N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2013
Ordinanza del 21 febbraio 2013 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di V.L.. Processo penale - Dibattimento - Reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento - Facolta' dell'imputato di richiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. a seguito della contestazione in dibattimento da parte del pubblico ministero di una circostanza aggravante non risultante dall'imputazione quando la nuova contestazione concerne un fatto gia' risultante dagli atti d'indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale - Mancata previsione - Disparita' di trattamento tra imputati nell'accesso al rito speciale - Lesione del diritto di difesa. - Codice di procedura penale, art. 517. - Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo.(GU n.5 del 29-1-2014 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del processo pendente nei confronti di V. L. nato a Roma il 30.11.1977, imputato del reato p. e p. dall'art. 186, comma 2, lett. b) Codice della strada, commesso in Roma in data 24.4.2010; Premesso che in data 22.10.2012, previa ammissione delle prove richieste dalle parti, veniva avviata l'istruzione dibattimentale con l'esame dei testimoni del pubblico ministero e che, all'esito di tali dichiarazioni, venivano contestate all'imputato presente le circostanze aggravanti previste dai commi 2-bis e 2-sexies dell'art. 186 Codice della Strada (cfr. sul punto rettifica di errore materiale del pubblico ministero all'odierna udienza); Premesso altresi' che, alla scadenza del termine richiesto e concesso all'imputato per preparare la difesa ai sensi dell'art. 519 c.p.p., veniva presentata dalle parti istanza congiunta di applicazione della pena sulla fattispecie aggravata, quale risultante all'esito della nuova contestazione, nei termini precisati nel verbale dd. 21.1.2013 (ossia euro 21.600,00 di ammenda, di cui euro 20.000,00 in sostituzione di mesi 2 giorni 20 di arresto ed euro 1.600,00 di ammenda, con pena sospesa); Rinviato all'odierna udienza per le determinazioni dell'Ufficio sul punto; Ritenuta la propria competenza all'esito della nuova contestazione, osserva: La richiesta congiunta di applicazione della pena risulta proposta tardivamente essendo intervenuta ad istruzione dibattimentale in corso, in violazione degli artt. 556, comma 2, e 555 comma 2 c.p.p., trovando per essa applicazione il limite temporale dell'esaurimento delle questioni preliminari a fronte della citazione diretta dell'imputato a giudizio da parte del pubblico ministero. La medesima dovrebbe dunque dichiararsi inammissibile. L'istanza di definizione con detto rito alternativo e' stata, peraltro, originata dalla contestazione da parte del pubblico ministero ai sensi dell'art. 517 c.p.p. delle circostanze aggravanti previste dai commi 2-bis e 2-sexies dell'art. 186 Cod. d. Strada, come modificato dall'art. 4 d.l 23.5.2008, n. 92, introdotto dalla legge di conversione 24.7.2008, n. 125, nonche', rispettivamente dall'art. 3, comma 55, lett. a), l. 15.7.2009, n. 94, suscettibili di un significativo mutamento sanzionatorio in danno dell'imputato. Da un lato, infatti, l'aggravante del coinvolgimento in un incidente stradale provocato dal comportamento del conducente (comma 2-bis) determina il raddoppio della pena, oltre all'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo del veicolo coinvolto per 90 giorni; dall'altro lato la circostanza aggravante della guida in stato d'ebbrezza in orario notturno (ossia compreso tra le ore 22 e le ore 7, comma 2-sexies) comporta lo speciale e piu' severo giudizio di bilanciamento delle circostanze, derogatorio rispetto alla regola generale dell'art. 69 c.p., nei termini disciplinati dall'art. 186, comma 2-septies Cod. d. Strada. Soprattutto la contestazione della circostanza aggravante del coinvolgimento in un sinistro stradale rende inapplicabile la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita' ai sensi del comma 9-bis della norma in esame, qual introdotto dall'art. 33, comma 1 l. 29.7.2010, n. 120, applicabile anche ai fatti pregressi ai sensi dell'art. 2, comma 4 c.p. Tale obiettivo gia' era stato rappresentato quale espressa istanza difensiva sin dagli atti introduttivi del processo, attraverso la produzione della dichiarazione di disponibilita' del Presidente della Onlus «Associazione Polisportiva Pian Due Torri» dd. 8.6.2012 della presa in carico dell'imputato in ipotesi di sostituzione della pena eventualmente comminata (cfr. verbale d'udienza dd. 26.6.2012). Come l'esame del testimone istr. di P.M. Greco Walter ha dimostrato, la contestazione integrativa delle due circostanze aggravanti da parte del pubblico ministero non e' stata indotta da nuovi elementi emersi in fase dibattimentale e, dunque, da una situazione fisiologica tipica del processo accusatorio il cui rischio viene a gravare sull'imputato che sceglie di non aderire nei termini ad una richiesta di rito alternativo, bensi' da una miglior rilettura degli atti della parte pubblica, atteso che la notizia di reato certamente recava sin dall'origine tanto l'orario di consumazione del reato quanto le sue modalita', ovvero la connessione causale tra lo stato d'ebbrezza e la determinazione di un sinistro stradale, nulla di nuovo avendo sul punto aggiunto il verbalizzante. Prova ne siano i contenuti della relazione di incidente stradale dell'Ufficio Infortunistica della Polizia Municipale prodotta dalle parti, presente nel fascicolo del pubblico ministero, e l'espressa indicazione dell'orario dell'incidente (da rettificarsi nelle ore 4,40 del 24.4.2010) citato nel capo di imputazione. Trattasi quindi della situazione nota come contestazione dibattimentale "tardiva", frutto di errore sulla compiuta individuazione del fatto e del titolo del reato in cui e' incorso il Pubblico Ministero, che ha determinato una patologica carenza dell'accusa, tale da convincere l'imputato ad affrontare all'origine il dibattimento e, solo all'esito del postumo recupero dell'errore originario, a chiedere l'ammissione al rito alternativo dell'applicazione della pena. Detta condotta della pubblica accusa puo', quindi, qualificarsi anomala atteso che la variazione sostanziale del fatto, in termini di maggior gravita' di esso, autorizzata dall'interpretazione costante del Giudice di legittimita' anche laddove il mutamento del tema d'accusa sia indotto non gia' dall'ordinario meccanismo di formazione della prova in dibattimento ma dai (soli) atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari (Cass. S.U. 28.10.1998/11.3.1999, n. 4) ha comportato l'incolpevole perdita per l'imputato della facolta' di accesso ai riti alternativi, in specie dell'applicazione della pena su richiesta, il cui termine e' oramai formalmente ed irrimediabilmente decorso. La giurisprudenza costituzionale sul punto ha gia' avuto modo di affermare che risulta lesiva del diritto di difesa oltre che del principio di uguaglianza qualsiasi preclusione processuale che impedisce all'imputato l'accesso ai riti speciali a seguito di nuove contestazioni per fatto diverso o per reato concorrente laddove la contestazione concerna un fatto gia' risultante dagli atti di indagine preliminare al momento dell'esercizio dell'azione penale: cio' sulla base dei fondamentali rilievi che le valutazioni dell'imputato sulla convenienza di un rito speciale dipendono dalla concreta impostazione data all'accusa, si' che ove questa sia affetta da errore sull'individuazione del fatto o del titolo del reato in cui e' incorso il pubblico ministero, la sua variazione sostanziale deve consentire all'imputato il recupero di quelle facolta' di scelta definitoria del processo di cui e' stato espropriato causa il decorso dei termini di proposizione della domanda. Ne e' derivata la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. sia laddove non prevedevano la facolta' dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento quando la nuova contestazione concerneva un fatto gia' risultante dagli atti d'indagine al momento di esercizio dell'azione penale (Corte cost. sent. n. 265 del 1994); sia dell'art. 517 c.p.p. ove non prevedeva la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento (Corte cost. sent. n. 530 del 1995); sia degli artt. 516 e 517 c.p.p. laddove non prevedevano la facolta' dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale (Corte cost. sent. n. 333 del 2009). Il caso di specie e' connotato, rispetto alla nuova imputazione o al reato concorrente, dall'inscindibilita' ed unitarieta' del fatto, sussunto nella condotta, quale risultato dell'originaria accusa e della (nuova) contestazione di elementi connotanti in senso peggiorativo la condotta : rispetto ad esso la tardiva richiesta di definizione dell'imputato non puo' che essere unitaria, cosi' come obbligata, pena l'irrimediabile perdita processuale, risulta la contestazione tardiva da parte del pubblico ministero al fine di recuperare il fatto nelle sue compiute connotazioni di antidoverosita' e nel suo disvalore, non essendo concepibile un separato ed autonomo giudizio futuro sulle sole circostanze aggravanti. In tal modo, tuttavia, l'imputato e' stato privato del diritto di scegliere secondo convenienza il rito speciale dell'applicazione della pena che, secondo costante interpretazione, rappresenta una modalita' di esercizio del suo diritto di difesa che si estrinseca nella possibilita' lui offerta di acquisire liberamente un trattamento sanzionatorio predefinito e che assume significato unicamente rispetto ad una precisa e data fattispecie penale, al di fuori e prima dell'avvio del dibattimento, predeterminando il contenuto del suo esito decisorio (sulla richiesta di applicazione della pena quale modalita' di esercizio del diritto di difesa, Corte cost., sent. n. 313 del 1990, n. 101 del 1993 e n. 265 del 1994). La corretta contestazione dell'accusa, dunque, comprensiva degli elementi accessori quali le circostanze che valgono a definire il trattamento punitivo e che, in quanto tali, devono formare oggetto di chiara enunciazione (artt. 429, comma 1, lett. c) e 552 comma 1, lett. c) c.p.p.) diventa quindi essenziale, come il caso dimostra, nelle preventive determinazioni e scelte dell'imputato. Appare, pertanto, non in linea con i principi sul diritto di difesa posti dall'art. 24, secondo comma Cost. un sistema che osta alla restituzione in termini dell'imputato per la richiesta di applicazione della pena a fronte della contestazione tardiva, in qualche modo necessitata per il pubblico ministero, di circostanze aggravanti note dalle indagini preliminari la cui compiuta e doverosa enunciazione sin dalla formulazione dell'imputazione avrebbe convinto l'imputato a rinunciare al dibattimento, cui e' in seguito costretto, essendogli a tal punto impedita quella scelta del rito che e' regola fondante del sistema processuale. Analoga censura risulta proponibile rispetto al parametro dell'art. 3 Cost. a fronte della discriminazione che subisce l'imputato nell'accesso al rito speciale in ragione della maggiore o minore completezza ed esaustivita' dell'imputazione a fronte della diversa valutazione dei risultati delle indagini preliminari effettuata nel momento di esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. E' chiaro, infatti, che il diritto all'introduzione della procedura pattizia avente effetti automatici di determinazione della pena viene irrazionalmente a dipendere da scelte discrezionali del pubblico ministero in punto ampiezza della contestazione che sono inconciliabili con la struttura del procedimento speciale, laddove quell'imputazione subisca in corso di processo una patologica variazione sostanziale nascente da errore di valutazione sul fatto o sul titolo del reato, gia' emergenti dalle indagini. E' appena il caso di precisare che, proprio per la sua essenza, trattandosi di una definizione concordata del contenuto della sentenza, laddove il limite temporale venisse rimosso, l'accordo puo' intervenire anche a dibattimento avviato, nello stato in cui si trovi all'atto della scadenza del termine per la difesa concesso ai sensi dell'art. 519 c.p.p., salvo in tal caso l'utilizzo degli atti gia' compiuti che restano validi ed utilizzabili e che determineranno tanto il consenso delle parti quanto il controllo del giudice (in termini, Corte cost. sent. n. 101 del 1993 e n. 265 del 1994). Nulla osta, dunque, dal punto di vista logico e sistematico all'attuale accoglimento della richiesta di applicazione della pena concordata, valutati eventuali profili di proscioglimento immediato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e, all'opposto, la correttezza e congruita' complessiva della pena proposta, ove il dovere di sindacato di essa venisse attribuito a questo giudice, rimuovendo il limite temporale attualmente posto dagli artt. 556, comma 2 e 555, comma 2 in relazione ai poteri conferiti al pubblico ministero dall'art. 517 c.p.p. La questione di costituzionalita', dunque, che qui si sottopone d'ufficio alla Corte, appare non manifestamente infondata avuto riguardo ai parametri indicati, essendo appena il caso di sottolineare che la sua rilevanza e' implicita e manifesta nella richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato, con il consenso del pubblico ministero, sulla fattispecie di cui all'art. 186 commi 2, 2-bis e 2-sexies, Cod. d. Strada, immediatamente dopo la scadenza del termine per adeguare la propria difesa alle nuove contestazioni elevate dal pubblico ministero in corso di dibattimento, tali da precludere l'obiettivo, in ipotesi di condanna, della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita', rendendo per lui processualmente piu' conveniente la definizione pattizia del contenuto della sentenza. Solo una pronuncia di illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 517 c.p.p. consentira' ed imporra' a questo giudice l'esame della richiesta congiunta di applicazione della pena.
P.Q.M. Letto l'art. 23, legge 11.3.1953, n. 87; Dichiara d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale a seguito della contestazione in dibattimento da parte del pubblico ministero di una circostanza aggravante non risultante dall'imputazione quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti d'indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. Ordina la sospensione del procedimento in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza, letta alle parti in dibattimento, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati. Cosi' deciso in Roma, il 21 febbraio 2013 Il giudice: Roia