N. 24 SENTENZA 10 - 13 febbraio 2014

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 
 
Segreto di Stato - Procedimento penale avente  ad  oggetto  il  fatto
  storico del sequestro di Abu Omar. 
- Sentenza della Corte di cassazione, quinta sezione penale,  del  19
  settembre 2012,  n.  46340;  ordinanze  della  Corte  d'appello  di
  Milano, quarta sezione penale, del 28 gennaio 2013 e del 4 febbraio
  2013; sentenza della Corte  d'appello  di  Milano,  quarta  sezione
  penale, del 12 febbraio 2013, n. 985. 
-   
(GU n.9 del 19-2-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi per conflitti di attribuzione tra poteri dello  Stato
sorti a seguito della sentenza  della  Corte  di  cassazione,  quinta
sezione penale, del 19 settembre  2012,  n.  46340,  delle  ordinanze
della Corte d'appello  di  Milano,  quarta  sezione  penale,  del  28
gennaio 2013 e del 4 febbraio  2013  e  della  sentenza  della  Corte
d'appello di Milano, quarta sezione penale, del 12 febbraio 2013,  n.
985, promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri  con  ricorsi
notificati il  24  aprile  ed  il  24  ottobre  2013,  depositati  in
cancelleria il 9 maggio e il 31 ottobre 2013 ed iscritti ai numeri  4
e 8 del registro conflitti tra  poteri  dello  Stato  2013,  fase  di
merito. 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  14  gennaio  2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi gli avvocati  dello  Stato  Massimo  Giannuzzi  e  Raffaele
Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso depositato, per la fase di ammissibilita',  l'11
febbraio  2013,   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei confronti della Corte di cassazione in riferimento alla  sentenza
n. 46340 del 19 settembre 2012, con la quale la quinta sezione penale
della medesima Corte -  in  accoglimento  dei  ricorsi  proposti  dal
Procuratore  generale  presso  la  Corte  d'appello  di   Milano   e,
parzialmente, dalle  parti  civili  -  ha  annullato  con  rinvio  la
sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il  15  dicembre
2010,  con  la  quale  era  stata  confermata  la   declaratoria   di
improcedibilita' della azione penale,  ai  sensi  dell'art.  202  del
codice di procedura penale, nei  confronti  di  Pollari  Nicolo',  Di
Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori  Luciano.
La sentenza della Corte di cassazione  viene  censurata  anche  nella
parte in cui - puntualizza il ricorso - aveva annullato «le ordinanze
del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la Corte d'appello di Milano  aveva
ritenuto l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni  rese  dagli  allora
indagati Ciorra, Di Troia, Di  Gregori  e  Mancini  nel  corso  degli
interrogatori cui erano stati sottoposti nella  fase  delle  indagini
preliminari». 
    Il ricorso viene proposto anche  contro  la  Corte  d'appello  di
Milano, quale giudice di  rinvio,  in  riferimento,  anzitutto,  alla
ordinanza emessa il 28 gennaio 2013, con la quale e' stata accolta la
richiesta di produzione dei  verbali  degli  interrogatori  resi  dai
predetti  imputati,  avanzata  dalla  locale  Procura  generale,   in
ossequio alla sentenza della Corte di cassazione di cui si e'  detto,
ammettendo  altresi'   la   produzione,   da   parte   della   difesa
dell'imputato  Mancini,  della  nota  dell'Agenzia   informazioni   e
sicurezza  esterna   (AISE)   del   25   gennaio   2013,   prot.   n.
15631/2.24/GG.02, recante la comunicazione al predetto  imputato  del
contenuto della nota del Dipartimento  informazioni  della  sicurezza
(DIS). In tale nota -  sottolinea  il  ricorrente  -,  il  DIS  aveva
rappresentato che il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  aveva
rilevato «la perdurante vigenza del  segreto  di  Stato,  cosi'  come
apposto, opposto e  confermato  nel  corso  del  procedimento  penale
avente ad oggetto il fatto storico del  sequestro  di  Abu  Omar  dai
Presidenti del Consiglio dei  ministri  pro  tempore,  su  tutti  gli
aspetti attinenti a qualsiasi  rapporto  intercorso  tra  Servizi  di
intelligence  nazionali  e  stranieri,  ancorche'  in  qualche   modo
collegati o collegabili con il fatto storico costituito dal sequestro
in questione, nonche' agli interna corporis, intesi  quali  modalita'
organizzative ed operative». 
    Rievocate le articolate vicende che avevano contrassegnato l'iter
del procedimento penale, il ricorrente osserva come tanto la sentenza
della Corte di cassazione quanto l'ordinanza pronunciata dalla  Corte
d'appello di Milano, quale giudice di  rinvio,  il  28  gennaio  2013
(nella parte in cui ha ammesso la produzione degli atti  di  cui  era
stata disposta la restituzione al Procuratore generale da parte della
stessa Corte con le ordinanze del  22  e  26  ottobre  2010)  nonche'
l'ordinanza  con  cui,  il  4  febbraio  2013,  la   medesima   Corte
territoriale ha omesso di procedere all'interpello del Presidente del
Consiglio dei ministri ai fini della conferma del  segreto  di  Stato
opposto dagli imputati, a norma dell'art. 41  della  legge  3  agosto
2007,  n.  124  (Sistema  di  informazione  per  la  sicurezza  della
Repubblica  e   nuova   disciplina   del   segreto),   risulterebbero
«gravemente lesive delle attribuzioni del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, quale autorita' preposta all'apposizione,  alla  tutela
ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell'art. 1, comma 1,
lettere b) e c) della legge n. 124/2007». 
    Da qui il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato proposto per violazione degli artt. 1, 5, 52,  94  e  95  della
Costituzione e con riguardo agli artt. 1, comma 1, lettere b)  e  c),
39, 40 (sostitutivo  dell'art.  202  cod.  proc.  pen.)  e  41  della
richiamata legge n. 124 del 2007. 
    In  punto   di   ammissibilita',   il   ricorrente   rievoca   la
giurisprudenza della Corte costituzionale in tema  di  legittimazione
attiva del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre, quanto alla
legittimazione  delle  altre  parti  del   conflitto   -   certamente
competenti a manifestare in via definitiva la volonta' del potere cui
appartengono -, si sottolinea la funzione costituzionale della  Corte
di cassazione come organo  di  ultima  istanza  cui  e'  deputato  il
controllo della legittimita' delle sentenze e  dei  provvedimenti  in
materia di liberta' personale, e la competenza della Corte  d'appello
ad  adottare   provvedimenti   istruttori   destinati   a   diventare
definitivi. 
    Quanto  alla  ammissibilita'  del  ricorso   sotto   il   profilo
oggettivo, si rivendica il ruolo del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  in  tema  di  sicurezza  dello   Stato   -   nella   specie
concretizzatosi nella  apposizione  del  segreto  di  Stato  e  nella
conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e
la Central intelligence agency (CIA) nonche'  agli  interna  corporis
del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro di  Nasr
Osama Mustafa', alias Abu Omar - che nella specie sarebbe stato  leso
dai provvedimenti giurisdizionali oggetto di censura. 
    Nel merito, si osserva come, a far tempo dalla sentenza n. 86 del
1977, la Corte costituzionale, nell'evidenziare  il  livello  supremo
dei valori tutelabili con  il  presidio  del  segreto  di  Stato,  ha
individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del
potere,  di  natura  squisitamente  politica,  di  segretazione:   la
strumentalita' di tale potere alla salvaguardia  dei  valori  supremi
per la salus rei publicae giustifica, poi, la «non segretabilita' dei
fatti eversivi dell'ordine costituzionale». Di cio' e' espressione la
legge n. 124  del  2007  che,  all'art.  1,  attribuisce  appunto  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  la  responsabilita'  generale
della politica della informazione per la sicurezza ed il  compito  di
apporre  e  tutelare  il  segreto  di  Stato  e  di  confermarne   la
opposizione. Il ricorrente puntualizza, poi, il contenuto degli artt.
39, 40 e 41 della stessa legge, segnalandone i profili  di  rilevanza
agli effetti dell'oggetto del ricorso. 
    Ebbene, alla luce del richiamato quadro normativo,  la  Corte  di
cassazione, mentre afferma correttamente - secondo  quanto  precisato
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106 del 2009  -  che  il
segreto di Stato e' stato apposto su documenti e notizie  riguardanti
i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis,
anche se relativi alla vicenda delle renditions e  del  sequestro  di
Abu Omar, erra nel ritenere che il segreto sia limitato  ai  rapporti
tra  Servizi  che  si  siano  estrinsecati  nella  realizzazione   di
operazioni comuni, dal momento che una simile  conclusione  non  puo'
fondarsi sulla circostanza - risultante da una nota dell'11  novembre
2005 - della assoluta estraneita' del Governo italiano e del Servizio
al sequestro di Abu Omar. Sarebbe dunque arbitrario circoscrivere  il
segreto alle sole operazioni cogestite dai Servizi  e  legittimamente
approvate dai vertici dei Servizi italiani, con  conseguente  lesione
della sfera delle attribuzioni spettanti in materia al Presidente del
Consiglio dei ministri, in particolare  per  cio'  che  attiene  alla
determinazione in concreto dell'ambito di operativita' del segreto di
Stato. 
    Risulterebbe a sua volta lesivo di  tali  prerogative,  ancorche'
sotto altro profilo, anche l'annullamento delle statuizioni  con  cui
la Corte d'appello  di  Milano  aveva  dichiarato  l'improcedibilita'
dell'azione penale esercitata nei confronti degli  imputati  italiani
che avevano opposto il segreto di Stato, nonche' delle ordinanze  del
22 e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte d'appello  aveva
ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni  rese,  quali  indagati,  da
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di  Stato
da loro opposto fosse stato confermato;  annullamento  cui  ha  fatto
seguito,  da  parte  del  giudice  del  rinvio,  la  pronuncia  della
ordinanza del 28 gennaio 2013, con  la  quale  e'  stata  ammessa  la
produzione  di  tali  dichiarazioni.  Cio'  avrebbe  determinato   la
arbitraria esclusione della operativita' del  segreto  in  ordine  ai
rapporti tra Servizio italiano e  CIA  e  in  merito  alle  direttive
impartite  dal  direttore  del  SISMI  circa  il  fatto  storico  del
sequestro di Abu Omar, dal momento che era precluso  per  l'autorita'
giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte  dal
segreto.  Non  sarebbe  corretta  l'affermazione  -  contenuta  nella
richiamata ordinanza del 28  gennaio  2013  -  secondo  la  quale  la
restituzione dei verbali degli interrogatori  resi  nel  corso  delle
indagini sarebbe stata disposta in quanto  irrilevanti  ai  fini  del
decidere: cio' riguarderebbe, infatti, le sole  circostanze  che  nel
caso specifico non fossero coperte da segreto di Stato,  nei  termini
innanzi detti e ricostruiti dalla sentenza della Corte costituzionale
n. 106 del 2009,  la  cui  vigenza  -  ribadita  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri in sede di interpello  formulato  dal  Giudice
della udienza preliminare - e' stata da ultimo riaffermata dalla nota
AISE prodotta dalla difesa di Mancini nel corso della udienza del  28
gennaio 2013. 
    La sentenza della Corte di cassazione  -  puntualizza  ancora  il
ricorrente - sarebbe censurabile anche nella parte in cui afferma  la
tardivita' dell'apposizione del segreto agli  atti  ed  ai  documenti
acquisiti in riferimento al sequestro di Abu Omar, essendo una simile
affermazione in contrasto con la citata sentenza n. 106 del 2009.  La
Cassazione, infatti, avrebbe stravolto il significato di tale  ultima
pronuncia, nel senso che, avendo i soggetti tenuti  alla  opposizione
del segreto formulato  tale  opposizione  solo  successivamente  alla
acquisizione dei documenti da parte della autorita' giudiziaria,  gli
atti,  essendo  stati   legittimamente   acquisiti,   non   sarebbero
inutilizzabili, ma comporterebbero l'uso di cautele atte ad  impedire
la divulgazione del segreto. La Corte  costituzionale,  infatti,  pur
avendo  negato  la  portata  di  una  retroattiva  demolizione  della
attivita' di indagine, aveva  puntualizzato  come  l'opposizione  del
segreto  successiva  alla  acquisizione  non  fosse   una   evenienza
processualmente indifferente: tanto che si dichiaro' che non spettava
alla  autorita'  procedente  porre  i  documenti  non  "omissati"   a
fondamento della richiesta di rinvio a giudizio  e  del  decreto  che
dispone il giudizio. Cio' risulterebbe anche  da  altro  passo  della
sentenza della Corte costituzionale  n.  106  del  2009,  ove  si  e'
puntualizzato come anche la legittima  acquisizione  di  elementi  di
prova  -  nella  specie  riferita  alle  intercettazioni  telefoniche
disposte "a tappeto" su utenze intestate al SISMI - non escludesse la
necessita' di non utilizzare quegli elementi che dovessero  risultare
coperti dal segreto, posto che questo funge da «sbarramento al potere
giurisdizionale, nel senso di "inibire all'Autorita'  giudiziaria  di
acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza
e di prova coperti dal segreto"». 
    Da qui lo iato tra la sentenza della Corte  di  cassazione  ed  i
principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale,  con   conseguente
lesione delle prerogative del ricorrente, «mantenendo all'interno del
circuito divulgativo del processo documenti in relazione ai quali era
stato opposto e confermato il segreto di Stato». 
    La sentenza della Corte di cassazione sarebbe  censurabile  anche
laddove ha limitato l'inutilizzabilita'  delle  testimonianze,  delle
dichiarazioni e degli altri elementi di prova sugli interna corporis,
facendo salva la utilizzabilita' di quegli elementi in relazione alle
condotte poste in  essere  a  titolo  individuale  dagli  agenti  del
Servizio, al di fuori di  operazioni  riconducibili  al  SISMI.  Cio'
risponde, infatti, alla gia'  confutata  tesi  secondo  la  quale  il
segreto  avrebbe  coperto  soltanto  le  operazioni   approvate   dal
Servizio. 
    Da tutto cio', la lesione delle prerogative del ricorrente, anche
in relazione alla ordinanza del 28 gennaio  2013,  con  la  quale  la
Corte d'appello aveva accolto,  proprio  in  ossequio  alla  sentenza
della  Corte  di   cassazione,   la   produzione   dei   verbali   di
interrogatorio degli indagati gia' menzionati, trattandosi  di  fonti
di prova certamente coperte da  segreto  di  Stato.  Lesione  che  si
lamenta anche in relazione alla ordinanza del 4 febbraio 2013, con la
quale la Corte milanese ha omesso di chiedere la conferma del segreto
di Stato, opposto dagli imputati, senza  conseguentemente  sospendere
ogni iniziativa volta ad acquisire la  notizia  oggetto  di  segreto,
consentendo cosi' al Procuratore  generale  di  svolgere  la  propria
requisitoria,  ripresa  dagli  organi  di  informazione,  utilizzando
ampiamente le fonti di prova coperte dal segreto di Stato. 
    Conclusivamente, viene formulata  istanza  di  sospensione  della
sentenza della Corte di cassazione e del giudizio di rinvio, al  fine
di non aggravare la lesione  delle  attribuzioni  costituzionali  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Il ricorrente chiede, dunque, dichiararsi che: 
    a)  non  spettava  alla   Corte   di   cassazione   annullare   i
proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di  Gregori
e Mancini nonche' le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali
la Corte d'appello di Milano aveva ritenuto l'inutilizzabilita' delle
dichiarazioni  rese  dagli  indagati   nel   corso   delle   indagini
preliminari, sul presupposto che  il  segreto  di  Stato  apposto  in
relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar concernerebbe solo i
rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonche'  gli  interna  corporis
che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non  anche
quelli che attengono comunque  al  fatto  storico  del  sequestro  in
questione, e che  sarebbe  tutt'ora  utilizzabile  la  documentazione
legittimamente acquisita dall'autorita'  giudiziaria  nel  corso  del
procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale
era stato successivamente opposto il segreto di Stato; 
    b) non spettava alla Corte d'appello di Milano ne'  ammettere  la
produzione, da parte della Procura  generale,  dei  verbali  relativi
agli interrogatori resi nel corso delle indagini da Mancini,  Ciorra,
Di Troia e Di  Gregori  -  atti  dei  quali  era  stata  disposta  la
restituzione al Procuratore generale  da  parte  della  stessa  Corte
d'appello con ordinanze del 22 e  26  ottobre  2010  -  ne'  omettere
l'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini  della
conferma  del  segreto  di  Stato  opposto  dagli  imputati  Pollari,
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso della udienza del  4
febbraio  2013,  invitando  il  Procuratore  generale  a  concludere,
consentendogli  in  tal  modo  di  svolgere   la   sua   requisitoria
utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato. 
    Correlativamente, si domanda l'annullamento, in parte qua, previa
sospensione della relativa efficacia, della sentenza della  Corte  di
cassazione n. 46340  del  2012,  nonche',  previa  sospensione  della
relativa efficacia, delle ordinanze pronunciate dalla Corte d'appello
di Milano in data 28 gennaio 2013 e 4 febbraio 2013,  in  riferimento
ai profili e per le parti innanzi indicate. 
    1.1.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con  l'ordinanza
n. 69 del 2013 e poi nuovamente depositato presso la  cancelleria  di
questa Corte, dopo le rituali notifiche, il 9 maggio 2013. 
    2.- Con ricorso depositato, per la fase di ammissibilita',  il  3
luglio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha proposto conflitto
di attribuzione tra poteri dello  Stato  nei  confronti  della  Corte
d'appello di Milano,  in  persona  del  Presidente  pro  tempore,  in
riferimento alla sentenza n. 985 del 12 febbraio 2013, con  la  quale
la medesima Corte (nel processo penale a carico di  Pollari  Nicolo',
Di Troia Raffaele,  Ciorra  Giuseppe,  Mancini  Marco  e  Di  Gregori
Luciano, per sequestro di persona in danno di  Abu  Omar),  pur  resa
edotta dell'intervenuto deposito in  data  11  febbraio  2013  di  un
ricorso per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  ha
affermato la responsabilita' di detti  imputati,  non  ravvisando  la
sussistenza di una causa di sospensione del processo in corso. 
    Rievocate le articolate vicende che hanno  contrassegnato  l'iter
del procedimento penale in esame, il ricorrente osserva che anche  la
sentenza della Corte d'appello  di  Milano  risulterebbe  «gravemente
lesiva delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei  ministri,
quale  autorita'  preposta  all'opposizione,  alla  tutela  ed   alla
conferma del segreto di Stato, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettere
b) e c) della legge n. 124/2007»; per cui risulterebbero violati  gli
artt. 1, 5, 52, 94 e 95 Cost., in riferimento agli artt. 1, comma  1,
lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell'art. 202 cod. proc. pen.) e
41 della richiamata legge n. 124 del 2007. 
    In  punto  di  ammissibilita',  il  ricorrente  -  richiamata  la
giurisprudenza della Corte costituzionale in tema  di  legittimazione
attiva e passiva -, quanto alla sussistenza del  requisito  oggettivo
del conflitto, rivendica le prerogative del Presidente del  Consiglio
dei ministri  in  tema  di  sicurezza  dello  Stato  -  nella  specie
concretizzatesi nella  apposizione  del  segreto  di  Stato  e  nella
conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e
la CIA nonche' agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al
fatto storico del sequestro di Abu Omar - che  sarebbero  state  lese
dai provvedimenti giurisdizionali impugnati. 
    Nel merito, il ricorrente -  rilevato  come  da  molto  tempo  la
giurisprudenza costituzionale abbia evidenziato  il  livello  supremo
dei valori tutelabili col presidio del segreto di Stato, individuando
nel Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del  potere  di
segretazione, di natura squisitamente politica - ha osservato come  a
questo orientamento si conformi la ricordata legge n. 124  del  2007,
dei cui articoli 39, 40 e 41 segnala  i  profili  di  rilevanza  agli
effetti del thema decidendum. 
    Secondo il Presidente del Consiglio la sentenza impugnata con  il
presente ricorso e' affetta  da  illegittimita'  derivata,  in  primo
luogo in quanto ha applicato  alla  fattispecie  concreta  i  criteri
seguiti dalla Corte di cassazione  nella  sentenza  del  19  febbraio
2012, impugnata con il  gia'  menzionato  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione, depositato l'11 febbraio 2013 (ammesso da questa  Corte
con ordinanza n. 69 del 2013). 
    Alla luce del richiamato quadro normativo, la Corte di cassazione
avrebbe correttamente affermato che il  segreto  di  Stato  e'  stato
apposto su documenti e notizie riguardanti  i  rapporti  tra  Servizi
italiani e stranieri e sugli interna corporis, anche se relativi alla
vicenda delle renditions e del sequestro  di  Abu  Omar;  e  avrebbe,
invece, errato nel ritenere  il  segreto  limitato  ai  rapporti  tra
Servizi, tendenti alla realizzazione di  operazioni  comuni.  Proprio
questo, infatti, sarebbe all'origine della lesione della sfera  delle
attribuzioni spettanti al Presidente del Consiglio dei  ministri,  in
particolare per cio' che attiene  alla  determinazione  del  concreto
ambito di operativita' del segreto. 
    Si ribadisce altresi' che risulterebbe, a sua  volta,  lesivo  di
tali prerogative, ancorche' sotto altro profilo, anche l'annullamento
delle  statuizioni  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Milano  aveva
dichiarato  l'improcedibilita'  dell'azione  penale  esercitata   nei
confronti degli imputati italiani che avevano opposto il  segreto  di
Stato, nonche' delle ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali
la  medesima  Corte  d'appello  aveva  ritenuto   inutilizzabili   le
dichiarazioni rese, quali indagati, da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di
Gregori, malgrado il segreto di Stato da  loro  opposto  fosse  stato
confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da parte  del  giudice
del rinvio, la pronuncia della ordinanza del 28 gennaio 2013, con  la
quale  e'  stata  ammessa  la  produzione  di   tali   dichiarazioni.
Risulterebbero, infatti, cosi', esclusi dall'operativita' del segreto
i rapporti tra Servizio italiano e CIA e le direttive  impartite  dal
direttore del SISMI circa il fatto storico del sequestro di Abu Omar,
essendo  precluso   all'autorita'   giudiziaria   utilizzare,   anche
indirettamente, le notizie coperte dal segreto. Ne' sarebbe  corretta
l'affermazione  secondo  cui  la  restituzione  dei   verbali   degli
interrogatori resi nel corso delle indagini  sarebbe  stata  disposta
sul presupposto che questi fossero irrilevanti ai fini del  decidere:
cio'  riguarderebbe,  infatti,  soltanto  le  circostanze,  nel  caso
specifico, non coperte dal segreto  di  Stato,  nei  termini  innanzi
detti. 
    La sentenza impugnata sarebbe inoltre censurabile nella parte  in
cui riafferma (in  conformita'  a  quanto  statuito  dalla  Corte  di
cassazione) la tardivita' della apposizione del segreto di Stato agli
atti ed ai documenti acquisiti in riferimento  al  sequestro  di  Abu
Omar, essendo una simile affermazione in contrasto con la sentenza n.
106  del  2009.  La  Cassazione,  infatti,   avrebbe   stravolto   il
significato della pronuncia della  Corte  costituzionale,  nel  senso
che, avendo i soggetti tenuti alla opposizione del segreto  formulato
tale opposizione solo successivamente alla acquisizione dei documenti
da  parte  della  autorita'  giudiziaria,  gli  atti,  essendo  stati
legittimamente   acquisiti,   non   sarebbero   inutilizzabili,    ma
comporterebbero l'uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del
segreto. In realta' la Corte costituzionale,  pur  avendo  negato  la
portata di una retroattiva demolizione della attivita'  di  indagine,
aveva puntualizzato come l'opposizione del  segreto  successiva  alla
acquisizione non fosse una evenienza processualmente indifferente. Su
questa  base,  del  resto,  si  affermo'  che  il  segreto  funge  da
«sbarramento  al  potere  giurisdizionale,  nel  senso  di   "inibire
all'Autorita' giudiziaria di acquisire e conseguentemente  utilizzare
gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto"». 
    Sarebbe altresi' censurabile la decisione impugnata la'  dove  ha
limitato l'inutilizzabilita' delle testimonianze, delle dichiarazioni
e degli altri elementi di prova sugli interna corporis, facendo salva
la utilizzabilita' di quegli  elementi  in  relazione  alle  condotte
poste in essere a titolo individuale dagli agenti del Servizio, al di
fuori  di  operazioni   riconducibili   al   SISMI,   giacche'   cio'
risponderebbe alla gia' confutata tesi secondo la  quale  il  segreto
avrebbe coperto soltanto le operazioni approvate dal Servizio. 
    La  sentenza,  ancora,  sarebbe   viziata   per   effetto   della
illegittimita' della  ricordata  ordinanza  del  28  gennaio  2013  e
parimenti lesiva risulterebbe l'ordinanza del 4 febbraio 2013, con la
quale la Corte milanese ha omesso di chiedere la conferma del segreto
di  Stato,  opposto  dagli  imputati,   consentendo   di   utilizzare
ampiamente le fonti di prova coperte dal segreto di Stato. 
    Infine, il ricorrente lamenta  la  violazione  del  principio  di
leale collaborazione tra poteri dello  Stato  (al  quale  non  sfugge
neppure l'ordine giudiziario: sentenze n. 87 del  2012,  n.  149  del
2007, n. 110 del 1998 e n. 403 del 1994), in cui sarebbe  incorsa  la
Corte  d'appello  di  Milano,  per  avere  omesso  di  sospendere  il
procedimento  penale  in  corso  di  celebrazione,  in  attesa  della
decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato,  del  cui  deposito  presso   la   cancelleria   della   Corte
costituzionale,   la   Corte   d'appello    era    stata    informata
dall'Avvocatura dello Stato il giorno  prima  della  emissione  della
sentenza impugnata. 
    Viene, altresi', formulata istanza di sospensione della impugnata
sentenza della Corte d'appello di Milano, al fine di non aggravare la
lesione  delle  attribuzioni  costituzionali   del   Presidente   del
Consiglio dei ministri. 
    Il ricorrente chiede, dunque, dichiararsi che: 
    a) non spettava alla  Corte  d'appello  di  Milano  affermare  la
penale responsabilita' degli imputati del fatto-reato costituito  dal
sequestro di Abu Omar,  sul  presupposto  che  il  segreto  di  Stato
apposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione  alla
vicenda del sequestro di Abu Ornar, concernerebbe solo i rapporti tra
Servizio italiano e CIA,  nonche'  gli  interna  corporis  che  hanno
tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che
attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che
sarebbe  tuttora  utilizzabile   la   documentazione   legittimamente
acquisita  dall'autorita'  giudiziaria,  nel   corso   del   relativo
procedimento,  sulla  quale  era  stato  successivamente  apposto  il
segreto di Stato,  nonche'  tutti  gli  elementi  di  prova  ritenuti
coperti dal segreto di  Stato  dalla  Corte  costituzionale,  con  la
sentenza n. 106 del 2009; 
    b) non spettava  alla  Corte  d'appello  di  Milano  emettere  la
sentenza impugnata in questa sede sulla base  dell'utilizzazione  dei
verbali relativi agli interrogatori resi dagli  allora  indagati  nel
corso delle indagini preliminari  Mancini,  Ciorra,  Di  Troia  e  Di
Gregori - di cui era stata disposta la  restituzione  al  Procuratore
generale da parte della stessa Corte d'appello con ordinanze del 22 e
26 ottobre 2010 - senza che si  sia  dato  corso  all'interpello  del
Presidente del Consiglio dei ministri  ai  fini  della  conferma  del
segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra,  Di
Troia e Di Gregori  nel  corso  dell'udienza  del  4  febbraio  2013,
essendosi invitato il Procuratore generale a concludere, in modo tale
da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti  di
prova coperte dal segreto di Stato; 
    c) non spettava  alla  Corte  d'appello  di  Milano  emettere  la
sentenza impugnata in questa sede, senza  aver  sospeso  il  processo
penale in questione fino alla definizione del giudizio sul  conflitto
di attribuzione. 
    Chiede   altresi'   che   si   annulli   -   previa   sospensione
dell'efficacia della sentenza n. 985 del 2013 della  Corte  d'appello
di Milano e conseguente sospensione del processo  penale  attualmente
pendente dinanzi alla Corte di  cassazione  -  la  predetta  sentenza
della Corte ambrosiana. 
    2.1. - Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 244 del 2013 e poi nuovamente depositato presso la cancelleria  di
questa Corte, dopo la rituale notifica, il 31 ottobre 2013. 
    2.2.- La Corte di cassazione e la Corte d'appello di  Milano  non
si sono costituite in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- I ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei  ministri
- la cui ammissibilita' va preliminarmente  confermata  -,  ancorche'
indirizzati contro  distinti  atti  giurisdizionali  -  assunti  come
lesivi delle prerogative costituzionali del  ricorrente  in  tema  di
esercizio delle attribuzioni relative al  segreto  di  Stato  e  alla
determinazione in concreto del  relativo  ambito  di  operativita'  -
presentano un nucleo comune, riguardando entrambi la  stessa  vicenda
processuale e fondandosi su censure in larga parte convergenti. 
    Tenuto conto dei profili di evidente  connessione  soggettiva  ed
oggettiva, appare necessario procedere alla trattazione congiunta dei
relativi giudizi:  gli  stessi  vanno  pertanto  riuniti  per  essere
definiti con un'unica pronuncia. 
    2.-  A  proposito  della  sentenza  pronunciata  dalla  Corte  di
cassazione  il  19  settembre  2012,  il  ricorrente  reputa  essersi
realizzata - attraverso la pronuncia di annullamento con rinvio delle
statuizioni di proscioglimento adottate dai  giudici  di  entrambi  i
gradi di merito, che avevano, al contrario, riconosciuto  l'esistenza
di una preclusione processuale derivante  dal  vincolo  del  segreto,
secondo  le  puntualizzazioni  offerte,  nell'ambito   dello   stesso
procedimento, dalla sentenza di questa Corte n. 106 del  2009  -  una
menomazione del munus  spettante  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in tema di segreto  di  Stato,  sotto  piu'  profili  ed  in
rapporto a diversi punti del decisum. 
    Sarebbe infatti anzitutto arbitrario,  e  dunque  invasivo  delle
prerogative del ricorrente, l'assunto - centrale agli  effetti  della
decisione rescindente - secondo  il  quale  il  vincolo  del  segreto
dovrebbe intendersi circoscritto alle sole  operazioni  che  avessero
coinvolto   ufficialmente   i   Servizi   nazionali   e    stranieri,
legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani: una simile
affermazione - fondata esclusivamente su una  nota  dell'11  novembre
2005, con la quale era stata affermata la  assoluta  estraneita'  del
Governo italiano e del Servizio al sequestro di Abu Omar -  finirebbe
per incidere direttamente sul potere di determinazione di quale fosse
il reale ambito dei fatti e delle notizie  coperte  dal  segreto,  da
parte di un organo diverso da quello cui e' riservato detto compito. 
    Strettamente collegata a tale rivendicazione e' quella che deduce
il  medesimo  vulnus  anche  in  riferimento  all'annullamento  della
sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il  15  dicembre
2010  (con  la  quale  era  stata  confermata  la   declaratoria   di
improcedibilita' della azione penale  nei  confronti  degli  imputati
italiani che avevano opposto il  segreto  di  Stato),  nonche'  delle
ordinanze pronunciate il  22  e  26  ottobre  2010,  nelle  quali  la
medesima  Corte  territoriale  aveva   ritenuto   inutilizzabili   le
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari  da  Mancini,
Ciorra, Di Troia e Di Gregori. 
    Considerato, dunque - assume il ricorrente  -  che  non  spettava
alla Corte di cassazione reputare che il segreto fosse limitato  alle
sole operazioni ufficiali dei Servizi, e che pertanto non si  potesse
ritenere estraneo all'oggetto del segreto il tema dei rapporti tra il
Servizio  italiano  e  la  CIA  e  degli  interna  corporis  ove  non
riconducibili ad attivita' regolarmente  approvate  dai  vertici  dei
Servizi, risulterebbe illegittima la decisione anche nella  parte  in
cui ha limitato la  inutilizzabilita'  delle  testimonianze  e  delle
altre acquisizioni in merito agli  interna  corporis,  affermando  la
utilizzabilita' processuale di  quegli  elementi  in  relazione  alle
condotte poste in essere a titolo individuale, in  quanto  realizzate
senza l'approvazione del SISMI. 
    Sarebbe per tale ragione lesiva delle prerogative del  ricorrente
anche l'ordinanza pronunciata, in sede di giudizio di  rinvio,  dalla
Corte d'appello di Milano il 28 gennaio 2013, con la quale - aderendo
ai dicta della Corte di cassazione - era stata accolta la  produzione
dei verbali di interrogatorio resi nel  corso  delle  indagini  dagli
imputati di cui si e' detto, trattandosi di fonti certamente  coperte
dal segreto. 
    Detta  lesione  viene  denunciata  anche  in   riferimento   alla
ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte  milanese  aveva
omesso di chiedere la conferma del segreto  di  Stato  opposto  dagli
imputati, senza sospendere  ogni  attivita'  volta  ad  acquisire  la
notizia oggetto di segreto, permettendo cosi' la discussione, diffusa
dagli organi di informazione, nel corso della  quale  il  Procuratore
generale ampiamente utilizzava fonti di prova coperte dal segreto  di
Stato. 
    Si ritiene infine menomativo delle  attribuzioni  del  ricorrente
anche l'assunto secondo il quale la  sentenza  n.  106  del  2009  di
questa Corte andrebbe interpretata nel senso che non era  inibita  la
utilizzazione  processuale  degli  atti  successivamente  coperti  da
"omissis", salva l'adozione delle opportune cautele volte ad impedire
la divulgazione delle parti occultate: reputa, infatti, il ricorrente
che una simile affermazione consentirebbe comunque di mantenere -  in
contrasto con quanto  affermato  da  questa  Corte  nella  richiamata
sentenza  -  «all'interno  del  circuito  divulgativo  del   processo
documenti in relazione ai quali era stato  opposto  e  confermato  il
segreto di Stato». 
    3.- L'intera gamma delle censure e' stata poi ripresa  anche  nel
secondo ricorso, rivolto contro la sentenza pronunciata all'esito del
giudizio di rinvio dalla Corte d'appello di  Milano  il  12  febbraio
2013 e con la quale gli imputati Pollari, Di Troia, Ciorra, Mancini e
Di Gregori erano stati condannati per il sequestro Abu Omar,  nonche'
contro  le  gia'  richiamate  ordinanze  con  le  quali  erano  stati
acquisiti gli interrogatori  resi  dagli  imputati  nel  corso  delle
indagini, senza procedere all'interpello del Presidente del Consiglio
dei ministri per la conferma  del  segreto  di  Stato  opposto  dagli
imputati medesimi nel corso della udienza del 4 febbraio 2013. 
    L'unica censura nuova, posta a base di tale secondo  ricorso,  ha
riguardato   la   pretesa   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione,  che  sarebbe  stata  posta  in  essere  dalla  Corte
d'appello  di  Milano  laddove  aveva   omesso   di   sospendere   il
procedimento in corso di celebrazione, in attesa della decisione  sul
primo ricorso per conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato
proposto dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  e  del  cui
deposito presso  la  cancelleria  di  questa  Corte  era  stata  data
contezza al giudice  procedente,  da  parte  della  Avvocatura  dello
Stato, il giorno prima della pronuncia della sentenza impugnata. 
    4.- Il nucleo centrale delle doglianze proposte dal ricorrente in
entrambi i ricorsi ruota, dunque, essenzialmente, attorno all'assunto
cui conclusivamente e' pervenuta la Corte di cassazione, nella  parte
in cui ha pronunciato, in parte qua, l'annullamento con rinvio  della
sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il  15  dicembre
2010 (con la quale veniva fra l'altro - e per cio' che qui  interessa
- confermata la sentenza di primo grado nella  parte  in  cui  ,  nei
confronti degli imputati di cui si e'  detto,  veniva  dichiarata  la
improcedibilita' della azione penale a norma dell'art. 202 cod. proc.
pen. per la  sussistenza  del  segreto  di  Stato)  sul  rilievo  che
«l'opposizione e la conferma del segreto avevano creato una sorta  di
indecidibilita' perche' sul materiale probatorio raccolto era  calato
un  "sipario  nero"»  (pag.  16  della  sentenza   della   Corte   di
cassazione). 
    E' del tutto evidente,  infatti,  che  le  "conclusioni"  cui  e'
pervenuta la Corte di cassazione nella pronuncia  rescindente,  hanno
poi costituito il "principio di diritto" al quale si e' conformata la
Corte d'appello di Milano quale giudice di  rinvio  nell'adottare  le
ordinanze e la sentenza di condanna, parimenti oggetto di ricorso. 
    Secondo i giudici di legittimita', dunque, il  segreto  di  Stato
sarebbe stato apposto  «su  documenti  e  notizie  che  riguardino  i
rapporti tra i Servizi italiani e  quelli  stranieri  [...]  e  sugli
interna corporis del  Servizio,  ovvero  sulla  organizzazione  dello
stesso e sulle direttive impartite dal direttore dei  Servizi,  anche
se relative alla vicenda delle renditions  e  del  sequestro  di  Abu
Omar» (pag. 121 della sentenza). 
    Il segreto, peraltro,  contrariamente  a  quanto  ritenuto  dalla
Corte di merito, non sarebbe stato apposto «sull'operato  di  singoli
funzionari che abbiano agito al  di  fuori  delle  proprie  funzioni»
(pag. 122 della sentenza). Considerato, dunque, che il Presidente del
Consiglio dei ministri aveva proclamato, nella propria  nota  dell'11
novembre 2005, la estraneita'  del  Governo  e  del  SISMI  ai  fatti
relativi al sequestro di Abu Omar, se ne  doveva  concludere  che  la
partecipazione di agenti del Servizio a quella azione era avvenuta «a
titolo personale» (pag. 123 della sentenza in esame ). 
    Da cio'  il  corollario  per  il  quale  «sulle  fonti  di  prova
afferenti ad eventuali singole e specifiche condotte criminose  poste
in essere da agenti del SISMI, anche in accordo  con  appartenenti  a
Servizi stranieri, ma al di fuori dei doveri funzionali ed in assenza
di autorizzazione da parte dei vertici del SISMI non [sarebbe]  stato
apposto alcun segreto, che, invece, riguardava i rapporti tra Servizi
italiani e stranieri e gli scambi  di  informazione  e  gli  atti  di
reciproca assistenza  posti  in  essere  in  relazione  a  singole  e
specifiche operazioni, dovendosi intendere per operazioni  le  azioni
legittimamente approvate dai vertici del SISMI» (pagg. 123-124  della
sentenza). 
    Contro tale tesi - che, come gia' si e' detto, ha  costituito  la
"base" della pronuncia di annullamento con  rinvio,  refluendo,  poi,
sulle consequenziali decisioni adottate in sede  "rescissoria"  -  la
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  insorge  contestandone  il
fondamento. 
    Si sottolinea, infatti, la circostanza che la sentenza n. 106 del
2009 ha correttamente riferito il segreto di Stato  ai  rapporti  tra
SISMI e CIA, anche se relativi alle extraordinary renditions, con  la
conseguenza che risulterebbe  arbitrario  circoscrivere  l'ambito  di
operativita' del segreto «ai soli rapporti tra Servizi che  si  siano
estrinsecati nella partecipazione ad operazioni gestite da entrambi i
Servizi, legittimamente approvate dai vertici del Servizio italiano».
L'autorita' giudiziaria avrebbe, in tal modo, finito per  sostituirsi
«all'autorita' politica nella concreta  determinazione  di  cio'  che
costituisce oggetto del segreto di Stato in  relazione  alla  vicenda
del sequestro Abu Omar». 
    5.-  L'assunto  del  ricorrente  e'   fondato.   Come,   infatti,
puntualmente ricordato dalla difesa erariale, nella sentenza  n.  106
del 2009 - con la quale (va nuovamente rammentato) sono stati  decisi
ben cinque conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato sollevati
da  varie  autorita'  giudiziarie  e  dallo  stesso  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri  in  riferimento   alla   medesima   vicenda
processuale - questa Corte ha avuto modo di sottolineare come dovesse
affermarsi la perdurante  attualita'  dei  principi  tradizionalmente
enunciati dalla giurisprudenza  costituzionale,  a  far  tempo  dalla
sentenza n. 86 del 1977, in  materia  di  segreto  di  Stato,  pur  a
seguito della introduzione delle nuove disposizioni di cui alla legge
3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della
Repubblica e nuova disciplina del segreto).  In  particolare,  si  e'
ribadito che la disciplina del segreto involge il  supremo  interesse
della sicurezza dello Stato-comunita' alla propria integrita' ed alla
propria indipendenza, interesse che trova  espressione  nell'art.  52
della Costituzione in relazione agli  artt.  1  e  5  della  medesima
Carta. D'altra parte, tenuto conto della ampiezza e della  intensita'
del  vincolo  che  consegue  alla  apposizione  e  conferma  di  tale
particolare  figura  di  segreto,  scaturiscono  necessariamente  dal
relativo  regime  profili  di   interferenza   con   altri   principi
costituzionali,   inclusi   quelli   che    reggono    la    funzione
giurisdizionale.  In  questo  specifico  ambito,  si  e'  piu'  volte
osservato, da parte di questa Corte, come l'apposizione  del  segreto
da parte del Presidente del Consiglio dei ministri -  cui  spetta  in
via  esclusiva  l'esercizio  della  relativa  attribuzione  di  rango
costituzionale (salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e seguenti
e 41 della legge n. 124 del 2007),  in  quanto  afferente  la  tutela
della salus rei publicae, e, dunque, tale da coinvolgere un interesse
preminente su qualunque  altro,  perche'  riguardante  «la  esistenza
stessa dello  Stato,  un  aspetto  del  quale  e'  la  giurisdizione»
(sentenza n. 86 del  1977)  -  non  puo'  impedire  che  il  pubblico
ministero indaghi sui fatti di reato, ma puo'  inibire  all'autorita'
giudiziaria di acquisire ed utilizzare  gli  elementi  di  conoscenza
coperti dal segreto. Un ambito, questo, nel quale il  Presidente  del
Consiglio dei ministri gode di un ampio potere discrezionale, sul cui
esercizio e' escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni,  poiche'
il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato  ha
natura politica. 
    D'altra parte, quando pure la fonte di prova segretata risultasse
essenziale e mancassero  altre  fonti  di  prova  -  con  conseguente
applicabilita' (come correttamente avevano ritenuto i giudici,  tanto
di primo che di secondo grado) delle disposizioni  che  impongono  la
pronuncia di una sentenza di non doversi  procedere  per  l'esistenza
del segreto di Stato, a norma degli artt. 202, comma  3,  cod.  proc.
pen. e 41, comma 3, della legge  n.  124  del  2007  -  non  potrebbe
scorgersi  in  cio'  alcuna  antinomia  con  i  concorrenti  principi
costituzionali,  proprio  perche'  un  tale  esito  -   espressamente
previsto dalla legge -  non  e'  altro  che  il  portato  della  gia'
evidenziata preminenza dell'interesse della sicurezza nazionale, alla
cui salvaguardia il segreto di Stato e'  preordinato,  rispetto  alle
esigenze dell'accertamento giurisdizionale (sentenza n. 40 del 2012). 
    Il fatto-reato resta, dunque, immutato in tutta la sua intrinseca
carica di disvalore, cosi' come inalterato resta il potere-dovere del
pubblico ministero di svolgere le indagini  in  vista  dell'eventuale
esercizio della azione penale: cio' che risulta inibito  agli  organi
della azione e della giurisdizione  e'  l'espletamento  di  atti  che
incidano - rimuovendolo - sul perimetro tracciato dal Presidente  del
Consiglio dei ministri,  nell'atto  o  negli  atti  con  i  quali  ha
indicato l'«oggetto» del segreto; un oggetto che, come  e'  evidente,
soltanto a quell'organo spetta individuare, senza che altri organi  o
poteri   possano   ridefinirne   la   portata,   adottando   comunque
comportamenti nella sostanza elusivi  dei  vincoli  che  dal  segreto
devono - in relazione a quello specifico "oggetto" - scaturire, anche
nell'ambito della pur  doverosa  persecuzione  dei  fatti  penalmente
rilevanti. 
    6.- Ebbene, la affermazione della Corte di cassazione, secondo la
quale il segreto non coprirebbe  le  condotte  "extrafunzionali"  che
sarebbero state poste in essere dagli agenti  del  SISMI,  in  quanto
l'operazione Abu Omar non sarebbe riconducibile ne' al Governo ne' al
SISMI medesimo alla luce della predetta nota dell'11  novembre  2005,
equivale ad una sostanziale modifica (di contenuto e di  portata)  di
quello che, al  contrario,  era  stato  il  perspicuo  "oggetto"  del
segreto. Considerato, infatti, che il segreto era  stato  apposto  su
documenti e notizie riguardanti i rapporti tra i Servizi  italiani  e
quelli stranieri, nonche' sugli interna corporis del Servizio, ovvero
sulla organizzazione dello stesso e  sulle  direttive  impartite  dal
direttore  dei  Servizi,  anche  se  relative  alla   vicenda   delle
renditions e del sequestro di Abu Omar,  nessuna  limitazione  poteva
derivare  in  ordine  a   tali   "fatti"   in   dipendenza   di   una
riconducibilita'  o  meno  degli  stessi  a  formali  "deliberazioni"
governative o dei vertici dei Servizi, posto che - a tacer d'altro  -
l'esistenza o meno di tali deliberazioni avrebbe, a fortiori, formato
oggetto essa stessa di segreto. 
    D'altra  parte,  la  tesi  secondo  la  quale  il   segreto   non
opererebbe,  in  quanto  gli  imputati  avrebbero  agito  «a   titolo
personale», e non nell'ambito di un collegamento  funzionale  con  il
Servizio, risulta contraddetta dal  fatto  che  nei  confronti  degli
stessi e' stata contestata e ritenuta l'aggravante  di  cui  all'art.
605, secondo comma, n. 2), del codice penale  (sequestro  di  persona
aggravato se il fatto e' commesso da un pubblico ufficiale, con abuso
di poteri inerenti alle  sue  funzioni):  come  emerge  dal  capo  di
imputazione, l'aggravante stessa e' stata,  infatti,  configurata  in
ragione proprio del fatto che il delitto era stato commesso con abuso
dei poteri inerenti alle funzioni di appartenenti al SISMI. 
    Prospettare, poi, la estraneita' del Servizio  ai  fatti  oggetto
del  procedimento  penale,  appare,  allo  stesso  modo,  intimamente
contraddetto dalle circostanze evocate nel capo di  imputazione,  ove
si formula  un  espresso  riferimento,  non  soltanto  alle  qualita'
soggettive dei singoli imputati e al ruolo  concretamente  svolto  in
collegamento con la rete CIA in Italia, ma, anche, all'utilizzo,  per
la relativa  operazione,  di  una  struttura  del  SISMI,  oltre  che
dell'apparato logistico di cui disponeva la rete CIA. 
    Sembra opportuno, del resto, sottolineare  un  ulteriore  profilo
sul quale la sentenza della Corte  di  cassazione  non  pare  essersi
soffermata. A proposito della cosiddetta immunita'  funzionale  degli
appartenenti ai Servizi, l'art.  204,  comma  1-bis,  del  codice  di
procedura penale (inserito dall'art. 40 della legge n. 124 del  2007,
successiva al fatto-reato ma di gran lunga antecedente alla  sentenza
di primo grado)  stabilisce  che  non  possono  formare  oggetto  del
segreto i fatti, le notizie o  i  documenti  relativi  alle  condotte
poste in essere da appartenenti ai Servizi  di  informazione  per  la
sicurezza in violazione  della  disciplina  concernente  la  speciale
causa di giustificazione prevista per l'attivita' del  personale  dei
Servizi di informazione per la sicurezza. Puntualizza  la  norma  che
«si considerano violazioni della predetta disciplina le condotte  per
le quali, essendo stata esperita l'apposita procedura prevista  dalla
legge,  risulta  esclusa  l'esistenza   della   speciale   causa   di
giustificazione». 
    Ebbene, l'art. 18 della stessa  legge  n.  124  del  2007,  nello
stabilire le «procedure di  autorizzazione  delle  condotte  previste
dalla legge come reato», espressamente prevede, al comma 6, che  «nei
casi in cui la condotta prevista dalla legge  come  reato  sia  stata
posta in essere in assenza ovvero oltre i limiti delle autorizzazioni
previste dal presente  articolo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  adotta  le  misure   necessarie   e   informa   l'autorita'
giudiziaria senza ritardo». 
    Il divieto di segreto sulle attivita' "illecite" poste in  essere
dagli agenti dei Servizi in assenza ovvero oltre i  limiti  tracciati
dalle direttive  autorizzatorie  -  con  il  correlativo  obbligo  di
informativa, come si e' appena osservato, da parte del Presidente del
Consiglio dei ministri  -  avrebbe  dovuto,  dunque,  imporre  -  ove
l'assunto della Corte di cassazione fosse considerato corretto -  una
condotta del tutto  antitetica  rispetto  a  quella  mantenuta  nella
vicenda da parte del ricorrente: la ribadita e confermata sussistenza
del  segreto,  invece,  ed  il  correlativo  promovimento  dei   vari
conflitti, attestano, di per se', la implausibilita' della  tesi  che
vorrebbe ricondurre i fatti nel quadro di una iniziativa adottata  "a
titolo personale" dai vari imputati; e comunque escludono, anche  sul
piano logico, la possibilita' che lo  spazio  operativo  del  segreto
possa  essere  "interpretato"  nei  sensi  additati  dalla  Corte  di
cassazione. 
    D'altra parte, la portata "oggettiva" del  segreto  risulta  gia'
univocamente tracciata, con riferimento alla vicenda di specie, dalla
piu' volte ricordata sentenza n. 106 del 2009. In  essa  si  e',  fra
l'altro, ricordato (punto 12.3. del Considerato in diritto),  che  il
segreto di Stato non aveva mai avuto, appunto, ad oggetto  «il  reato
di  sequestro  in   se',   accertabile   dall'Autorita'   giudiziaria
competente nei modi ordinari, bensi', da un lato, i  rapporti  tra  i
Servizi segreti  italiani  e  quelli  stranieri  e,  dall'altro,  gli
assetti  organizzativi  ed  operativi  del  SISMI,  con   particolare
riferimento  alle  direttive  e  agli  ordini  che  sarebbero   stati
impartiti dal suo Direttore agli appartenenti al medesimo  organismo,
pur se tali rapporti, direttive ed ordini  fossero  in  qualche  modo
collegati al fatto di reato stesso; con la  conseguenza  [...]  dello
"sbarramento" al potere giurisdizionale derivante dalla opposizione e
dalla conferma, ritualmente intervenuti, del segreto di Stato». 
    In tale prospettiva, quindi, pare arduo negare che  la  copertura
del segreto - il cui effettivo ambito non  puo',  evidentemente,  che
essere  tracciato  dalla  stessa  autorita'  che  lo  ha  apposto   e
confermato e che e' titolare del relativo  munus  -  si  proietti  su
tutti i fatti, notizie e documenti concernenti le eventuali direttive
operative,  gli  interna  corporis  di  carattere   organizzativo   e
operativo, nonche' i rapporti  con  i  Servizi  stranieri,  anche  se
riguardanti  le  renditions  ed  il  sequestro  di  Abu  Omar.  Cio',
ovviamente, a condizione che gli atti e i comportamenti degli  agenti
siano oggettivamente orientati  alla  tutela  della  sicurezza  dello
Stato. 
    7.- Alla  stregua  dei  riferiti  rilievi  deve  pertanto  essere
dichiarato che non spettava alla Corte  di  cassazione  annullare  il
proscioglimento degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di  Gregori
e Mancini e di annullare le ordinanze pronunciate  il  22  ed  il  26
ottobre 2010, con  le  quali  la  Corte  d'appello  di  Milano  aveva
ritenuto inutilizzabili le  dichiarazioni  rese  dagli  indagati  nel
corso  delle  indagini   preliminari.   Conseguentemente,   va   pure
dichiarato che non spettava alla Corte d'appello di Milano,  in  sede
di giudizio di rinvio, affermare - in  ottemperanza  ai  dicta  della
sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione  -  la
penale responsabilita'  degli  imputati  anzidetti  in  relazione  al
sequestro di Abu Omar; cosi' come non spettava - tenuto  conto  della
esistenza del segreto di Stato - pronunciare la condanna  sulla  base
della   utilizzazione   processuale   dei   verbali   relativi   agli
interrogatori resi dagli imputati nel corso delle indagini (dei quali
era stata disposta la  restituzione  al  Procuratore  generale  della
Repubblica presso la medesima Corte con le  ordinanze  del  22  e  26
ottobre 2010, poi annullate dalla  Corte  di  cassazione,  senza  che
fosse dato corso all'interpello  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ai fini della conferma del segreto di Stato,  opposto  dagli
imputati Pollari, Mancini,  Ciorra,  Di  Troia  e  Di  Gregori  nella
udienza del 4  febbraio  2013:  udienza  nel  corso  della  quale  il
Procuratore generale era  stato  invitato  a  rassegnare  le  proprie
conclusioni, utilizzando  fonti  di  prova  coperte  dal  segreto  di
Stato). 
    A questa dichiarazione di non spettanza consegue  l'annullamento,
in parte qua, dei  corrispondenti  atti  giurisdizionali,  menomativi
delle  attribuzioni  del  ricorrente  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in materia di apposizione del segreto  di  Stato.  Parimenti
menomativa deve intendersi anche la  surricordata  condotta  omissiva
della Corte d'appello di Milano,  laddove  ha  mancato  di  procedere
all'interpello del Presidente del Consiglio dei  ministri  in  ordine
alla conferma del segreto di Stato opposto da taluni imputati. 
    8.- Non appare, per contro, fondata la censura secondo  la  quale
la Corte d'appello di  Milano,  quale  giudice  del  rinvio,  avrebbe
violato il principio  di  "leale  collaborazione"  tra  poteri  dello
Stato, per aver omesso di sospendere il procedimento penale in attesa
della  decisione  della  Corte  costituzionale  sul  conflitto   gia'
proposto in riferimento alla  sentenza  di  annullamento  pronunciata
dalla Corte di cassazione, e del cui deposito la Corte d'appello  era
stata informata il giorno prima di quello  in  cui  aveva  emesso  la
sentenza qui censurata. 
    Da un lato, infatti, il principio  di  leale  collaborazione  non
impone, di per se', in linea  generale,  la  paralisi  nell'esercizio
delle  attribuzioni  contestate;  dall'altro,  la   sospensione   del
processo da parte  della  autorita'  giudiziaria  procedente  non  e'
prevista per tale ipotesi di "contenzioso"; con la conseguenza che la
stessa - ove disposta -  si  sarebbe  tradotta  in  un  provvedimento
praeter legem, se non, addirittura, contra legem, avuto  riguardo  al
regime tassativo che disciplina i casi di sospensione del processo  e
che  automaticamente  coinvolgono,  fra  l'altro,  la  disciplina  di
diritto sostanziale della prescrizione del reato. 
    9.- All'accertamento dell'avvenuta lesione delle attribuzioni del
Presidente del Consiglio dei ministri segue l'annullamento degli atti
che hanno integrato la menomazione, nella parte e per i  profili  che
qualificano ciascuna dichiarazione di "non spettanza". 
    Competera',  poi,  alla   autorita'   giudiziaria   valutare   le
conseguenze che, sul piano processuale, scaturiscono dalla  pronuncia
di annullamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara 
    1) che non spettava alla Corte di cassazione annullare -  con  la
sentenza n. 46340/12 del 19 settembre 2012 - il proscioglimento degli
imputati Pollari Nicolo', Ciorra  Giuseppe,  Di  Troia  Raffaele,  Di
Gregori Luciano e Mancini Marco, nonche' le ordinanze emesse il 22 ed
il 26 ottobre 2010, con le quali la Corte d'appello di  Milano  aveva
ritenuto inutilizzabili le  dichiarazioni  rese  dagli  indagati  nel
corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il  segreto  di
Stato apposto in  relazione  alla  vicenda  del  sequestro  Abu  Omar
concernerebbe solo i rapporti tra il  Servizio  italiano  e  la  CIA,
nonche'  gli  interna  corporis  che  hanno  tratto   ad   operazioni
autorizzate dal Servizio, e non anche al fatto storico del  sequestro
in questione; 
    2) che non spettava alla Corte d'appello di Milano, quale giudice
del rinvio, ammettere - con l'ordinanza del  28  gennaio  2013  -  la
produzione, da parte della Procura generale della  Repubblica  presso
la medesima Corte, dei verbali relativi agli interrogatori  resi  nel
corso delle indagini da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori - atti
dei quali era stata disposta la restituzione al Procuratore  generale
da parte della stessa Corte d'appello con le ordinanze del  22  e  26
ottobre 2010, poi annullate dalla Corte di cassazione con la sentenza
innanzi indicata; 
    3)  che  non  spettava  alla  Corte  d'appello  di  Milano  -  in
riferimento alla ordinanza pronunciata il 4 febbraio 2013 -  omettere
l'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini  della
conferma  del  segreto  di  Stato  opposto  dagli  imputati  Pollari,
Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso della udienza  dello
stesso  4  febbraio  2013,  invitando  il  Procuratore   generale   a
concludere e a svolgere la sua requisitoria con l'utilizzo  di  fonti
di prova coperte da segreto di Stato; 
    4) che non spettava alla Corte d'appello di Milano - in relazione
alla sentenza n. 985 del 12  febbraio  2013  -  affermare  la  penale
responsabilita' degli imputati Pollari Nicolo',  Di  Troia  Raffaele,
Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori  Luciano,  in  ordine  al
fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che
il  segreto  di  Stato  apposto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in relazione alla relativa vicenda,  concernerebbe  solo  i
rapporti tra il Servizio italiano  e  la  CIA,  nonche'  gli  interna
corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal  Servizio,  e
non  anche  quelli  che  attengono  comunque  al  fatto  storico  del
sequestro in questione; 
    5) che non spettava alla Corte d'appello di  Milano  emettere  la
sentenza innanzi indicata sulla base dell'utilizzazione  dei  verbali
relativi agli interrogatori  resi  dagli  imputati  nel  corso  delle
indagini preliminari - di cui era stata disposta la  restituzione  al
Procuratore generale da parte della stessa  Corte  d'appello  con  le
ricordate ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 -  senza  che  si  fosse
dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio  dei  ministri
ai fini della conferma del segreto di Stato opposto  dagli  anzidetti
imputati nel corso della  udienza  del  4  febbraio  2013,  essendosi
invitato il Procuratore  generale  a  concludere,  in  modo  tale  da
consentirgli di svolgere la sua  requisitoria  utilizzando  fonti  di
prova coperte dal segreto di Stato; 
    6) che spettava alla Corte d'appello di Milano non sospendere  il
procedimento penale a carico degli imputati Pollari, Mancini, Ciorra,
Di Troia e Di Gregori in  pendenza  del  giudizio  per  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato; 
    annulla, nelle corrispondenti parti, la sentenza della  Corte  di
cassazione  e  quella  della  Corte  d'appello  di  Milano,   innanzi
indicate, nonche' le ordinanze anzidette, anch'esse nelle  rispettive
parti. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI