N. 233 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2013

Ordinanza del 27 giugno 2013  emessa  dal  Tribunale  di  Lucera  nel
procedimento penale a carico di M.E.. 
 
Esecuzione penale - Computo della custodia  cautelare  e  delle  pene
  espiate senza titolo - Previsione che siano computate  soltanto  la
  custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del
  reato per il quale deve essere determinata la pena  da  eseguire  -
  Mancata previsione che il giudice del procedimento possa  derogare,
  sulla base di  elementi  probatori  di  segno  contrario  a  quelli
  presunti dalla ratio  della  norma,  al  divieto  di  computare  la
  custodia cautelare subita o le  pene  espiate  ingiustamente  prima
  della commissione del reato per il quale deve essere determinata la
  pena da eseguire - Ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra
  condannati dipendente da un fattore  meramente  casuale  di  natura
  temporale  -  Violazione  del  principio  del  favor  libertatis  -
  Ingiustificata disparita' di trattamento tra condannati  a  seconda
  che abbiano o non commesso un reato prima di  subire  una  ingiusta
  detenzione - Violazione del principio della  finalita'  rieducativa
  della  pena  -  Contrasto  con  i   principi   di   uguaglianza   e
  ragionevolezza. 
- Codice di procedura penale, art. 657, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 13, primo comma, e 27, comma terzo. 
(GU n.45 del 6-11-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo la riserva di cui  al  verbale  dell'odierna  udienza
camerale nell'incidente di esecuzione (n. 17/13 Reg.Inc.Es.) proposto
da M.E. (nato a L. il 6 luglio 1962 ed ivi residente alla via  M.P.S.
n.) a mezzo dei suoi difensori avv.ti  Mercurio  Galasso  e  Raffaele
Lepore con istanza depositata in data 27 maggio 2013 e volta, da  una
parte, ad ottenere, ai sensi degli artt. 665 e 666 c.p.p., atteso  il
diniego tacito del P.M.  -  funzionalmente  competente  ex  art.  657
c.p.p. - di scomputare dalla pena residuale da espiare in forza della
sentenza 26.10.2005 di questo  Tribunale,  confermata  in  appello  e
divenuta irrevocabile in data 20.5.2013, la  carcerazione  preventiva
dallo  stesso  ingiustamente  sofferta  dal  17  giugno  1983  al  15
settembre  1986,  nonche'  gg.  45  di  reclusione  per   liberazione
anticipata ex art. 54 Ord. Penit.,  e,  dall'altra,  a  sollevare,  a
fronte  della  inapplicabilita'  nel   caso   di   specie   di   tale
fungibilita', questione di legittimita' costituzionale dell'art. 657,
comma 4, c.p.p.; 
    Rilevato che il P.M. all'odierna udienza camerale si e' associato
all'accoglimento della richiesta avanzata nell'interesse  del  M.  di
rimessione degli atti alla Corte costituzionale; 
 
                               Osserva 
 
    M.E., come  da  documentazione  in  atti,  nel  lontano  1983  fu
coinvolto nel cd. processo Tortora e, dopo aver patito tre anni e tre
mesi di carcerazione preventiva, fu assolto dalla Corte di Appello di
Napoli dai reati associativi ascrittigli per  non  aver  commesso  il
fatto. 
    All'accoglimento della richiesta di scomputo  della  carcerazione
dalla pena residuale da espiare osta la disposizione del quarto comma
dell'art. 657, c.p.p., secondo cui il presofferto, per essere oggetto
di compensazione, deve seguire e non precedere il reato per cui  v'e'
stata la condanna alla pena da espiare, come invece e'  avvenuto  nel
caso in esame in cui i reati cui si riferisce la pena  da  compensare
sono stati commessi dal M. 17  anni  dopo  aver  subito  la  ingiusta
carcerazione preventiva in questione. 
    Quanto  alla  liberazione  anticipata  ex  art.  54  Ord.   Pen.,
competente  «ratione  materiae»  a  decidere  sulla  istanza  e'   il
Magistrato di Sorveglianza di Foggia. 
    Venendo alla eccezione di incostituzionalita'  del  quarto  comma
dell'art. 657 c.p.p. sollevata  dalla  difesa  del  M.,  il  Collegio
ritiene la  questione  non  manifestamente  infondata  sotto  diversi
profili. 
    La scelta del legislatore  di  condizionare  la  fungibilita'  in
parola alla «anteriorita' del reato per il quale  va  determinata  la
pena da eseguire», mostra di porsi in aperto contrasto con  l'art.  3
Cost.,  attesa  la  ingiustificata  disparita'  di  trattamento   tra
condannati  che,  pur  avendo  ugualmente  riportato   una   condanna
definitiva e subito una ingiusta carcerazione, non possono  usufruire
allo  stesso  modo  del  recupero  dell'ingiusta  detenzione  perche'
quest'ultimo trattamento viene dal quarto comma dell'art. 657  c.p.p.
riservato soltanto a colui che abbia commesso il reato (per il  quale
deve essere determinata  la  pena  da  eseguire)  ANTERIORMENTE  alla
detenzione  gia'  patita  ingiustamente,  tanto  da   far   dipendere
l'operativita' o meno della  fungibilita'  da  un  fattore  meramente
casuale  di  natura  temporale  che  vulnera  indubbiamente  sia   il
principio di uguaglianza  di  trattamento  (art.  3  Cost.),  sia  il
principio, ugualmente di rango costituzionale, del  favor libertatis. 
    Altro profilo di sospetta incostituzionalita' del 4° c. dell'art.
657  c.p.p.  consegue  dalla  grave   sperequazione   che   viene   a
determinarsi tra chi ha e chi non  ha  commesso  un  reato  prima  di
subire una ingiusta carcerazione, nel senso che chi ha gia' riportato
una condanna ad espiare una pena puo' compensarla con la carcerazione
o la pena subita ingiustamente in seguito, mentre ne viene escluso  -
e deve quindi scontare in carcere la  pena  inflittagli  -  chi  tale
ingiusta carcerazione ha subito anteriormente al  reato  per  cui  si
procede. Ancora una volta  la  mera  casualita'  circa  il  tempo  di
commissione del reato finisce per negare la  fungibilita'  proprio  a
chi, a ben vedere, sarebbe piu' meritevole di fruirne, ingenerando il
sospetto piu' che fondato di violazione dell' art. 27, comma 3, della
Costituzione, posto che alla  ingiustizia  di  una  carcerazione  non
meritata si aggiunge il danno di non poterla - a  differenza  di  chi
versa in una situazione inversa - neppure compensare, e il vulnus che
ne deriva vanifica la  finalita'  tendenzialmente  rieducativa  della
pena detentiva ed ostacola  il  reinserimento  del  reo  nel  tessuto
sociale, costituente l'obiettivo primario assegnato  alla  pena  come
espiazione. 
    Ma vi e' un aspetto peculiare del 4° comma dell'art.  657  c.p.p.
sul quale il Collegio intende piu' che su ogni altro porre la propria
attenzione nella valutazione che e' chiamato a dare sulla dedotta non
manifesta infondatezza di costituzionalita' dello stesso, e che,  per
quanto e' dato di sapere, non e' mai stato tematicamente affrontato e
portato al vaglio del Giudice  delle  leggi  sia  nella  vigenza  del
codice Rocco, sia dall'entrata in vigore del codice Vassalli. 
    Si e' gia' detto come contrasti con  il  senso  di  giustizia  il
divieto legale di recupero della carcerazione ingiustamente  sofferta
da  un  soggetto  incensurato  soltanto   perche'   la   carcerazione
preventiva  dallo  stesso  subita  abbia  preceduto  nel   tempo   la
commissione del reato cui  la  condanna  e  la  pena  da  espiare  si
riferiscano. Ed e' il  caso  di  M.  E.  al  quale  il  quarto  comma
dell'art. 657 c.p.p. fa divieto di compensare una  parte  della  pena
irrogatagli da questo Tribunale nel 2005 per fatti commessi nell'anno
2000, con la ingiusta carcerazione preventiva  da  lui  sofferta  dal
1983 al 1986 nel corso di un processo penale nel quale in appello  e'
stato assolto con formula piena. 
    La ratio  della  preclusione  e'  riportata  nella  relazione  al
progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988, laddove
si legge in termini assiomatici che  «il  recupero  della  detenzione
ingiustamente  sofferta  deve  funzionare   come   correttivo   delle
disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione  dell'ingiusta
carcerazione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva
di azioni criminose», e per scongiurare tale  incentivo  criminogeno,
paventato in astratto, il legislatore del 1988, come quello del 1930,
ha sancito il divieto assoluto di operativita' del  meccanismo  della
fungibilita'  della  pena  per  chi  l'ingiusta  carcerazione   -   a
differenza di colui che ha gia' riportato una condanna irrevocabile -
costituisce la prima esperienza giudiziaria; un  divieto  fondato  su
una presunzione assoluta (iuris et de iure) che vieta al  Giudice  di
potervi derogare anche di fronte alla prova certa che  quel  pericolo
non si e' di fatto concretizzato. 
    Orbene, ancor piu' delle  altre  ragioni  fin  qui  esaminate,  a
convincere  il  Collegio  della  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale che ne occupa e' proprio  la
portata della presunzione di cui alla disposizione del  quarto  comma
dell'art.  657,  c.p.p.,  avendo  in  questi  ultimi  anni  la  Corte
costituzionale, con  una  pluralita'  di  interventi,  ridisegnato  i
confini   di   conformita'   ai   principi    costituzionali    della
applicabilita'  delle   presunzioni   assolute   in   riferimento   a
disposizioni  normative  che  incidono,  nel  senso  di  limitarla  o
comprimerla  del  tutto,  sulla   liberta'   personale   quale   bene
inviolabile costituzionalmente garantito. Invero, con le sentenze  n.
139/2010 e n. 265/2010, il Giudice delle leggi ha stabilito  che  «le
presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto  fondamentale
della  persona,  violano  il  principio  di  eguaglianza,   se   sono
arbitrarie  e  irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono  a  dati   di
esperienza  generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod
plerumque   accidit.   In   particolare   l'IRRAGIONEVOLEZZA    della
presunzione assoluta si coglie tutte le  volte  in  cui  sia  agevole
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa», ribadendo  tale  insegnamento
con le pronunce n. 331/2011, n. 110/2012 e n. 57/2013 con le quali ha
cosi' ulteriormente precisato: «Questa Corte, nelle  citate  sentenze
n. 265 del 2010 e n. 164 del 2011, ha ricordato  che  le  presunzioni
assolute,  specie  quando  limitano  un  diritto  fondamentale  della
persona, violano il principio di eguaglianza, se  sono  arbitrarie  e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienze
generalizzate riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit.
In particolare,  l'irragionevolezza  della  presunzione  assoluta  si
coglie tutte le  volte  in  cui  sia  agevole  formulare  ipotesi  di
accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a  base  della
presunzione stessa». 
    Tale essendo l'ormai consolidato orientamento dei  Giudici  della
Consulta  in  «subiecta  materia»,  non  pare  al  Collegio  che   la
disposizione del quarto comma dell'art. 657 c.p.p. che  interessa  la
liberta' personale come diritto  fondamentale  della  persona  umana,
esprima una regola di esperienza generalizzata, ove soltanto si pensi
che con la presunzione in parola si fa dipendere  1'operativita'  del
meccanismo  della  fungibilita'  della  pena  da  accadimenti  niente
affatto  coincidenti  con  l'id  quod  plerumque  accidit,  potendosi
certamente verificare nella pratica il caso  di'  chi  sia  spinto  a
delinquere dal proposito di recuperare la carcerazione gia'  sofferta
ingiustamente, ma non come  normalita'  generalizzata  visto  che  e'
altrettanto frequente il caso di  chi  proprio  per  avere  avuto  la
terribile esperienza di conoscere il carcere da innocente  con  tutte
le conseguenze negative derivategli da un processo penale, si  guarda
bene dal farsi tentare di commettere reati soltanto per  «riscuotere»
il bonus di un ingiusto presofferto. 
    Ritiene pertanto il Collegio che una  presunzione  assoluta  come
quella che assiste la previsione astratta inderogabile di divieto  di
recupero  della  carcerazione  ingiustamente  sofferta,  cosi'   come
disciplinata  dal  quarto  comma  dell'art.  657   c.p.p.,   la   cui
operativita' e' stata, come si e' visto, rigorosamente  limitata  dal
Giudice delle leggi, si pone in stridente contrasto  con  i  principi
costituzionali   di   eguaglianza   e   ragionevolezza,    oltretutto
aggiungendo  al  vulnus  della  ingiusta  privazione  della  liberta'
personale il danno di non poterla scomputare dalla  pena  inflittagli
in occasione di condanna successiva. 
    Occorre  tuttavia  aggiungere   che   ben   potrebbe   la   Corte
costituzionale ritenere - come ipotizzato dalla difesa del M. - che a
vulnerare i parametri costituzionali  sopra  richiamati  non  sia  la
presunzione in se', ma il suo  carattere  assoluto,  che  implica  un
divieto indiscriminato  e  totale  di  infungibilita',  nella  specie
arbitraria e irragionevole. La previsione invece di  una  presunzione
solo relativa del  divieto  in  parola  consentirebbe  di  conservare
l'impianto normativo e la sua «ratio»  senza  per  questo  eccedere i
limiti di compatibilita' costituzionale, grazie alla possibilita' che
verrebbe data all'interessato di fornire al Giudice (con onere a  suo
carico) i necessari elementi di segno contrario, quale ad esempio  il
lungo tempo trascorso tra la ingiusta carcerazione  e  la  successiva
commissione del reato. 
    Oltre  alla  non  manifesta   infondatezza,   appare   pienamente
ravvisabile anche la RILEVANZA della questione in esame, posto che la
richiesta di M. E. di compensare la lunga carcerazione  ingiustamente
sofferta dal 1983 al 1986, con parte della pena residuale da  espiare
in esecuzione della condanna  inflittagli  da  questo  Tribunale  con
sentenza del 26.10.2005 per  reati  commessi  nell'anno  2000  potra'
trovare pieno accoglimento in caso di declaratoria di  illegittimita'
costituzionale della preclusione imposta dal quarto  comma  dell'art.
657 c.p.p. 
    E' appena il caso di aggiungere che tale RILEVANZA  non  verrebbe
meno ove la Corte costituzionale, optando  per  l'alternativa  appena
prospettata, dovesse soltanto degradare in  RELATIVA  la  presunzione
ASSOLUTA «de qua», cosi da  dichiarare  la  illegittimita'  dell'art.
657, comma 4, c.p.p. nella parte in cui non prevede  che  il  Giudice
del procedimento possa derogare - sulla base di elementi probatori di
segno contrario a quelli presunti dalla  «ratio»  della  norma  -  al
divieto di computare la custodia cautelare subita o le  pene  espiate
ingiustamente prima della commissione del reato  per  il  quale  deve
essere determinata la pena da eseguire. Prova che ovviamente anche il
M. e' tenuto a fornire e che, nel caso  di  specie,  puo'  senz'altro
ritenersi ragionevolmente  raggiunta  alla  stregua  della  piu'  che
significativa circostanza  del  lunghissimo  lasso  temporale  (circa
diciassette  anni)  tra  la  carcerazione  preventiva   ingiustamente
sofferta ed i fatti per cui e' intervenuta la condanna alla  pena  da
espiare. 
    A norma dell'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo  1953,  deve
dichiararsi la sospensione del presente procedimento  e  disporsi  la
immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ove M. E.  fosse  costretto  ad  espiare  la  pena  inflitta  dal
Tribunale di Lucera durante il tempo di  attesa  del  giudizio  della
Corte costituzionale, si vedrebbe vanificare del tutto  la  legittima
aspettativa  di  poterla  compensare  con   l'ingiusto   presofferto.
Ricorrono pertanto i gravi motivi che  inducono  a  sospendere  anche
l'esecutivita' della sentenza 26.10.2005 del Tribunale di Lucera. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  657,  comma  4,  c.p.p.,  in
riferimento agli  artt.  3,  13,  comma  1,  e  27,  comma  3,  della
Costituzione. 
    Sospende il giudizio in corso e la  esecutivita'  della  sentenza
26.10.2005 del Tribunale di Lucera nei confronti di M. E., disponendo
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti  e  al
Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti
dei due rami del Parlamento italiano. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. 
 
      Lucera, 20 giugno 2013 
 
                      Il Presidente: Pecoriello