N. 98 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 ottobre 2013

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 29 ottobre 2013 (della Regione Veneto) . 
 
Edilizia  e  urbanistica  -  Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio
  dell'economia - Misure  per  il  rilancio  delle  infrastrutture  -
  Finanziamento  per  il  Programma  "6000   Campanili"   concernente
  interventi  infrastrutturali  di  adeguamento,  ristrutturazione  e
  nuova costruzione di edifici pubblici - Previsione che con apposita
  convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e  l'Associazione
  nazionale dei comuni italiani (ANCI) sono  disciplinati  i  criteri
  per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi che fanno
  parte del Programma - Ricorso della  Regione  Veneto  -  Denunciata
  mancata previsione  di  percorsi  di  concertazione  istituzionale,
  seppure   mediante   la   partecipazione   al    procedimento    di
  rappresentanti della Conferenza  delle  Regioni  e  delle  Province
  autonome  -  Denunciata  attribuzione   all'ANCI   del   ruolo   di
  "codecisore" nella determinazione dei  criteri  per  l'assegnazione
  dei  finanziamenti,  in  posizione  paritetica  con  il   Ministero
  competente - Violazione della competenza  regionale  nella  materia
  concorrente del Governo del territorio, esercitabile  in  relazione
  anche    all'attivita'    programmatica    e    amministrativa    -
  Irragionevolezza - Violazione del principio di sussidiarieta' e del
  principio  di  imparzialita'  e   buon   andamento   dell'attivita'
  amministrativa - Violazione del principio di leale collaborazione -
  Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 163 del 2012. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 18, comma 9. 
- Costituzione, artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 120. 
Edilizia  e  urbanistica  -  Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio
  dell'economia - Modifiche al  testo  unico  in  materia  edilizia -
  Definizioni  degli  interventi  edilizi  -  Previsione   che   sono
  considerati interventi di  nuova  costruzione  "l'installazione  di
  manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi
  genere, ... e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente
  temporanee ancorche' siano installati, con temporaneo ancoraggio al
  suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto ..." - Ricorso
  della Regione Veneto proposto ove la disposizione  censurata  fosse
  interpretata nel senso di determinare l'attrazione degli interventi
  suddetti nell'alveo  della  disciplina  edificatoria  di  spettanza
  statale, con conseguente  necessita'  del  previo  ottenimento  del
  permesso a  costruire  -  Denunciata  violazione  della  competenza
  legislativa esclusiva regionale in materia di turismo. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 41,  comma  4,  modificativo
  dell'art. 3, comma 1, lettera e.5) del d.P.R.  6  giugno  2001,  n.
  380. 
- Costituzione, art. 117. 
Demanio e patrimonio dello  Stato  e  delle  Regioni  -  Disposizioni
  urgenti per il rilancio dell'economia - Previsione  che  una  quota
  dei proventi derivanti dalla dismissione dell'originario patrimonio
  immobiliare disponibile degli enti territoriali  sia  destinato  al
  Fondo per l'ammortamento  dei  titoli  di  Stato  -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata imposizione di un ulteriore vincolo  di
  destinazione a favore  di  un  Fondo  statale  disposto  in  ordine
  prioritario rispetto alle spese di investimento dell'ente  medesimo
  - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale -  Lesione  della
  proprieta'  pubblica  -  Richiamo   alla   sentenza   della   Corte
  costituzionale n. 63 del 2013. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con  modificazioni,
  dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 56-bis, comma 11. 
- Costituzione, artt. 42, 117 e 119. 
(GU n.49 del 4-12-2013 )
     Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279 - P. IVA
02392630279), in persona del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta
regionale dott. Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C9570), a cio' autorizzato
con D.G.R. n. 1827 del 15  ottobre  2013  allegata,  rappresentato  e
difeso, giusta mandato a margine del presente atto, tanto  unitamente
quanto   disgiuntamente,    dagli    avv.ti    Ezio    Zanon    (c.f.
ZNNZE157L07B563K)  coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,  Daniela
Palumbo (c.f. PLMDNL57D69A266Q) della Direzione Affari Legislativi  e
Andrea Manzi (c.f. MNZNDR64T261804V) del Foro di Roma, con  domicilio
eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n.
5 (per eventuali comunicazioni:  fax  06/3211370,  posta  elettronica
certificata andreamanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Nei confronti  del  Presidente  pro  tempore  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, presso la quale e'  domiciliato  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi,  n.  12,   per   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale degli articoli 18, comma 9;  41,  comma  4  e  56-bis,
comma  11,  del  decreto-legge  21  giugno  2013,   n.   69   recante
«Disposizioni urgenti  per  il  rilancio  dell'economia»,  nel  testo
risultante per effetto della conversione della legge 9  agosto  2013,
n. 98 pubblicata nella G.U. n. 194 del 20 agosto 2013 S.O. n. 63, per
violazione degli artt. 5, 42, 97, 117, 118, 119, della  Costituzione,
nonche' del principio di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.120
della Costituzione medesima. 
 
                                Fatto 
 
    Con la legge 9 agosto 2013, n. 98 pubblicata nella  G.U.  n.  194
del 20 agosto 2013 S.O. n.  63,  e'  stato  convertito  in  legge  il
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 recante «Disposizioni urgenti per
il rilancio dell'economia». 
    Il  testo  della  legge  di  conversione,  che   e'   intervenuto
significativamente sull'assetto normativo del decreto legge, contiene
una  pletora  di  disposizioni  simultaneamente  incidenti   in   una
pluralita'  di  contesti  di  interesse  piu'  generale,   quali   la
semplificazione amministrativa, la  digitalizzazione  della  pubblica
amministrazione, la riprogrammazione di  interventi  sul  territorio,
l'adeguamento infrastrutturale, nonche' le ormai  immancabili  misure
di  contenimento  della  spesa,  ma  introduce   anche   disposizioni
concernenti  ambiti  di  disciplina  decisamente  puntiformi   e   di
novellazione parziale, utilizzando ancora una volta  la  decretazione
d'urgenza  quale  veicolo  di  intervento  legislativo  completamente
avulso da qualsiasi meccanismo di inquadramento sistematico. 
 
                               Diritto 
 
    Proprio  nell'assoluta   consapevolezza   della   situazione   di
eccezionale gravita' nella quale versa l'Esecutivo statale, tenuto ad
adottare tutte  le  misure  necessarie  a  conseguire  quel  rilancio
dell'economia  che  risulta  essere  l'obiettivo   dichiarato   degli
interventi normativi oggetto del  presente  giudizio,  l'impugnazione
delle  disposizioni  di  seguito  specificate   in   riferimento   ai
pedissequi  parametri  puntualmente  indicati,  risponde   unicamente
all'elementare necessita' di applicare rigorosamente  i  precetti  di
rango costituzionale statuiti a tutela di attribuzioni garantite alle
Regioni nei singoli contesti considerati, per consentire un'effettiva
ed attiva partecipazione delle stesse alla realizzazione degli  scopi
dell'intervento legislativo. 
    Conseguentemente, la disamina delle  norme  impugnate  procedera'
partitamente,  seguendo  l'ordine  progressivo  degli  articoli  come
strutturati nel decreto-legge. 
Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo  18,  comma  9
del d.l. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 per violazione
degli articoli 5, 117, 118 e 119 della Costituzione, del principio di
leale collaborazione di cui all'articolo 120 della Costituzione,  del
principio  di  sussidiarieta'   di   cui   all'articolo   118   della
Costituzione e  del  principio  di  imparzialita'  e  buon  andamento
sancito dall'articolo 97 della Costituzione. 
    L'articolo 18, comma 9 prevede la stipula di una convenzione  tra
il Ministero delle infrastrutture e dei  trasporti  e  l'Associazione
Nazionale dei Comuni Italiani, di seguito ANCI, per l'assegnazione di
finanziamenti statali a favore di interventi realizzati dai Comuni. 
    In dettaglio l'articolo 18, comma 9 del decreto-legge n.  69/2013
autorizza   l'assegnazione   di   ingenti   risorse   statali    alla
realizzazione  di  una  pluralita'  di  interventi,  da  parte  delle
Amministrazioni comunali, in quanto ricomprese  nel  primo  Programma
suggestivamente denominato «6000 Campanili».  Gli  interventi  devono
essere  muniti  di  tutti  i  pareri,  autorizzazioni,   permessi   o
qualsivoglia altro nulla  osta,  in  conformita'  alla  normativa  di
riferimento. La disposizione,  quindi,  stabilisce  i  requisiti  dei
beneficiari ed i limiti di spesa, nonche' l'importo  ammissibile  del
contributo per singolo progetto. Le istanze di  contributo,  inoltre,
per il tramite di ANCI, devono essere presentate al  Ministero  delle
Infrastrutture e dei Trasporti, che approva il programma. Proprio  in
considerazione  di  tale  frapposizione  procedimentale,  era   stato
stabilito che entro trenta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore
della legge  di  conversione  del  decreto,  e  quindi  entro  il  20
settembre 2013, con apposita convenzione tra il Ministero  competente
ed ANCI fossero disciplinati i  criteri  per  l'ammissibilita'  degli
interventi che fanno parte del Programma all'utilizzo delle  risorse.
Il  legislatore   statale   in   sostanza,   avrebbe   disposto   una
«esternalizzazione» delle funzioni  amministrative  proprie,  perche'
correlate all'assegnazione di  contributi  statali,  conferendole  ex
lege ad un organismo  rappresentativo  dei  Comuni.  La  conseguente,
totale   estromissione   dell'ente    regionale    al    procedimento
amministrativo, ovviamente statale,  di  assegnazione  delle  risorse
certamente statali, tuttavia, e' reputata  dal  patrocinio  regionale
confliggente con gli articoli 5, 117, 118 e  119  della  Costituzione
per le ragioni di seguito dettagliatamente argomentate. 
    Va precisato che la difesa  regionale  e'  consapevole  di  come,
prima facie, trattandosi di competenza procedimentale  e  di  risorse
finanziarie   di   spettanza   esclusiva   statale,   senza    alcuna
compartecipazione regionale, la posizione  regionale  possa  apparire
del  tutto  avulsa  dal  contesto  normativo   di   riferimento,   e,
conseguentemente, del  tutto  priva  di  qualsivoglia  fondamento  di
legittimazione a ricorrere, non essendo immediatamente percepibile il
vulnus subito alle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite. 
    Ma non e' cosi' e  per  comprendere  agevolmente  le  circostanze
generatrici delle lesioni  lamentate,  si  richiama  l'attenzione  di
codesta Ecc.ma Corte sullo sviluppo della vicenda che ha dato origine
alla disposizione odiernamente censurata, allo scopo di  evidenziare,
contestualizzandola, la ratio della medesima, come  desumibile  dagli
Atti preparatori. 
    In punto, come  indicato  nel  Dossier  Studi  della  Camera  dei
deputati,  la  norma  in  commento  disciplina  una   procedura   che
coinvolge, per un verso, i Comuni e, per altro  verso,  il  Ministero
competente,  analogamente  a  quanto  gia'  previsto  per  il  «Piano
nazionale  per  le  citta'»   disciplinato   dall'articolo   12   del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83  convertito,  con  modificazioni,
con la legge 7 agosto 2012, n.  134.  Quest'ultima  disposizione,  in
vigore  dal  12  agosto  2012,  ha  introdotto  nell'ordinamento  una
procedura   standardizzata   di   coordinamento   interistituzionale,
orientata all'efficientamento  finanziario,  conseguito  mediante  la
razionalizzazione delle modalita' di individuazione  e  realizzazione
degli interventi. 
    La norma, in realta', contiene  la  scansione  di  un  meccanismo
piuttosto  complesso,  che,  innanzitutto,  impone   ai   Comuni   la
predisposizione di un piano dedicato alla  riqualificazione  di  aree
urbane, avuto particolare  riferimento  a  quelle  degradate.  Viene,
altresi', istituita una Cabina di  regia  per  la  realizzazione  del
piano di cui si tratta, alla quale dovrebbero  partecipare,  tra  gli
altri, oltre  ai  rappresentanti  di  organismi  statali,  anche  due
rappresentanti  della  Conferenza  delle  Regioni  e  delle  Province
Autonome, un rappresentante dell'Agenzia del Demanio, uno della Cassa
Depositi e Prestiti, nonche' un rappresentante  di  ANCI.  E'  stato,
inoltre, previsto che  le  Amministrazioni  comunali  strutturino  le
proposte di Contratto di  valorizzazione  urbana,  costituite  da  un
insieme coordinato di interventi, inviandole alla Cabina di regia che
e' tenuta a selezionare le proposte in base agli  specifici  criteri,
pure indicati nella disposizione medesima. Infine, la  stessa  Cabina
di regia, che ha il compito di definire gli investimenti  attivabili,
sulla base degli apporti e delle risorse  conferiti  dagli  organismi
partecipanti, richiede al Ministero l'accantonamento di tali  risorse
in un apposito Fondo finanziario e promuove, d'intesa con  il  Comune
interessato, la sottoscrizione del Contratto di valorizzazione urbana
che regola i reciproci rapporti tra soggetto finanziatore e  soggetto
destinatario del beneficio economico. L'insieme dei  Contratti  cosi'
sottoscritti integra il Piano nazionale per le citta'.  La  procedura
sopra descritta ha trovato  puntuale  attuazione  in  conformita'  ai
dettami normativi, e le proposte delle Amministrazioni comunali  sono
state considerate nel decreto dipartimentale  n.  1105/2013,  che  ha
approvato la devoluzione delle risorse disponibili al Fondo citato. 
    Conseguentemente, i progetti che dovessero superare positivamente
la selezione potranno beneficiarie di  un  cofinanziamento  nazionale
pari a complessivi 318 milioni di euro. 
    Tale premessa argomentativa, apparentemente estranea al  presente
giudizio, e' invece, ad avviso del  patrocinio  regionale,  doverosa,
poiche'  risulta  del  tutto  incomprensibile  per   quale   ragione,
diversamente da quanto appena  delineato,  la  norma  impugnata,  che
regola sostanzialmente una procedura ad  effetti  analoghi  a  quella
gia' considerata, sia quanto alla natura  degli  impegni  finanziari,
sia per quanto  attiene  ai  destinatari  dei  finanziamenti  stessi,
escluda radicalmente  qualsiasi  partecipazione  dell'Amministrazione
regionale,  che  viene  invece  relegata  nel  ruolo  secondario   ed
eventuale di soggetto istituzionale solo incidentalmente suscettibile
di intervento nel singolo procedimento amministrativo,  limitatamente
al segmento di competenza esercitabile. 
    Attesa l'evidente corrispondenza tra le fattispecie oggetto delle
due diverse disposizioni, a tal  punto  assimilate  e  legate  da  un
vincolo di specularita', da porre  la  questione  circa  la  concreta
compatibilita' e simultanea applicabilita' di entrambe, risulta pero'
del tutto assente, nella norma odiernamente impugnata, la  previsione
di percorsi di concertazione istituzionale  formale  o  semplificata,
seppure mediante la partecipazione al procedimento di  rappresentanti
della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. 
    Per converso, tale norma, travolgendo gli  assetti  istituzionali
esistenti,  investe  direttamente  ANCI   di   fondamentali   compiti
istituzionali, attribuendole non certo un  mero  ruolo  di  «semplice
intermediario» bensi' quello di «codecisore», chiamato a  determinare
, in posizione paritetica con il Ministero competente, i  criteri  di
assegnazione dei finanziamenti. 
    Rinviando a quanto infra verra' precisato in ordine  alla  natura
ed   agli   effetti   della   partecipazione   dell'Associazione   al
procedimento,  in  riferimento  specifico  alle  possibili  relazioni
intercorrenti tra le due disposizioni oggetto di  comparazione,  gia'
negli atti del Servizio Studi presso il Senato era stata  prospettata
l'eventualita' di un collegamento funzionale tra le  medesime,  tanto
evidente da alimentare il dubbio  che  gli  interventi  previsti  dal
comma 9  dell'articolo  18  del  decreto-legge  n.  69/2013,  benche'
diversamente  qualificati  e  dettagliatamente  elencati,  fossero  i
medesimi dell'articolo 12 del decreto-legge n. 83/2012. 
    Qualora l'assunto circa la sovrapponibilita' dei  due  interventi
legislativi   dovesse    trovare    conferma,    ne    conseguirebbe,
inevitabilmente, la violazione delle prerogative regionali  posta  in
essere  dalla  disposizione  oggetto  del  presente  giudizio,   che,
configurandosi  come  idonea   a   destrutturare   significativamente
l'impianto normativo e  procedimentale  posto  dall'articolo  12  del
decreto-legge  n.83/2012,  ne  precluderebbe  l'esercizio   in   modo
immotivato e quindi irragionevole. Peraltro, secondo un diverso,  pur
possibile, orientamento ermeneutico,  potrebbe  anche  darsi  che  la
destinazione della somma pari a 100 milioni di euro per l'anno  2014,
come derivante dal Fondo di  cui  al  comma  1  dell'articolo  18  in
argomento ed assegnata con  la  procedura  derogatoria  di  carattere
finanziario-contabile di cui al comma 2  del  medesimo  articolo,  si
riferisca in realta' ad altri cespiti  finanziari,  raggranellati  in
questa attuale situazione di contingenza economica e di dissesto, per
essere  posti  a  disposizione  delle  Amministrazioni  comunali   in
sofferenza finanziaria, con una strutturazione  ultronea  rispetto  a
quella precedente. 
    Ma   l'irragionevolezza   dell'estromissione   regionale    nella
procedura de qua si induce anche dal contenuto  del  soppresso  comma
9-bis del medesimo articolo che originariamente prevedeva appunto una
specifica intesa con la Conferenza Unificata, comprensiva  ovviamente
delle Regioni, per definire modalita' e criteri per  la  prosecuzione
fino al 2020 dei programmi annuali denominati, con letteraria sintesi
evocativa, «6000 Campanili». 
    Infine, ad ulteriore  riprova  dell'insopprimibilita'  del  ruolo
regionale, si osserva che, nel testo del parere formulato in data  11
luglio 2013, la Conferenza delle Regioni e delle  Province  Autonome,
relativamente al disegno di legge di conversione del decreto-legge 21
giugno 2013 n. 69, aveva  subordinato  la  positivita'  del  medesimo
all'accoglimento  di  uno   specifico   emendamento   finalizzato   a
sostituire l'intervento di ANCI con la Regione, per  consentire  alla
stessa la necessaria valutazione della coerenza degli interventi  con
gli  strumenti  di  pianificazione  regionale.   Quest'ultimo   dato,
infatti, e'  estremamente  significativo  e  conferma  l'effettivita'
dell'assunto concernente la sussistenza della  competenza  regionale,
riferita  alla  materia  di  tipo  concorrente   del   «governo   del
territorio»,  ed  esercitabile  in  relazione   anche   all'attivita'
programmatoria  ed  amministrativa.  Tale  attivita',   infatti,   e'
concretamente realizzabile solo  nell'ambito  di  una  corretta  rete
informativa  e  comunicativa  degli  interventi   di   utilizzo   del
territorio,  in  un  piu'  generale  contesto   di   rispetto   delle
prerogative  istituzionalmente  garantite  e  tutelate  dalla   Carta
Fondamentale. La disposizione censurata, innegabilmente, enuclea  una
serie complessa di opere ontologicamente riconducibili  a  quell'«uso
del suolo» che, per costante orientamento di codesta ecc.ma Corte  e'
ascrivibile proprio alla materia  «governo  del  territorio»,  ed  in
ordine alla quale non soltanto rimarrebbe radicalmente precluso  alle
Regioni il corretto esercizio delle  proprie  funzioni  di  controllo
pianificatorio, ma verrebbe  pregiudicato,  soprattutto,  l'esercizio
delle  competenze  legislative   e   amministrative,   precostituendo
situazioni  di  fatto  e  di  diritto  incompatibili  con  successive
statuizioni. 
    Ed invero, la verifica dell'osservanza e della conformita'  delle
infrastrutture  alla  pianificazione  regionale  ed  alla   normativa
regionale di settore non puo' e non deve essere  effettuata  ne'  dal
Ministero competente  ne',  a  fortiori,  da  ANCI  e  tuttavia  tale
funzione di verifica e' necessaria ed aggiuntiva rispetto a quella di
mera selezione amministrativa dei progetti  da  parte  dell'organismo
statale di riferimento. 
    Alle lesioni supra  individuate  si  aggiunge,  ad  avviso  dello
scrivente  patrocinio,  la  violazione   del   principio   di   leale
collaborazione  di  cui  all'articolo  120  della  Costituzione.  Per
pacifica giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, appare ormai fuor di
dubbio che spetta  al  legislatore  statale  determinare,  quanto  ai
procedimenti di propria competenza, le  modalita'  di  partecipazione
dei vari soggetti istituzionali.  Ma,  in  materia  di  «governo  del
territorio», ove e' radicato l'intreccio delle diverse competenze tra
Stato e Regione, la scelta di escludere  l'Amministrazione  regionale
da qualsiasi attivita' connessa alla realizzazione degli  interventi,
sia  essa   normativa,   pianificatoria,   istruttoria   o   comunque
funzionale-amministrativa, si configura  come  immediatamente  lesiva
della totalita' delle  competenze  regionali  esistenti  in  materia,
particolarmente se avviene in assenza di un'intesa istituzionale  sui
punto,   nell'elementare   rispetto   del    principio    di    leale
collaborazione, che, per le caratteristiche delle  misure  approvate,
non puo' che essere una concertazione sfociante nell'intesa. 
    La partecipazione procedimentale, infatti, altro non e' se non la
piu'  efficace,  celere  modalita'  di   conseguire   gli   obiettivi
prefissati  nell'intervento,  qualunque  esso  sia,  contemperando  i
diversi interessi e, per cio'  stesso,  deve  essere  rispondente  al
canone costituzionale della leale cooperazione. 
    Poiche', come autorevolmente affermato da codesta  ecc.ma  Corte,
l'impugnativa  rappresenta  unicamente   lo   strumento   di   tutela
disponibile nei confronti di possibili, eventuali prassi  applicative
distorsive, perche' non concretamente rispettose della doverosa leale
collaborazione tra Stato e Regioni  (cfr.  la  sentenza  n.  6/2004),
l'odierno ricorso sollecita appunto il vaglio  di  costituzionalita',
in ordine alla disposizione in esame, nel convincimento che la stessa
violi il rispetto delle regole di leale collaborazione che il giudice
delle leggi e' tenuto a tutelare. 
    La  solida  consistenza  giuridica  del  principio  invocato  non
risulterebbe sminuita neppure qualora  si  ammettesse  l'eventualita'
che le cennate funzioni fossero attratte nell'alveo  esclusivo  della
competenza amministrativa statale, poiche', anche in  tal  caso,  non
verrebbe meno l'obbligatorieta' dell'intesa con gli enti territoriali
gia' titolari di tali funzioni. Si rinvia, al riguardo, alla sentenza
n. 163/2012, con la quale codesta ecc.ma Corte si  e'  pronunciata  a
proposito  di  finanziamenti  di  progetti  strategici  statali,   da
realizzare con il concorso delle imprese e  degli  enti  titolari  di
reti e impianti di comunicazione, senza lasciare spazio  alcuno  alla
Regione,  sebbene  competente  in  materia  di   «ordinamento   delle
comunicazioni» e «governo del territorio.». 
    Nel brano della  decisione,  che  si  riporta  di  seguito,  sono
inequivocabilmente e dettagliatamente  evidenziati  tutti  i  profili
che, delineando il ruolo  regionale  nelle  materie  di  attribuzione
legislativa concorrente, riaffermano la valenza insopprimibile  delle
procedure concertative istituzionali. In tale pronuncia,  infatti  si
legge che: "Anche in relazione alla normativa ora all'esame di questa
Corte, la  chiamata  in  sussidiarieta'  risulta  giustificata  dalla
necessita' che sia  assicurata,  nella  materia  della  realizzazione
delle  infrastrutture  di   comunicazione   elettronica   sull'intero
territorio nazionale,  una  visione  unitaria.  Nello  stesso  tempo,
tuttavia,  considerata  la  rilevanza  del  progetto  strategico   di
individuazione degli interventi finalizzati alla realizzazione  delle
infrastrutture di telecomunicazione da banda larga ed ultralarga e la
sua  diretta  incidenza  su  territorio  e  quindi   sulle   relative
competenze regionali, anche in tal  caso  risulta  costituzionalmente
obbligata la previsione di un'intesa fra gli  organi  statali  ed  il
sistema   delle   autonomie   territoriali   (Conferenza    unificata
Stato-Regioni), da un lato, con  riguardo  alla  predisposizione  del
predetto progetto strategico, e, dall'altro, con le  singole  Regioni
che siano, di volta in volta, interessate dagli specifici e  concreti
interventi di realizzazione del progetto sul proprio territorio. 
    Il comma 1 dell'art. 30 del d.l. n. 98  del  2011  e',  pertanto,
costituzionalmente illegittimo nella parte  in  cui  prevede  che  il
Ministero dello sviluppo economico, con il concorso delle  imprese  e
gli enti titolari di reti e di impianti di comunicazione  elettronica
fissa o mobile, predisponga un progetto strategico, senza una  previa
intesa con la Conferenza unificata, in quanto viola il  principio  di
leale collaborazione, 
    Del pari illegittima si rivela la disposizione di cui al comma  3
del medesimo art. 30 del citato d.l. n. 98 del 2011, nella  parte  in
cui non prevede che, ogniqualvolta si provveda a  dare  realizzazione
concreta sul territorio di una singola Regione a specifici interventi
attuativi  del  progetto  strategico,  cio'  avvenga  sulla  base  di
un'intesa  con  la  Regione  interessata.  La  Regione  puo'  essere,
infatti,  spogliata  della  propria  capacita'  di  disciplinare   la
funzione amministrativa attratta in sussidiarieta', «a condizione che
cio' si accompagni alla previsione di un'intesa in sede di  esercizio
della funzione, con cui poter recuperare un'adeguata  autonomia,  che
l'ordinamento riserva non gia' al sistema regionale  complessivamente
inteso, quanto piuttosto alla specifica Regione che sia stata privata
di un proprio potere (sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004
e n. 303 del 2003)». 
    Per altro aspetto, con modalita' non meno problematiche sotto  il
profilo  degli  assetti  ordinamentali,  la  disciplina  interloquita
assegna ad un organismo «terzo ma non  imparziale»  un  segmento  del
procedimento amministrativo statale, in violazione  dei  principi  di
sussidiarieta', buon andamento ed imparzialita'. 
    Il novellato articolo 118 della Costituzione ha elevato al  rango
della Carta Fondamentale il principio  di  sussidiarieta'  nella  sua
accezione «verticale» in riferimento  alla  pluralita'  di  autonomie
territoriali, e nella sua accezione «orizzontale» in connessione alle
relazioni intercorrenti tra il pubblico potere ed i cittadini. 
    Mentre  la  prima  categoria   concettuale   concerne   la   c.d.
«sussidiarieta'  istituzionale»,  che  consente   il   ricorso   alle
istituzioni pubbliche di cui al comma  primo  del  medesimo  articolo
118, in combinato disposto con  l'art.  5,  della  Costituzione,  per
l'esercizio delle funzioni  amministrative  indicate  nel  successivo
comma secondo del medesimo articolo; la seconda categoria concettuale
riguarda la c.d. «sussidiarieta' sociale» che  consente  a  forme  di
rappresentanza della comunita', singole o associate,  lo  svolgimento
di attivita' di interesse generale. 
    Tuttavia, in riferimento alle modalita' attuative  del  primo  di
tali principi, ANCI non rientra tra gli Enti tassativamente  indicati
nell'art. 114 della Costituzione e, conseguentemente, non puo' essere
considerato soggetto abilitato ad eventualmente  esercitare  funzioni
amministrative  in  attuazione  del  principio   di   «sussidiarieta'
verticale» ai sensi degli artt.  5  e  118  della  Costituzione,  nei
termini anzidetti. Ne consegue che i parametri  di  costituzionalita'
supra  indicati   risulterebbero   violati,   proprio   per   erronea
applicabilita' del principio medesimo  alla  fattispecie  di  cui  si
tratta. 
    Correlativamente, peraltro, quanto alle modalita'  attuative  del
principio di sussidiarieta' orizzontale, si rileva che, a termini del
quarto comma dell'art. 118 della Costituzione, puo'  collaborare  con
la  pubblica  amministrazione  qualunque  organismo   di   estrazione
prettamente privatistica, al  pari  del  singolo  cittadino,  qualora
questi sia in grado di aggregare una formazione sociale qualificabile
come «massa critica» nei confronti dei pubblici poteri, affinche'  si
concretizzi  la  necessaria  condizione  di   rappresentativita'   di
interessi collettivi.  Ai  predetti  soggetti  non  aprioristicamente
preclusa la partecipazione diretta alle decisioni o l'espletamento di
funzioni  amministrative  destinate  al  soddisfacimento  di  bisogni
imputabili alla collettivita'. 
    Da tale fattispecie, tuttavia, si deve necessariamente escludere,
in riferimento all'ambito  applicativo  della  norma  costituzionale,
come interpretata dalla dottrina maggioritaria e da alcune  decisioni
di codesta ecc.ma Corte, qualsiasi soggetto, indipendentemente  dalla
qualificazione giuridica posseduta ed in conformita' al  concetto  di
neutralita'  proprio  del  diritto  comunitario,  che,  per   ragioni
strutturali o funzionali  possa  essere  identificato  come  pubblica
amministrazione. 
    In posizione derogatoria, rispetto all'impostazione esegetica che
precede,  si  porrebbero  alcune   categorie   quali   le   autonomie
funzionali, di marcata natura ibrida pubblico-privata,  e  quindi  le
Camere di Commercio, le Universita',  le  Accademie,  le  Fondazioni.
Infatti, codesta ecc.ma Corte non ha mancato di enucleare i  soggetti
che  possono  legittimamente  esercitare  funzioni  in  posizione  di
sussidiarieta' «orizzontale», individuandoli nelle formazioni sociali
quali  la  famiglia,  (cfr.  sentenza  n.  203/2013);  nei   soggetti
certificatori accreditati (cfr. sentenza n. 322/2009); persino  nelle
fondazioni bancarie (cfr. sentenza n. 301/2003). 
    Inoltre, va adeguatamente considerato  che  l'individuazione  dei
soggetti legittimati a relazionarsi con l'ente  pubblico,  oltre  che
valutabile in connessione alle singole,  concrete  fattispecie,  deve
essere strettamente correlata al concetto di «interesse generale». Al
riguardo si segnala, quale  mero  spunto  argomentativo,  rimesso  al
vaglio di codesta ecc.ma Corte, che  anche  il  Consiglio  di  Stato,
Sezione consultiva per  gli  atti  normativi,  nell'adunanza  del  25
agosto 2003 n. 1440, con puntuale riferimento alla  vicenda  fattuale
di accesso diretto delle imprese  a  fondi  statali,  conseguita  con
l'intermediazione    delle    Amministrazioni    comunali,     allude
all'interesse generale come a «qualcosa di piu' e  di  diverso  della
possibilita' dei privati di accedere a fondi pubblici  con  l'assenso
degli enti locali». E, senza addentrarsi nella complessa e densissima
attivita' speculativa formatasi  sul  tema  e  tuttora  in  corso  di
approfondimento anche a livello comunitario, ci si limita ad  evocare
la basilare differenzazione, elaborata da parte della  dottrina,  tra
il concetto di «interesse pubblico», la cui cura e' attribuita ad uno
o piu' enti amministrativi, e la nozione di «interesse del  pubblico»
inteso   come   sineddoche   della   destinazione   obbligatoriamente
collettiva delle attivita', siano esse  prestazioni  a  favore  della
cittadinanza o interventi di tutela di beni comuni. 
    L'inevitabile, sicuramente breve ed inadeguata, premessa  teorica
introduce  le  fortissime  perplessita'  che  la  norma  odiernamente
impugnata suscita, laddove assegna all'Associazione Nazionale  Comuni
Italiani il fondamentale compito di intermediazione  nell'ambito  del
procedimento amministrativo  di  competenza  prettamente  statale  di
finanziamento di specifici progetti a  favore  delle  Amministrazioni
comunali. 
    In estrema sintesi, si tratta di contributi disposti a favore  di
enti   pubblici   erogata   mediante   l'assenso    dell'associazione
rappresentativa dei medesimi beneficiari pubblici. 
    Poiche', per  espressa  clausola  statutaria,  l'Associazione  in
argomento e' titolare della rappresentanza istituzionale dei  comuni,
delle citta' metropolitane e degli enti di derivazione  comunale,  la
stessa, per quanto presenti  una  fisionomia  squisitamente  privata,
puo' comunque assumere un ruolo istituzionale qualora  sia  chiamata,
in  qualita'  di  organismo  di  rappresentanza,  ad  esprimere   gli
interessi   propri    delle    Amministrazioni    di    appartenenza,
assiomaticamente rappresentative, a propria volta, di  una  specifica
comunita' locale. 
    E' evidente, pero', che, mentre per un verso  l'Associazione  non
puo' essere inclusa  nella  partizione  precisata  dall'articolo  114
della Costituzione, laddove indica i soggetti  che  istituzionalmente
compongono la Repubblica, per altro verso il  meccanismo  di  duplice
rappresentativita' dato dall'essere  Associazione,  che  accorpa  gli
enti   esponenziali   delle    comunita'    territoriali,    ostacola
l'identificabilita'  dell'Associazione  medesima   quale   formazione
sociale e la assimila, piuttosto, al concetto  di  apparato  pubblico
nella sua accezione piu' ampia. 
    Ne  consegue  che  ANCI,  nonostante  la  denominazione,   appare
estranea alla nozione di organismo associato per  lo  svolgimento  di
attivita' di interesse  generale,  e,  quindi  risulta  difficilmente
inquadrabile quale soggetto funzionalmente inseribile in un  processo
di  sussidiarieta'  orizzontale,  per  di  piu'  in  un  procedimento
finalizzato all'erogazione di contributi destinati ad enti  pubblici,
seppure esponenziali di interessi di privati cittadini. 
    Infine,  se  il  concetto  di  «interesse  generale»  postula  la
sussistenza di un obbligo istituzionale volto a garantire prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e  sociali  a   livello   quantomeno
essenziale, fatte  salve  eventuali  forme  di  maggior  tutela,  gli
interventi infrastrutturali oggetto della  norma  impugnata  appaiono
difficilmente riconducibili a quelli  suscettibili  di  modalita'  di
esercizio da parte di soggetti terzi  secondo  i  canoni  tipici  nei
quali si estrinseca il principio di sussidiarieta'. 
    Si richiama nuovamente, solo quale suggestione argomentativa,  il
gia'  citato  parere  formulato  dal  Consiglio  di  Stato,   Sezione
Consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 25  agosto  2003
n. 1440, nel quale si legge inoltre che «a prescindere dalla qualita'
del  soggetto  e'  comunque  certo  che  la   metodica   dell'ausilio
finanziario pubblico erogato in ambiti territoriali determinati  puo'
essere  applicata  anche  ai  fenomeni  tipici  della  sussidiarieta'
orizzontale purche' sussistano tutte le condizioni che implicitamente
sono poste dai precetti (costituzionali e ordinari):  sussistenza  di
un'attivita'  a   cura   e   iniziativa   di   cittadini,   famiglie,
associazioni,  comunita'  che  si  riveli  adeguata  e  di  interesse
generale,  tipicita'  della  stessa  attivita'  e  sua  riferibilita'
esclusiva a quei soggetti, giudizio da parte dell'ente pubblico della
necessita' che il  servizio  o  l'attivita'  possano  continuare  per
beneficio della comunita' di riferimento,  erogazione  dell  'ausilio
quale forma di concorso per l'implicita  utilizzazione  dei  benefici
dall'intera collettivita', anche politica di riferimento.». 
    Da  ultimo,  un  accenno  alla  sussistenza  del   requisito   di
imparzialita'  che  ANCI,  ad  avviso  dello  scrivente   patrocinio,
dovrebbe possedere ai fini di un  eventuale,  legittimo,  inserimento
della  stessa  nella  complessa  procedura  amministrativa   sia   di
valutazione che di erogazione dei benefici. 
    A termini dello Statuto, l'Associazione rappresenta una  «impresa
non profit» istituita per svolgere attivita' di sostegno,  assistenza
tecnica ed erogazione di servizi a favore dei comuni  associati  che,
corrispettivamente, conferiscono una quota associativa. 
    Un simile assetto non  risulta  facilmente  conciliabile  con  la
nozione   di   «imparzialita'»,   necessariamente   correlata    alla
disponibilita' della piu' ampia autonomia da parte del  soggetto,  in
quanto oggettivamente svincolato da pubblici poteri sia dal punto  di
vista organizzativo che finanziario. In realta',  per  effetto  della
norma interloquite, ciascuna  Amministrazione  comunale,  per  essere
coadiuvata nella procedura in esame, deve necessariamente  associarsi
ad ANCI, poiche' questa, essendo  stata  individuata  ex  lege  quale
«intermediario», e'  divenuta  l'unico  interlocutore  giuridicamente
ammissibile. 
    Conclusivamente, ad avviso  dello  scrivente  patrocinio,  se  la
norma  censurata  interpone  ANCI  nella  libera  amministrativa  per
l'esercizio di funzioni in posizione di  «sussidiarieta'  verticale»,
viola gli artt. 5, e 118 della  Costituzione;  se  invece  presuppone
l'invocabilita', in capo ad ANCI di una posizione di  «sussidiarieta'
orizzontale», determina la lesione degli artt. 117, comma terzo e 118
della  Costituzione,  atteso  che  ANCI,  sebbene  portatrice   degli
interessi  degli  associati,  pubblici,   conserva   una   dimensione
privatistica che  non  consente  di  identificarla  immediatamente  e
sicuramente con  un  ente  pubblico  e,  per  di  piu',  difetta  del
requisito della terzieta'. 
    Ne consegue che il conferimento ad  ANCI  di  tutte  le  funzioni
specificate nella norma impugnata e' irragionevole nel contesto delle
Amministrazioni pubbliche che  compongono  il  quadro  costituzionale
disegnato dall'art. 114 Cost., perche' implica l'assegnazione a  tale
Associazione   di   poteri   configgenti    con    le    attribuzioni
costituzionalmente garantite alle  Regioni  dagli  artt.  117,  comma
terzo e  118,  della  Carta  Fondamentale.  Il  ritenuto  difetto  di
terzieta', in particolare, fonda la  lesione  dei  principi,  sanciti
dall'art. 97 della Costituzione, di imparzialita'  e  buon  andamento
che devono sempre connotare l'attivita' amministrativa sin dalla fase
genetica  della  strutturazione  normativa,  e  poi  dei  conseguenti
segmenti afferenti  l'organizzazione  e  la  gestione  dell'attivita'
medesima. 
    La norma impugnata, per cio' stesso, non solo viola i principi di
sussidiarieta' ed imparzialita', ma si  riflette  sull'erogazione  di
risorse finanziarie a favore dei  comuni  con  modalita'  disarmonica
rispetto alla Carta Fondamentale.  Conseguentemente,  richiamando  un
consolidato  orientamento  di  codesta  ecc.ma  Corte,  «la   stretta
connessione sussistente tra la spesa  di  tali  enti  e  l'equilibrio
complessivo della finanza regionale», legittima la Regione del Veneto
a promuovere l'odierno giudizio, in forza  delle  proprie  competenze
legislative e amministrative in materia di «governo  del  territorio»
(cfr. ex plurimis, v. la sentenza n. 298/2009). 
Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo  41,  comma  4
del d.l. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 per violazione
dell'art. 117 Cost.. 
    L'articolo 41,  comma  4  del  decreto  in  esame,  interviene  a
novellare l'art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. 6  giugno  2001,
n. 380 introducendo  un  inciso,  apparentemente  innocuo  quanto  ad
effetti, riguardante le caratteristiche delle installazioni collocate
all'interno di strutture turistiche ricettive all'aperto. 
    Il connotato della presunta  irrilevanza,  quanto  alle  potesta'
legislative garantite alla Regione dalla  Carta  Fondamentale,  delle
modifiche apportate con la norma interloquita e' un  diretto  portato
dell'ambito di intervento della disposizione, ovvero il  turismo,  di
esclusiva  attribuzione  regionale,  non  solo  per  tabulas,   avuto
riguardo ai' settori contemplati dai commi secondo e terzo  dell'art.
117   della   Costituzione,   ma   anche   per   costante,   pacifica
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte alla quale si rinvia  (v.,  ex
multis, la decisione n. 75/2012). 
    Tuttavia, secondo un taglio ermeneutico tutt'affatto  differente,
la norma potrebbe essere interpretata nel  senso  che  sarebbe  stata
introdotta, attraverso la  novellazione  del  D.P.R.  n.380/2001,  di
sicura competenza statale, una modifica  alla  definizione  di  nuova
costruzione, per la quale, quindi, e'  necessario  l'ottenimento  del
relativo permesso.  Altrimenti  detto,  l'interposizione  dell'inciso
«ancorche' siano installati  con  temporaneo  ancoraggio  al  suolo»,
incluso nel testo dell'art.  3,  comma  1,  lett.  e.5)  del  decreto
presidenziale menzionato, con riferimento, anche, ai  manufatti  siti
all'interno    delle    strutture    ricettive    all'aperto,    pone
necessariamente   la   questione   dell'individuazione    certa    ed
indiscutibile della  corretta  perimetrazione  dell'ambito  oggettivo
della disposizione, in relazione ai profili di competenza legislativa
regionale, in conformita' ai precetti espressi  dall'art.  117  della
Costituzione. 
    Premesso che, in ogni caso, la  sola  sussistenza  di  previsioni
normative suscettibili di  diverse  modalita'  applicative,  connesse
alle possibili interpretazioni, mina  il  principio  fondamentale  di
certezza  del  diritto,  in  dettaglio,  l'inserimento  nel   tessuto
ordinamentale di disposizioni foriere di dubbi ermeneutici, non  puo'
non   riverberarsi   sull'effettivo   esercizio   delle    competenze
legislative regionali,  con  effetti  potenzialmente  pregiudizievoli
particolarmente in ambiti, quali quelli afferenti la  disciplina  del
turismo, che sono appunto di attribuzione esclusiva regionale. 
    In punto, attualmente la lett. e.5) nel comma 1 dell'art. 3,  del
decreto in  esame,  presenta  una  precisazione,  introdotta  da  una
congiunzione  letteraria  con  valore  concessivo,  che  tecnicamente
sortisce la conseguenza di annoverare, nel contesto degli «interventi
di  nuova  costruzione»,  ovvero  di   trasformazione   edilizia   ed
urbanistica del territorio diversi da quelli specificati alle lettere
a), b), c) e d)  del  medesimo  articolo,  anche  l'installazione  di
manufatti leggeri, prefabbricati, strutture di qualsiasi genere,  non
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, «ancorche'  siano
installati,  con  temporaneo  ancoraggio  al  suolo,  all'interno  di
strutture  ricettive  all'aperto,  in  conformita'   alla   normativa
regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti». 
    Una prima questione attiene, dunque, alle circostanze  prescritte
ai fini della legittimita' dell'installazione dei beni o manufatti di
cui si tratta. Tali manufatti, attenendosi al dato formale  emergente
dal  punto  specifico  del  decreto  presidenziale  disciplinante  la
materia  edilizia,  oggetto  di   novellazione,   potrebbero   essere
collocati  nelle  strutture  ricettive   a   destinazione   turistica
solamente previo ottenimento del regolare permesso  a  costruire.  In
altri termini, la congiunzione cennata  renderebbe  indifferente,  ai
fini della normativa applicabile, la circostanza che il manufatto sia
da porsi appunto in dette strutture ricettive,  ed  abbia  subito  un
ancoraggio al suolo temporaneo,  quale  indicatore  dell'amovibilita'
dello  stesso  e,  per  cio'  stesso,  in  assenza  di  provvedimenti
concessori o comunque autorizzativi, proprio perche'  concernente  un
ambito di intervento non ascrivibile  alla  disciplina  edificatoria.
Seguendo   un    simile    orientamento    interpretativo,    quindi,
indipendentemente dalla materia  specifica  oggetto  di  legislazione
regionale,  ovvero  l'urbanistica  o  il  turismo,  la   precisazione
contenuta  nella   norma   censurata,   poiche'   strutturalmente   e
funzionalmente idonea ad incidere  unicamente  sulle  caratteristiche
dell'intervento, Io qualificherebbe nuova costruzione, riconducendolo
cosi' nell'alveo della disciplina edificatoria di spettanza statale. 
    L'ipotesi interpretativa che precede non e' una  mera  congettura
di genere speculativo e rilevanza squisitamente dottrinale.  Infatti,
a prescindere dalle note  implicazioni  di  connotazione  penalistica
afferenti le conseguenze dell'abuso edilizio, che peraltro  rimangono
estranee al presente  giudizio,  l'asserzione  circa  l'equiparazione
alle «nuove costruzioni» anche delle case mobili ed  assimilati,  per
quanto non incorporati al suolo, trova  autorevole  conferma  in  una
recente decisione proprio della giurisprudenza di merito, pronunciata
relativamente ad una fattispecie nella quale si verteva di  strutture
abitative mobili, rectius «furgoni attrezzati», che, «pure avendo  la
parvenza  della  mobilita',  hanno   caratteristiche   obiettive   di
stabilita'  e  capacita'  di  trasformare  in  modo  durevole  l'area
occupata» (cfr. Cass.pen., Sez. III, sentenza n. 25015 del 22  giugno
2011). 
    Ma  v'e'  di  piu'.   Un'ulteriore   questione,   connessa   alla
precedente, ma dotata di rilevanza autonoma, riguarda la valenza  del
rinvio «alla conformita' alla normativa regionale di settore» che  la
disposizione odiernamente censurata presenta e che  si  configura  di
dubbia interpretazione. 
    Altrimenti detto ed in estrema sintesi, delle  due  l'una:  o  la
circostanza che  l'installazione  delle  strutture  sia  avvenuta  in
aderenza  alla  legislazione  approvata  da   ciascuna   Regione   e'
irrilevante ai fini della novella di cui si tratta,  considerato  che
l'attrazione  al  contesto  proprio  della  legislazione  statale  in
materia edilizia anche degli anzidetti interventi,  li  sottrae  alla
competenza legislativa regionale, di cui all'art. 117, commi terzo  e
quarto  Cost.,  ledendola  appunto  laddove  potrebbe   incrinare   i
presupposti della potesta' eventualmente,  legittimamente  esercitata
in riferimento  alla  disciplina  del  turismo;  oppure,  secondo  un
diverso approccio ermeneutico, coerente, peraltro,  con  i  contenuti
espressi al riguardo anche dal Dossier  Studi  del  Senato  al  testo
modificativo, l'inciso integrerebbe una mera, doverosa  precisazione,
e la congiunzione  ripetutamente  considerata,  «ancorche'»,  sarebbe
preordinata,   sebbene   con   tecnica   legislativa   maldestra,   a
salvaguardare espressamente proprio  le  disposizioni  regionali  che
gia' avessero disciplinato le modalita' concernenti le  summenzionate
installazioni,  che,  quindi,  devono  ritenersi  escluse  de   plano
dall'ambito applicativo della novella medesima. 
    Per quanto specificamente attiene all'ammissibilita' di un simile
motivo  di  impugnazione,  si  invoca  la   sentenza   n.   188/2012,
pronunciata da codesta ecc.ma Corte  a  conferma  di  un  consolidato
orientamento giurisprudenziale nel medesimo senso, con  la  quale  e'
stata affermata la proponibilita', nel giudizio in via principale, di
questioni  prospettate  con  finalita'  interpretative,  «laddove  si
deduca l'illegittimita' della norma estrapolabile dalla  disposizione
oggetto di ricorso mediante processo esegetico  e  nel  caso  in  cui
simile operazione non sia implausibile e irragionevolmente scollegata
dal testo  di  detta  disposizione»  (cfr.,  anche  le  sentenze  nn.
249/2005, 88/2007 e l'ordinanza n. 342/2009). 
    Il   patrocinio   regionale,   quindi,   preferisce    affrontare
l'eventualita' di una sentenza interpretativa di rigetto,  emessa  in
quanto  viene  riconosciuto  erroneo  od  infondato  un   presupposto
interpretativo (V. ex plurimis le decisioni nn. 234, 241,  259,  299,
tutte  del  2012),  purche'  venga  conseguentemente  riaffermata  la
correttezza di un'opzione ermeneutica  fondante  la  legittimita'  di
possibili interventi legislativi regionali in materia (v. la sentenza
n. 16/2012). 
Profili di illegittimita' costituzionale dell'articolo 56-bis,  comma
11 del d.l.  n.  69/2013,  convertito  dalla  legge  n.  98/2013  per
violazione degli articoli 42, 117 e 119 della Costituzione. 
    L'articolo 56-bis, comma 11, del decreto in esame, ha  modificato
la disciplina delle modalita' di trasferimento  dei  beni  demaniali,
ponendo  un  vincolo  di  destinazione,  a  favore  del   Fondo   per
l'ammortamento dei  titoli  di  Stato,  su  una  quota  dei  proventi
derivanti dalla dismissione  del  patrimonio  immobiliare  originario
dell'ente. 
    In  punto,  la   norma   impugnata   disciplina   nuovamente   il
procedimento   amministrativo   finalizzato   al   trasferimento   in
proprieta',  a  titolo  non  oneroso,  a  comuni,  province,   citta'
metropolitane e regioni, dei beni immobili  di  cui  all'articolo  5,
comma 1, lettera e), e comma 4  del  decreto  legislativo  28  maggio
2010, n. 85 «Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane  e
regioni di un proprio patrimonio.» siti nel rispettivo territorio. Si
tratta  dei  beni   immobili   dello   Stato,   diversi   da   quelli
tassativamente elencati nelle lettere precedenti del medesimo comma 1
dell'articolo 5, nonche' dei beni immobili in uso al Ministero  della
difesa e non  utilizzati  per  le  funzioni  di  difesa  e  sicurezza
nazionale. La disposizione, peraltro alquanto complessa articolandosi
in 13 commi, viene sottoposta al vaglio di codesta ecc.ma  Corte  con
riferimento specifico al comma 11  che  si  riporta  di  seguito  per
comodita' di lettura: «In  considerazione  dell'eccezionalita'  della
situazione economica e tenuto conto  delle  esigenze  prioritarie  di
riduzione  del  debito  pubblico,  al  fine   di   contribuire   alla
stabilizzazione  finanziaria  e  promuovere  iniziative  volte   allo
sviluppo economico e alla coesione sociale, e' altresi' destinato  al
Fondo per l'ammortamento dei titoli di stato, con le modalita' di cui
al comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 maggio 2010, n.
85, il 10 per cento delle risorse  nette  derivanti  dall'alienazione
dell'originario  patrimonio  immobiliare   disponibile   degli   enti
territoriali, salvo che una percentuale uguale  o  maggiore  non  sia
destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente,  Per
la parte non destinata al Fondo  per  l'ammortamento  dei  titoli  di
Stato, resta fermo quanto disposto  dal  comma  443  dell'articolo  1
della legge 24 dicembre 2012, n. 228.». 
    In sostanza, una quota dei  proventi  derivanti  dall'alienazione
del   patrimonio   originario   immobiliare   disponibile   dell'ente
territoriale viene assoggettata ad  un  vincolo  di  destinazione,  a
favore di un Fondo statale. 
    Tale allocazione obbligatoria di risorse finanziarie, oltretutto,
avviene secondo un ordine di priorita' pure precisato dalla norma. 
    Innanzitutto, i proventi derivanti dall'alienazione devono essere
utilizzati per ridurre il  debito  dell'ente  proprietario  del  bene
immobile oggetto di dismissione. Quindi, una quota  pari  al  10  per
cento del ricavato deve essere destinata al Fondo per  l'ammortamento
dei titoli di Stato. Infine, l'ente territoriale destina  l'eventuale
quota  residuale  esclusivamente  alla  copertura  delle   spese   di
investimento ai sensi del comma 6 del decreto legislativo  18  agosto
2000, n. 267 che, in ogni caso, trova applicazione solo per gli  enti
locali e non per le Regioni. 
    Orbene,  le  censure  oggetto  dell'odierno  giudizio  riguardano
essenzialmente  l'ambito   oggettivo   della   disposizione,   ovvero
l'identificazione dei beni suscettibili di dismissione ed individuati
nel   patrimonio   originario   immobiliare   disponibile   dell'ente
territoriale. 
    Per quanto concerne il patrimonio regionale, si tratta  dei  beni
di proprieta' della Regione diversi da quelli attribuiti dallo  Stato
ai sensi della procedura delineata nell'articolo 56-bis e quindi,  in
sostanza, il patrimonio acquisito ex art. 11 della  legge  16  maggio
1970, n. 281, rubricato «Provvedimenti  finanziari  per  l'attuazione
delle Regioni a statuto ordinario» che  rappresenta  la  c.d.  «legge
attributiva del patrimonio» di cui al comma sesto  dell'articolo  119
della Costituzione. 
    Conseguentemente, oggetto di vendita, rectius dismissione, e'  un
bene gia' appartenente al patrimonio regionale sin dalla costituzione
dello stesso e, si ribadisce, non attribuito dallo Stato ai sensi del
decreto legislativo n. 85/2010. 
    Premesso che non puo' non condividersi in termini di legittimita'
dell'intervento l'ordine di priorita' indicato nella nonna che impone
quale destinazione prioritaria dei proventi la riduzione  del  debito
pubblico di pertinenza, consentendo solo per la  parte  eccedente  la
copertura di spese di investimento, cio'  che  integra  la  lamentata
violazione delle prerogative  regionali  e'  proprio  il  contestuale
obbligo di destinare una  quota  dei  propri  proventi  ad  un  Fondo
statale. 
    Un  analogo,  quanto  a  modalita'  di  destinazione   ripartita,
intervento legislativo era stato  gia'  vagliato  da  codesta  ecc.ma
Corte con la decisione n. 205/2013. In tale occasione  la  scelta  di
allocare  le  risorse  per  la   riduzione   del   debito   dell'ente
proprietario del bene  dismesso  e'  stata  «correttamente»  motivata
dalla  eccezionale   emergenza   finanziaria   che   il   Paese   sta
attraversando, ma nel contempo e'  stata  riaffermata,  altresi',  la
particolarissima connotazione della norma  ivi  considerata  che,  in
quanto afferente la  politica  economica  nazionale,  si  configurava
quale espressione del perseguimento  di  un  obiettivo  di  interesse
generale in un quadro di necessario concorso, anche delle  autonomie,
al risanamento della finanza pubblica. 
    Dato per assunto che il vincolo alla  riduzione  del  debito  del
singolo ente territoriale e' ascrivibile  al  principio  fondamentale
nella materia, di competenza  concorrente,  del  coordinamento  della
finanza pubblica, relativamente alla fattispecie dedotta nel giudizio
di   cui   si   tratta,   la   compressione   inferta   all'autonomia
amministrativa regionale e' stata  ritenuta  accettabile  da  codesta
ecc.ma Corte, in quanto reputata «quasi inevitabile» per  far  fronte
alla contingente emergenza finanziaria. 
    Seguendo  un  analogo  percorso   argomentativo,   il   principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, di cui al comma
sesto dell'articolo 119 Cost., trova una naturale declinazione  nella
legislazione regolante la contabilita' pubblica, laddove consente che
la quota eccedente la copertura del  debito  pubblico  di  pertinenza
possa essere destinata a spese di investimento,  con  cio'  lasciando
inalterato l'assetto istituzionale. 
    La limitazione  apportata  alla  liberta'  finanziaria  regionale
trovava legittimazione, a giudizio di  codesta  ecc.ma  Corte,  nella
necessita'  indifferibile  di  scongiurare  l'eventualita'  che,  per
effetto di  un  esercizio  inconsapevole  o  distorto  dell'autonomia
finanziaria   regionale,   potessero   rigenerarsi   condizioni    di
indebitamento tali da vanificare il ripianamento appena conseguito in
una spirale inarrestabile, a detrimento della fondamentale e  suprema
esigenza nazionale di risanamento della finanza pubblica. 
    L'intervento legislativo oggetto del presente giudizio, tuttavia,
appare  difficilmente  riconducibile  al  contesto   normativo   gia'
ritenuto ammissibile da codesta ecc.ma  Corte,  nella  parte  in  cui
impone un ulteriore vincolo di destinazione  a  favore  di  un  Fondo
statale, in una  collocazione  ordinativa  interposta  tra  la  quota
vincolata alla riduzione del debito e quella, eventuale e  residuale,
destinabile alle spese di investimento, proprie dell'ente obbligato. 
    Ed invero, se e' legittimo ed indiscutibile,  oltre  che  logico,
che un ente territoriale sia tenuto a destinare  quote  dei  proventi
ricavabili dalla dismissione dei «propri» beni pubblici a coprire  il
«proprio»  debito  e  le  «proprie»  spese   di   investimento,   non
altrettanto puo' dirsi per la destinazione di  tali  proventi  ad  un
fondo di spettanza  statale,  disposta  non  meno  obbligatoriamente,
anzi, prioritaria  rispetto  alle  spese  di  investimento  dell'ente
medesimo, indipendentemente dalla necessarieta' o meno delle stesse. 
    Il patrocinio  regionale  dubita  che  in  tale  fattispecie  sia
ravvisabile un'ipotesi di concorso al conseguimento di  un  obiettivo
di finanza pubblica, trattandosi, piuttosto, una sorta di «intervento
speciale» imposto agli enti territoriali in ausilio  allo  Stato  per
esigenze di solidarieta' finanziaria, quasi si trattasse di una forma
di  compartecipazione  al  contrario,  a  favore  dello  Stato,   non
contemplata  dall'articolo  119  della  Costituzione  e   come   tale
illegittima. 
    Non puo' invocarsi, al riguardo, quale  ricorrente,  insuperabile
giustificazione per conseguire l'agognata stabilizzazione finanziaria
nazionale, rapportata alle  esigenze  prioritarie  di  riduzione  del
debito  pubblico,  ed  a  sostegno  di  qualsiasi  azione   incidente
nell'assetto  ordinamentale  delineato  dalla   Carta   Fondamentale,
l'eccezionalita'  della   situazione   economica,   che   pare   cosi
consolidata da connotarsi  come  strutturale.  Al  riguardo,  codesta
ecc.ma Corte non ha mancato di censurare  approcci  argomentativi  di
tale  tenore,  a  proposito  del  contenzioso  vertente  su  di   una
fattispecie chiaramente assimilabile a quella in esame.  Infatti  nel
giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  66,  comma  9,
secondo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1  convertito,
con modificazioni,  dalla  legge  24  marzo  2012,  n.  27  promosso,
peraltro, dall'odierna ricorrente, il punto 1) del dispositivo  della
decisione  n.  63/2013  dichiara  l'illegittimita'  della  norma  ivi
vagliata nella parte in cui prevede che  gli  enti  territoriali,  in
assenza di debito pubblico, o per la parte eventualmente eccedente il
ripianamento dello stesso, debbano  destinare  le  risorse  derivanti
delle operazioni di dismissione ad un Fondo  per  l'ammortamento  dei
titoli  di  Stato.  In  quell'occasione  codesta  ecc.ma   Corte   ha
palesemente riconosciuto «l'indebita ingerenza  nell'autonomia  della
Regione» secondo una sequenza motivazionale che  ci  si  permette  di
riassumere brevemente. 
    Nella  fattispecie   trattata,   la   questione   riguardava   la
dismissione di terreni demaniali agricoli ed a vocazione agricola  e,
a giudizio di codesta ecc.ma Corte, il vulnus perpetrato al principio
dell'autonomia finanziaria regionale  traeva  appunto  origine  dalla
previsione di un'illegittima appropriazione, da parte dello Stato, di
risorse  appartenenti  agli  enti  territoriali,  perche'  realizzate
attraverso la dismissione  di  beni  di  loro  proprieta'.  In  altri
termini, e' stata censurata la sottrazione, da parte dello Stato,  di
risorse   finanziarie   proprie   della   Regione,   in   pregiudizio
all'assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti  territoriali
sono chiamati a svolgere, cosi'  violando  i  precetti  di  cui  agli
articoli 117 e 119 della  Costituzione.  D'altro  canto,  l'autonomia
finanziaria  consacrata  nell'articolo  119  della  Costituzione   e'
finalizzata a garantire quella consistenza patrimoniale  adeguata  al
finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite agli enti
territoriali medesimi secondo un  principio  di  autosufficienza.  La
sottrazione di tali risorse per il ripianamento del debito  nazionale
costituisce,  quindi,  una  spoliazione  a  detrimento  del  regolare
esercizio  della  potesta'   sia   legislativa   che   amministrativa
regionale. Se,  dunque,  e'  stata  gia'  dichiarata  illegittima  ed
irragionevole la sottrazione di risorse finanziarie per  esigenze  di
risanamento economico nazionale,  in  quanto  ultronea  al  principio
fondamentale di coordinamento della  finanza  pubblica,  la  consueta
motivazione leggibile nella prima parte della disposizione impugnata,
invocante i noti principi di coordinamento  della  finanza  pubblica,
ormai  degradata  a  mera  clausola  di  stile,  appare  alla  difesa
regionale radicalmente priva  di  fondamento  e,  quindi,  inutiliter
data. Per altro aspetto,  anche  l'ulteriore  e  diverso  riferimento
espresso nell'incipit della disposizione interloquita in questa sede,
laddove evoca  la  promozione  di  «iniziative  volte  allo  sviluppo
economico e alla coesione sociale» non permette di superare il  vizio
di  incostituzionalita'  eccepito.  Infatti,  la   promozione   dello
sviluppo economico e la coesione sociale, indicate  a  sovrabbondante
giustificazione della sottrazione in argomento, pare del tutto avulsa
anche  dal  comma  quinto  dell'articolo  119   della   Costituzione.
Quest'ultimo,  per  l'appunto,   contempla   tali   finalita'   quali
fondamenti  costituzionali  dell'istituibilita'  di   Fondi   statali
concernenti  «risorse  aggiuntive  statali»  e  «interventi  speciali
statali» in favore degli enti territoriali e non puo'  fondare,  come
presenta la struttura della disposizione in argomento,  la  soluzione
inversa, cioe', sostanzialmente, la  costituzione  di  Fondi  statali
implementati  da  «risorse  aggiuntive  territoriali»  e  «interventi
speciali degli enti territoriali». 
    Da ultimo, un  breve  cenno  ai  profili  afferenti  la  ritenuta
violazione  dell'articolo  42  della   Costituzione   relativo   alla
proprieta' pubblica degli enti dello Stato. Come gia'  reiteratamente
asserito, la disposizione, indiscutibilmente,  si  riferisce  a  beni
originariamente di proprieta' degli enti territoriali  e,  quindi,  i
proventi   derivanti   dalle   operazioni   di    alienazione    sono
inequivocabilmente di  spettanza  esclusiva  dell'ente  proprietario,
senza alcuna possibilita' di ravvisare posizioni  pretensive  statali
su  tali  cespiti.  Per  correttamente  evidenziare   la   modalita',
surrettizia, con la quale, il canone costituzionale si intende  leso,
la difesa regionale richiama l'attenzione di codesta ecc.ma Corte sul
netto distinguo che connota  la  disposizione  oggetto  del  presente
giudizio rispetto alla previsione di cui al comma 5  dell'articolo  9
del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, al quale, peraltro, la
norma  interloquita  espressamente  rinvia  per  quanto  riguarda  le
modalita' attuative della contestata destinazione. La disposizione da
ultimo citata prevede che le risorse  derivanti  a  ciascuna  Regione
dall'eventuale alienazione degli immobili del patrimonio  disponibile
loro attribuito ai sensi del presente decreto,  e  quindi  trasferiti
dallo Stato, siano destinate alla  riduzione  del  debito  dell'ente;
solo in assenza del debito, o comunque  per  la  parte  eccedente  il
ripianamento dello stesso, a spese di investimento ed infine, per una
quota pari al 25 per cento, al Fondo per l'ammortamento dei titoli di
Stato.  Correlativamente,  e'  stato  stabilito  che  con  successivo
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri siano  definite  le
modalita'  di  applicazione.  Le  fattispecie  di  cui   al   decreto
legislativo n. 85/2010 sono incentrate su beni  di  proprieta'  dello
Stato e successivamente trasferiti agli enti territoriali secondo  la
procedura dettagliatamente delineata, da ultimo, dai commi da 1 a  10
nell'articolo 56 bis del decreto-legge n. 69 del  2013  limitatamente
ad una determinata categoria di  beni  statali.  Si  sottolinea,  sul
punto,  che  la  Regione  del  Veneto  non  contesta  il   comma   10
dell'articolo 56-bis, del decreto de quo,  che,  peraltro,  riproduce
integralmente il comma 5 dell'articolo 9 del decreto  legislativo  n.
85/2010 riguardante l'alienazione degli immobili  trasferiti  appunto
ai sensi dell'articolo 56-bis. L'odierno patrocinio impugna il  comma
11, del medesimo articolo, proprio perche' inserisce, in un  contesto
normativo pacificamente applicabile ai soli beni  statali  trasferiti
alle autonomie territoriali, una «disposizione  spuria»,  concernente
beni propri delle autonomie territoriali, estendendo  palesemente  ed
illegittimamente il medesimo  ordine  di  priorita'  di  destinazione
delle risorse, specificamente previsto per tali beni, all'alienazione
dell'originario patrimonio immobiliare  disponibile  degli  enti.  In
conclusione,  la  disposizione  censurata  scardina  il  concetto  di
proprieta' di cui all'articolo 42 della Costituzione  a  causa  della
lamentata ed inammissibile estensione oggettiva del  regime  valevole
per taluni beni, oggetto di successivo conferimento, ad  altri  beni,
naturalmente sottratti a detto regime, strutturando una modalita'  di
flussi finanziari, dall'ente  territoriale  allo  Stato,  in  palese,
ingiustificabile contraddizione con  l'impianto  normativo  delineato
dall'articolo 119 della Costituzione, nonche'  in  aperta  violazione
del giudicato di  codesta  ecc.ma  Corte  di  cui  alla  sentenza  n.
63/2013. 
    Per tutto quanto sopra esposto e  con  riserva  di  ulteriormente
dedurre ed  argomentare  con  memoria  aggiuntiva  da  depositare  in
prossimita' dell'udienza di discussione, la  Regione  del  Veneto  ut
supra rappresentata e difesa, 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede: 
        1) che codesta ecc.ma Corte, respinta ogni contraria istanza,
voglia accogliere il suesteso  ricorso  e,  per  l'effetto,  dichiari
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 18, comma 9, 41, comma
4 e 56-bis, comma 11 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69  recante
«Disposizioni urgenti  per  il  rilancio  dell'economia»,  convertito
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per violazione degli artt.  5,  42,
97, 117, 118, 119, della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione medesima; 
        2) in  via  meramente  subordinata,  voglia  pronunciarsi  in
ordine  all'interpretazione  corretta  da  attribuire   al   disposto
dell'art.  41,  comma  4  del  decreto  in  argomento,  limitatamente
all'inciso di novellazione, ribadendo,  per  l'effetto,  la  potesta'
normativa regionale in ordine alla disciplina dell'installazione  dei
manufatti di cui all'art. 1, comma 3, lettera e.5) del D.P.R. n.  380
del 2001. 
    Si deposita copia conforme all'originale della D.G.R. n. 1827 del
15 ottobre 2013 di autorizzazione alla  proposizione  del  ricorso  e
affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale. 
        Venezia-Roma, addi' 16 ottobre 2013 
 
               Avv. Zanon - avv. Palumbo - avv. Manzi