N. 259 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 agosto 2013

Ordinanza del 6 agosto 2013 emessa  dalla  Corte  dei  conti  -  sez.
giurisdizionale per la Regione Siciliana sul ricorso proposto  da  De
Domenico Benito contro l'INPS. 
 
Previdenza - Previsione, con norma autoqualificata interpretativa, ma
  con efficacia innovativa, che l'art. 10, quarto comma, del d.l.  n.
  17 del 1983, convertito in legge n. 79 del 1983 (che prevedeva  che
  la misura dell'indennita' integrativa speciale da corrispondere  in
  aggiunta alla pensione o assegno e' determinata in  ragione  di  un
  quarantesimo  per  ogni  anno  di   servizio   utile   dell'importo
  dell'indennita' stessa spettante al personale collocato in pensione
  con  la  massima  anzianita'  di  servizio  e  che  le   variazioni
  dell'indennita' integrativa speciale sono attribuite  per  l'intero
  importo dalla data del  raggiungimento  dell'eta'  pensionabile  da
  parte del titolare della pensione, ovvero dalla data di  decorrenza
  della pensione  di  riversibilita'  a  favore  dei  superstiti)  si
  intende abrogato implicitamente, a decorrere dalla data di  entrata
  in vigore della legge 27 dicembre 1983, n. 730 - Lesione del dovere
  di solidarieta' sociale - Violazione del principio  di  uguaglianza
  per la lesione dei principi di certezza del diritto e di  legittimo
  affidamento - Lesione di obblighi  internazionali  derivanti  dalla
  CEDU. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 6. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 117, primo comma, in relazione  all'art.
  6 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali. 
Previdenza - Previsione con norma autoqualificata interpretativa,  ma
  con efficacia innovativa, che l'art. 21, ottavo comma, della  legge
  27  dicembre  1983,  n.  730,  si  interpreta  nel  senso  che   le
  percentuali di incremento dell'indennita' integrativa ivi  previste
  vanno corrisposte  nell'aliquota  massima,  calcolata  sulla  quota
  dell'indennita' medesima effettivamente  spettante  in  proporzione
  all'anzianita' conseguita alla data di cessazione  dal  servizio  -
  Lesione  del  dovere  di  solidarieta'  sociale  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza per la lesione dei  principi  di  certezza
  del diritto e  di  legittimo  affidamento  -  Lesione  di  obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 7. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 117, primo comma, in relazione  all'art.
  6 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali. 
Previdenza - Previsione con norma autoqualificata interpretativa,  ma
  con efficacia innovativa, che l'art. 21, nono comma, della legge 27
  dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che e'  fatta  salva
  la  disciplina  prevista   per   l'attribuzione,   all'atto   della
  cessazione dal servizio, dell'indennita'  integrativa  speciale  di
  cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive  modificazioni,
  ivi compresa la  normativa  stabilita  dall'art.  10  del  d.l.  29
  gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge  25
  marzo 1983, n. 79, ad eccezione del comma quarto del predetto  art.
  10 del d.l. 17 del  1983  -  Lesione  del  dovere  di  solidarieta'
  sociale - Violazione del principio di uguaglianza  per  la  lesione
  dei principi di certezza del diritto e di legittimo  affidamento  -
  Lesione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 8. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 117, primo comma, in relazione  all'art.
  6 della Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali. 
(GU n.49 del 4-12-2013 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 263/2013 sul  ricorso  in
materia di pensioni civili, iscritto al  n.  46617  depositato  il  7
febbraio 2007 del registro di segreteria proposto in  proprio  da  De
Domenico Benito nato a Messina il 18 dicembre 1937 ed  ivi  residente
nel Villaggio S. Margherita-Runci s.s. 114 Km 12,800. 
    Visto l'atto  introduttivo  del  giudizio  depositato  presso  la
segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana  il
7 febbraio 2007. 
    Udito nella pubblica udienza del 13 maggio 2013 l'avvocato  Rizzo
Antonino per L'INPS; presente il ricorrente. 
    Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale. 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    Il ricorrente e'  un  ex  ferroviere  in  pensione  collocato  in
quiescenza  per  dimissioni  volontarie  prima   del   raggiungimento
dell'eta' massima pensionabile iI 19/7/1983.  Egli  con  il  presente
ricorso depositato il 7/2/2007, rivendica l'applicazione dell'art. 10
comma 4 del D.L. n.  17  del  29/1/1983  conv.  nella  legge  79  del
25/3/1983,  secondo  il  quale:  per  il  personale  avente   diritto
all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959,
n. 324, e successive modificazioni,  che  ha  presentato  domanda  di
pensionamento a partire dalla data di entrata in vigore del  presente
decreto,  la  misura  dell'indennita'  stessa  da  corrispondere   in
aggiunta alla pensione o assegno e'  determinata  in  ragione  di  un
quarantesimo per ogni anno di servizio, utile ai fini del trattamento
di  quiescenza,  dell'importo  dell'indennita'  stessa  spettante  al
personale  collocato  in  pensione  con  la  massima  anzianita'   di
servizio..... Le variazioni dell'indennita' integrativa speciale sono
attribuite  per  l'intero  importo  dalla  data  del   raggiungimento
dell'eta' di pensionamento da  parte  del  titolare  della  pensione,
ovvero dalla data di decorrenza della pensione  di  reversibilita'  a
favore dei superstiti. Successivamente, con  l'art.  21  della  legge
730/1983 e' stata confermata la predetta normativa: 
    Resta ferma la disciplina prevista per  l'attribuzione,  all'atto
della cessazione dal servizio, dell'indennita'  integrativa  speciale
di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive  modificazioni
ed integrazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall'articolo 10
del  decreto-legge  29  gennaio  1983,   n.   17,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79. 
    Pertanto,  il  ricorrente  avrebbe  maturato  tale   diritto   il
18/12/1997,  data  alla  quale  sarebbe  stato  collocato  a   riposo
d'ufficio, e con richiesta  del  27/5/2005,  chiedeva  l'applicazione
della predetta normativa che veniva rigettata dall'INPS con  la  nota
34655 del 21/6/2005, facendo presente  che  l'indennita'  integrativa
speciale ha  perso  la  consistenza  di  elemento  distinguibile  del
trattamento pensionistico e quindi l'art. 10 della legge  79/1983  e'
divenuto non piu' applicabile. 
    Avverso la suddetta nota il ricorrente ha  presentato  ricorso  a
questo giudice chiedendo l'applicazione della predetta normativa  con
il riconoscimento del conseguente  diritto  ai  ratei  di  indennita'
integrativa speciale maturati. 
    Si e' costituito l'INPS, il  quale  ha  chiesto  il  rigetto  del
ricorso, affermando che nelle more del giudizio e' intervenuto l'art.
18 del D.L. n. 98/2011 conv. legge 111/2011 che fornisce, ai commi  7
e 8 l'interpretazione autentica dell'art. 21 della legge  730/1983  e
nel contempo dichiara abrogato al comma 6, sin  dalla  vigenza  della
legge 730/1983, l'art. 10 comma 4 sopra citato: 6. L'art. 10,  quarto
comma, del decreto-legge 29 gennaio  1983,  n.  17,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende  abrogato
implicitamente dall'entrata  in  vigore  delle  disposizioni  di  cui
all'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730. 
    7. L'art. 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730,
si  interpreta  nel  senso   che   le   percentuali   di   incremento
dell'indennita' integrativa speciale ivi previste  vanno  corrisposte
nell'aliquota massima, calcolata sulla quota dell'indennita' medesima
effettivamente spettante  in  proporzione  all'anzianita'  conseguita
alla data di cessazione dal servizio. 
    8. L'art. 21, nono comma, della legge 27 dicembre 1983,  n.  730,
si interpreta nel senso che e' fatta salva la disciplina prevista per
l'attribuzione,   all'atto    della    cessazione    dal    servizio,
dell'indennita' integrativa speciale di  cui  alla  legge  27  maggio
1959, n. 324, e successive modificazioni, ivi compresa  la  normativa
stabilita dall'art. 10 del decreto-legge  29  gennaio  1983,  n.  17,
convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n.  79,  ad
eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge  n.
17 del 1983. 
 
                               Diritto 
 
    Questo giudice si trova di fronte in corso di  giudizio,  ad  una
chiara innovazione normativa sulla vicenda  con  efficacia  giuridica
retroattiva, intervenuta con le norme sopra citate, e dunque  ad  uno
sbarramento  all'applicazione  del  principio  tempus  regit   actum,
quindi, ritenendo fondato il diritto del ricorrente, in  mancanza  di
una  soluzione  interpretativa  costituzionalmente  orientata,  e  di
fronte al chiaro  tenore  delle  suddette  norme,  deve  rilevare  la
sussistenza di una questione di legittimita' costituzionale rilevante
e non manifestamente infondata da sollevare in via ufficiosa. 
    Rilevante, poiche' le suddette  sopravvenute  norme,  impediscono
immediatamente  a  questo  giudice,  ponendosi  come   pregiudiziali,
l'accoglimento  del  ricorso  limitatamente  al  periodo  di  vigenza
dell'istituto dell'indennita' integrativa speciale,  avendo  ritenuto
abrogato con effetto retroattivo l'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del
29/1/1983  conv.  nella   legge   79   del   25/3/1983   e   pertanto
precludendogli l'esame  di  tale  norma  di  legge,  sulla  quale  il
ricorrente ha basato la propria pretesa. 
    Conseguentemente, di fronte ad  una  abrogazione  della  predetta
norma che dovrebbe valere  solamente  per  il  futuro,  la  questione
appare  non  manifestamente  infondata  in  termini  di  legittimita'
costituzionale di tali nuove norme per la violazione degli artt. 2, 3
e  117  comma  1  della  Costituzione,  rispetto  all'art.  6   della
Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo,   in   quanto   norma
interposta, per come  in  casi  analoghi  e'  stata  interpretata  da
codesta Corte  costituzionale  e  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, sussistendo concretamente una fattispecie  di  abrogazione
legislativa sostanziale, con effetti retroattivi, mascherata da norma
interpretativa. 
    Difatti,  sussiste   una   palese   contraddizione   legislativa,
riguardante l'art. 10 comma 4 del D.L.  n.  17  del  29/1/1983  conv.
nella legge 79 del 25/3/1983, con conseguente irragionevolezza  della
volonta' del legislatore tra il dettato normativo dell'art. 21  della
legge  730/1983:  Resta  ferma  la  disciplina...  ivi  compresa   la
normativa stabilita dall'art. 10 del decreto-legge 29  gennaio  1983,
n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo  1983,  n.
79; che assume anche esso un valenza interpretativa, manifestando  la
volonta' del legislatore di mantenere in vigore tale norma di  legge,
rispetto invece all'art. 18 comma 6 del D.L. n. 98/2011  conv.  legge
111/2005. L'art. 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983,
n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo  1983,  n.
79, si intende abrogato implicitamente dall'entrata in  vigore  delle
disposizioni di cui all'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730;
nonche' con il successivo comma 8, limitatamente alle  parole:...  ad
eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge  n.
17 del 1983. 
    E' quindi tutta evidenza che  trattasi  di  un  caso  di  vero  e
proprio c.d. eccesso di  potere  legislativo,  in  cui  sussiste  una
palese contraddizione, non solo tra norme  definite  "interpretative"
susseguitesi e intervallate da un lungo arco di tempo, ma addirittura
una  ulteriore  modifica  dell'interpretazione  data   dallo   stesso
legislatore sulla stessa norma,  con  la  violazione  in  termini  di
ragionevolezza del principio del legittimo affidamento e di  certezza
del diritto, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, per  come
definito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156/2007:  Piu'
volte questa Corte e' intervenuta per scrutinare  la  rispondenza  ai
principi della Carta costituzionale di disposizioni aventi  forza  di
legge dotate di efficacia retroattiva. In tali occasioni la Corte  ha
precisato che, «al di fuori della materia penale (dove il divieto  di
retroattivita' della legge e' stato elevato a dignita' costituzionale
dall'art. 25 Cost.), l'emanazione di leggi con efficacia  retroattiva
da parte del legislatore incontra una  serie  di  limiti  che  questa
Corte ha da tempo individuato e che attengono alla salvaguardia,  tra
l'altro, di fondamentali valori di civilta' giuridica posti a  tutela
dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra  i  quali
vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza
e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei
soggetti quale principio connaturato  allo  Stato  di  diritto  e  il
rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al   potere
giudiziario» (sentenza n. 282 del 2005 e, nello stesso senso, fra  le
molte, le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999). 
    In  particolare,  con  riferimento  al  rispetto  del   principio
dell'affidamento quale limite alla possibilita' per il legislatore di
incidere, con norme dotate di efficacia  retroattiva,  su  situazioni
sostanziali poste in essere in vigenza di leggi precedenti, la  Corte
ha affermato che il criterio in  base  al  quale  deve  svolgersi  il
giudizio di costituzionalita' e' dettato dalla rispondenza o  meno  a
criteri di ragionevolezza del regolamento  di  interessi,  innovativo
rispetto  a  quello  preesistente,   che   scaturisce   dalla   norma
sopravvenuta (in questi termini, fra le altre, le sentenze n. 446 del
2002, n. 419 del 2000, n. 416 del 1999 e n. 822 del 1988). 
    Sempre per la sussunzione del principio del legittimo affidamento
nel parametro dell'art. 3 della Costituzione vi e' conferma  (seppure
in materia tributaria) nella sentenza della Corte  di  cassazione  n.
21513/2006: Invero, il principio di tutela del legittimo  affidamento
del cittadino, trovando origine nella  Costituzione,  e  precisamente
negli artt. 3, .... espressamente richiamati dall'art. 1 del medesimo
Statuto, e' immanente in tutti  i  rapporti  di  diritto  pubblico  e
costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto  nelle  diverse
articolazioni, limitandone l'attivita' legislativa e amministrativa. 
    Orbene,  se  e'  cosi',   siamo   di   fronte   ad   una   palese
irragionevolezza del legislatore  che  a  livello  interpretativo  si
contraddice, violando il principio del legittimo  affidamento  inteso
come   principio   generale   riconosciuto   altresi'    a    livello
internazionale, trovando addirittura a livello privatistico specifica
espressione codificata anche nell'art. 1.8 dei principi UNIDROIT nemo
venire contra factum proprium, che a livello  interpretativo  rientra
specificamente in questa fattispecie: Una parte  non  puo'  agire  in
modo contraddittorio rispetto ad un intendimento  che  ha  ingenerato
nell'altra  parte,  e  sul  quale  questa  ha  ragionevolmente  fatto
affidamento a proprio svantaggio. 
    Espressione  del  principio  di  buona  fede,  che  la  Corte  di
cassazione con la sentenza n.  28056/2008  ha  ritenuto  fondato  nel
dovere di solidarieta' sancito dall'art. 2  della  Costituzione,  che
dovrebbe valere per lo  stesso  legislatore,  quando  esso,  come  in
questo caso, travalichi il limite  di  ragionevolezza  nell'esercizio
del potere di interpretazione legislativa retroattiva, autoimpostosi,
intervenendo a distanza  di  lungo  tempo  con  una  ulteriore  norma
interpretativa, addirittura abrogando sostanzialmente e  con  effetto
retroattivo  la   norma   gia'   originariamente   interpretata   e/o
confermata. 
    Difatti:  Questa  Corte  ha  costantemente   affermato   che   il
legislatore puo' adottare  norme  di  interpretazione  autentica  non
soltanto  in  presenza  di  incertezze   sull'applicazione   di   una
disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma  anche  «quando  la
scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso
del testo originario, con cio' vincolando un significato  ascrivibile
alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in  senso  conforme,
ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del  2003,  n.  274  del
2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). 
    Accanto a tale caratteristica, che vale a qualificare  una  norma
come effettivamente interpretativa, questa Corte ha  individuato  una
serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi,  «che
attengono alla salvaguardia, oltre che dei  principi  costituzionali,
di altri fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di  ragionevolezza  che
ridonda  nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento [...]; la tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto
nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto [...];
la coerenza  e  la  certezza  dell'ordinamento  giuridico  [...];  il
rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al   potere
giudiziario» (sentenza n. 397 del 1994). Corte cost. n. 209/2010. 
    E difatti, in questo caso piu' che ad una norma interpretativa ci
troviamo di fronte ad una norma  innovativa  abrogativa  retroattiva,
quando l'art. 18 comma 6 afferma  che  l'art.  10  comma  si  intende
abrogato implicitamente dall'entrata in vigore della legge  730/1984,
quando invece, l'art. 21 di quest'ultima aveva  esplicitamente  fatto
salva la disciplina dell'art. 10, con la precisazione ivi compresa. 
    Trovando tale interpretazione abrogativa conferma nel  successivo
comma 8 dell'art. 18 quando si esclude  l'applicazione  dell'art.  10
comma  4  dalla  applicazione  della  disciplina   della   indennita'
integrativa speciale con effetto retroattivo. 
    Ne' si puo' dire che tali norme interpretative rientrino  tra  le
varianti   interpretative    dell'originario    testo    legislativo,
considerato  il  valore  interpretativo  di  conferma  della  vigenza
dell'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv.  nella  legge
79 del 25/3/1983, operato esplicitamente  dall'art.  21  della  legge
730/1983, e dunque ribaltando cosi' completamente il  risultato,  con
"l'interpretazione dell'interpretazione!". 
    Sussiste inoltre  ad  avviso  di  questo  giudice  rimettente  la
violazione dell'art. 117 comma 1 della Costituzione rispetto all'art.
6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per  come  esso  e'
interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    La violazione di tali norme definite "interposte"  e  integrative
del precetto costituzionale da codesta Corte nelle sentenze n. 348  e
349/2007, determina  conseguentemente  la  violazione  dell'art.  117
comma  1  della  Costituzione  relativamente  al  rispetto  da  parte
dell'Italia degli obblighi internazionali. 
    Il caso in  questione  trova  gia'  autorevoli  precedenti  nella
giurisprudenza della Corte europea con  la  sentenza  Scordino  della
sez. I della Corte europea del 29/7/2004 n. 36813/97, ove in corso di
un processo e'  intervenuta  una  modifica  legislativa  retroattiva,
modificando le condizioni di parita' processuale delle parti, in tale
occasione la Corte ha affermato che ove  la  giurisdizione  nazionale
sia costretta per decidere la questione, dalla normativa  retroattiva
sopravvenuta in corso di processo, cio' si  traduce  in  un'ingerenza
del potere legislativo nel funzionamento del  potere  giudiziario  in
vista di influenzare la decisione della lite. 
    Pertanto vi e' stata violazione dell'art. 6,  paragrafo  1  della
Convenzione. 
    Tale orientamento ha trovato recente  conferma  con  la  sentenza
della Corte cedu con la sentenza del 7/6/2011 Agrati. 
    Quindi, dovendo il giudice nazionale  applicare  nell'ordinamento
interno   una   norma    CEDU,    e    non    potendosi    discostare
dall'interpretazione data alla  stessa  norma  dal  giudice  europeo:
Cass.ssuu.nn. 1338, 1339, 1340,  1341/2004,  questo  giudice  ritiene
quindi rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittima costituzionale delle predette norme. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Sospende il processo. 
    Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge  costituzionale  1/1948  e  23
della legge 87/1953. 
    Ritenendo   che   il   giudizio   non   possa   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 18 commi 6, 7 e 8 del  D.L.  n.
98/2011 convertito nella legge 111/2011, per contrasto con gli  artt.
2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, in relazione all'art. 6  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo recepita con  la  legge  n.
848/1955. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  per  la  risoluzione  della  superiore  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone che  la  segreteria  provveda  alla  comunicazione  della
presente ordinanza alle parti costituite, nonche' al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con la comunicazione ai Presidenti di  Camera
e Senato. 
      Cosi' deciso in Palermo,  nella  Camera  di  Consiglio  del  13
maggio 2013. 
 
                      Il Giudice unico: Grasso