N. 8 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 31 ottobre 2013

Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello   Stato
(merito) depositato in cancelleria il 31 ottobre 2013 (del Presidente
del Consiglio dei ministri). 
 
Segreto  di  Stato  -  Procedimento  penale  avente  ad  oggetto   il
  fatto-reato del sequestro di Abu Omar -  Sentenza  della  Corte  di
  appello di Milano, quale giudice di rinvio, con la quale  e'  stata
  affermata la penale responsabilita' degli imputati, pur in pendenza
  del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato depositato  in
  data 11 febbraio 2013 e non ravvisando la sussistenza di una  causa
  di sospensione del processo in corso -  Ricorso  per  conflitto  di
  attribuzione tra poteri dello Stato  promosso  dal  Presidente  del
  Consiglio dei ministri  nei  confronti  della  Corte  d'appello  di
  Milano - Denunciata lesione delle attribuzioni del  Presidente  del
  Consiglio dei ministri quale  autorita'  preposta  all'opposizione,
  alla tutela e alla conferma del segreto di Stato -  Violazione  del
  principio  di  leale  collaborazione  tra  poteri  dello  Stato   -
  Richiesta alla Corte di dichiarare che: a) "non spetta  alla  Corte
  di appello di Milano  affermare  la  penale  responsabilita'  degli
  imputati del fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar,  sul
  presupposto che il segreto di  Stato  apposto  dal  Presidente  del
  Consiglio dei Ministri, in relazione alla vicenda del sequestro  di
  Abu Omar, concernerebbe solo i rapporti  tra  Servizio  italiano  e
  CIA, nonche' gli interna corporis che hanno  tratto  ad  operazioni
  autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque
  al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe tutt'ora
  utilizzabile    la    documentazione    legittimamente    acquisita
  dall'autorita' giudiziaria, nel corso del  procedimento  avente  ad
  oggetto  il  sequestro  in  questione,  sulla   quale   era   stato
  successivamente opposto il segreto  di  Stato,  nonche'  tutti  gli
  elementi di prova ritenuti coperti dal segreto di Stato dalla Corte
  costituzionale, con la sentenza n. 106 del 2009";  b)  "non  spetta
  alla Corte d'appello di Milano emettere la  sentenza  impugnata  in
  questa sede sulla base dell'utilizzazione dei verbali relativi agli
  interrogatori resi dagli allora indagati nel corso  delle  indagini
  preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori  -  di  cui  era
  stata disposta la restituzione al P.G. da parte della stessa  Corte
  di Appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010- senza che si sia
  dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri
  ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli  imputati
  Pollari,  Mancini,  Ciorra,  Di  Troia  e  Di  Gregori  nel   corso
  dell'udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore
  generale a concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere  la
  sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte dal segreto  di
  Stato"; c) "non spetta alla Corte d'appello di Milano  emettere  la
  sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso  il  processo
  penale  in  questione  fino  alla  definizione  del  giudizio   sul
  conflitto di attribuzione" -  Richiesta  di  annullamento,  "previa
  sospensione dell'efficacia della sentenza n.  985  del  2013  della
  Corte d'appello di Milano e conseguente  sospensione  del  processo
  penale attualmente pendente dinanzi alla Corte  di  cassazione,  la
  predetta sentenza della Corte ambrosiana". 
- - Sentenza della Corte di appello di Milano, sezione quarta penale,
  n. 985 del 12 febbraio 2013. 
- - Costituzione, artt. 1, 5, 52, 94 e 95, in riferimento agli  artt.
  1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell'art. 202 cod.
  proc. pen.) e 41 della legge 3 agosto 2007, n. 124. 
(GU n.45 del 6-11-2013 )
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  presso  i  cui  uffici   e'
domiciliato in Roma, via dei  Portoghesi,  12,  contro  la  Corte  di
appello di Milano, in persona del Presidente pro tempore, la Corte di
appello di Milano  -  sezione  quarta  penale,  in  persona  del  suo
Presidente  pro  tempore  dott.  Luigi  Martino,  in  relazione  alla
sentenza n. 985/2013 della Corte di appello di Milano. 
    1.1. - La  Procura  della  Repubblica  di  Milano  procedeva  nei
confronti di una serie di soggetti per il  delitto  di  sequestro  di
persona commesso in Milano ai danni di Nasr  Osanna  Mustafa',  alias
Abu Omar. 
    Nel capo  di  imputazione  venivano  indicate  specificamente  le
persone che avevano partecipato alle fasi preparatorie del sequestro;
quelle che avevano partecipato materialmente  alla  consumazione  del
delitto e quelle che, in qualita' di capi o di componenti della  rete
CIA in Italia, avevano organizzato l'operazione. 
    Secondo l'ipotesi accusatoria l'operazione sarebbe stata compiuta
da cittadini statunitensi appartenenti alla CIA con la collaborazione
di agenti del SISMI e di altri cittadini italiani, alcuni  dei  quali
(come, ad esempio Luciano Pironi, sottufficiale dei ROS  Carabinieri)
giudicati separatamente. 
    1.2. - Nel corso del giudizio svoltosi dinanzi  al  Tribunale  di
Milano alcuni imputati appartenenti al SISMI opponevano il segreto di
Stato su tutto cio' che concerneva i rapporti tra la CIA ed il SISMI,
nonche' sugli ordini e le direttive impartiti dai vertici del  SISMI,
in ordine al fatto storico del sequestro di persona in danno  di  Abu
Omar, alla cui realizzazione si dichiaravano assolutamente estranei. 
    Il Tribunale di Milano, avviata la procedura di cui all'art.  202
c.p.p.,  disponeva  la  sospensione  del   procedimento   fino   alla
definizione dei conflitti di attribuzione proposti,  rispettivamente,
dalla Procura  della  Repubblica  di  Milano  e  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, e del ricorso per conflitto  di  attribuzione
proposto in via incidentale dalla sezione  g.i.p.  del  Tribunale  di
Milano, conflitti risolti dalla Corte costituzionale con la  sentenza
n. 106/2009 (sulla quale ci si soffermera' in seguito). 
    Con tale sentenza la Corte costituzionale - muovendo dall'assunto
che l'area del segreto di Stato invocato dal Presidente del Consiglio
dei ministri concerneva tutti  i  rapporti  tra  Servizi  italiani  e
stranieri, tutti gli assetti organizzativi ed  operativi  del  SISMI,
nonche' gli ordini e le direttive che sarebbero stati  impartiti  dal
Direttore del  servizio  agli  appartenenti  allo  stesso,  ancorche'
ricollegabili al fatto storico del sequestro in danno di Abu  Omar  -
annullava il provvedimento di perquisizione  adottato  dalla  Procura
della Repubblica di Milano ed eseguito in data 5 luglio 2006, nonche'
il conseguente decreto di sequestro di documenti rinvenuti presso una
sede del SISMI; annullava la richiesta di incidente probatorio  e  la
successiva assunzione della prova il 30 settembre 2006,  nella  parte
in cui investiva i rapporti intrattenuti tra servizi di  intelligente
italiani e stranieri in ordine al sequestro di  Abu  Omar;  escludeva
dalla lista venti testimoni. 
    Il Tribunale di Milano, all'esito della valutazione  in  concreto
sul piano processuale  delle  conseguenze  derivanti  dalla  predetta
sentenza della Corte costituzionale  (valutazione  che  ad  esso  era
stata espressamente demandata dalla Corte, alla stregua delle  regole
fissate dal comma 1 dell'art. 185 c.p.p.  e  dall'art.  191  c.p.p.),
dichiarava non doversi procedere nei confronti di  Pollari,  Mancini,
Ciorra, Di Troia e Di Gregari, perche'  l'azione  penale  non  poteva
esser proseguita per l'esistenza del segreta di Stato. 
    1.3. - Tale statuizione veniva confermata dalla Corte di  Appello
di Milano. 
    Il Procuratore generale presso la  Corte  di  Appello  di  Milano
proponeva ricorso per  cassazione  avverso  la  sentenza  di  secondo
grado,   limitatamente   alla    statuizione    di    conferma    del
proscioglimento, ai sensi degli artt.  202,  comma  3  c.p.p.,  degli
imputati Pollari,  Mancini,  Ciorra,  Di  Troia  e  Di  Gregari,  per
l'esistenza di un segreto di  Stato,  nonche'  avverso  le  ordinanze
emesse dalla Corte di appello di Milano il 22 e 26 ottobre 2010,  con
cui erano state dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli
imputati Ciorra, Mancini, Di Troia e  Di  Gregari  nella  fase  delle
indagini preliminari. 
    Denunciato il duplice errore in  cui  sarebbe  incorsa  la  Corte
territoriale -  consistente  nella  non  corretta  individuazione  di
quanto avrebbe  costituito  oggetto  dell'effettiva  segretazione  da
parte del Presidente del Consiglio dei ministri e nella non del tutto
corretta  lettura  della  pronuncia  delle  leggi  -  il  Procuratore
ricorrente deduceva: 
        1) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b)  ed  e)  del
c.p.p. in relazione agli artt. 41 della legge n. 124/2007, 202 e 546,
lettera E) c.p.p. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto
coperti dal segreto di Stato i rapporti tra SISMI e CIA eventualmente
riguardanti il sequestro in danno di Abu Omar, laddove, ad avviso del
ricorrente, comportamenti di collaborazione  al  sequestro  posti  in
essere da singoli funzionari del SISMI  non  avrebbero  potuto  esser
ritenuti coperti dal segreto di  Stato,  dovendosi  escludere,  sulla
base degli atti  di  apposizione  del  segreto  di  Stato,  qualsiasi
responsabilita' del  Governo  italiano  e  del  SISMI  in  ordine  al
sequestro,  e  che  si  fosse  trattata  di  un'operazione  congiunta
SISMI/CIA; 
        2) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b)  ed  e)  del
c.p.p. in relazione agli artt. 185, 191, 202, 546 lettera e) c.p.p. e
41 della legge n. 124/2007. 
    Il ricorrente contestava alla Corte territoriale di aver  operato
molto   sommariamente   la   verifica,    demandata    dalla    Corte
costituzionale, ai sensi degli artt. 185 e 191 c.p.p., dell'incidenza
sul piano probatorio dell'annullamento di alcuni atti disposto  dalla
Corte costituzionale, pervenendo alla  conclusione  che  le  prove  a
carico degli agenti del SISMI sarebbero state coperte da un  «sipario
nero» impeditivo dell'accertamento di ogni responsabilita' penale; 
    3) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) del c.p.p.
in relazione all'art. 41 della legge a 124 del 2007, 185,  191,  202,
546, lettera e) e 586 c.p.p. 
    Per le stesse ragioni indicate nei primi due motivi  di  ricorso,
il  Procuratore  generale  ricorrente  si   doleva   della   ritenuta
inutilizzabilita'  delle  dichiarazioni,  asseritamente  di  sostanza
confessoria, rese nella fase delle indagini preliminari dagli  allora
indagati Mancini, Ciorra, Di Gregori e Di Troia. 
    La  sentenza   della   Corte   territoriale   veniva   impugnata,
limitatamente alla statuizione con la quale era stato  dichiarato  di
non doversi procedere nei confronti di Mancini, Pollari,  Ciorra,  Di
Troia e De Gregori per l'esistenza di un segreto di Stato, da  alcune
parti civili, sulla base di argomentazioni analoghe a  quelle  svolte
dal Procuratore generale. 
    In primo luogo  si  censurava  l'interpretazione  della  sentenza
della Corte costituzionale data dalla  Corte  territoriale,  ritenuta
contra  legem,  secondo  la  quale  sarebbe  ravvisabile  un'area  di
immunita' per gli agenti del SISMI che, invece, ad avviso delle parti
civili ricorrenti, non esisterebbe in ipotesi  di  partecipazione  ad
operazioni non assentite dai dirigenti del SISMI. 
    In secondo luogo ci si doleva dell'illogicita' della motivazione,
essendo il fatto contestato illegale, anche alla  stregua  di  quanto
risultante da deliberazioni di organismi internazionali. 
    In  terzo  luogo  si  denunciava   l'erroneita'   dell'inclusione
nell'ambito degli interna corporis  coperti  da  segreto  degli  atti
posti in essere dagli imputati in relazione al rapimento di Abu Omar. 
    In quarto luogo si  criticava  la  sentenza  impugnata  per  aver
erroneamente ritenuto coperte dal segreto di  Stato  molte  fonti  di
prova,  tra  cui  la  registrazione  del  colloquio  Mancini-Pignero,
laddove  si  sarebbe  trattato  di  conversazione  tra  due  soggetti
interagenti al  di  fuori  del  servizio  ed  in  relazione  a  fatti
costituenti reato. 
    Infine  si  censurava  la  mancata  valutazione,  nella  sentenza
impugnata, dell'idoneita' della rivelazione di  notizie  coperte  dal
segreto  di  Stato  a  ledere   l'integrita'   e   la   funzionalita'
dell'apparato di difesa dello  Stato,  anche  in  considerazione  del
fatto che le notizie divulgate sarebbero gia'  divenute  di  pubblico
dominio. 
    1.4. - La  Corte  di  cassazione,  in  accoglimento  dei  ricorsi
proposti dal Procuratore  generale  e  dalle  parti  civili,  con  la
sentenza n. 46340/12, ha annullato i proscioglimenti  degli  imputati
Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini, nonche' le ordinanze
del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la Corte di Appello di Milano aveva
ritenuto l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni  rese  dagli  allora
indagati Ciorra, Di Troia, Di  Gregori  e  Mancini  nel  corso  degli
interrogatori cui era no stati sottoposti nella fase  delle  indagini
preliminari. 
    La Corte di appello di  Milano  -  quale  giudice  cui  e'  stata
rinviata la causa dalla Suprema Corte - con ordinanza emessa in  data
28 gennaio 2013 ha accolto la richiesta  di  produzione  dei  verbali
degli  interrogatori  resi  dai  predetti  imputati,  avanzata  dalla
Procura generale, in dichiarato ossequio alla citata  sentenza  della
Corte di cassazione, ammettendo  altresi'  la  produzione,  da  parte
della  difesa  dell'imputato   Mancini,   della   nota   dell'Agenzia
Informazioni e Sicurezza Esterna  (A.I.S.E.)  del  25  gennaio  2013,
prot. n. 13631/2.2./4/GG. 02, recante la  comunicazione  al  predetto
imputato del contenuto della nota del Dipartimento Informazioni della
sicurezza (D.I.S.). 
    Nella nota  da  ultimo  citata,  il  D.I.S.  rappresenta  che  il
Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  rilevato  la  perdurante
vigenza  del  segreto  di  Stato,  cosi'  come  apposto,  opposto   e
confermato nel corso del procedimento penale  avente  ad  oggetto  il
fatto storico del sequestro di Abu Omar dai Presidenti del  Consiglio
dei ministri pro tempore, su tutti gli aspetti attinenti a  qualsiasi
rapporto  intercorso  tra  servizi  di   intelligente   nazionali   e
stranieri, ancorche' in qualche modo collegati o collegabili  con  il
fatto storico costituito dal sequestro  in  questione,  nonche'  agli
interna corporis, intesi quali modalita' organizzative ed operative. 
    Nel corso dell'udienza del 4  febbraio  2013  i  difensori  degli
imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori depositavano
le note, di identico contenuto, con le quali l'AISE aveva  reso  noto
quanto ad essa rappresentato dal D.I.S. nella nota  n.  0012634/5.2.5
(10) DO11 UCSE.GN inviata dal D.I.S. all'A.I.S.E. 
    In tale nota, ribadito quanto gia'  comunicato  con  la  nota  n.
0009378/5.2.5.(10).D01 UCSE.GN3 del 25 gennaio 2013, in  ordine  alla
vigenza del segreto di Stato cosi' come apposto, opposto e confermato
nel procedimento concernente il fatto storico del  sequestro  di  Abu
Omar dai Presidenti del Consiglio pro tempore, e' contenuto  l'invito
del D.I.S. all'A.I.S.E. a comunicare agli imputati Pollari,  Mancini,
Ciorra, Di Troia e Di Gregori che  le  attivita'  del  personale  del
SISMI risultanti dagli atti ammessi nel procedimento, con l'ordinanza
emessa dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio 2013, sono
da  ritenersi  coperti  dal  segreto  di  Stato,  anche   in   quanto
inquadrabili nel contesto delle attivita' istituzionali del  Servizio
di contrasto al terrorismo internazionale di matrice islamica, tenuto
conto di quanto statuito  dalla  sentenza  n.  106/2009  della  Corte
costituzionale. 
    I difensori degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di  Troia  e
Di Gregori opponevano il  segreto  di  Stato  sulle  fonti  di  prova
costituite dei verbali degli interrogatori resi dagli allora indagati
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, acquisiti in data 28  gennaio
2013, chiedendo che venisse interpellato il Presidente del  Consiglio
dei ministri, ex art. 41 della  legge  n.  124/2007,  ai  fini  della
conferma del segreto di Stato. 
    La Corte d'appello di Milano, riservato al merito  l'esame  delle
questioni sollevate dagli imputati, invitava il Procuratore  generale
a concludere. 
    Nel corso dell'udienza del 12 febbraio  2013  il  Presidente  del
collegio giudicante dava atto del fatto che il giorno prima  gli  era
stata consegnata copia del conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato  proposto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   nei
confronti  della  Corte  di  appello  di  Milano  e  della  Corte  di
cassazione  affinche'  la  Corte  costituzionale  annullasse  sia  la
sentenza n. 4630/12 della Suprema Corte  -  nella  parte  in  cui  ha
annullato i proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia,
Di Gregori e Mancini, nonche' le ordinanze del 22 e 26  ottobre  2010
con  cui   la   Corte   di   Appello   di   Milano   aveva   ritenuto
l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni  rese  dagli  indagati  nella
fase delle indagini preliminari -, sia l'ordinanza emessa dalla Corte
di appello di Milano del 28 gennaio 2013, nella parte  in  cui  aveva
ammesso la produzione dei verbali relativi  alle  dichiarazioni  rese
dagli indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e  Di  Gregori,  nella  fase
delle indagini preliminari, di cui era stata disposta la restituzione
alla Procura Generale con le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010,  sia
l'ordinanza emessa in data 4 febbraio 2013, con cui era stato  omesso
l'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini  della
conferma  del  segreto  di  Stato  opposto  dagli  imputati  Pollari,
Mancini, Ciorra, Di Troia e  Di  Gregori,  invitando  il  Procuratore
generale a concludere. 
    Nonostante la Corte di appello di Milano fosse stata resa edotta,
su iniziativa dell'Avvocatura  dello  Stato,  del  deposito  di  tale
ricorso per conflitto di attribuzione in data 11  febbraio  2013,  la
stessa  Corte,  non  ravvisando  la  sussistenza  di  una  causa   di
sospensione del procedimento penale in corso, anche in considerazione
del fatto che non era ancora intervenuto il vaglio di  ammissibilita'
del ricorso da parte  della  Corte  costituzionale,  si  ritirava  in
camera  di  consiglio,  all'esito  della  quale  dava   lettura   del
dispositivo della sentenza impugnata mediante il presente ricorso. 
    Questa  sentenza,  con  cui  e'   stata   affermata   la   penale
responsabilita' degli imputati (tutti condannati alla pena di anni  6
dei reclusione, ad eccezione di Pollari, condannato alla pena di anni
10 di reclusione, e di Mancini, condannato alla pena  di  anni  9  di
reclusione),  risulta  gravemente  lesiva  delle   attribuzioni   del
Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  quale  autorita'  preposta
all'apposizione, alla tutela ed alla conferma del segreto  di  Stato,
ai sensi dell'art. 1, comma  1,  lettere  b)  e  c)  della  legge  n.
124/2007. 
    Pertanto, con  il  presente  ricorso,  previa  deliberazione  del
Consiglio dei ministri, allegata, adottata in data 24 maggio 2013, si
solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato,  ai  sensi
degli artt. 37 e ss. della legge n.  87/1953,  per  violazione  degli
artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione e con riguardo agli  artt.
1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (che  ha  sostituito  l'art.  202
c.p.p.) e 41 della legge n. 124/2007. 
 
                            D i r i t t o 
 
1.1. - Sull'ammissibilita' del conflitto sotto il profilo soggettivo. 
    E'  pacifico  che  al  ricorrente  spetti  la  legittimazione   a
sollevare il presente conflitto quale potere dello Stato al  fine  di
difendere la propria  sfera  di  attribuzioni  costituzionali  (Corte
cost. sentenza n. 426/1997; Corte cost. sentenza n.  266/1998;  Corte
cost. sentenza  n.  321/1997;  Corte  cost.  sentenze  numeri  124  e
125/2007). 
    Quanto all'altre parti in conflitto (Corte di cassazione e  Corte
di appello di Milano), non puo' certo  mettersi  in  dubbio  la  loro
qualita'  di  organi  competenti  a  manifestare  definitivamente  la
volonta' del potere cui  appartengono  (il  potere  giudiziario),  ai
sensi dell'art. 37 della legge n. 87/1953,  in  considerazione  della
natura di suprema  istanza  di  controllo  della  legittimita'  delle
sentenze e dei provvedimenti incidenti sulla liberta'  personale  che
deve essere riconosciuta alla Corte di cassazione, ex art. 111, comma
2 della Costituzione, e  della  competenza  della  Corte  di  appello
milanese ad adottare provvedimenti giurisdizionali idonei  a  passare
in  giudicato  (cfr.,  da  ultimo.,  Corte  costituzionale  ord.   n.
69/2013). 
    1.2.  -  Sull'ammissibilita'  del  conflitto  sotto  il   profilo
oggettivo. 
    Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  rivendica,  con  il
presente atto, l'integrita' delle proprie attribuzioni costituzionali
nell'esercizio  dell'attivita'  politica  volta  alla  tutela   della
sicurezza dello Stato - che, in relazione al caso di  specie,  si  e'
concretata nell'apposizione del segreto di  Stato  e  nella  conferma
dello stesso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e  la
CIA nonche' agli interna corporis del Servizio, anche  in  ordine  al
fatto storico del sequestro di Abu Omar  -  attribuzioni  lese  dalla
sentenza della Corte di appello di Milano, in dichiarata ottemperanza
alla sentenza n. 46340/12 della Corte di  cassazione,  denunciate  in
questa sede, che hanno sostanzialmente vanificato  il  riconoscimento
della sussistenza di tale segreto da parte  di  codesta  Corte  nella
sentenza n. 106/2009. 
2. - Nel merito: violazione degli artt. 1,  5,  52,  94  e  95  della
Costituzione in relazione all'art. 1, comma 1, lettere b) e  c),  39,
40 (che ha  sostituito  l'art.  202  c.p.p.)  e  41  della  legge  n.
124/2007. 
    2.1. Codesta Corte ha costantemente fondato,  fin  dalla  storica
sentenza n. 86/1977, la legittimita' costituzionale dell'istituto del
segreto di Stato sulla sua preordinazione  alla  tutela  dei  supremi
valori dell'esistenza, dell'integrita'  e  dell'essenza  dello  Stato
democratico, valori posti al vertice di quelli su cui poggia la salus
reipublicae. 
    E' proprio il livello supremo dei citati valori,  tutelabili  con
il presidio del segreto di Stato, a  giustificare  la  resistenza  di
tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni ed  interessi,
pur costituzionalmente tutelati, quali il valore della giustizia e la
funzione giurisdizionale. 
    Nella  storica  decisione  poc'anzi  citata,  codesta  Corte   ha
individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri,  quale  organo
responsabile della politica generale del Governo, ai sensi  dell'art.
95 della Costituzione, il titolare del potere di segretazione, potere
di natura squisitamente politica,  il  cui  esercizio  non  puo'  non
soggiacere all'esclusivo controllo parlamentare  (ex  art.  94  della
Costituzione), dinanzi al quale il Governo, e per esso il  Presidente
del Consiglio dei ministri, e' politicamente responsabile. 
    La strumentalita' dell'esercizio di tale potere  di  segretazione
alla tutela  dei  supremi  valori  in  questione  ben  giustifica  il
principio, anch'esso affermato nella poc'anzi citata sentenza,  della
non segretabilita' di fatti eversivi dell'ordine costituzionale. 
    Il Parlamento italiano, con la legge n. 801/1977 prima, e con  la
legge n. 124/2007, in puntuale sintonia con l'insegnamento di codesta
Corte costituzionale ha riformato la disciplina dei Servizi. 
    In  particolare  l'art.  1,  comma  1  della  legge  n.  124/2007
attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l'alta direzione
e la responsabilita' generale della politica dell'informazione per la
sicurezza, nell'interesse e per la difesa della  Repubblica  e  delle
istituzioni democratiche poste dalla Costituzione  a  suo  fondamento
(lettera a); l'apposizione e la tutela del segreto di Stato  (lettera
b),  nonche'  la  conferma  dell'opposizione  del  segreto  di  Stato
(lettera c). 
    L'art. 39 della legge n. 124/2007 delimita l'area degli atti, dei
documenti, delle notizie,  delle  attivita'  coperti  da  segreto  di
Stato. L'art. 40 della stessa legge, che sostituisce l'art.  202  del
c.p.p., disciplina la tutela del segreto di Stato  sul  versante  del
processo  penale,  imponendo  ai  pubblici  ufficiali,  ai   pubblici
impiegati ed agli incaricati di un pubblico servizio di astenersi dal
deporre su fatti coperti dal segreto  di  Stato  (comma  1);  facendo
obbligo all'autorita' giudiziaria dinanzi alla quale  venga  opposto,
da parte di un testimone,  un  segreto  di  Stato  di  informarne  il
Presidente del Consiglio dei ministri,  sospendendo  ogni  iniziativa
volta all'acquisizione della notizia oggetto del segreto  (comma  2);
disciplinando  la  procedura  preordinata  ad  acquisire  l'eventuale
conferma del segreto di Stato da parte del Presidente  del  Consiglio
dei ministri e le conseguenze di  siffatta  conferma,  nel  senso  di
prevedere che, laddove la conoscenza di quanto coperto dal segreto di
Stato sia essenziale per la definizione del processo, il giudice deve
dichiarare non doversi  procedere  per  l'esistenza  del  segreto  di
Stato,   consentendo   all'autorita'   giudiziaria    di    procedere
esclusivamente in base ad elementi autonomi dagli atti,  documenti  e
cose coperti da segreto (commi 3, 4, 5 e 6). 
    L'art. 41 vieta ai pubblici ufficiali, ai pubblici  impiegati  ed
agli incaricati di pubblico servizio di  riferire  riguardo  a  fatti
coperti dal segreto  di  Stato,  ribadendo  l'obbligo  dell'autorita'
giudiziaria, dinanzi alla quale, nel corso di un processo penale, sia
stato opposto il segreto di Stato, di informarne  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri (comma 1); prevede che, qualora il  Presidente
del Consiglio abbia confermato l'esistenza del segreto di Stato e  la
conoscenza di quanto coperto dal segreto risulti  essenziale  per  la
definizione del processo, il giudice dichiari non  doversi  procedere
per l'esistenza del segreto di Stato (comma 3), essendo inibito  alla
predetta autorita' l'acquisizione ed utilizzazione, anche  indiretta,
delle notizie coperte dal segreto (comma 5),  salva  la  possibilita'
per l'autorita' giudiziaria  di  procedere  sulla  base  di  elementi
autonomi e indipendenti dagli atti,  documenti  e  cose  coperti  dal
segreto (comma 6). 
    2.2. - Ricostruito sinteticamente il quadro  giuridico  rilevante
ai fini della corretta delimitazione della sfera di attribuzioni  del
Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorita' preposta  alla
tutela del segreto di Stato, si osserva che la sentenza impugnata con
il presente ricorso e' affetta da illegittimita' derivata,  in  primo
luogo in quanto ha applicato alla fattispecie concreta sottoposta  al
giudizio della Corte di appello i criteri seguiti dalla Suprema Corte
di  cassazione  del  19  settembre   2012,   impugnata   dall'odierno
ricorrente  con  il  gia'  menzionato  ricorso   per   conflitto   di
attribuzione (ric. confl. attr. n. 4/2013),  depositato  in  data  11
febbraio  2013  e  dichiarato  ammissibile  da  codesta   Corte   con
l'ordinanza n. 69/2013. 
    La Corte di cassazione, a  pagina  121  della  sentenza  poc'anzi
richiamata, nel riportare il contenuto della direttiva del 30  luglio
1985, nonche' delle  note  11  novembre  2005,  26  luglio  2006,  15
novembre 2008 della Presidenza del Consiglio dei ministri,  riconosce
correttamente che, come e' stato riconosciuto anche da codesta  Corte
nella sentenza n. 106/2009, in  relazione  alla  vicenda  processuale
concernente il sequestro di Abu Omar, il segreto di  Stato  e'  stato
apposto su documenti e notizie riguardanti  i  rapporti  tra  Servizi
italiani e stranieri e sugli interna corporis  del  Servizio,  ovvero
sulla organizzazione dello stesso e  sulle  direttive  impartite  dal
direttore  dei  Servizi,  anche  se  relative  alla   vicenda   delle
renditions e del sequestro di Abu Omar. 
    Ma la stessa Suprema Corte incorre in un  errore  di  valutazione
quando, sulla scorta dei  citati  documenti,  pretende  desumere  che
l'ambito del segreto di Stato apposto dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri sia limitato  ai  rapporti  tra  Servizi  che  si  siano
estrinsecati nell'organizzazione e nella realizzazione di  operazioni
comuni. 
    Ne' a tale conclusione e'  possibile  pervenire  valorizzando  la
circostanza risultante dalla nota dell'11 novembre 2005, vale a  dire
quella dell'assoluta estraneita' del Governo italiano e del  Servizio
al sequestro di Abu Omar. 
    In  realta'  non  e'  chi  non  veda  la  contraddittorieta'  del
ragionamento  svolto  dalla  Suprema  Corte,  che  da  un  canto   ha
richiamato integralmente la sentenza n. 106/2009 di codesta  Corte  -
che, nel paragrafo 9.1 del «Considerato in diritto» ha  correttamente
riferito il segreto di Stato ai rapporti tra SISMI  e  CIA  anche  se
relativi  a  extraordinary  renditions   -   e   d'altro   canto   ha
arbitrariamente limitato l'ambito di operativita' di tale segreto  ai
soli  rapporti  tra  Servizi  che   si   siano   estrinsecati   nella
partecipazione  ad  operazioni  gestite  da   entrambi   i   Servizi,
legittimamente approvate dai vertici del Servizio italiano. 
    L'arbitrarieta' di tale ricostruzione, destinata a comportare una
indebita, grave restrizione dell'ambito di operativita'  del  segreto
di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei  ministri,  ridonda
in un'evidente lesione della sfera di attribuzioni  di  quest'ultimo,
risolvendosi   in   un'inammissibile   sostituzione    dell'autorita'
giudiziaria all'autorita' politica nella concreta  determinazione  di
cio' che costituisce oggetto del segreto di Stato in  relazione  alla
vicenda del sequestro di Abu Omar. 
    Come si e' gia' avuto modo di osservare in sede di  ricostruzione
del quadro normativo che disciplina l'istituto del segreto di  Stato,
e' solo al Presidente del Consiglio dei ministri,  suprema  autorita'
cui spetta la direzione  politica  dello  Stato  (ex  art.  95  della
Costituzione) - di cui l'alta direzione e la responsabilita' generale
della politica dell'informazione per la sicurezza,  nell'interesse  e
per la difesa della Repubblica, ex art. 1, comma 1, lettera a)  della
legge n. 124/2007, costituisce una fondamentale articolazione  -  che
spetta la determinazione, in concreto,  dell'ambito  di  operativita'
del segreto di Stato, in conformita' al disposto dell'art.  39  della
legge n. 124/2007. 
    La denunciata lesione della sfera  di  attribuzioni  del  Governo
consumata dalla Corte di cassazione per effetto dello  stravolgimento
del senso e della portata  della  sentenza  n.  106/2009  di  codesta
Eccellentissima Corte costituzionale e' stata reiterata  dalla  Corte
di appello di Milano, con la sentenza impugnata in questa sede. 
    E'   innegabile   che   la   Corte   milanese    sia    pervenuta
all'affermazione della penale responsabilita'  degli  imputati  sulla
base  dell'utilizzazione  di  materiale  probatorio  che   e'   stato
erroneamente  ritenuto  non  coperto  dal  segreto   di   Stato,   in
ottemperanza alla citata sentenza della Corte di  cassazione,  ma  in
palese contrasto con quanto statuito da codesta Corte  costituzionale
nella sentenza n. 106/2009. 
    In questa sede sara' sufficiente richiamare, a sostegno  di  tale
assunto, il passaggio della sentenza (par. 9.3, pagg. 88 e ss.  della
sentenza)  in  cui  si  riassumono   le   risultanze   dell'incidente
probatorio espletato dinanzi al GIP c/o il  Tribunale  di  Milano  in
data 30 settembre 1996, nel corso del  quale  si  svolse  l'esame  di
Luciano Pironi, soggetto che  ebbe  a  partecipare  materialmente  al
sequestro di Abu Omar. 
    La Corte di appello milanese ha ritenuto di poter utilizzare tale
emergenza processuale sulla base di quanto statuito  dalla  Corte  di
cassazione in punto di pretesa estraneita' all'ambito del segreto  di
Stato dei rapporti tra CIA e SISMI  che  non  si  siano  estrinsecati
nella comune partecipazione ad operazioni debitamente  approvate  dal
SISMI. 
    Il narrato di Pironi in ordine ai rapporti intrattenuti  con  Bob
Lady,  responsabile  della  CIA   a   Milano,   in   relazione   alla
realizzazione  del  sequestro  di  Abu  Omar,   e'   stato   ritenuto
utilizzabile in ragione dell'estraneita' del SISMI  al  sequestro  in
questione. 
    L'erroneita' della premessa sulla quale si fonda  l'utilizzazione
di  tale  emergenza  processuale  risulta  in  modo  evidente   dalla
circostanza  che  codesta  Corte,  nella  sentenza  n.  106/2009,  ha
chiaramente    affermato    l'illegittimita'     della     richiesta,
dell'ammissione e dello svolgimento dell'incidente probatorio del  30
settembre 2006, in quanto «destinato  a  riguardare  quella  tematica
delle relazioni tra Servizi italiani e stranieri di intelligence  che
il Presidente del Consiglio aveva inteso sottoporre a segreto»  (par.
9) del Considerato in diritto). 
    Coerentemente a tale affermazione codesta Corte, con la  predetta
sentenza, ha annullato le risultanze  dell'incidente  probatorio,  in
quanto concernenti circostanze coperte da segreto di Stato, non senza
precisare che da tale annullamento, ai sensi dell'art. 185, comma 1 e
191 c.p.p. consegue l'inutilizzabilita' di tali circostanze  (par.  9
del Considerato in diritto). 
    La Corte di appello milanese, facendo mostra di ritenere  tamquam
non esset la statuizione con cui codesta  Corte  aveva  annullato  le
risultanze dell'incidente probatorio, ha  aggravato  il  vulnus  gia'
inferto alle prerogative del Presidente del Consiglio  dei  ministri,
quale organo preposto alla tutela del segreto di Stato,  dalla  Corte
di cassazione, mediante l'adozione della sentenza n. 46340/2012. 
    2.3. -  Come  si  e'  gia'  avuto  occasione  di  denunciare  nel
precedente ricorso per conflitto di attribuzione,  l'annullamento  da
parte della Corte di cassazione della statuizione con cui la Corte di
appello di Milano  aveva  dichiarato  l'improcedibilita'  dell'azione
penale esercitata nei confronti degli imputati italiani  che  avevano
opposto il segreto di Stato, nonche' delle  ordinanze  del  22  e  26
ottobre 2010 con cui la Corte di Appello  di  Milano  aveva  ritenuto
l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese  dagli  allora  indagati
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di  Gregori  nella  fase  delle  indagini
preliminari, nonostante il segreto di Stato opposto dagli imputati in
dibattimento fosse stato ritualmente confermato  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri - cui ha fatto seguito  l'emissione  da  parte
della  Corte  di  appello  di  Milano,  in  data  28  gennaio   2013,
dell'ordinanza con cui e' stata ammessa  la  produzione  di  siffatte
dichiarazioni chiesta dalla Procura generale - risulta  lesivo  delle
prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri anche sotto  un
ulteriore profilo. 
    L'arbitraria esclusione dall'ambito di operativita'  del  segreto
di Stato dei rapporti tra il Servizio italiano  e  la  CIA,  e  delle
direttive impartite dal  direttore  del  SISMI  in  ordine  al  fatto
storico del sequestro di Abu Omar, ha  obiettivamente  vanificato  la
conferma  del  segreto  di  Stato,  nei  termini  in  cui  e'   stato
esattamente ricostruito da codesta Corte nella sentenza n.  106/2009,
il cui esito obbligato, (laddove risulti essenziale,  ai  fini  della
definizione  del  processo,  la  conoscenza  di  quanto  coperto  dal
segreto), non  puo'  che  essere  la  dichiarazione  di  non  doversi
procedere per l'esistenza del segreto di Stato, a norma del combinato
disposto dell'art. 202, comma 3, c.p.p. (come sostituto dall'art.  40
della legge n. 124/2007) e dell'art.  41,  comma  3  della  legge  n.
124/2007. Cio' in ragione della preclusione  della  possibilita'  che
l'autorita' giudiziaria acquisisca ed utilizzi, anche indirettamente,
le notizie coperte dal  segreto,  in  forza  del  combinato  disposto
dell'art. 40, comma 5  e  dell'art.  41,  comma  5,  della  legge  n.
124/2007. 
    L'illegittimita'   di    siffatta    statuizione    si    estende
necessariamente anche all'ordinanza emessa dalla Corte di appello  di
Milano in data 28 gennaio 2013, nella parte  in  cui  ha  ammesso  la
produzione  dei  verbali  relativi  alle  dichiarazioni  rese   dagli
indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e  di  Gregori  nella  fase  delle
indagini preliminari, nonche' alla sentenza impugnata in questa sede,
in  quanto  fondata  sull'utilizzazione  delle  risultanze  di   tali
verbali, risultanze  coperte  dal  segreto  di  Stato,  alla  stregua
dell'insegnamento di codesta Corte. 
    2.4. - La sentenza impugnata e' censurabile anche nella parte  in
cui si richiama (cfr. par. 8.1,  pagina  49  della  sentenza)  quanto
affermato   dalla   Corte   di   cassazione   circa   la   tardivita'
dell'apposizione del segreto  di  Stato  con  riferimento  agli  atti
assunti ed ai documenti acquisiti nel procedimento avente ad  oggetto
il sequestro di Abu Omar. 
    Tale assunto -  gia'  criticato  dal  ricorrente  nel  precedente
ricorso per conflitto di attribuzione - e'  palesemente  contrastante
con quanto affermato da codesta Corte costituzionale  nella  sentenza
n. 106/2009. 
    Nel paragrafo 12.3 del «Considerato in  diritto»  della  predetta
sentenza codesta Corte ha recisamente escluso  che,  con  riferimento
alla vicenda del sequestro  di  Abu  Omar,  fosse  stato  violato  il
principio dell'anteriorita' della segretazione. 
    A differenza di quanto  ritenuto  dalla  Corte  di  cassazione  a
proposito   dell'impossibilita'   di   ritenere   la    tempestivita'
dell'apposizione del segreto in virtu' della direttiva del 30  luglio
1985, codesta Corte ha espressamente valorizzato  tale  direttiva  in
forza della quale, fin dalla  data  della  sua  emanazione,  dovevano
esser ritenute coperte da segreto di Stato,  ai  sensi  dell'art.  12
della legge n. 801/1977, allora vigente,  oltre  alle  operazioni  ed
alle attivita' informative proprie  dei  Servizi  segreti,  anche  le
relazioni con organi informativi di altri Stati. 
    Inoltre  codesta  Corte  ha   correttamente   rilevato   che   la
tempestivita' dell'apposizione del segreto di Stato su tutto cio' che
attiene a tali relazioni e' dimostrata dal fatto che gia' con la nota
dell'11 novembre 2005 il Presidente del Consiglio  aveva  manifestato
la necessita' di assicurare, anche  in  relazione  alla  vicenda  del
sequestro di Abu  Omar,  il  massimo  riserbo  su  qualsiasi  aspetto
riferito ai rapporti tra il Servizio italiano e quelli stranieri. 
    2.5.  -  La  sentenza  impugnata  e'  affetta  da  illegittimita'
derivata dal  palese  stravolgimento  del  senso  della  sentenza  n.
106/2009 operato dalla Suprema Corte con la sentenza impugnata con il
precedente ricorso per conflitto di attribuzione, nella parte in  cui
si attribuisce alla Corte costituzionale l'affermazione del principio
che  qualora,  come  nel  caso   di   specie,   i   soggetti   tenuti
all'opposizione   del   segreto   di   Stato   lo   abbiano   opposto
successivamente all'acquisizione da parte dell'autorita'  giudiziaria
delle notizie coperte da tale segreto, gli atti  gia'  legittimamente
acquisiti  non  sarebbero  inutilizzabili,  salva  la  necessita'  di
adottare accorgimenti per le cadenze successive del processo atte  ad
impedire la ulteriore divulgazione del segreto, quando  questa  possa
essere ancora dannosa per gli interessi protetti. 
    Codesta Corte, nel paragrafo 8.4 del «Considerato in diritto», in
realta'  si   e'   limitata   a   chiarire   che   la   comunicazione
dell'opposizione del segreto  di  Stato  sulle  parti  obliterate  di
alcuni   documenti,    precedentemente    acquisiti    dall'autorita'
giudiziaria, non comporta «... retroattiva demolizione dell'attivita'
di indagine gia' compiuta sulla base  della  precedente  e  legittima
acquisizione   degli   stessi    ...»,    rilevando,    peraltro    e
significativamente, che l'opposizione del segreto  di  Stato,  seppur
successiva all'acquisizione di documenti ovvero di altri elementi  di
prova, non puo' neppure essere indifferente rispetto  alle  ulteriori
attivita' dell'autorita' giudiziaria, requirente e giudicante, ed  in
relazione alle cadenze processuali imposte dal rito penale. 
    Conseguentemente codesta Corte, a differenza di  quanto  ritenuto
dalla  Corte  di  cassazione,  ha  ritenuto  l'inutilizzabilita'  dei
documenti  acquisiti  dall'autorita'  giudiziaria   all'esito   della
perquisizione eseguita il 5 luglio 2006, e successivamente  trasmessi
all'autorita' giudiziaria con  parziali  omissioni  relative  a  dati
coperti da segreto di Stato, dichiarando che non spettava al pubblico
ministero milanese ed al g.u.p. presso il Tribunale di  Milano  porre
tali documenti a  fondamento,  rispettivamente,  della  richiesta  di
rinvio  a  giudizio  e  del  decreto  che  dispone  il  giudizio,  ed
annullando, per l'effetto, tali atti processuali nelle corrispondenti
parti (cfr. il dispositivo della sentenza  n.  106/2009  della  Corte
costituzionale). 
    L'infondatezza dell'assunto della Corte di cassazione, secondo il
quale la legittimita' delle modalita' di acquisizione di un  elemento
di prova comporta  necessariamente  la  piena  utilizzabilita'  dello
stesso, ancorche' si tratti di un elemento  coperto  dal  segreto  di
Stato, risulta anche da un altro passaggio della sentenza n. 106/2009
di codesta Corte costituzionale. 
    Nel paragrafo 10 del «Considerato in diritto», nell'affrontare la
questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei  ministri,  che,
nel ricorso per conflitto  di  attribuzione  proposto  nei  confronti
della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, si  era
doluto  della  lesione  delle  proprie   prerogative   costituzionali
determinata  dalle   intercettazioni   «a   tappeto»   delle   utenze
telefoniche intestate al SISMI, disposta  dall'autorita'  giudiziaria
milanese,  si  afferma  chiaramente  la  legittimita'   di   siffatte
intercettazioni, non essendo stato preventivamente apposto il segreto
di Stato, anche in ragione dell'inesistenza di un divieto ex lege  di
intercettazione delle comunicazioni intervenute su utenze telefoniche
in uso a soggetti appartenenti ai Servizi. 
    Conseguentemente si esclude che la mera circostanza che  siffatte
intercettazioni fossero state  disposte  ridondasse  in  una  lesione
delle prerogative costituzionali del Presidente del  Consiglio.  Cio'
non toglie, pero', che in termini diversi si pone la  questione  «...
della  concreta  utilizzabilita'  processuale  del  contenuto   delle
intercettazioni  disposte  dagli  inquirenti,  Sotto  tale   distinto
profilo,  l'Autorita'  giudiziaria  non  potra'  comunque   porre   a
fondamento delle  sue  determinazioni,  in  qualsiasi  momento  della
scansione processuale, elementi conoscitivi che  dovessero  risultare
coperti dal segreto di Stato, se e nella parte in  cui  eventualmente
investano, direttamente od  indirettamente,  proprio  il  tema  delle
relazioni intercorse tra i Servizi di intelligence italiano e  quelli
stranieri. Cio' in riferimento al principio, gia' affermato da questa
Corte secondo il quale il segreto  di  Stato  ritualmente  opposto  o
confermato  legittimamente  funge,  nei  singoli  casi  concreti   da
sbarramento  al  potere  giurisdizionale,  nel  senso   di   «inibire
all'Autorita'  giudiziaria  di  acquisire   e   conseguentemente   di
utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal  segreto
(gia' citata sentenza n. 110/1998).». 
    L'evidente scostamento della sentenza della Corte  di  cassazione
denunciata con  il  presente  ricorso  rispetto  all'insegnamento  di
codesta Corte comporta una lesione delle prerogative  del  Presidente
del Consiglio  dei  ministri,  mantenendo  all'interno  del  circuito
divulgativo del processo documenti in relazione ai  quali  era  stato
opposto e confermato il segreto di Stato. 
    Cio', lo si ribadisce, ridonda nell'illegittimita' della sentenza
impugnata in questa sede. 
    2.6. - La sentenza in questione non puo' non essere stigmatizzata
anche nella parte in cui pretende limitare l'inutilizzabilita'  delle
testimonianze, delle dichiarazioni e degli altri  elementi  di  prova
concernenti  l'organizzazione  del  Servizio,  nonche'  le  direttive
impartite dal suo Direttore alle parti che attengano  strettamente  a
tali  profili,  salva  l'utilizzabilita'  degli  elementi  di   prova
concernenti attivita' e condotte  anche  di  agenti  di  servizi  che
abbiano agito  a  titolo  individuale,  al  di  fuori  di  operazioni
riconducibili al SISMI. 
    E' evidente l'erroneita' di  tale  assunto,  che  costituisce  la
logica  conseguenza  della  tesi  secondo  la  quale,  nella  vicenda
relativa al sequestro Abu Omar, il Presidente del  Consiglio  avrebbe
apposto il segreto di Stato solo sui rapporti tra Servizio italiano e
CIA,  nonche'  sugli  interna  corporis  del  Servizio  relativi   ad
operazioni approvate da quest'ultimo. 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  odierno  ricorrente,
richiama integralmente la confutazione  di  tale  tesi  gia'  operata
precedentemente, ed in particolare ribadisce gli  effetti  gravemente
lesivi  delle  proprie  attribuzioni  costituzionali   che   derivano
dell'assunto, condiviso dalla sentenza  della  Corte  di  appello  di
Milano  denunciata  in  questa   sede,   dell'utilizzabilita'   delle
dichiarazioni concernenti gli interna corporis del Servizio ancorche'
aventi tratto alla vicenda in  esame,  nelle  parti  non  concernenti
operazioni debitamente approvate dal Servizio. 
    2.7. - Sotto ulteriore profilo non puo' non apparire evidente che
la sentenza impugnata  e'  viziata  per  effetto  dell'illegittimita'
dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano,  in  data  28
gennaio 2013, con cui era stata accolta la  richiesta  di  produzione
dei verbali degli interrogatori resi dagli allora  indagati  Mancini,
Ciorra, Di Troia e Di Gregorio, avanzata dalla Procura  generale,  in
dichiarato  ossequio  alla  sentenza  della  Corte   di   cassazione,
trattandosi di fonti di  prova  certamente  coperte  dal  segreto  di
Stato. 
    Gia' con il precedente ricorso per conflitto di  attribuzione  si
era rilevato che la lesivita' delle attribuzioni  costituzionali  del
Presidente del Consiglio dei ministri, che  connota  la  sentenza  n.
46340/12 della Suprema Corte, non puo' non comportare  la  necessita'
di denunciare che le prerogative del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri sono state lese anche dall'ordinanza emessa dalla  Corte  di
appello di Milano in data 28 gennaio 2013. 
    La lesione subita  dal  ricorrente  per  effetto  della  predetta
ordinanza e'  stata  aggravata  dalla  Corte  di  appello  di  Milano
mediante l'emissione della  sentenza  impugnata  in  questa  sede  in
quanto fondata sull'utilizzazione  dei  verbali  degli  interrogatori
resi dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregario. 
    2.8. - Con il precedente ricorso per conflitto di attribuzione e'
stata impugnata anche l'ordinanza emessa dalla Corte  di  appello  di
Milano  in  data  4  febbraio  2013,  con  cui  non  si  dava   corso
all'interpello del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ai  fini
della conferma del segreto di Stato opposto dagli  imputati  Pollari,
Mancini, Ciorra,  Di  Troia  e  Di  Gregari,  in  patente  violazione
dell'art. 41  della  legge  n.  124/2007,  che  impone  all'autorita'
giudiziaria, in caso di opposizione del segreto di Stato, di chiedere
al Presidente del Consiglio dei ministri conferma  dell'esistenza  di
tale segreto  sospendendo  ogni  iniziativa  volta  ad  acquisire  la
notizia oggetto del segreto. 
    Con  tale  ordinanza,  lungi  dall'aver  osservato  il   disposto
dell'art. 41 della legge n. 124/2007, la Corte di appello  consentiva
al Procuratore generale di svolgere la sua requisitoria - ripresa con
particolare enfasi dai mass media - utilizzando ampiamente  fonti  di
prova coperte dal segreto di Stato. 
    L'illegittimita'  di  tale  ordinanza  comporta   necessariamente
l'illegittimita' della sentenza  impugnata  in  questa  sede,  emessa
senza che sia stato rispettato il disposto dell'art. 41  della  legge
n. 124/2007, preordinato a tutelare le prerogative del Presidente del
Consiglio dei ministri in materia di conferma del segreto di Stato. 
    2.9.  -  L'ultimo,   ma   non   meno   importante,   profilo   di
illegittimita' della  sentenza  impugnata  in  questa  sede,  che  si
intende  denunciare,  e'  costituito  dalla  palese  violazione   del
principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato  in  cui  e'
incorsa la Corte di appello di Milano, per aver omesso di  sospendere
il procedimento penale in corso  di  celebrazione,  in  attesa  della
decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato,  del  cui  deposito  presso   la   Cancelleria   della   Corte
costituzionale   la   Corte   di'   appello   era   stata   informata
dall'Avvocatura dello Stato  il  giorno  prima  dell'emissione  della
sentenza impugnata. 
    Come codesta Corte ha avuto modo di affermare, in piu' occasioni,
il principio di leale collaborazione deve sempre permeare di  se'  il
rapporto tra poteri dello Stato e che  ad  esso  non  sfugge  neppure
l'ordine giudiziario, nell'esercizio della giurisdizione, quando esso
ridondi nelle altrui attribuzioni costituzionali  (cfr.  sentenze  n.
149 del 2007, n. 110/1998, n. 403/1994 e n. 87/2012). 
    Non vi e'  dubbio  che  nel  caso  di  specie  l'esercizio  della
funzione giurisdizionale da parte della  Corte  d'appello  di  Milano
interferisse  con  l'esercizio  delle   attribuzioni   spettanti   al
Presidente del Consiglio dei ministri in materia di segreto di Stato,
per la cui tutela l'odierno  ricorrente  si  era  rivolto  a  codesta
Corte. 
    Tale obiettiva interferenza tra sfere di  attribuzioni  spettanti
ai poteri dello Stato in conflitto avrebbe dovuto indurre la Corte di
appello  di  Milano  a  sospendere  il  processo  penale  fino   alla
definizione del giudizio promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei
ministri nei confronti della Corte di cassazione  e  della  Corte  di
appello di Milano, in ottemperanza al  predetto  principio  di  leale
collaborazione tra poteri dello Stato. 
    Appare  francamente  sconcertante  il  riferimento,  contenuto  a
pagina 16 della sentenza,  al  fatto  che  il  predetto  ricorso  per
conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato  non  aveva  ancora
superato il vaglio di ammissibilita' della Corte costituzionale,  ove
si consideri  che,  alla  luce  dell'ormai  consolidato  orientamento
giurisprudenziale in materia di  presupposti  di  ammissibilita'  dei
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato  (cfr.,  da  ultimo,
l'ordinanza n. 69/2013 di codesta Corte), la Corte di appello avrebbe
potuto agevolmente prevedere che la Corte costituzionale  si  sarebbe
determinata nel senso dell'ammissibilita'. 
    3.1. - Istanza di sospensiva. 
    Non e' chi non veda la gravita' delle conseguenze derivanti dalla
sentenza della Corte di appello di Milano denunciata in questa  sede,
ove si consideri che  l'ulteriore  prosecuzione  del  giudizio  -  in
ragione della presenza nel  fascicolo  del  dibattimento  di  atti  e
documenti pacificamente coperti dal segreto di Stato  -  comporta  il
protrarsi dell'indebita pubblicita' delle informazioni  contenute  in
tali fonti di prova per effetto della loro  immissione  nel  circuito
divulgativo  del  processo  e,  conseguentemente,   dell'informazione
veicolata dai mass media, determinando l'aggravamento  della  lesione
delle attribuzioni costituzionali del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  gia'  consumata   mediante   l'adozione   della   sentenza
impugnata. 
    L'esigenza  di  evitare  l'aggravamento   della   lesione   delle
attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri
impone la sospensione dell'efficacia della sentenza  impugnata  e  la
conseguente sospensione  del  processo  penale  attualmente  pendente
dinanzi alla Corte di Cassazione, fino alla definizione del  giudizio
introdotto con il presente ricorso. 
 
                              P. Q .M. 
 
    Chiede che la Corte costituzionale, previa riunione del  presente
ricorso  a  quello  precedentemente  proposto  dal   ricorrente   nei
confronti della Corte di cassazione  e  della  Corte  di  appello  di
Milano (ric.  confl.  attr.  n.  4/2013),  per  evidenti  ragioni  di
connessione oggettiva e soggettiva, 
        A) dichiari che non spetta alla Corte di  appello  di  Milano
affermare la penale responsabilita' degli imputati del fatto -  reato
costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il  segreto
di Stato apposto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar, concernerebbe  solo
i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche' gli interna  corporis
che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non  anche
quelli che attengono comunque  al  fatto  storico  del  sequestro  in
questione, e che  sarebbe  tutt'ora  utilizzabile  la  documentazione
legittimamente acquisita dall'autorita' giudiziaria,  nel  corso  del
procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale
era stato successivamente opposto il segreto di Stato, nonche'  tutti
gli elementi di prova  ritenuti  coperti  dal  segreto  di  Stato  da
codesta Corte costituzionale, con la sentenza n. 106/2009; 
        B) dichiari che non spetta alla  Corte  d'appello  di  Milano
emettere  la  sentenza  impugnata   in   questa   sede   sulla   base
dell'utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli
allora indagati nel corso delle indagini preliminari Mancini, Ciorra,
Di Troia e Di Gregori - di cui era stata disposta la restituzione  al
P.G. da parte della stessa Corte di Appello con ordinanze del 22 e 26
ottobre 2010 -  senza  che  si  sia  dato  corso  all'interpello  del
Presidente del Consiglio dei ministri  ai  fini  della  conferma  del
segreto di Stato opposto dagli imputati Pollati, Mancini, Ciorra,  Di
Troia e Di Gregori  nel  corso  dell'udienza  del  4  febbraio  2013,
essendosi invitato il Procuratore generale a concludere, in modo tale
da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti  di
prova coperte dal segreto di Stato; 
        C) dichiari che non spetta alla  Corte  d'appello  di  Milano
emettere la sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso  il
processo penale in questione fino alla definizione del  giudizio  sul
conflitto di attribuzione; 
        C) annulli - previa sospensione dell'efficacia della sentenza
n.  985/2013  della  Corte  di  appello  di  Milano   e   conseguente
sospensione del processo penale  attualmente  pendente  dinanzi  alla
Corte di cassazione - la predetta sentenza della Corte ambrosiana. 
    Allegati come da separato indice. 
 
        Roma, addi' 3 luglio 2013 
 
L'Avvocato dello Stato: Giannuzzi - Il Vice Avvocato  generale  dello
                           Stato: Tamiozzo 
 
    Avvertenza: L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata
decisa  con  ordinanza  n.  244/2013  e  pubblicata  nella   Gazzetta
Ufficiale, 1ª serie speciale, n. 43 del 23 ottobre 2013.