N. 8 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 31 ottobre 2013
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 31 ottobre 2013 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Segreto di Stato - Procedimento penale avente ad oggetto il fatto-reato del sequestro di Abu Omar - Sentenza della Corte di appello di Milano, quale giudice di rinvio, con la quale e' stata affermata la penale responsabilita' degli imputati, pur in pendenza del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato depositato in data 11 febbraio 2013 e non ravvisando la sussistenza di una causa di sospensione del processo in corso - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte d'appello di Milano - Denunciata lesione delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri quale autorita' preposta all'opposizione, alla tutela e alla conferma del segreto di Stato - Violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato - Richiesta alla Corte di dichiarare che: a) "non spetta alla Corte di appello di Milano affermare la penale responsabilita' degli imputati del fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar, concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche' gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe tutt'ora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall'autorita' giudiziaria, nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale era stato successivamente opposto il segreto di Stato, nonche' tutti gli elementi di prova ritenuti coperti dal segreto di Stato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 106 del 2009"; b) "non spetta alla Corte d'appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede sulla base dell'utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli allora indagati nel corso delle indagini preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori - di cui era stata disposta la restituzione al P.G. da parte della stessa Corte di Appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010- senza che si sia dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso dell'udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore generale a concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato"; c) "non spetta alla Corte d'appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso il processo penale in questione fino alla definizione del giudizio sul conflitto di attribuzione" - Richiesta di annullamento, "previa sospensione dell'efficacia della sentenza n. 985 del 2013 della Corte d'appello di Milano e conseguente sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di cassazione, la predetta sentenza della Corte ambrosiana". - - Sentenza della Corte di appello di Milano, sezione quarta penale, n. 985 del 12 febbraio 2013. - - Costituzione, artt. 1, 5, 52, 94 e 95, in riferimento agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell'art. 202 cod. proc. pen.) e 41 della legge 3 agosto 2007, n. 124.(GU n.45 del 6-11-2013 )
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12, contro la Corte di appello di Milano, in persona del Presidente pro tempore, la Corte di appello di Milano - sezione quarta penale, in persona del suo Presidente pro tempore dott. Luigi Martino, in relazione alla sentenza n. 985/2013 della Corte di appello di Milano. 1.1. - La Procura della Repubblica di Milano procedeva nei confronti di una serie di soggetti per il delitto di sequestro di persona commesso in Milano ai danni di Nasr Osanna Mustafa', alias Abu Omar. Nel capo di imputazione venivano indicate specificamente le persone che avevano partecipato alle fasi preparatorie del sequestro; quelle che avevano partecipato materialmente alla consumazione del delitto e quelle che, in qualita' di capi o di componenti della rete CIA in Italia, avevano organizzato l'operazione. Secondo l'ipotesi accusatoria l'operazione sarebbe stata compiuta da cittadini statunitensi appartenenti alla CIA con la collaborazione di agenti del SISMI e di altri cittadini italiani, alcuni dei quali (come, ad esempio Luciano Pironi, sottufficiale dei ROS Carabinieri) giudicati separatamente. 1.2. - Nel corso del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Milano alcuni imputati appartenenti al SISMI opponevano il segreto di Stato su tutto cio' che concerneva i rapporti tra la CIA ed il SISMI, nonche' sugli ordini e le direttive impartiti dai vertici del SISMI, in ordine al fatto storico del sequestro di persona in danno di Abu Omar, alla cui realizzazione si dichiaravano assolutamente estranei. Il Tribunale di Milano, avviata la procedura di cui all'art. 202 c.p.p., disponeva la sospensione del procedimento fino alla definizione dei conflitti di attribuzione proposti, rispettivamente, dalla Procura della Repubblica di Milano e dal Presidente del Consiglio dei ministri, e del ricorso per conflitto di attribuzione proposto in via incidentale dalla sezione g.i.p. del Tribunale di Milano, conflitti risolti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 106/2009 (sulla quale ci si soffermera' in seguito). Con tale sentenza la Corte costituzionale - muovendo dall'assunto che l'area del segreto di Stato invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri concerneva tutti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri, tutti gli assetti organizzativi ed operativi del SISMI, nonche' gli ordini e le direttive che sarebbero stati impartiti dal Direttore del servizio agli appartenenti allo stesso, ancorche' ricollegabili al fatto storico del sequestro in danno di Abu Omar - annullava il provvedimento di perquisizione adottato dalla Procura della Repubblica di Milano ed eseguito in data 5 luglio 2006, nonche' il conseguente decreto di sequestro di documenti rinvenuti presso una sede del SISMI; annullava la richiesta di incidente probatorio e la successiva assunzione della prova il 30 settembre 2006, nella parte in cui investiva i rapporti intrattenuti tra servizi di intelligente italiani e stranieri in ordine al sequestro di Abu Omar; escludeva dalla lista venti testimoni. Il Tribunale di Milano, all'esito della valutazione in concreto sul piano processuale delle conseguenze derivanti dalla predetta sentenza della Corte costituzionale (valutazione che ad esso era stata espressamente demandata dalla Corte, alla stregua delle regole fissate dal comma 1 dell'art. 185 c.p.p. e dall'art. 191 c.p.p.), dichiarava non doversi procedere nei confronti di Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregari, perche' l'azione penale non poteva esser proseguita per l'esistenza del segreta di Stato. 1.3. - Tale statuizione veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, limitatamente alla statuizione di conferma del proscioglimento, ai sensi degli artt. 202, comma 3 c.p.p., degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregari, per l'esistenza di un segreto di Stato, nonche' avverso le ordinanze emesse dalla Corte di appello di Milano il 22 e 26 ottobre 2010, con cui erano state dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli imputati Ciorra, Mancini, Di Troia e Di Gregari nella fase delle indagini preliminari. Denunciato il duplice errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale - consistente nella non corretta individuazione di quanto avrebbe costituito oggetto dell'effettiva segretazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e nella non del tutto corretta lettura della pronuncia delle leggi - il Procuratore ricorrente deduceva: 1) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) del c.p.p. in relazione agli artt. 41 della legge n. 124/2007, 202 e 546, lettera E) c.p.p. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto coperti dal segreto di Stato i rapporti tra SISMI e CIA eventualmente riguardanti il sequestro in danno di Abu Omar, laddove, ad avviso del ricorrente, comportamenti di collaborazione al sequestro posti in essere da singoli funzionari del SISMI non avrebbero potuto esser ritenuti coperti dal segreto di Stato, dovendosi escludere, sulla base degli atti di apposizione del segreto di Stato, qualsiasi responsabilita' del Governo italiano e del SISMI in ordine al sequestro, e che si fosse trattata di un'operazione congiunta SISMI/CIA; 2) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) del c.p.p. in relazione agli artt. 185, 191, 202, 546 lettera e) c.p.p. e 41 della legge n. 124/2007. Il ricorrente contestava alla Corte territoriale di aver operato molto sommariamente la verifica, demandata dalla Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 185 e 191 c.p.p., dell'incidenza sul piano probatorio dell'annullamento di alcuni atti disposto dalla Corte costituzionale, pervenendo alla conclusione che le prove a carico degli agenti del SISMI sarebbero state coperte da un «sipario nero» impeditivo dell'accertamento di ogni responsabilita' penale; 3) violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) del c.p.p. in relazione all'art. 41 della legge a 124 del 2007, 185, 191, 202, 546, lettera e) e 586 c.p.p. Per le stesse ragioni indicate nei primi due motivi di ricorso, il Procuratore generale ricorrente si doleva della ritenuta inutilizzabilita' delle dichiarazioni, asseritamente di sostanza confessoria, rese nella fase delle indagini preliminari dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Gregori e Di Troia. La sentenza della Corte territoriale veniva impugnata, limitatamente alla statuizione con la quale era stato dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Mancini, Pollari, Ciorra, Di Troia e De Gregori per l'esistenza di un segreto di Stato, da alcune parti civili, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle svolte dal Procuratore generale. In primo luogo si censurava l'interpretazione della sentenza della Corte costituzionale data dalla Corte territoriale, ritenuta contra legem, secondo la quale sarebbe ravvisabile un'area di immunita' per gli agenti del SISMI che, invece, ad avviso delle parti civili ricorrenti, non esisterebbe in ipotesi di partecipazione ad operazioni non assentite dai dirigenti del SISMI. In secondo luogo ci si doleva dell'illogicita' della motivazione, essendo il fatto contestato illegale, anche alla stregua di quanto risultante da deliberazioni di organismi internazionali. In terzo luogo si denunciava l'erroneita' dell'inclusione nell'ambito degli interna corporis coperti da segreto degli atti posti in essere dagli imputati in relazione al rapimento di Abu Omar. In quarto luogo si criticava la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto coperte dal segreto di Stato molte fonti di prova, tra cui la registrazione del colloquio Mancini-Pignero, laddove si sarebbe trattato di conversazione tra due soggetti interagenti al di fuori del servizio ed in relazione a fatti costituenti reato. Infine si censurava la mancata valutazione, nella sentenza impugnata, dell'idoneita' della rivelazione di notizie coperte dal segreto di Stato a ledere l'integrita' e la funzionalita' dell'apparato di difesa dello Stato, anche in considerazione del fatto che le notizie divulgate sarebbero gia' divenute di pubblico dominio. 1.4. - La Corte di cassazione, in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale e dalle parti civili, con la sentenza n. 46340/12, ha annullato i proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini, nonche' le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dagli allora indagati Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini nel corso degli interrogatori cui era no stati sottoposti nella fase delle indagini preliminari. La Corte di appello di Milano - quale giudice cui e' stata rinviata la causa dalla Suprema Corte - con ordinanza emessa in data 28 gennaio 2013 ha accolto la richiesta di produzione dei verbali degli interrogatori resi dai predetti imputati, avanzata dalla Procura generale, in dichiarato ossequio alla citata sentenza della Corte di cassazione, ammettendo altresi' la produzione, da parte della difesa dell'imputato Mancini, della nota dell'Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (A.I.S.E.) del 25 gennaio 2013, prot. n. 13631/2.2./4/GG. 02, recante la comunicazione al predetto imputato del contenuto della nota del Dipartimento Informazioni della sicurezza (D.I.S.). Nella nota da ultimo citata, il D.I.S. rappresenta che il Presidente del Consiglio dei ministri ha rilevato la perdurante vigenza del segreto di Stato, cosi' come apposto, opposto e confermato nel corso del procedimento penale avente ad oggetto il fatto storico del sequestro di Abu Omar dai Presidenti del Consiglio dei ministri pro tempore, su tutti gli aspetti attinenti a qualsiasi rapporto intercorso tra servizi di intelligente nazionali e stranieri, ancorche' in qualche modo collegati o collegabili con il fatto storico costituito dal sequestro in questione, nonche' agli interna corporis, intesi quali modalita' organizzative ed operative. Nel corso dell'udienza del 4 febbraio 2013 i difensori degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori depositavano le note, di identico contenuto, con le quali l'AISE aveva reso noto quanto ad essa rappresentato dal D.I.S. nella nota n. 0012634/5.2.5 (10) DO11 UCSE.GN inviata dal D.I.S. all'A.I.S.E. In tale nota, ribadito quanto gia' comunicato con la nota n. 0009378/5.2.5.(10).D01 UCSE.GN3 del 25 gennaio 2013, in ordine alla vigenza del segreto di Stato cosi' come apposto, opposto e confermato nel procedimento concernente il fatto storico del sequestro di Abu Omar dai Presidenti del Consiglio pro tempore, e' contenuto l'invito del D.I.S. all'A.I.S.E. a comunicare agli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori che le attivita' del personale del SISMI risultanti dagli atti ammessi nel procedimento, con l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio 2013, sono da ritenersi coperti dal segreto di Stato, anche in quanto inquadrabili nel contesto delle attivita' istituzionali del Servizio di contrasto al terrorismo internazionale di matrice islamica, tenuto conto di quanto statuito dalla sentenza n. 106/2009 della Corte costituzionale. I difensori degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori opponevano il segreto di Stato sulle fonti di prova costituite dei verbali degli interrogatori resi dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, acquisiti in data 28 gennaio 2013, chiedendo che venisse interpellato il Presidente del Consiglio dei ministri, ex art. 41 della legge n. 124/2007, ai fini della conferma del segreto di Stato. La Corte d'appello di Milano, riservato al merito l'esame delle questioni sollevate dagli imputati, invitava il Procuratore generale a concludere. Nel corso dell'udienza del 12 febbraio 2013 il Presidente del collegio giudicante dava atto del fatto che il giorno prima gli era stata consegnata copia del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte di appello di Milano e della Corte di cassazione affinche' la Corte costituzionale annullasse sia la sentenza n. 4630/12 della Suprema Corte - nella parte in cui ha annullato i proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini, nonche' le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 con cui la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dagli indagati nella fase delle indagini preliminari -, sia l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano del 28 gennaio 2013, nella parte in cui aveva ammesso la produzione dei verbali relativi alle dichiarazioni rese dagli indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, nella fase delle indagini preliminari, di cui era stata disposta la restituzione alla Procura Generale con le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, sia l'ordinanza emessa in data 4 febbraio 2013, con cui era stato omesso l'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, invitando il Procuratore generale a concludere. Nonostante la Corte di appello di Milano fosse stata resa edotta, su iniziativa dell'Avvocatura dello Stato, del deposito di tale ricorso per conflitto di attribuzione in data 11 febbraio 2013, la stessa Corte, non ravvisando la sussistenza di una causa di sospensione del procedimento penale in corso, anche in considerazione del fatto che non era ancora intervenuto il vaglio di ammissibilita' del ricorso da parte della Corte costituzionale, si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale dava lettura del dispositivo della sentenza impugnata mediante il presente ricorso. Questa sentenza, con cui e' stata affermata la penale responsabilita' degli imputati (tutti condannati alla pena di anni 6 dei reclusione, ad eccezione di Pollari, condannato alla pena di anni 10 di reclusione, e di Mancini, condannato alla pena di anni 9 di reclusione), risulta gravemente lesiva delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorita' preposta all'apposizione, alla tutela ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 124/2007. Pertanto, con il presente ricorso, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, allegata, adottata in data 24 maggio 2013, si solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi degli artt. 37 e ss. della legge n. 87/1953, per violazione degli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione e con riguardo agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (che ha sostituito l'art. 202 c.p.p.) e 41 della legge n. 124/2007. D i r i t t o 1.1. - Sull'ammissibilita' del conflitto sotto il profilo soggettivo. E' pacifico che al ricorrente spetti la legittimazione a sollevare il presente conflitto quale potere dello Stato al fine di difendere la propria sfera di attribuzioni costituzionali (Corte cost. sentenza n. 426/1997; Corte cost. sentenza n. 266/1998; Corte cost. sentenza n. 321/1997; Corte cost. sentenze numeri 124 e 125/2007). Quanto all'altre parti in conflitto (Corte di cassazione e Corte di appello di Milano), non puo' certo mettersi in dubbio la loro qualita' di organi competenti a manifestare definitivamente la volonta' del potere cui appartengono (il potere giudiziario), ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87/1953, in considerazione della natura di suprema istanza di controllo della legittimita' delle sentenze e dei provvedimenti incidenti sulla liberta' personale che deve essere riconosciuta alla Corte di cassazione, ex art. 111, comma 2 della Costituzione, e della competenza della Corte di appello milanese ad adottare provvedimenti giurisdizionali idonei a passare in giudicato (cfr., da ultimo., Corte costituzionale ord. n. 69/2013). 1.2. - Sull'ammissibilita' del conflitto sotto il profilo oggettivo. Il Presidente del Consiglio dei ministri rivendica, con il presente atto, l'integrita' delle proprie attribuzioni costituzionali nell'esercizio dell'attivita' politica volta alla tutela della sicurezza dello Stato - che, in relazione al caso di specie, si e' concretata nell'apposizione del segreto di Stato e nella conferma dello stesso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e la CIA nonche' agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro di Abu Omar - attribuzioni lese dalla sentenza della Corte di appello di Milano, in dichiarata ottemperanza alla sentenza n. 46340/12 della Corte di cassazione, denunciate in questa sede, che hanno sostanzialmente vanificato il riconoscimento della sussistenza di tale segreto da parte di codesta Corte nella sentenza n. 106/2009. 2. - Nel merito: violazione degli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione in relazione all'art. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (che ha sostituito l'art. 202 c.p.p.) e 41 della legge n. 124/2007. 2.1. Codesta Corte ha costantemente fondato, fin dalla storica sentenza n. 86/1977, la legittimita' costituzionale dell'istituto del segreto di Stato sulla sua preordinazione alla tutela dei supremi valori dell'esistenza, dell'integrita' e dell'essenza dello Stato democratico, valori posti al vertice di quelli su cui poggia la salus reipublicae. E' proprio il livello supremo dei citati valori, tutelabili con il presidio del segreto di Stato, a giustificare la resistenza di tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni ed interessi, pur costituzionalmente tutelati, quali il valore della giustizia e la funzione giurisdizionale. Nella storica decisione poc'anzi citata, codesta Corte ha individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo responsabile della politica generale del Governo, ai sensi dell'art. 95 della Costituzione, il titolare del potere di segretazione, potere di natura squisitamente politica, il cui esercizio non puo' non soggiacere all'esclusivo controllo parlamentare (ex art. 94 della Costituzione), dinanzi al quale il Governo, e per esso il Presidente del Consiglio dei ministri, e' politicamente responsabile. La strumentalita' dell'esercizio di tale potere di segretazione alla tutela dei supremi valori in questione ben giustifica il principio, anch'esso affermato nella poc'anzi citata sentenza, della non segretabilita' di fatti eversivi dell'ordine costituzionale. Il Parlamento italiano, con la legge n. 801/1977 prima, e con la legge n. 124/2007, in puntuale sintonia con l'insegnamento di codesta Corte costituzionale ha riformato la disciplina dei Servizi. In particolare l'art. 1, comma 1 della legge n. 124/2007 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l'alta direzione e la responsabilita' generale della politica dell'informazione per la sicurezza, nell'interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento (lettera a); l'apposizione e la tutela del segreto di Stato (lettera b), nonche' la conferma dell'opposizione del segreto di Stato (lettera c). L'art. 39 della legge n. 124/2007 delimita l'area degli atti, dei documenti, delle notizie, delle attivita' coperti da segreto di Stato. L'art. 40 della stessa legge, che sostituisce l'art. 202 del c.p.p., disciplina la tutela del segreto di Stato sul versante del processo penale, imponendo ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati ed agli incaricati di un pubblico servizio di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato (comma 1); facendo obbligo all'autorita' giudiziaria dinanzi alla quale venga opposto, da parte di un testimone, un segreto di Stato di informarne il Presidente del Consiglio dei ministri, sospendendo ogni iniziativa volta all'acquisizione della notizia oggetto del segreto (comma 2); disciplinando la procedura preordinata ad acquisire l'eventuale conferma del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e le conseguenze di siffatta conferma, nel senso di prevedere che, laddove la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato sia essenziale per la definizione del processo, il giudice deve dichiarare non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato, consentendo all'autorita' giudiziaria di procedere esclusivamente in base ad elementi autonomi dagli atti, documenti e cose coperti da segreto (commi 3, 4, 5 e 6). L'art. 41 vieta ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati ed agli incaricati di pubblico servizio di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato, ribadendo l'obbligo dell'autorita' giudiziaria, dinanzi alla quale, nel corso di un processo penale, sia stato opposto il segreto di Stato, di informarne il Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1); prevede che, qualora il Presidente del Consiglio abbia confermato l'esistenza del segreto di Stato e la conoscenza di quanto coperto dal segreto risulti essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiari non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato (comma 3), essendo inibito alla predetta autorita' l'acquisizione ed utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto (comma 5), salva la possibilita' per l'autorita' giudiziaria di procedere sulla base di elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto (comma 6). 2.2. - Ricostruito sinteticamente il quadro giuridico rilevante ai fini della corretta delimitazione della sfera di attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorita' preposta alla tutela del segreto di Stato, si osserva che la sentenza impugnata con il presente ricorso e' affetta da illegittimita' derivata, in primo luogo in quanto ha applicato alla fattispecie concreta sottoposta al giudizio della Corte di appello i criteri seguiti dalla Suprema Corte di cassazione del 19 settembre 2012, impugnata dall'odierno ricorrente con il gia' menzionato ricorso per conflitto di attribuzione (ric. confl. attr. n. 4/2013), depositato in data 11 febbraio 2013 e dichiarato ammissibile da codesta Corte con l'ordinanza n. 69/2013. La Corte di cassazione, a pagina 121 della sentenza poc'anzi richiamata, nel riportare il contenuto della direttiva del 30 luglio 1985, nonche' delle note 11 novembre 2005, 26 luglio 2006, 15 novembre 2008 della Presidenza del Consiglio dei ministri, riconosce correttamente che, come e' stato riconosciuto anche da codesta Corte nella sentenza n. 106/2009, in relazione alla vicenda processuale concernente il sequestro di Abu Omar, il segreto di Stato e' stato apposto su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis del Servizio, ovvero sulla organizzazione dello stesso e sulle direttive impartite dal direttore dei Servizi, anche se relative alla vicenda delle renditions e del sequestro di Abu Omar. Ma la stessa Suprema Corte incorre in un errore di valutazione quando, sulla scorta dei citati documenti, pretende desumere che l'ambito del segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei ministri sia limitato ai rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nell'organizzazione e nella realizzazione di operazioni comuni. Ne' a tale conclusione e' possibile pervenire valorizzando la circostanza risultante dalla nota dell'11 novembre 2005, vale a dire quella dell'assoluta estraneita' del Governo italiano e del Servizio al sequestro di Abu Omar. In realta' non e' chi non veda la contraddittorieta' del ragionamento svolto dalla Suprema Corte, che da un canto ha richiamato integralmente la sentenza n. 106/2009 di codesta Corte - che, nel paragrafo 9.1 del «Considerato in diritto» ha correttamente riferito il segreto di Stato ai rapporti tra SISMI e CIA anche se relativi a extraordinary renditions - e d'altro canto ha arbitrariamente limitato l'ambito di operativita' di tale segreto ai soli rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nella partecipazione ad operazioni gestite da entrambi i Servizi, legittimamente approvate dai vertici del Servizio italiano. L'arbitrarieta' di tale ricostruzione, destinata a comportare una indebita, grave restrizione dell'ambito di operativita' del segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, ridonda in un'evidente lesione della sfera di attribuzioni di quest'ultimo, risolvendosi in un'inammissibile sostituzione dell'autorita' giudiziaria all'autorita' politica nella concreta determinazione di cio' che costituisce oggetto del segreto di Stato in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar. Come si e' gia' avuto modo di osservare in sede di ricostruzione del quadro normativo che disciplina l'istituto del segreto di Stato, e' solo al Presidente del Consiglio dei ministri, suprema autorita' cui spetta la direzione politica dello Stato (ex art. 95 della Costituzione) - di cui l'alta direzione e la responsabilita' generale della politica dell'informazione per la sicurezza, nell'interesse e per la difesa della Repubblica, ex art. 1, comma 1, lettera a) della legge n. 124/2007, costituisce una fondamentale articolazione - che spetta la determinazione, in concreto, dell'ambito di operativita' del segreto di Stato, in conformita' al disposto dell'art. 39 della legge n. 124/2007. La denunciata lesione della sfera di attribuzioni del Governo consumata dalla Corte di cassazione per effetto dello stravolgimento del senso e della portata della sentenza n. 106/2009 di codesta Eccellentissima Corte costituzionale e' stata reiterata dalla Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata in questa sede. E' innegabile che la Corte milanese sia pervenuta all'affermazione della penale responsabilita' degli imputati sulla base dell'utilizzazione di materiale probatorio che e' stato erroneamente ritenuto non coperto dal segreto di Stato, in ottemperanza alla citata sentenza della Corte di cassazione, ma in palese contrasto con quanto statuito da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 106/2009. In questa sede sara' sufficiente richiamare, a sostegno di tale assunto, il passaggio della sentenza (par. 9.3, pagg. 88 e ss. della sentenza) in cui si riassumono le risultanze dell'incidente probatorio espletato dinanzi al GIP c/o il Tribunale di Milano in data 30 settembre 1996, nel corso del quale si svolse l'esame di Luciano Pironi, soggetto che ebbe a partecipare materialmente al sequestro di Abu Omar. La Corte di appello milanese ha ritenuto di poter utilizzare tale emergenza processuale sulla base di quanto statuito dalla Corte di cassazione in punto di pretesa estraneita' all'ambito del segreto di Stato dei rapporti tra CIA e SISMI che non si siano estrinsecati nella comune partecipazione ad operazioni debitamente approvate dal SISMI. Il narrato di Pironi in ordine ai rapporti intrattenuti con Bob Lady, responsabile della CIA a Milano, in relazione alla realizzazione del sequestro di Abu Omar, e' stato ritenuto utilizzabile in ragione dell'estraneita' del SISMI al sequestro in questione. L'erroneita' della premessa sulla quale si fonda l'utilizzazione di tale emergenza processuale risulta in modo evidente dalla circostanza che codesta Corte, nella sentenza n. 106/2009, ha chiaramente affermato l'illegittimita' della richiesta, dell'ammissione e dello svolgimento dell'incidente probatorio del 30 settembre 2006, in quanto «destinato a riguardare quella tematica delle relazioni tra Servizi italiani e stranieri di intelligence che il Presidente del Consiglio aveva inteso sottoporre a segreto» (par. 9) del Considerato in diritto). Coerentemente a tale affermazione codesta Corte, con la predetta sentenza, ha annullato le risultanze dell'incidente probatorio, in quanto concernenti circostanze coperte da segreto di Stato, non senza precisare che da tale annullamento, ai sensi dell'art. 185, comma 1 e 191 c.p.p. consegue l'inutilizzabilita' di tali circostanze (par. 9 del Considerato in diritto). La Corte di appello milanese, facendo mostra di ritenere tamquam non esset la statuizione con cui codesta Corte aveva annullato le risultanze dell'incidente probatorio, ha aggravato il vulnus gia' inferto alle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo preposto alla tutela del segreto di Stato, dalla Corte di cassazione, mediante l'adozione della sentenza n. 46340/2012. 2.3. - Come si e' gia' avuto occasione di denunciare nel precedente ricorso per conflitto di attribuzione, l'annullamento da parte della Corte di cassazione della statuizione con cui la Corte di appello di Milano aveva dichiarato l'improcedibilita' dell'azione penale esercitata nei confronti degli imputati italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonche' delle ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 con cui la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nella fase delle indagini preliminari, nonostante il segreto di Stato opposto dagli imputati in dibattimento fosse stato ritualmente confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri - cui ha fatto seguito l'emissione da parte della Corte di appello di Milano, in data 28 gennaio 2013, dell'ordinanza con cui e' stata ammessa la produzione di siffatte dichiarazioni chiesta dalla Procura generale - risulta lesivo delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri anche sotto un ulteriore profilo. L'arbitraria esclusione dall'ambito di operativita' del segreto di Stato dei rapporti tra il Servizio italiano e la CIA, e delle direttive impartite dal direttore del SISMI in ordine al fatto storico del sequestro di Abu Omar, ha obiettivamente vanificato la conferma del segreto di Stato, nei termini in cui e' stato esattamente ricostruito da codesta Corte nella sentenza n. 106/2009, il cui esito obbligato, (laddove risulti essenziale, ai fini della definizione del processo, la conoscenza di quanto coperto dal segreto), non puo' che essere la dichiarazione di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato, a norma del combinato disposto dell'art. 202, comma 3, c.p.p. (come sostituto dall'art. 40 della legge n. 124/2007) e dell'art. 41, comma 3 della legge n. 124/2007. Cio' in ragione della preclusione della possibilita' che l'autorita' giudiziaria acquisisca ed utilizzi, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto, in forza del combinato disposto dell'art. 40, comma 5 e dell'art. 41, comma 5, della legge n. 124/2007. L'illegittimita' di siffatta statuizione si estende necessariamente anche all'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio 2013, nella parte in cui ha ammesso la produzione dei verbali relativi alle dichiarazioni rese dagli indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e di Gregori nella fase delle indagini preliminari, nonche' alla sentenza impugnata in questa sede, in quanto fondata sull'utilizzazione delle risultanze di tali verbali, risultanze coperte dal segreto di Stato, alla stregua dell'insegnamento di codesta Corte. 2.4. - La sentenza impugnata e' censurabile anche nella parte in cui si richiama (cfr. par. 8.1, pagina 49 della sentenza) quanto affermato dalla Corte di cassazione circa la tardivita' dell'apposizione del segreto di Stato con riferimento agli atti assunti ed ai documenti acquisiti nel procedimento avente ad oggetto il sequestro di Abu Omar. Tale assunto - gia' criticato dal ricorrente nel precedente ricorso per conflitto di attribuzione - e' palesemente contrastante con quanto affermato da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 106/2009. Nel paragrafo 12.3 del «Considerato in diritto» della predetta sentenza codesta Corte ha recisamente escluso che, con riferimento alla vicenda del sequestro di Abu Omar, fosse stato violato il principio dell'anteriorita' della segretazione. A differenza di quanto ritenuto dalla Corte di cassazione a proposito dell'impossibilita' di ritenere la tempestivita' dell'apposizione del segreto in virtu' della direttiva del 30 luglio 1985, codesta Corte ha espressamente valorizzato tale direttiva in forza della quale, fin dalla data della sua emanazione, dovevano esser ritenute coperte da segreto di Stato, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 801/1977, allora vigente, oltre alle operazioni ed alle attivita' informative proprie dei Servizi segreti, anche le relazioni con organi informativi di altri Stati. Inoltre codesta Corte ha correttamente rilevato che la tempestivita' dell'apposizione del segreto di Stato su tutto cio' che attiene a tali relazioni e' dimostrata dal fatto che gia' con la nota dell'11 novembre 2005 il Presidente del Consiglio aveva manifestato la necessita' di assicurare, anche in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar, il massimo riserbo su qualsiasi aspetto riferito ai rapporti tra il Servizio italiano e quelli stranieri. 2.5. - La sentenza impugnata e' affetta da illegittimita' derivata dal palese stravolgimento del senso della sentenza n. 106/2009 operato dalla Suprema Corte con la sentenza impugnata con il precedente ricorso per conflitto di attribuzione, nella parte in cui si attribuisce alla Corte costituzionale l'affermazione del principio che qualora, come nel caso di specie, i soggetti tenuti all'opposizione del segreto di Stato lo abbiano opposto successivamente all'acquisizione da parte dell'autorita' giudiziaria delle notizie coperte da tale segreto, gli atti gia' legittimamente acquisiti non sarebbero inutilizzabili, salva la necessita' di adottare accorgimenti per le cadenze successive del processo atte ad impedire la ulteriore divulgazione del segreto, quando questa possa essere ancora dannosa per gli interessi protetti. Codesta Corte, nel paragrafo 8.4 del «Considerato in diritto», in realta' si e' limitata a chiarire che la comunicazione dell'opposizione del segreto di Stato sulle parti obliterate di alcuni documenti, precedentemente acquisiti dall'autorita' giudiziaria, non comporta «... retroattiva demolizione dell'attivita' di indagine gia' compiuta sulla base della precedente e legittima acquisizione degli stessi ...», rilevando, peraltro e significativamente, che l'opposizione del segreto di Stato, seppur successiva all'acquisizione di documenti ovvero di altri elementi di prova, non puo' neppure essere indifferente rispetto alle ulteriori attivita' dell'autorita' giudiziaria, requirente e giudicante, ed in relazione alle cadenze processuali imposte dal rito penale. Conseguentemente codesta Corte, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, ha ritenuto l'inutilizzabilita' dei documenti acquisiti dall'autorita' giudiziaria all'esito della perquisizione eseguita il 5 luglio 2006, e successivamente trasmessi all'autorita' giudiziaria con parziali omissioni relative a dati coperti da segreto di Stato, dichiarando che non spettava al pubblico ministero milanese ed al g.u.p. presso il Tribunale di Milano porre tali documenti a fondamento, rispettivamente, della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio, ed annullando, per l'effetto, tali atti processuali nelle corrispondenti parti (cfr. il dispositivo della sentenza n. 106/2009 della Corte costituzionale). L'infondatezza dell'assunto della Corte di cassazione, secondo il quale la legittimita' delle modalita' di acquisizione di un elemento di prova comporta necessariamente la piena utilizzabilita' dello stesso, ancorche' si tratti di un elemento coperto dal segreto di Stato, risulta anche da un altro passaggio della sentenza n. 106/2009 di codesta Corte costituzionale. Nel paragrafo 10 del «Considerato in diritto», nell'affrontare la questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, che, nel ricorso per conflitto di attribuzione proposto nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, si era doluto della lesione delle proprie prerogative costituzionali determinata dalle intercettazioni «a tappeto» delle utenze telefoniche intestate al SISMI, disposta dall'autorita' giudiziaria milanese, si afferma chiaramente la legittimita' di siffatte intercettazioni, non essendo stato preventivamente apposto il segreto di Stato, anche in ragione dell'inesistenza di un divieto ex lege di intercettazione delle comunicazioni intervenute su utenze telefoniche in uso a soggetti appartenenti ai Servizi. Conseguentemente si esclude che la mera circostanza che siffatte intercettazioni fossero state disposte ridondasse in una lesione delle prerogative costituzionali del Presidente del Consiglio. Cio' non toglie, pero', che in termini diversi si pone la questione «... della concreta utilizzabilita' processuale del contenuto delle intercettazioni disposte dagli inquirenti, Sotto tale distinto profilo, l'Autorita' giudiziaria non potra' comunque porre a fondamento delle sue determinazioni, in qualsiasi momento della scansione processuale, elementi conoscitivi che dovessero risultare coperti dal segreto di Stato, se e nella parte in cui eventualmente investano, direttamente od indirettamente, proprio il tema delle relazioni intercorse tra i Servizi di intelligence italiano e quelli stranieri. Cio' in riferimento al principio, gia' affermato da questa Corte secondo il quale il segreto di Stato ritualmente opposto o confermato legittimamente funge, nei singoli casi concreti da sbarramento al potere giurisdizionale, nel senso di «inibire all'Autorita' giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto (gia' citata sentenza n. 110/1998).». L'evidente scostamento della sentenza della Corte di cassazione denunciata con il presente ricorso rispetto all'insegnamento di codesta Corte comporta una lesione delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri, mantenendo all'interno del circuito divulgativo del processo documenti in relazione ai quali era stato opposto e confermato il segreto di Stato. Cio', lo si ribadisce, ridonda nell'illegittimita' della sentenza impugnata in questa sede. 2.6. - La sentenza in questione non puo' non essere stigmatizzata anche nella parte in cui pretende limitare l'inutilizzabilita' delle testimonianze, delle dichiarazioni e degli altri elementi di prova concernenti l'organizzazione del Servizio, nonche' le direttive impartite dal suo Direttore alle parti che attengano strettamente a tali profili, salva l'utilizzabilita' degli elementi di prova concernenti attivita' e condotte anche di agenti di servizi che abbiano agito a titolo individuale, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI. E' evidente l'erroneita' di tale assunto, che costituisce la logica conseguenza della tesi secondo la quale, nella vicenda relativa al sequestro Abu Omar, il Presidente del Consiglio avrebbe apposto il segreto di Stato solo sui rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche' sugli interna corporis del Servizio relativi ad operazioni approvate da quest'ultimo. Il Presidente del Consiglio dei ministri, odierno ricorrente, richiama integralmente la confutazione di tale tesi gia' operata precedentemente, ed in particolare ribadisce gli effetti gravemente lesivi delle proprie attribuzioni costituzionali che derivano dell'assunto, condiviso dalla sentenza della Corte di appello di Milano denunciata in questa sede, dell'utilizzabilita' delle dichiarazioni concernenti gli interna corporis del Servizio ancorche' aventi tratto alla vicenda in esame, nelle parti non concernenti operazioni debitamente approvate dal Servizio. 2.7. - Sotto ulteriore profilo non puo' non apparire evidente che la sentenza impugnata e' viziata per effetto dell'illegittimita' dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano, in data 28 gennaio 2013, con cui era stata accolta la richiesta di produzione dei verbali degli interrogatori resi dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregorio, avanzata dalla Procura generale, in dichiarato ossequio alla sentenza della Corte di cassazione, trattandosi di fonti di prova certamente coperte dal segreto di Stato. Gia' con il precedente ricorso per conflitto di attribuzione si era rilevato che la lesivita' delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri, che connota la sentenza n. 46340/12 della Suprema Corte, non puo' non comportare la necessita' di denunciare che le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri sono state lese anche dall'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio 2013. La lesione subita dal ricorrente per effetto della predetta ordinanza e' stata aggravata dalla Corte di appello di Milano mediante l'emissione della sentenza impugnata in questa sede in quanto fondata sull'utilizzazione dei verbali degli interrogatori resi dagli allora indagati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregario. 2.8. - Con il precedente ricorso per conflitto di attribuzione e' stata impugnata anche l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 4 febbraio 2013, con cui non si dava corso all'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregari, in patente violazione dell'art. 41 della legge n. 124/2007, che impone all'autorita' giudiziaria, in caso di opposizione del segreto di Stato, di chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri conferma dell'esistenza di tale segreto sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto. Con tale ordinanza, lungi dall'aver osservato il disposto dell'art. 41 della legge n. 124/2007, la Corte di appello consentiva al Procuratore generale di svolgere la sua requisitoria - ripresa con particolare enfasi dai mass media - utilizzando ampiamente fonti di prova coperte dal segreto di Stato. L'illegittimita' di tale ordinanza comporta necessariamente l'illegittimita' della sentenza impugnata in questa sede, emessa senza che sia stato rispettato il disposto dell'art. 41 della legge n. 124/2007, preordinato a tutelare le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di conferma del segreto di Stato. 2.9. - L'ultimo, ma non meno importante, profilo di illegittimita' della sentenza impugnata in questa sede, che si intende denunciare, e' costituito dalla palese violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato in cui e' incorsa la Corte di appello di Milano, per aver omesso di sospendere il procedimento penale in corso di celebrazione, in attesa della decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, del cui deposito presso la Cancelleria della Corte costituzionale la Corte di' appello era stata informata dall'Avvocatura dello Stato il giorno prima dell'emissione della sentenza impugnata. Come codesta Corte ha avuto modo di affermare, in piu' occasioni, il principio di leale collaborazione deve sempre permeare di se' il rapporto tra poteri dello Stato e che ad esso non sfugge neppure l'ordine giudiziario, nell'esercizio della giurisdizione, quando esso ridondi nelle altrui attribuzioni costituzionali (cfr. sentenze n. 149 del 2007, n. 110/1998, n. 403/1994 e n. 87/2012). Non vi e' dubbio che nel caso di specie l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte d'appello di Milano interferisse con l'esercizio delle attribuzioni spettanti al Presidente del Consiglio dei ministri in materia di segreto di Stato, per la cui tutela l'odierno ricorrente si era rivolto a codesta Corte. Tale obiettiva interferenza tra sfere di attribuzioni spettanti ai poteri dello Stato in conflitto avrebbe dovuto indurre la Corte di appello di Milano a sospendere il processo penale fino alla definizione del giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano, in ottemperanza al predetto principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. Appare francamente sconcertante il riferimento, contenuto a pagina 16 della sentenza, al fatto che il predetto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato non aveva ancora superato il vaglio di ammissibilita' della Corte costituzionale, ove si consideri che, alla luce dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di presupposti di ammissibilita' dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (cfr., da ultimo, l'ordinanza n. 69/2013 di codesta Corte), la Corte di appello avrebbe potuto agevolmente prevedere che la Corte costituzionale si sarebbe determinata nel senso dell'ammissibilita'. 3.1. - Istanza di sospensiva. Non e' chi non veda la gravita' delle conseguenze derivanti dalla sentenza della Corte di appello di Milano denunciata in questa sede, ove si consideri che l'ulteriore prosecuzione del giudizio - in ragione della presenza nel fascicolo del dibattimento di atti e documenti pacificamente coperti dal segreto di Stato - comporta il protrarsi dell'indebita pubblicita' delle informazioni contenute in tali fonti di prova per effetto della loro immissione nel circuito divulgativo del processo e, conseguentemente, dell'informazione veicolata dai mass media, determinando l'aggravamento della lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri, gia' consumata mediante l'adozione della sentenza impugnata. L'esigenza di evitare l'aggravamento della lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri impone la sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata e la conseguente sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, fino alla definizione del giudizio introdotto con il presente ricorso.
P. Q .M. Chiede che la Corte costituzionale, previa riunione del presente ricorso a quello precedentemente proposto dal ricorrente nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano (ric. confl. attr. n. 4/2013), per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, A) dichiari che non spetta alla Corte di appello di Milano affermare la penale responsabilita' degli imputati del fatto - reato costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar, concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche' gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe tutt'ora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall'autorita' giudiziaria, nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale era stato successivamente opposto il segreto di Stato, nonche' tutti gli elementi di prova ritenuti coperti dal segreto di Stato da codesta Corte costituzionale, con la sentenza n. 106/2009; B) dichiari che non spetta alla Corte d'appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede sulla base dell'utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli allora indagati nel corso delle indagini preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori - di cui era stata disposta la restituzione al P.G. da parte della stessa Corte di Appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 - senza che si sia dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollati, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso dell'udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore generale a concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato; C) dichiari che non spetta alla Corte d'appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso il processo penale in questione fino alla definizione del giudizio sul conflitto di attribuzione; C) annulli - previa sospensione dell'efficacia della sentenza n. 985/2013 della Corte di appello di Milano e conseguente sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di cassazione - la predetta sentenza della Corte ambrosiana. Allegati come da separato indice. Roma, addi' 3 luglio 2013 L'Avvocato dello Stato: Giannuzzi - Il Vice Avvocato generale dello Stato: Tamiozzo Avvertenza: L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 244/2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª serie speciale, n. 43 del 23 ottobre 2013.