplina, costituita dalla  modifica  dell'art.  111  Costituzione,
disposta con legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999,  nonche'
dall'art. 6 della Convenzione di Strasburgo ratificata  con  legge  4
agosto  1995,  n.  848.  Non  puo'  infatti  negarsi  che  le   nuove
disposizioni - sopravvenute alla pronuncia n. 46 della Corte cost. in
esame - hanno sancito e rafforzato in modo  indiscutibile  -  con  il
novellato art. 111 della Costituzione - il principio della  terzieta'
del  giudice,  per  cui  allo  stato  sembrerebbe  in  stridente   ed
insanabile contrasto con tali principi,  l'art.  29  della  legge  n.
1766/1927 nella parte in cui attribuisce al commissario per  gli  usi
civici, i poteri d'impulso processuale in discorso. 
    Ritiene in definitiva questa Corte di sollevare la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge n. 1766/1927 con
riferimento all'art. 111  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
consente al Commissario  regionale  per  gli  usi  civici  d'iniziare
d'ufficio i procedimenti giudiziari che egli stesso dovra'  decidere,
in  violazione  del  principio   costituzionale   di   terzieta'   ed
imparzialita' del giudice garantito dal secondo comma del citato art.
111 Cost. secondo cui: «Ogni processo si  svolge  in  contraddittorio
tra le parti, in condizione di parita', davanti al  giudice  terzo  e
imparziale». 
 
                              P. Q. M. 
 
    A) Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva in  quanto
rilevante  ai  fini  del  decidere,  la  questione  di   legittimita'
costituzionale di cui all'art. 29  legge  16  giugno  1927,  n.  1766
(conversione in legge del r.d. 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il
riordinamento degli usi civici nel Regno, del r.d. 28 agosto 1924, n.
1484, che modifica l'art. 26 del r.d. 22 maggio 1924, n. 751,  e  del
r.d. 16  maggio  1926,  n.  895,  che  proroga  i  termini  assegnati
dall'art. 2 del r.d.l. 22 maggio 1924, n. 751), con riferimento  agli
artt. 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui in cui consente
al Commissario regionale per gli usi civici  d'iniziare  d'ufficio  i
procedimenti  giudiziari  che  egli  stesso   dovra'   decidere,   in
violazione del principio costituzionale di terzieta' ed imparzialita'
del giudice; 
    B) sospende il presente giudizio; 
    C) ordina che a cura della Cancelleria gli atti vengano trasmessi
alla Corte costituzionale; 
    D) Ordina la notificazione della presente ordinanza alle parti in
causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; 
    E) Dispone che la presente ordinanza sia comunicata ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento della Repubblica. 
        Roma, addi' 16 aprile 2013 
 
                        Il Presidente: Triola