N. 21 ORDINANZA 10 - 11 febbraio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Commissario regionale  per  gli  usi  civici  -  Potere  di  iniziare
  d'ufficio  i  procedimenti  giudiziari  che  egli   stesso   dovra'
  decidere. 
- Legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R.  decreto
  22 maggio 1924, n. 751,  riguardante  il  riordinamento  degli  usi
  civici nel Regno, del R. decreto  28  agosto  1924,  n.  1484,  che
  modifica l'art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del  R.
  decreto 16 maggio 1926, n. 895, che  proroga  i  termini  assegnati
  dall'art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), art. 29. 
-   
(GU n.9 del 19-2-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  29  della
legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22
maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento  degli  usi  civici
nel Regno, del R. decreto 28  agosto  1924,  n.  1484,  che  modifica
l'art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto  16
maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2  del
R. decreto-legge 22 maggio 1924, n.  751)  promosso  dalla  Corte  di
cassazione  nel  procedimento  vertente  tra  A.  S.  e   il   Comune
dell'Aquila con ordinanza del 13 giugno 2013, iscritta al n. 205  del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio  2014  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
    Ritenuto che, con ordinanza del  13  giugno  2013,  la  Corte  di
cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt.  111  e  24  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  29
della legge 16 giugno 1927, n. 1766  (Conversione  in  legge  del  R.
decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante  il  riordinamento  degli
usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto  1924,  n.  1484,  che
modifica l'art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751,  e  del  R.
decreto 16 maggio 1926, n.  895,  che  proroga  i  termini  assegnati
dall'art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), nella parte
in cui consente al  Commissario  regionale  per  gli  usi  civici  di
iniziare d'ufficio i procedimenti giudiziari che egli  stesso  dovra'
decidere, in violazione dei principi costituzionali  di  terzieta'  e
imparzialita' del giudice; 
    che  la  Corte  di  cassazione  premette  di  essere  chiamata  a
pronunciarsi sul ricorso promosso nei confronti della sentenza con la
quale, il 28 marzo  2007,  la  Corte  d'appello  di  Roma  -  sezione
specializzata usi  civici  -  ha  rigettato  il  reclamo  avverso  la
sentenza del 26 ottobre 2005 del Commissariato regionale per gli  usi
civici  dell'Abruzzo;  con  tale  ultima  pronuncia  il   Commissario
regionale ha definito un procedimento  iniziato  d'ufficio  nel  1993
dallo stesso Commissario e ha dichiarato la natura  demaniale  civica
di alcuni terreni; 
    che  la  Corte  di  cassazione  precisa  che,   nell'ambito   del
procedimento di reclamo avverso la sentenza commissariale,  e'  stata
eccepita l'illegittima costituzione del giudice del  procedimento  di
primo  grado  per  essere  stato  iniziato  d'ufficio  dallo   stesso
Commissario decidente, in violazione del principio di  terzieta'  del
giudice; la Corte di appello ha disatteso tale eccezione, richiamando
i principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 46 del 1995; 
    che in tale pronuncia si era  affermato  che  la  confluenza  nel
Commissario  regionale  di  funzioni  di  impulso  processuale  e  di
funzioni giudicanti poteva essere  transitoriamente  giustificata  in
vista di una nuova disciplina legislativa improntata a  una  rigorosa
tutela della  terzieta'  del  giudice  e  si  era  quindi  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge n. 1766  del
1927, laddove lo stesso fosse  interpretato  come  preclusivo  -  una
volta trasferite alle Regioni le funzioni amministrative  in  materia
di usi civici - del potere del Commissario di esercitare d'ufficio la
propria giurisdizione; 
    che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  si  sarebbe  attualmente
determinato un mutamento  nel  quadro  normativo  che  imporrebbe  di
sottoporre il richiamato art. 29 della legge n. 1766 del 1927  ad  un
nuovo scrutinio di costituzionalita', poiche' la confluenza  in  capo
al Commissario di  funzioni  giudicanti  e  di  funzioni  di  impulso
processuale - confluenza che questa Corte nella sentenza  n.  46  del
1995 ha  ritenuto  preferibile  rispetto  all'assenza  di  un  organo
statuale abilitato ad agire in via preventiva a tutela  di  interessi
ambientali - si giustificava solo in via transitoria, alla stregua di
un criterio di legittimita' costituzionale provvisoria, in  vista  di
una nuova disciplina legislativa improntata  a  una  rigorosa  tutela
della terzieta' del giudice; 
    che il rimettente individua tale nuova disciplina nella  modifica
dell'art. 111 Cost. ad opera della legge costituzionale  23  novembre
1999,  n.  2  (Inserimento   dei   principi   del   giusto   processo
nell'articolo  111  della  Costituzione),  nonche'  nella  legge   di
ratifica della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, la quale all'art. 6 sancisce il diritto ad  un  equo  processo;
tali disposizioni avrebbero sancito e rafforzato il  principio  della
terzieta' del giudice e pertanto l'art. 29 della legge  n.  1766  del
1927, nella parte in cui attribuisce poteri di impulso processuale al
Commissario per gli usi civici, si porrebbe  in  contrasto  con  tali
principi; 
    che, d'altra parte, la mancata approvazione di una legge generale
di riordino in materia di usi civici non varrebbe a determinare alcun
vuoto normativo in grado di  pregiudicare  la  tutela  collettiva  di
interessi ambientali, dal momento che il potere di  dare  impulso  ai
giudizi riguardanti gli  usi  civici  spetta  per  legge  a  Regioni,
Comuni, amministrazioni frazionali e singoli cittadini; 
    che nel giudizio davanti a questa Corte nessuno si e' costituito. 
    Considerato  che  la  Corte  di  cassazione  ha   sollevato,   in
riferimento agli artt. 111 e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge 16 giugno  1927,
n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n.  751,
riguardante il riordinamento degli  usi  civici  nel  Regno,  del  R.
decreto 28 agosto 1924, n.  1484,  che  modifica  l'art.  26  del  R.
decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio  1926,  n.
895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2 del R. decreto-legge
22 maggio 1924, n. 751), nella parte in cui consente  al  Commissario
regionale per gli usi civici di  iniziare  d'ufficio  i  procedimenti
giudiziari  che  -  in  violazione  dei  principi  costituzionali  di
terzieta' e imparzialita' del giudice - egli stesso dovra' decidere; 
    che la lamentata lesione dell'art. 24 Cost., benche'  prospettata
nel  dispositivo  dell'ordinanza  di  rimessione,  non  trova   alcun
supporto di motivazione nel corpo dell'ordinanza stessa,  sicche'  la
questione deve essere dichiarata inammissibile in riferimento a  tale
parametro;  e  va  esaminata  nel  merito  in  riferimento  all'unico
parametro per il quale il  rimettente  ha  addotto  una  motivazione,
ossia quello dell'art. 111 Cost.; 
    che, con riferimento alla dedotta  violazione  dell'articolo  111
Cost., il giudice rimettente  -  dopo  avere  evidenziato  la  natura
provvisoria del  criterio  di  legittimita'  costituzionale  adottato
nella  sentenza  di  questa  Corte  n.  46  del  1995  -  chiede  una
rivalutazione  della  compatibilita'   costituzionale   della   norma
dell'art. 29 della legge n. 1766  del  1927,  in  considerazione  del
mutamento del contesto normativo e ordinamentale in cui  e'  inserita
la norma censurata; 
    che il giudice a quo individua nell'art. 6 della Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmata a Roma  il  4  novembre  1950,  e  nella  nuova  formulazione
dell'articolo 111 Cost. - introdotta dalla  legge  costituzionale  23
novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei  principi  del  giusto  processo
nell'articolo 111 della Costituzione) -, quel significativo mutamento
del quadro normativo, tale da accordare una piu' rigorosa tutela alla
terzieta' del giudice e da determinare il superamento del criterio di
legittimita' provvisoria adottato da  questa  Corte  con  riferimento
alla norma in esame; 
    che non e' ravvisabile la sopravvenienza di alcun  mutamento  del
quadro normativo che sia riconducibile ai  due  atti  richiamati  dal
giudice rimettente; 
    che in primo luogo la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, e' stata ratificata con legge 4 agosto  1955,  n.  848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma  il  4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla  Convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), quarant'anni prima  della  citata
sentenza n. 46 del 1995; 
    che d'altra  parte,  con  riferimento  al  valore  da  attribuire
all'art. 6 della CEDU, questa Corte ha affermato che «l'art. 6  della
Convenzione   europea   dei   diritti   dell'uomo   non   costituisce
disposizione da potere invocare come parametro al fine  di  affermare
l'incostituzionalita' delle norme  denunciate,  dal  momento  che  la
stessa costituisce solo norma interposta  al  fine  di  accertare  la
violazione dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  non  invocato  dal
giudice a quo» (ordinanze n. 286 del 2012 e n. 163 del 2010); 
    che, pertanto, il riferimento all'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali puo'
ritenersi finalizzato non gia' a prospettare un'autonoma  censura  di
illegittimita' costituzionale, ma solo a rafforzare quella  formulata
con riguardo all'art. 111 Cost.; 
    che questa Corte ha ripetutamente affermato che il novellato art.
111  Cost.   non   introduce   alcuna   sostanziale   innovazione   o
accentuazione dei valori della terzieta' e  della  imparzialita'  del
giudice (ordinanze n. 75 e n. 168 del 2002); ed invero  la  locuzione
«giudice terzo e imparziale» contenuta nel nuovo art. 111  Cost.  non
e' espressiva di un nuovo valore di livello costituzionale, ma e'  la
sintesi di una serie di valori che connotano il modo in cui, nel  suo
complesso, l'ordinamento deve far si' che  il  giudice  si  ponga  di
fronte alla res iudicanda (sentenza n. 240 del 2003); 
    che, pertanto, la valutazione della sopravvenuta incompatibilita'
della norma censurata rispetto al principio di cui  all'articolo  111
Cost. non puo' essere ancorata ai profili sopra evidenziati,  essendo
gli stessi  preesistenti  rispetto  alla  richiamata  statuizione  di
questa Corte sul punto; 
    che nella sentenza n. 46 del  1995  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29,  secondo  comma,  della
legge n. 1766 del 1927, nella parte in cui non consente la permanenza
del potere del commissario agli usi civici di esercitare d'ufficio la
propria giurisdizione pur dopo il trasferimento  alle  Regioni  delle
funzioni  amministrative  previste  dal  primo  comma   dell'articolo
medesimo; nella medesima sentenza la Corte ha altresi' affermato  che
«[...] la  confluenza  nel  giudice  anche  di  funzioni  di  impulso
processuale puo' essere transitoriamente giustificata in vista di una
nuova disciplina legislativa improntata a una "rigorosa tutela  della
terzieta' del giudice"»; 
    che e' vero che - nonostante siano passati quasi venti anni dalla
sentenza n. 45 del 1995 - tale nuova disciplina  legislativa  non  e'
ancora  intervenuta,  mentre  si  e'  rafforzato   il   convincimento
dell'inderogabilita' del principio di terzieta'; tuttavia e' altresi'
vero che il giudizio da cui trae origine la questione di legittimita'
costituzionale rimessa a questa Corte  e'  stato  avviato  nel  1993,
prima che la norma, avente indubbia natura processuale,  fosse  messa
in discussione dinanzi a questa Corte; 
    che la norma processuale censurata ha  avuto  applicazione  prima
che  la  Corte  ne   affermasse   la   compatibilita'   ai   principi
costituzionali   e   censurasse   come   illegittima   la   possibile
interpretazione  caducatrice  del   potere   di   impulso   officioso
attribuito al Commissario regionale per gli usi civici; 
    che in definitiva risulta carente l'indicazione dei motivi  della
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale relativa  ad
una norma processuale, quale  e'  quella  denunciata,  che  ha  avuto
applicazione in un momento in cui la sua pretesa  incostituzionalita'
non si era ancora verificata; 
    che la mancata considerazione dei profili  sopra  evidenziati  si
risolve nel difetto di una  plausibile  motivazione  in  ordine  alla
rilevanza della questione,  con  conseguente  inammissibilita'  della
stessa (ordinanze n. 269 e n. 173 del 2013). 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 29 della  legge  16  giugno  1927,  n.  1766
(Conversione in  legge  del  R.  decreto  22  maggio  1924,  n.  751,
riguardante il riordinamento degli  usi  civici  nel  Regno,  del  R.
decreto 28 agosto 1924, n.  1484,  che  modifica  l'art.  26  del  R.
decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio  1926,  n.
895, che proroga i termini assegnati dall'art. 2 del R. decreto-legge
22 maggio 1924, n. 751), sollevata, in riferimento agli  artt.  24  e
111 della Costituzione, dalla Corte di  cassazione,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI