N. 98 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 ottobre 2013
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 ottobre 2013 (della Regione Veneto) . Edilizia e urbanistica - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Misure per il rilancio delle infrastrutture - Finanziamento per il Programma "6000 Campanili" concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici - Previsione che con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) sono disciplinati i criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del Programma - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata mancata previsione di percorsi di concertazione istituzionale, seppure mediante la partecipazione al procedimento di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome - Denunciata attribuzione all'ANCI del ruolo di "codecisore" nella determinazione dei criteri per l'assegnazione dei finanziamenti, in posizione paritetica con il Ministero competente - Violazione della competenza regionale nella materia concorrente del Governo del territorio, esercitabile in relazione anche all'attivita' programmatica e amministrativa - Irragionevolezza - Violazione del principio di sussidiarieta' e del principio di imparzialita' e buon andamento dell'attivita' amministrativa - Violazione del principio di leale collaborazione - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 163 del 2012. - Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 18, comma 9. - Costituzione, artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 120. Edilizia e urbanistica - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Modifiche al testo unico in materia edilizia - Definizioni degli interventi edilizi - Previsione che sono considerati interventi di nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, ... e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ancorche' siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto ..." - Ricorso della Regione Veneto proposto ove la disposizione censurata fosse interpretata nel senso di determinare l'attrazione degli interventi suddetti nell'alveo della disciplina edificatoria di spettanza statale, con conseguente necessita' del previo ottenimento del permesso a costruire - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di turismo. - Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 41, comma 4, modificativo dell'art. 3, comma 1, lettera e.5) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. - Costituzione, art. 117. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Previsione che una quota dei proventi derivanti dalla dismissione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali sia destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata imposizione di un ulteriore vincolo di destinazione a favore di un Fondo statale disposto in ordine prioritario rispetto alle spese di investimento dell'ente medesimo - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Lesione della proprieta' pubblica - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2013. - Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 56-bis, comma 11. - Costituzione, artt. 42, 117 e 119.(GU n.49 del 4-12-2013 )
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279 - P. IVA 02392630279), in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C9570), a cio' autorizzato con D.G.R. n. 1827 del 15 ottobre 2013 allegata, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (c.f. ZNNZE157L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela Palumbo (c.f. PLMDNL57D69A266Q) della Direzione Affari Legislativi e Andrea Manzi (c.f. MNZNDR64T261804V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata andreamanzi@ordineavvocatiroma.org); Nei confronti del Presidente pro tempore del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 18, comma 9; 41, comma 4 e 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», nel testo risultante per effetto della conversione della legge 9 agosto 2013, n. 98 pubblicata nella G.U. n. 194 del 20 agosto 2013 S.O. n. 63, per violazione degli artt. 5, 42, 97, 117, 118, 119, della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art.120 della Costituzione medesima. Fatto Con la legge 9 agosto 2013, n. 98 pubblicata nella G.U. n. 194 del 20 agosto 2013 S.O. n. 63, e' stato convertito in legge il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia». Il testo della legge di conversione, che e' intervenuto significativamente sull'assetto normativo del decreto legge, contiene una pletora di disposizioni simultaneamente incidenti in una pluralita' di contesti di interesse piu' generale, quali la semplificazione amministrativa, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la riprogrammazione di interventi sul territorio, l'adeguamento infrastrutturale, nonche' le ormai immancabili misure di contenimento della spesa, ma introduce anche disposizioni concernenti ambiti di disciplina decisamente puntiformi e di novellazione parziale, utilizzando ancora una volta la decretazione d'urgenza quale veicolo di intervento legislativo completamente avulso da qualsiasi meccanismo di inquadramento sistematico. Diritto Proprio nell'assoluta consapevolezza della situazione di eccezionale gravita' nella quale versa l'Esecutivo statale, tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a conseguire quel rilancio dell'economia che risulta essere l'obiettivo dichiarato degli interventi normativi oggetto del presente giudizio, l'impugnazione delle disposizioni di seguito specificate in riferimento ai pedissequi parametri puntualmente indicati, risponde unicamente all'elementare necessita' di applicare rigorosamente i precetti di rango costituzionale statuiti a tutela di attribuzioni garantite alle Regioni nei singoli contesti considerati, per consentire un'effettiva ed attiva partecipazione delle stesse alla realizzazione degli scopi dell'intervento legislativo. Conseguentemente, la disamina delle norme impugnate procedera' partitamente, seguendo l'ordine progressivo degli articoli come strutturati nel decreto-legge. Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo 18, comma 9 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 per violazione degli articoli 5, 117, 118 e 119 della Costituzione, del principio di leale collaborazione di cui all'articolo 120 della Costituzione, del principio di sussidiarieta' di cui all'articolo 118 della Costituzione e del principio di imparzialita' e buon andamento sancito dall'articolo 97 della Costituzione. L'articolo 18, comma 9 prevede la stipula di una convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, di seguito ANCI, per l'assegnazione di finanziamenti statali a favore di interventi realizzati dai Comuni. In dettaglio l'articolo 18, comma 9 del decreto-legge n. 69/2013 autorizza l'assegnazione di ingenti risorse statali alla realizzazione di una pluralita' di interventi, da parte delle Amministrazioni comunali, in quanto ricomprese nel primo Programma suggestivamente denominato «6000 Campanili». Gli interventi devono essere muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi o qualsivoglia altro nulla osta, in conformita' alla normativa di riferimento. La disposizione, quindi, stabilisce i requisiti dei beneficiari ed i limiti di spesa, nonche' l'importo ammissibile del contributo per singolo progetto. Le istanze di contributo, inoltre, per il tramite di ANCI, devono essere presentate al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che approva il programma. Proprio in considerazione di tale frapposizione procedimentale, era stato stabilito che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, e quindi entro il 20 settembre 2013, con apposita convenzione tra il Ministero competente ed ANCI fossero disciplinati i criteri per l'ammissibilita' degli interventi che fanno parte del Programma all'utilizzo delle risorse. Il legislatore statale in sostanza, avrebbe disposto una «esternalizzazione» delle funzioni amministrative proprie, perche' correlate all'assegnazione di contributi statali, conferendole ex lege ad un organismo rappresentativo dei Comuni. La conseguente, totale estromissione dell'ente regionale al procedimento amministrativo, ovviamente statale, di assegnazione delle risorse certamente statali, tuttavia, e' reputata dal patrocinio regionale confliggente con gli articoli 5, 117, 118 e 119 della Costituzione per le ragioni di seguito dettagliatamente argomentate. Va precisato che la difesa regionale e' consapevole di come, prima facie, trattandosi di competenza procedimentale e di risorse finanziarie di spettanza esclusiva statale, senza alcuna compartecipazione regionale, la posizione regionale possa apparire del tutto avulsa dal contesto normativo di riferimento, e, conseguentemente, del tutto priva di qualsivoglia fondamento di legittimazione a ricorrere, non essendo immediatamente percepibile il vulnus subito alle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite. Ma non e' cosi' e per comprendere agevolmente le circostanze generatrici delle lesioni lamentate, si richiama l'attenzione di codesta Ecc.ma Corte sullo sviluppo della vicenda che ha dato origine alla disposizione odiernamente censurata, allo scopo di evidenziare, contestualizzandola, la ratio della medesima, come desumibile dagli Atti preparatori. In punto, come indicato nel Dossier Studi della Camera dei deputati, la norma in commento disciplina una procedura che coinvolge, per un verso, i Comuni e, per altro verso, il Ministero competente, analogamente a quanto gia' previsto per il «Piano nazionale per le citta'» disciplinato dall'articolo 12 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito, con modificazioni, con la legge 7 agosto 2012, n. 134. Quest'ultima disposizione, in vigore dal 12 agosto 2012, ha introdotto nell'ordinamento una procedura standardizzata di coordinamento interistituzionale, orientata all'efficientamento finanziario, conseguito mediante la razionalizzazione delle modalita' di individuazione e realizzazione degli interventi. La norma, in realta', contiene la scansione di un meccanismo piuttosto complesso, che, innanzitutto, impone ai Comuni la predisposizione di un piano dedicato alla riqualificazione di aree urbane, avuto particolare riferimento a quelle degradate. Viene, altresi', istituita una Cabina di regia per la realizzazione del piano di cui si tratta, alla quale dovrebbero partecipare, tra gli altri, oltre ai rappresentanti di organismi statali, anche due rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, un rappresentante dell'Agenzia del Demanio, uno della Cassa Depositi e Prestiti, nonche' un rappresentante di ANCI. E' stato, inoltre, previsto che le Amministrazioni comunali strutturino le proposte di Contratto di valorizzazione urbana, costituite da un insieme coordinato di interventi, inviandole alla Cabina di regia che e' tenuta a selezionare le proposte in base agli specifici criteri, pure indicati nella disposizione medesima. Infine, la stessa Cabina di regia, che ha il compito di definire gli investimenti attivabili, sulla base degli apporti e delle risorse conferiti dagli organismi partecipanti, richiede al Ministero l'accantonamento di tali risorse in un apposito Fondo finanziario e promuove, d'intesa con il Comune interessato, la sottoscrizione del Contratto di valorizzazione urbana che regola i reciproci rapporti tra soggetto finanziatore e soggetto destinatario del beneficio economico. L'insieme dei Contratti cosi' sottoscritti integra il Piano nazionale per le citta'. La procedura sopra descritta ha trovato puntuale attuazione in conformita' ai dettami normativi, e le proposte delle Amministrazioni comunali sono state considerate nel decreto dipartimentale n. 1105/2013, che ha approvato la devoluzione delle risorse disponibili al Fondo citato. Conseguentemente, i progetti che dovessero superare positivamente la selezione potranno beneficiarie di un cofinanziamento nazionale pari a complessivi 318 milioni di euro. Tale premessa argomentativa, apparentemente estranea al presente giudizio, e' invece, ad avviso del patrocinio regionale, doverosa, poiche' risulta del tutto incomprensibile per quale ragione, diversamente da quanto appena delineato, la norma impugnata, che regola sostanzialmente una procedura ad effetti analoghi a quella gia' considerata, sia quanto alla natura degli impegni finanziari, sia per quanto attiene ai destinatari dei finanziamenti stessi, escluda radicalmente qualsiasi partecipazione dell'Amministrazione regionale, che viene invece relegata nel ruolo secondario ed eventuale di soggetto istituzionale solo incidentalmente suscettibile di intervento nel singolo procedimento amministrativo, limitatamente al segmento di competenza esercitabile. Attesa l'evidente corrispondenza tra le fattispecie oggetto delle due diverse disposizioni, a tal punto assimilate e legate da un vincolo di specularita', da porre la questione circa la concreta compatibilita' e simultanea applicabilita' di entrambe, risulta pero' del tutto assente, nella norma odiernamente impugnata, la previsione di percorsi di concertazione istituzionale formale o semplificata, seppure mediante la partecipazione al procedimento di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Per converso, tale norma, travolgendo gli assetti istituzionali esistenti, investe direttamente ANCI di fondamentali compiti istituzionali, attribuendole non certo un mero ruolo di «semplice intermediario» bensi' quello di «codecisore», chiamato a determinare , in posizione paritetica con il Ministero competente, i criteri di assegnazione dei finanziamenti. Rinviando a quanto infra verra' precisato in ordine alla natura ed agli effetti della partecipazione dell'Associazione al procedimento, in riferimento specifico alle possibili relazioni intercorrenti tra le due disposizioni oggetto di comparazione, gia' negli atti del Servizio Studi presso il Senato era stata prospettata l'eventualita' di un collegamento funzionale tra le medesime, tanto evidente da alimentare il dubbio che gli interventi previsti dal comma 9 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 69/2013, benche' diversamente qualificati e dettagliatamente elencati, fossero i medesimi dell'articolo 12 del decreto-legge n. 83/2012. Qualora l'assunto circa la sovrapponibilita' dei due interventi legislativi dovesse trovare conferma, ne conseguirebbe, inevitabilmente, la violazione delle prerogative regionali posta in essere dalla disposizione oggetto del presente giudizio, che, configurandosi come idonea a destrutturare significativamente l'impianto normativo e procedimentale posto dall'articolo 12 del decreto-legge n.83/2012, ne precluderebbe l'esercizio in modo immotivato e quindi irragionevole. Peraltro, secondo un diverso, pur possibile, orientamento ermeneutico, potrebbe anche darsi che la destinazione della somma pari a 100 milioni di euro per l'anno 2014, come derivante dal Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18 in argomento ed assegnata con la procedura derogatoria di carattere finanziario-contabile di cui al comma 2 del medesimo articolo, si riferisca in realta' ad altri cespiti finanziari, raggranellati in questa attuale situazione di contingenza economica e di dissesto, per essere posti a disposizione delle Amministrazioni comunali in sofferenza finanziaria, con una strutturazione ultronea rispetto a quella precedente. Ma l'irragionevolezza dell'estromissione regionale nella procedura de qua si induce anche dal contenuto del soppresso comma 9-bis del medesimo articolo che originariamente prevedeva appunto una specifica intesa con la Conferenza Unificata, comprensiva ovviamente delle Regioni, per definire modalita' e criteri per la prosecuzione fino al 2020 dei programmi annuali denominati, con letteraria sintesi evocativa, «6000 Campanili». Infine, ad ulteriore riprova dell'insopprimibilita' del ruolo regionale, si osserva che, nel testo del parere formulato in data 11 luglio 2013, la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, relativamente al disegno di legge di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, aveva subordinato la positivita' del medesimo all'accoglimento di uno specifico emendamento finalizzato a sostituire l'intervento di ANCI con la Regione, per consentire alla stessa la necessaria valutazione della coerenza degli interventi con gli strumenti di pianificazione regionale. Quest'ultimo dato, infatti, e' estremamente significativo e conferma l'effettivita' dell'assunto concernente la sussistenza della competenza regionale, riferita alla materia di tipo concorrente del «governo del territorio», ed esercitabile in relazione anche all'attivita' programmatoria ed amministrativa. Tale attivita', infatti, e' concretamente realizzabile solo nell'ambito di una corretta rete informativa e comunicativa degli interventi di utilizzo del territorio, in un piu' generale contesto di rispetto delle prerogative istituzionalmente garantite e tutelate dalla Carta Fondamentale. La disposizione censurata, innegabilmente, enuclea una serie complessa di opere ontologicamente riconducibili a quell'«uso del suolo» che, per costante orientamento di codesta ecc.ma Corte e' ascrivibile proprio alla materia «governo del territorio», ed in ordine alla quale non soltanto rimarrebbe radicalmente precluso alle Regioni il corretto esercizio delle proprie funzioni di controllo pianificatorio, ma verrebbe pregiudicato, soprattutto, l'esercizio delle competenze legislative e amministrative, precostituendo situazioni di fatto e di diritto incompatibili con successive statuizioni. Ed invero, la verifica dell'osservanza e della conformita' delle infrastrutture alla pianificazione regionale ed alla normativa regionale di settore non puo' e non deve essere effettuata ne' dal Ministero competente ne', a fortiori, da ANCI e tuttavia tale funzione di verifica e' necessaria ed aggiuntiva rispetto a quella di mera selezione amministrativa dei progetti da parte dell'organismo statale di riferimento. Alle lesioni supra individuate si aggiunge, ad avviso dello scrivente patrocinio, la violazione del principio di leale collaborazione di cui all'articolo 120 della Costituzione. Per pacifica giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, appare ormai fuor di dubbio che spetta al legislatore statale determinare, quanto ai procedimenti di propria competenza, le modalita' di partecipazione dei vari soggetti istituzionali. Ma, in materia di «governo del territorio», ove e' radicato l'intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione, la scelta di escludere l'Amministrazione regionale da qualsiasi attivita' connessa alla realizzazione degli interventi, sia essa normativa, pianificatoria, istruttoria o comunque funzionale-amministrativa, si configura come immediatamente lesiva della totalita' delle competenze regionali esistenti in materia, particolarmente se avviene in assenza di un'intesa istituzionale sui punto, nell'elementare rispetto del principio di leale collaborazione, che, per le caratteristiche delle misure approvate, non puo' che essere una concertazione sfociante nell'intesa. La partecipazione procedimentale, infatti, altro non e' se non la piu' efficace, celere modalita' di conseguire gli obiettivi prefissati nell'intervento, qualunque esso sia, contemperando i diversi interessi e, per cio' stesso, deve essere rispondente al canone costituzionale della leale cooperazione. Poiche', come autorevolmente affermato da codesta ecc.ma Corte, l'impugnativa rappresenta unicamente lo strumento di tutela disponibile nei confronti di possibili, eventuali prassi applicative distorsive, perche' non concretamente rispettose della doverosa leale collaborazione tra Stato e Regioni (cfr. la sentenza n. 6/2004), l'odierno ricorso sollecita appunto il vaglio di costituzionalita', in ordine alla disposizione in esame, nel convincimento che la stessa violi il rispetto delle regole di leale collaborazione che il giudice delle leggi e' tenuto a tutelare. La solida consistenza giuridica del principio invocato non risulterebbe sminuita neppure qualora si ammettesse l'eventualita' che le cennate funzioni fossero attratte nell'alveo esclusivo della competenza amministrativa statale, poiche', anche in tal caso, non verrebbe meno l'obbligatorieta' dell'intesa con gli enti territoriali gia' titolari di tali funzioni. Si rinvia, al riguardo, alla sentenza n. 163/2012, con la quale codesta ecc.ma Corte si e' pronunciata a proposito di finanziamenti di progetti strategici statali, da realizzare con il concorso delle imprese e degli enti titolari di reti e impianti di comunicazione, senza lasciare spazio alcuno alla Regione, sebbene competente in materia di «ordinamento delle comunicazioni» e «governo del territorio.». Nel brano della decisione, che si riporta di seguito, sono inequivocabilmente e dettagliatamente evidenziati tutti i profili che, delineando il ruolo regionale nelle materie di attribuzione legislativa concorrente, riaffermano la valenza insopprimibile delle procedure concertative istituzionali. In tale pronuncia, infatti si legge che: "Anche in relazione alla normativa ora all'esame di questa Corte, la chiamata in sussidiarieta' risulta giustificata dalla necessita' che sia assicurata, nella materia della realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica sull'intero territorio nazionale, una visione unitaria. Nello stesso tempo, tuttavia, considerata la rilevanza del progetto strategico di individuazione degli interventi finalizzati alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione da banda larga ed ultralarga e la sua diretta incidenza su territorio e quindi sulle relative competenze regionali, anche in tal caso risulta costituzionalmente obbligata la previsione di un'intesa fra gli organi statali ed il sistema delle autonomie territoriali (Conferenza unificata Stato-Regioni), da un lato, con riguardo alla predisposizione del predetto progetto strategico, e, dall'altro, con le singole Regioni che siano, di volta in volta, interessate dagli specifici e concreti interventi di realizzazione del progetto sul proprio territorio. Il comma 1 dell'art. 30 del d.l. n. 98 del 2011 e', pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il Ministero dello sviluppo economico, con il concorso delle imprese e gli enti titolari di reti e di impianti di comunicazione elettronica fissa o mobile, predisponga un progetto strategico, senza una previa intesa con la Conferenza unificata, in quanto viola il principio di leale collaborazione, Del pari illegittima si rivela la disposizione di cui al comma 3 del medesimo art. 30 del citato d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui non prevede che, ogniqualvolta si provveda a dare realizzazione concreta sul territorio di una singola Regione a specifici interventi attuativi del progetto strategico, cio' avvenga sulla base di un'intesa con la Regione interessata. La Regione puo' essere, infatti, spogliata della propria capacita' di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarieta', «a condizione che cio' si accompagni alla previsione di un'intesa in sede di esercizio della funzione, con cui poter recuperare un'adeguata autonomia, che l'ordinamento riserva non gia' al sistema regionale complessivamente inteso, quanto piuttosto alla specifica Regione che sia stata privata di un proprio potere (sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003)». Per altro aspetto, con modalita' non meno problematiche sotto il profilo degli assetti ordinamentali, la disciplina interloquita assegna ad un organismo «terzo ma non imparziale» un segmento del procedimento amministrativo statale, in violazione dei principi di sussidiarieta', buon andamento ed imparzialita'. Il novellato articolo 118 della Costituzione ha elevato al rango della Carta Fondamentale il principio di sussidiarieta' nella sua accezione «verticale» in riferimento alla pluralita' di autonomie territoriali, e nella sua accezione «orizzontale» in connessione alle relazioni intercorrenti tra il pubblico potere ed i cittadini. Mentre la prima categoria concettuale concerne la c.d. «sussidiarieta' istituzionale», che consente il ricorso alle istituzioni pubbliche di cui al comma primo del medesimo articolo 118, in combinato disposto con l'art. 5, della Costituzione, per l'esercizio delle funzioni amministrative indicate nel successivo comma secondo del medesimo articolo; la seconda categoria concettuale riguarda la c.d. «sussidiarieta' sociale» che consente a forme di rappresentanza della comunita', singole o associate, lo svolgimento di attivita' di interesse generale. Tuttavia, in riferimento alle modalita' attuative del primo di tali principi, ANCI non rientra tra gli Enti tassativamente indicati nell'art. 114 della Costituzione e, conseguentemente, non puo' essere considerato soggetto abilitato ad eventualmente esercitare funzioni amministrative in attuazione del principio di «sussidiarieta' verticale» ai sensi degli artt. 5 e 118 della Costituzione, nei termini anzidetti. Ne consegue che i parametri di costituzionalita' supra indicati risulterebbero violati, proprio per erronea applicabilita' del principio medesimo alla fattispecie di cui si tratta. Correlativamente, peraltro, quanto alle modalita' attuative del principio di sussidiarieta' orizzontale, si rileva che, a termini del quarto comma dell'art. 118 della Costituzione, puo' collaborare con la pubblica amministrazione qualunque organismo di estrazione prettamente privatistica, al pari del singolo cittadino, qualora questi sia in grado di aggregare una formazione sociale qualificabile come «massa critica» nei confronti dei pubblici poteri, affinche' si concretizzi la necessaria condizione di rappresentativita' di interessi collettivi. Ai predetti soggetti non aprioristicamente preclusa la partecipazione diretta alle decisioni o l'espletamento di funzioni amministrative destinate al soddisfacimento di bisogni imputabili alla collettivita'. Da tale fattispecie, tuttavia, si deve necessariamente escludere, in riferimento all'ambito applicativo della norma costituzionale, come interpretata dalla dottrina maggioritaria e da alcune decisioni di codesta ecc.ma Corte, qualsiasi soggetto, indipendentemente dalla qualificazione giuridica posseduta ed in conformita' al concetto di neutralita' proprio del diritto comunitario, che, per ragioni strutturali o funzionali possa essere identificato come pubblica amministrazione. In posizione derogatoria, rispetto all'impostazione esegetica che precede, si porrebbero alcune categorie quali le autonomie funzionali, di marcata natura ibrida pubblico-privata, e quindi le Camere di Commercio, le Universita', le Accademie, le Fondazioni. Infatti, codesta ecc.ma Corte non ha mancato di enucleare i soggetti che possono legittimamente esercitare funzioni in posizione di sussidiarieta' «orizzontale», individuandoli nelle formazioni sociali quali la famiglia, (cfr. sentenza n. 203/2013); nei soggetti certificatori accreditati (cfr. sentenza n. 322/2009); persino nelle fondazioni bancarie (cfr. sentenza n. 301/2003). Inoltre, va adeguatamente considerato che l'individuazione dei soggetti legittimati a relazionarsi con l'ente pubblico, oltre che valutabile in connessione alle singole, concrete fattispecie, deve essere strettamente correlata al concetto di «interesse generale». Al riguardo si segnala, quale mero spunto argomentativo, rimesso al vaglio di codesta ecc.ma Corte, che anche il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 25 agosto 2003 n. 1440, con puntuale riferimento alla vicenda fattuale di accesso diretto delle imprese a fondi statali, conseguita con l'intermediazione delle Amministrazioni comunali, allude all'interesse generale come a «qualcosa di piu' e di diverso della possibilita' dei privati di accedere a fondi pubblici con l'assenso degli enti locali». E, senza addentrarsi nella complessa e densissima attivita' speculativa formatasi sul tema e tuttora in corso di approfondimento anche a livello comunitario, ci si limita ad evocare la basilare differenzazione, elaborata da parte della dottrina, tra il concetto di «interesse pubblico», la cui cura e' attribuita ad uno o piu' enti amministrativi, e la nozione di «interesse del pubblico» inteso come sineddoche della destinazione obbligatoriamente collettiva delle attivita', siano esse prestazioni a favore della cittadinanza o interventi di tutela di beni comuni. L'inevitabile, sicuramente breve ed inadeguata, premessa teorica introduce le fortissime perplessita' che la norma odiernamente impugnata suscita, laddove assegna all'Associazione Nazionale Comuni Italiani il fondamentale compito di intermediazione nell'ambito del procedimento amministrativo di competenza prettamente statale di finanziamento di specifici progetti a favore delle Amministrazioni comunali. In estrema sintesi, si tratta di contributi disposti a favore di enti pubblici erogata mediante l'assenso dell'associazione rappresentativa dei medesimi beneficiari pubblici. Poiche', per espressa clausola statutaria, l'Associazione in argomento e' titolare della rappresentanza istituzionale dei comuni, delle citta' metropolitane e degli enti di derivazione comunale, la stessa, per quanto presenti una fisionomia squisitamente privata, puo' comunque assumere un ruolo istituzionale qualora sia chiamata, in qualita' di organismo di rappresentanza, ad esprimere gli interessi propri delle Amministrazioni di appartenenza, assiomaticamente rappresentative, a propria volta, di una specifica comunita' locale. E' evidente, pero', che, mentre per un verso l'Associazione non puo' essere inclusa nella partizione precisata dall'articolo 114 della Costituzione, laddove indica i soggetti che istituzionalmente compongono la Repubblica, per altro verso il meccanismo di duplice rappresentativita' dato dall'essere Associazione, che accorpa gli enti esponenziali delle comunita' territoriali, ostacola l'identificabilita' dell'Associazione medesima quale formazione sociale e la assimila, piuttosto, al concetto di apparato pubblico nella sua accezione piu' ampia. Ne consegue che ANCI, nonostante la denominazione, appare estranea alla nozione di organismo associato per lo svolgimento di attivita' di interesse generale, e, quindi risulta difficilmente inquadrabile quale soggetto funzionalmente inseribile in un processo di sussidiarieta' orizzontale, per di piu' in un procedimento finalizzato all'erogazione di contributi destinati ad enti pubblici, seppure esponenziali di interessi di privati cittadini. Infine, se il concetto di «interesse generale» postula la sussistenza di un obbligo istituzionale volto a garantire prestazioni concernenti i diritti civili e sociali a livello quantomeno essenziale, fatte salve eventuali forme di maggior tutela, gli interventi infrastrutturali oggetto della norma impugnata appaiono difficilmente riconducibili a quelli suscettibili di modalita' di esercizio da parte di soggetti terzi secondo i canoni tipici nei quali si estrinseca il principio di sussidiarieta'. Si richiama nuovamente, solo quale suggestione argomentativa, il gia' citato parere formulato dal Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 25 agosto 2003 n. 1440, nel quale si legge inoltre che «a prescindere dalla qualita' del soggetto e' comunque certo che la metodica dell'ausilio finanziario pubblico erogato in ambiti territoriali determinati puo' essere applicata anche ai fenomeni tipici della sussidiarieta' orizzontale purche' sussistano tutte le condizioni che implicitamente sono poste dai precetti (costituzionali e ordinari): sussistenza di un'attivita' a cura e iniziativa di cittadini, famiglie, associazioni, comunita' che si riveli adeguata e di interesse generale, tipicita' della stessa attivita' e sua riferibilita' esclusiva a quei soggetti, giudizio da parte dell'ente pubblico della necessita' che il servizio o l'attivita' possano continuare per beneficio della comunita' di riferimento, erogazione dell 'ausilio quale forma di concorso per l'implicita utilizzazione dei benefici dall'intera collettivita', anche politica di riferimento.». Da ultimo, un accenno alla sussistenza del requisito di imparzialita' che ANCI, ad avviso dello scrivente patrocinio, dovrebbe possedere ai fini di un eventuale, legittimo, inserimento della stessa nella complessa procedura amministrativa sia di valutazione che di erogazione dei benefici. A termini dello Statuto, l'Associazione rappresenta una «impresa non profit» istituita per svolgere attivita' di sostegno, assistenza tecnica ed erogazione di servizi a favore dei comuni associati che, corrispettivamente, conferiscono una quota associativa. Un simile assetto non risulta facilmente conciliabile con la nozione di «imparzialita'», necessariamente correlata alla disponibilita' della piu' ampia autonomia da parte del soggetto, in quanto oggettivamente svincolato da pubblici poteri sia dal punto di vista organizzativo che finanziario. In realta', per effetto della norma interloquite, ciascuna Amministrazione comunale, per essere coadiuvata nella procedura in esame, deve necessariamente associarsi ad ANCI, poiche' questa, essendo stata individuata ex lege quale «intermediario», e' divenuta l'unico interlocutore giuridicamente ammissibile. Conclusivamente, ad avviso dello scrivente patrocinio, se la norma censurata interpone ANCI nella libera amministrativa per l'esercizio di funzioni in posizione di «sussidiarieta' verticale», viola gli artt. 5, e 118 della Costituzione; se invece presuppone l'invocabilita', in capo ad ANCI di una posizione di «sussidiarieta' orizzontale», determina la lesione degli artt. 117, comma terzo e 118 della Costituzione, atteso che ANCI, sebbene portatrice degli interessi degli associati, pubblici, conserva una dimensione privatistica che non consente di identificarla immediatamente e sicuramente con un ente pubblico e, per di piu', difetta del requisito della terzieta'. Ne consegue che il conferimento ad ANCI di tutte le funzioni specificate nella norma impugnata e' irragionevole nel contesto delle Amministrazioni pubbliche che compongono il quadro costituzionale disegnato dall'art. 114 Cost., perche' implica l'assegnazione a tale Associazione di poteri configgenti con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni dagli artt. 117, comma terzo e 118, della Carta Fondamentale. Il ritenuto difetto di terzieta', in particolare, fonda la lesione dei principi, sanciti dall'art. 97 della Costituzione, di imparzialita' e buon andamento che devono sempre connotare l'attivita' amministrativa sin dalla fase genetica della strutturazione normativa, e poi dei conseguenti segmenti afferenti l'organizzazione e la gestione dell'attivita' medesima. La norma impugnata, per cio' stesso, non solo viola i principi di sussidiarieta' ed imparzialita', ma si riflette sull'erogazione di risorse finanziarie a favore dei comuni con modalita' disarmonica rispetto alla Carta Fondamentale. Conseguentemente, richiamando un consolidato orientamento di codesta ecc.ma Corte, «la stretta connessione sussistente tra la spesa di tali enti e l'equilibrio complessivo della finanza regionale», legittima la Regione del Veneto a promuovere l'odierno giudizio, in forza delle proprie competenze legislative e amministrative in materia di «governo del territorio» (cfr. ex plurimis, v. la sentenza n. 298/2009). Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo 41, comma 4 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 per violazione dell'art. 117 Cost.. L'articolo 41, comma 4 del decreto in esame, interviene a novellare l'art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 introducendo un inciso, apparentemente innocuo quanto ad effetti, riguardante le caratteristiche delle installazioni collocate all'interno di strutture turistiche ricettive all'aperto. Il connotato della presunta irrilevanza, quanto alle potesta' legislative garantite alla Regione dalla Carta Fondamentale, delle modifiche apportate con la norma interloquita e' un diretto portato dell'ambito di intervento della disposizione, ovvero il turismo, di esclusiva attribuzione regionale, non solo per tabulas, avuto riguardo ai' settori contemplati dai commi secondo e terzo dell'art. 117 della Costituzione, ma anche per costante, pacifica giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte alla quale si rinvia (v., ex multis, la decisione n. 75/2012). Tuttavia, secondo un taglio ermeneutico tutt'affatto differente, la norma potrebbe essere interpretata nel senso che sarebbe stata introdotta, attraverso la novellazione del D.P.R. n.380/2001, di sicura competenza statale, una modifica alla definizione di nuova costruzione, per la quale, quindi, e' necessario l'ottenimento del relativo permesso. Altrimenti detto, l'interposizione dell'inciso «ancorche' siano installati con temporaneo ancoraggio al suolo», incluso nel testo dell'art. 3, comma 1, lett. e.5) del decreto presidenziale menzionato, con riferimento, anche, ai manufatti siti all'interno delle strutture ricettive all'aperto, pone necessariamente la questione dell'individuazione certa ed indiscutibile della corretta perimetrazione dell'ambito oggettivo della disposizione, in relazione ai profili di competenza legislativa regionale, in conformita' ai precetti espressi dall'art. 117 della Costituzione. Premesso che, in ogni caso, la sola sussistenza di previsioni normative suscettibili di diverse modalita' applicative, connesse alle possibili interpretazioni, mina il principio fondamentale di certezza del diritto, in dettaglio, l'inserimento nel tessuto ordinamentale di disposizioni foriere di dubbi ermeneutici, non puo' non riverberarsi sull'effettivo esercizio delle competenze legislative regionali, con effetti potenzialmente pregiudizievoli particolarmente in ambiti, quali quelli afferenti la disciplina del turismo, che sono appunto di attribuzione esclusiva regionale. In punto, attualmente la lett. e.5) nel comma 1 dell'art. 3, del decreto in esame, presenta una precisazione, introdotta da una congiunzione letteraria con valore concessivo, che tecnicamente sortisce la conseguenza di annoverare, nel contesto degli «interventi di nuova costruzione», ovvero di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio diversi da quelli specificati alle lettere a), b), c) e d) del medesimo articolo, anche l'installazione di manufatti leggeri, prefabbricati, strutture di qualsiasi genere, non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, «ancorche' siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformita' alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti». Una prima questione attiene, dunque, alle circostanze prescritte ai fini della legittimita' dell'installazione dei beni o manufatti di cui si tratta. Tali manufatti, attenendosi al dato formale emergente dal punto specifico del decreto presidenziale disciplinante la materia edilizia, oggetto di novellazione, potrebbero essere collocati nelle strutture ricettive a destinazione turistica solamente previo ottenimento del regolare permesso a costruire. In altri termini, la congiunzione cennata renderebbe indifferente, ai fini della normativa applicabile, la circostanza che il manufatto sia da porsi appunto in dette strutture ricettive, ed abbia subito un ancoraggio al suolo temporaneo, quale indicatore dell'amovibilita' dello stesso e, per cio' stesso, in assenza di provvedimenti concessori o comunque autorizzativi, proprio perche' concernente un ambito di intervento non ascrivibile alla disciplina edificatoria. Seguendo un simile orientamento interpretativo, quindi, indipendentemente dalla materia specifica oggetto di legislazione regionale, ovvero l'urbanistica o il turismo, la precisazione contenuta nella norma censurata, poiche' strutturalmente e funzionalmente idonea ad incidere unicamente sulle caratteristiche dell'intervento, Io qualificherebbe nuova costruzione, riconducendolo cosi' nell'alveo della disciplina edificatoria di spettanza statale. L'ipotesi interpretativa che precede non e' una mera congettura di genere speculativo e rilevanza squisitamente dottrinale. Infatti, a prescindere dalle note implicazioni di connotazione penalistica afferenti le conseguenze dell'abuso edilizio, che peraltro rimangono estranee al presente giudizio, l'asserzione circa l'equiparazione alle «nuove costruzioni» anche delle case mobili ed assimilati, per quanto non incorporati al suolo, trova autorevole conferma in una recente decisione proprio della giurisprudenza di merito, pronunciata relativamente ad una fattispecie nella quale si verteva di strutture abitative mobili, rectius «furgoni attrezzati», che, «pure avendo la parvenza della mobilita', hanno caratteristiche obiettive di stabilita' e capacita' di trasformare in modo durevole l'area occupata» (cfr. Cass.pen., Sez. III, sentenza n. 25015 del 22 giugno 2011). Ma v'e' di piu'. Un'ulteriore questione, connessa alla precedente, ma dotata di rilevanza autonoma, riguarda la valenza del rinvio «alla conformita' alla normativa regionale di settore» che la disposizione odiernamente censurata presenta e che si configura di dubbia interpretazione. Altrimenti detto ed in estrema sintesi, delle due l'una: o la circostanza che l'installazione delle strutture sia avvenuta in aderenza alla legislazione approvata da ciascuna Regione e' irrilevante ai fini della novella di cui si tratta, considerato che l'attrazione al contesto proprio della legislazione statale in materia edilizia anche degli anzidetti interventi, li sottrae alla competenza legislativa regionale, di cui all'art. 117, commi terzo e quarto Cost., ledendola appunto laddove potrebbe incrinare i presupposti della potesta' eventualmente, legittimamente esercitata in riferimento alla disciplina del turismo; oppure, secondo un diverso approccio ermeneutico, coerente, peraltro, con i contenuti espressi al riguardo anche dal Dossier Studi del Senato al testo modificativo, l'inciso integrerebbe una mera, doverosa precisazione, e la congiunzione ripetutamente considerata, «ancorche'», sarebbe preordinata, sebbene con tecnica legislativa maldestra, a salvaguardare espressamente proprio le disposizioni regionali che gia' avessero disciplinato le modalita' concernenti le summenzionate installazioni, che, quindi, devono ritenersi escluse de plano dall'ambito applicativo della novella medesima. Per quanto specificamente attiene all'ammissibilita' di un simile motivo di impugnazione, si invoca la sentenza n. 188/2012, pronunciata da codesta ecc.ma Corte a conferma di un consolidato orientamento giurisprudenziale nel medesimo senso, con la quale e' stata affermata la proponibilita', nel giudizio in via principale, di questioni prospettate con finalita' interpretative, «laddove si deduca l'illegittimita' della norma estrapolabile dalla disposizione oggetto di ricorso mediante processo esegetico e nel caso in cui simile operazione non sia implausibile e irragionevolmente scollegata dal testo di detta disposizione» (cfr., anche le sentenze nn. 249/2005, 88/2007 e l'ordinanza n. 342/2009). Il patrocinio regionale, quindi, preferisce affrontare l'eventualita' di una sentenza interpretativa di rigetto, emessa in quanto viene riconosciuto erroneo od infondato un presupposto interpretativo (V. ex plurimis le decisioni nn. 234, 241, 259, 299, tutte del 2012), purche' venga conseguentemente riaffermata la correttezza di un'opzione ermeneutica fondante la legittimita' di possibili interventi legislativi regionali in materia (v. la sentenza n. 16/2012). Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo 56-bis, comma 11 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 per violazione degli articoli 42, 117 e 119 della Costituzione. L'articolo 56-bis, comma 11, del decreto in esame, ha modificato la disciplina delle modalita' di trasferimento dei beni demaniali, ponendo un vincolo di destinazione, a favore del Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, su una quota dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare originario dell'ente. In punto, la norma impugnata disciplina nuovamente il procedimento amministrativo finalizzato al trasferimento in proprieta', a titolo non oneroso, a comuni, province, citta' metropolitane e regioni, dei beni immobili di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), e comma 4 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 «Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane e regioni di un proprio patrimonio.» siti nel rispettivo territorio. Si tratta dei beni immobili dello Stato, diversi da quelli tassativamente elencati nelle lettere precedenti del medesimo comma 1 dell'articolo 5, nonche' dei beni immobili in uso al Ministero della difesa e non utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale. La disposizione, peraltro alquanto complessa articolandosi in 13 commi, viene sottoposta al vaglio di codesta ecc.ma Corte con riferimento specifico al comma 11 che si riporta di seguito per comodita' di lettura: «In considerazione dell'eccezionalita' della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale, e' altresi' destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di stato, con le modalita' di cui al comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dall'alienazione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente, Per la parte non destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, resta fermo quanto disposto dal comma 443 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228.». In sostanza, una quota dei proventi derivanti dall'alienazione del patrimonio originario immobiliare disponibile dell'ente territoriale viene assoggettata ad un vincolo di destinazione, a favore di un Fondo statale. Tale allocazione obbligatoria di risorse finanziarie, oltretutto, avviene secondo un ordine di priorita' pure precisato dalla norma. Innanzitutto, i proventi derivanti dall'alienazione devono essere utilizzati per ridurre il debito dell'ente proprietario del bene immobile oggetto di dismissione. Quindi, una quota pari al 10 per cento del ricavato deve essere destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Infine, l'ente territoriale destina l'eventuale quota residuale esclusivamente alla copertura delle spese di investimento ai sensi del comma 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che, in ogni caso, trova applicazione solo per gli enti locali e non per le Regioni. Orbene, le censure oggetto dell'odierno giudizio riguardano essenzialmente l'ambito oggettivo della disposizione, ovvero l'identificazione dei beni suscettibili di dismissione ed individuati nel patrimonio originario immobiliare disponibile dell'ente territoriale. Per quanto concerne il patrimonio regionale, si tratta dei beni di proprieta' della Regione diversi da quelli attribuiti dallo Stato ai sensi della procedura delineata nell'articolo 56-bis e quindi, in sostanza, il patrimonio acquisito ex art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, rubricato «Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario» che rappresenta la c.d. «legge attributiva del patrimonio» di cui al comma sesto dell'articolo 119 della Costituzione. Conseguentemente, oggetto di vendita, rectius dismissione, e' un bene gia' appartenente al patrimonio regionale sin dalla costituzione dello stesso e, si ribadisce, non attribuito dallo Stato ai sensi del decreto legislativo n. 85/2010. Premesso che non puo' non condividersi in termini di legittimita' dell'intervento l'ordine di priorita' indicato nella nonna che impone quale destinazione prioritaria dei proventi la riduzione del debito pubblico di pertinenza, consentendo solo per la parte eccedente la copertura di spese di investimento, cio' che integra la lamentata violazione delle prerogative regionali e' proprio il contestuale obbligo di destinare una quota dei propri proventi ad un Fondo statale. Un analogo, quanto a modalita' di destinazione ripartita, intervento legislativo era stato gia' vagliato da codesta ecc.ma Corte con la decisione n. 205/2013. In tale occasione la scelta di allocare le risorse per la riduzione del debito dell'ente proprietario del bene dismesso e' stata «correttamente» motivata dalla eccezionale emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando, ma nel contempo e' stata riaffermata, altresi', la particolarissima connotazione della norma ivi considerata che, in quanto afferente la politica economica nazionale, si configurava quale espressione del perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un quadro di necessario concorso, anche delle autonomie, al risanamento della finanza pubblica. Dato per assunto che il vincolo alla riduzione del debito del singolo ente territoriale e' ascrivibile al principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica, relativamente alla fattispecie dedotta nel giudizio di cui si tratta, la compressione inferta all'autonomia amministrativa regionale e' stata ritenuta accettabile da codesta ecc.ma Corte, in quanto reputata «quasi inevitabile» per far fronte alla contingente emergenza finanziaria. Seguendo un analogo percorso argomentativo, il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, di cui al comma sesto dell'articolo 119 Cost., trova una naturale declinazione nella legislazione regolante la contabilita' pubblica, laddove consente che la quota eccedente la copertura del debito pubblico di pertinenza possa essere destinata a spese di investimento, con cio' lasciando inalterato l'assetto istituzionale. La limitazione apportata alla liberta' finanziaria regionale trovava legittimazione, a giudizio di codesta ecc.ma Corte, nella necessita' indifferibile di scongiurare l'eventualita' che, per effetto di un esercizio inconsapevole o distorto dell'autonomia finanziaria regionale, potessero rigenerarsi condizioni di indebitamento tali da vanificare il ripianamento appena conseguito in una spirale inarrestabile, a detrimento della fondamentale e suprema esigenza nazionale di risanamento della finanza pubblica. L'intervento legislativo oggetto del presente giudizio, tuttavia, appare difficilmente riconducibile al contesto normativo gia' ritenuto ammissibile da codesta ecc.ma Corte, nella parte in cui impone un ulteriore vincolo di destinazione a favore di un Fondo statale, in una collocazione ordinativa interposta tra la quota vincolata alla riduzione del debito e quella, eventuale e residuale, destinabile alle spese di investimento, proprie dell'ente obbligato. Ed invero, se e' legittimo ed indiscutibile, oltre che logico, che un ente territoriale sia tenuto a destinare quote dei proventi ricavabili dalla dismissione dei «propri» beni pubblici a coprire il «proprio» debito e le «proprie» spese di investimento, non altrettanto puo' dirsi per la destinazione di tali proventi ad un fondo di spettanza statale, disposta non meno obbligatoriamente, anzi, prioritaria rispetto alle spese di investimento dell'ente medesimo, indipendentemente dalla necessarieta' o meno delle stesse. Il patrocinio regionale dubita che in tale fattispecie sia ravvisabile un'ipotesi di concorso al conseguimento di un obiettivo di finanza pubblica, trattandosi, piuttosto, una sorta di «intervento speciale» imposto agli enti territoriali in ausilio allo Stato per esigenze di solidarieta' finanziaria, quasi si trattasse di una forma di compartecipazione al contrario, a favore dello Stato, non contemplata dall'articolo 119 della Costituzione e come tale illegittima. Non puo' invocarsi, al riguardo, quale ricorrente, insuperabile giustificazione per conseguire l'agognata stabilizzazione finanziaria nazionale, rapportata alle esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico, ed a sostegno di qualsiasi azione incidente nell'assetto ordinamentale delineato dalla Carta Fondamentale, l'eccezionalita' della situazione economica, che pare cosi consolidata da connotarsi come strutturale. Al riguardo, codesta ecc.ma Corte non ha mancato di censurare approcci argomentativi di tale tenore, a proposito del contenzioso vertente su di una fattispecie chiaramente assimilabile a quella in esame. Infatti nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 66, comma 9, secondo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 promosso, peraltro, dall'odierna ricorrente, il punto 1) del dispositivo della decisione n. 63/2013 dichiara l'illegittimita' della norma ivi vagliata nella parte in cui prevede che gli enti territoriali, in assenza di debito pubblico, o per la parte eventualmente eccedente il ripianamento dello stesso, debbano destinare le risorse derivanti delle operazioni di dismissione ad un Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. In quell'occasione codesta ecc.ma Corte ha palesemente riconosciuto «l'indebita ingerenza nell'autonomia della Regione» secondo una sequenza motivazionale che ci si permette di riassumere brevemente. Nella fattispecie trattata, la questione riguardava la dismissione di terreni demaniali agricoli ed a vocazione agricola e, a giudizio di codesta ecc.ma Corte, il vulnus perpetrato al principio dell'autonomia finanziaria regionale traeva appunto origine dalla previsione di un'illegittima appropriazione, da parte dello Stato, di risorse appartenenti agli enti territoriali, perche' realizzate attraverso la dismissione di beni di loro proprieta'. In altri termini, e' stata censurata la sottrazione, da parte dello Stato, di risorse finanziarie proprie della Regione, in pregiudizio all'assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere, cosi' violando i precetti di cui agli articoli 117 e 119 della Costituzione. D'altro canto, l'autonomia finanziaria consacrata nell'articolo 119 della Costituzione e' finalizzata a garantire quella consistenza patrimoniale adeguata al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite agli enti territoriali medesimi secondo un principio di autosufficienza. La sottrazione di tali risorse per il ripianamento del debito nazionale costituisce, quindi, una spoliazione a detrimento del regolare esercizio della potesta' sia legislativa che amministrativa regionale. Se, dunque, e' stata gia' dichiarata illegittima ed irragionevole la sottrazione di risorse finanziarie per esigenze di risanamento economico nazionale, in quanto ultronea al principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, la consueta motivazione leggibile nella prima parte della disposizione impugnata, invocante i noti principi di coordinamento della finanza pubblica, ormai degradata a mera clausola di stile, appare alla difesa regionale radicalmente priva di fondamento e, quindi, inutiliter data. Per altro aspetto, anche l'ulteriore e diverso riferimento espresso nell'incipit della disposizione interloquita in questa sede, laddove evoca la promozione di «iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale» non permette di superare il vizio di incostituzionalita' eccepito. Infatti, la promozione dello sviluppo economico e la coesione sociale, indicate a sovrabbondante giustificazione della sottrazione in argomento, pare del tutto avulsa anche dal comma quinto dell'articolo 119 della Costituzione. Quest'ultimo, per l'appunto, contempla tali finalita' quali fondamenti costituzionali dell'istituibilita' di Fondi statali concernenti «risorse aggiuntive statali» e «interventi speciali statali» in favore degli enti territoriali e non puo' fondare, come presenta la struttura della disposizione in argomento, la soluzione inversa, cioe', sostanzialmente, la costituzione di Fondi statali implementati da «risorse aggiuntive territoriali» e «interventi speciali degli enti territoriali». Da ultimo, un breve cenno ai profili afferenti la ritenuta violazione dell'articolo 42 della Costituzione relativo alla proprieta' pubblica degli enti dello Stato. Come gia' reiteratamente asserito, la disposizione, indiscutibilmente, si riferisce a beni originariamente di proprieta' degli enti territoriali e, quindi, i proventi derivanti dalle operazioni di alienazione sono inequivocabilmente di spettanza esclusiva dell'ente proprietario, senza alcuna possibilita' di ravvisare posizioni pretensive statali su tali cespiti. Per correttamente evidenziare la modalita', surrettizia, con la quale, il canone costituzionale si intende leso, la difesa regionale richiama l'attenzione di codesta ecc.ma Corte sul netto distinguo che connota la disposizione oggetto del presente giudizio rispetto alla previsione di cui al comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, al quale, peraltro, la norma interloquita espressamente rinvia per quanto riguarda le modalita' attuative della contestata destinazione. La disposizione da ultimo citata prevede che le risorse derivanti a ciascuna Regione dall'eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del presente decreto, e quindi trasferiti dallo Stato, siano destinate alla riduzione del debito dell'ente; solo in assenza del debito, o comunque per la parte eccedente il ripianamento dello stesso, a spese di investimento ed infine, per una quota pari al 25 per cento, al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Correlativamente, e' stato stabilito che con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri siano definite le modalita' di applicazione. Le fattispecie di cui al decreto legislativo n. 85/2010 sono incentrate su beni di proprieta' dello Stato e successivamente trasferiti agli enti territoriali secondo la procedura dettagliatamente delineata, da ultimo, dai commi da 1 a 10 nell'articolo 56 bis del decreto-legge n. 69 del 2013 limitatamente ad una determinata categoria di beni statali. Si sottolinea, sul punto, che la Regione del Veneto non contesta il comma 10 dell'articolo 56-bis, del decreto de quo, che, peraltro, riproduce integralmente il comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 85/2010 riguardante l'alienazione degli immobili trasferiti appunto ai sensi dell'articolo 56-bis. L'odierno patrocinio impugna il comma 11, del medesimo articolo, proprio perche' inserisce, in un contesto normativo pacificamente applicabile ai soli beni statali trasferiti alle autonomie territoriali, una «disposizione spuria», concernente beni propri delle autonomie territoriali, estendendo palesemente ed illegittimamente il medesimo ordine di priorita' di destinazione delle risorse, specificamente previsto per tali beni, all'alienazione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti. In conclusione, la disposizione censurata scardina il concetto di proprieta' di cui all'articolo 42 della Costituzione a causa della lamentata ed inammissibile estensione oggettiva del regime valevole per taluni beni, oggetto di successivo conferimento, ad altri beni, naturalmente sottratti a detto regime, strutturando una modalita' di flussi finanziari, dall'ente territoriale allo Stato, in palese, ingiustificabile contraddizione con l'impianto normativo delineato dall'articolo 119 della Costituzione, nonche' in aperta violazione del giudicato di codesta ecc.ma Corte di cui alla sentenza n. 63/2013. Per tutto quanto sopra esposto e con riserva di ulteriormente dedurre ed argomentare con memoria aggiuntiva da depositare in prossimita' dell'udienza di discussione, la Regione del Veneto ut supra rappresentata e difesa,
P.Q.M. Chiede: 1) che codesta ecc.ma Corte, respinta ogni contraria istanza, voglia accogliere il suesteso ricorso e, per l'effetto, dichiari l'illegittimita' costituzionale degli articoli 18, comma 9, 41, comma 4 e 56-bis, comma 11 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per violazione degli artt. 5, 42, 97, 117, 118, 119, della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione medesima; 2) in via meramente subordinata, voglia pronunciarsi in ordine all'interpretazione corretta da attribuire al disposto dell'art. 41, comma 4 del decreto in argomento, limitatamente all'inciso di novellazione, ribadendo, per l'effetto, la potesta' normativa regionale in ordine alla disciplina dell'installazione dei manufatti di cui all'art. 1, comma 3, lettera e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001. Si deposita copia conforme all'originale della D.G.R. n. 1827 del 15 ottobre 2013 di autorizzazione alla proposizione del ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale. Venezia-Roma, addi' 16 ottobre 2013 Avv. Zanon - avv. Palumbo - avv. Manzi