N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 agosto 2013
Ordinanza del 16 agosto 2013 emessa dal Tribunale di Siena nei procedimenti civili riuniti promossi da Borsini Luciana contro Novartis vaccines and Diagnostics Srl.. Lavoro (controversie in materia di) - Giudizio di opposizione alla ordinanza che accoglie o rigetta il licenziamento del lavoratore - Possibilita' che il giudizio di opposizione abbia svolgimento davanti al medesimo giudice persona fisica della fase sommaria - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del diritto di azione e di difesa in giudizio - Lesione del principio del giudice naturale - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento - Violazione dei principi del giusto processo. - Legge 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 51. - Costituzione, artt. 3, commi primo e secondo, 24, commi primo e secondo, 25, primo comma, 97 e 111, primo comma. Procedimento civile - Astensione e ricusazione del giudice - Astensione del giudice che abbia conosciuto della fattispecie oggetto del giudizio in altro grado del processo - Esclusione dell'operativita' nel giudizio di opposizione all'udienza che accoglie o rigetta il licenziamento del lavoratore - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del diritto di azione e di difesa in giudizio - Lesione del principio del giudice naturale - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento - Violazione dei principi del giusto processo. - Codice di procedura civile, art. 51, primo comma, n. 4. - Costituzione, artt. 3, commi primo e secondo, 24, commi primo e secondo, 25, primo comma, 97 e 111, primo comma.(GU n.10 del 26-2-2014 )
IL TRIBUNALE Pronunciano nel procedimento n. 322 (+ 326)/2013 rgl; Rileva ed osserva Sia la lavoratrice, Luciana Borsini, sia la datrice di lavoro, Novartis Vaccines and Diagnostics S.r.l., hanno proposto "opposizione", ai sensi del comma 51, art. 1, l. 2012 n, 92, all'"ordinanza" 8 aprile 2013 del Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro, a mezzo della quale si "ordina(va) alla Novartis Vaccines and Diagnostics Srl l'immediata reintegrazione di Luciana Borsini nel posto di lavoro" ad esito del licenziamento intimatole con lettera 21 settembre 2012. All'udienza 2 agosto 2013 il giudice - il medesimo giudice persona fisica - si e' preliminarmente riservato sulla sollecitazione ad astenersi ex art. 51, comma 1, n. 4, cpc, quindi obbligatoriamente, per aver "conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del processo", specificamente nella fase a cognizione sommaria apprestata dai commi 48/50. Sulla questione non puo' ritenersi stabilmente ambientato un "diritto vivente", se non incarnato in "una lonza (...) che di pel maculato era coverta", che per il giurista non puo' classificarsi, ammantarsi di quel nome. Firenze non la pensa come Milano, che a sua volta la pensa come Genova, Bologna e Palermo, ma non come Napoli, Reggio Calabria, etc., senza che possa dirsi prevalente e costante, consolidata una interpretazione giudiziale, anche perche' la disciplina della materia e' troppo recente per consentire la formazione di un "diritto vivente", una interpretazione normativa che abbia acquisito "forza di modello unificante delle applicazioni giurisprudenziali" e su di essa si sono gia' creati insanabili conflitti giurisprudenziali sui quali la Corte puo' da subito fornire il proprio prezioso orientamento ermeneutico egalitario. Vissuta, invece, riteniamo l'interpretazione della Corte Costituzionale, espressa nell'ordinanza 1997/n. 356 e nella sentenza 1999/n. 387, rese in materia certamente almeno limitrofa, quale il procedimento ex art. 28, l. 1970/n. 300, di repressione della condotta antisindacale, senza dimenticare l'ulteriore intervento, in diversa materia, rappresentato dalla sent. 2005/n. 460. Con l'ord. 1997/n. 356, "(si e') dichiara(ta) la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, ultimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come novellato dall'art. 6, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia". "La norma denunciata - argomenta l'ord. 1997/n. 356 - puo' avere il solo significato di indicazione dell'organo giurisdizionale competente, e non quello ulteriore di vincolo nella composizione del Tribunale amministrativo regionale, restando questa disciplinata dalle normali regole proprie del giudizio amministrativo, ivi comprese quelle relative ai poteri presidenziali di assegnazione dei ricorsi alle singole udienze e ai relatori, con conseguenziale determinazione del collegio, ovvero riguardanti la insopprimibile esigenza di imparzialita' del giudice e risolvibili nel processo amministrativo per la sua peculiarita' attraverso gli istituti della astensione e della ricusazione, come del resto avverte lo stesso giudice rimettente; che il contenuto della norma denunciata, non avendo alcun effetto di vincolare la composizione del collegio giudicante in sede di opposizione avverso il decreto a seguito di cognizione sommaria, non preclude una eventuale astensione o ricusazione, i cui istituti nel sistema proprio del processo amministrativo, devono risolvere in modo esaustivo il dovere di imparzialita' che esprime un valore costituzionale". Con la sent. 1999/n. 387, "(si e') dichiara(ta) non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4, e secondo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Torino", nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra le funzioni del giudice pronunciatosi con decreto ex art. 28, comma 1, l. 1970/n. 300, e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto di cui al comma 3. Prese le mosse dal precedente intervento del 1997, ord. 356, cosi' argomenta la sent. 1999/n. 387: "sul piano generale, esigenza imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, e' solo quella di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito; sicche', condizione necessaria per dover ritenere una incompatibilita' endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni che cadano sulla stessa res iudicanda (cfr. sentenza n. 131 del 1996). Nel processo civile la previsione contenuta nell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ., secondo il quale il giudice ha l'obbligo di astenersi "se ha conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del processo" trova fondamento nella "esigenza stessa di garanzia che sta alla base del concetto di revisio prioris instantiae", che postula l'alterita' del giudice dell'impugnazione, il quale si trova - per via del carattere del mezzo di gravame - a dover ripercorrere l'itinerario logico che e' stato gia' seguito onde pervenire al provvedimento impugnato (ordinanza n. 359 del 1998; sentenza n. 326 del 1997). Nel sistema originario del procedimento di repressione della condotta antisindacale, nel quale era prevista una fase davanti al Pretore, il quale decideva in ordine alla richiesta di emissione del decreto ex art. 28, della legge n. 300 del 1970, ed una eventuale opposizione avanti al Tribunale, non si poteva dubitare della sussistenza di una duplicita' di fasi processuali, la seconda delle quali avanti al Tribunale assumeva tutte le caratteristiche di un ulteriore grado di giudizio. Pertanto, la fattispecie rientrava all'evidenza nell'ambito della previsione dell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ., avuto riguardo anche alla considerazione che il provvedimento ex art. 28 cit. aveva una funzione decisoria idonea di per se' a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale e provvisorio ovvero interinale fino alla decisione del merito ma anzi suscettibile - in caso di mancata opposizione - di assumere valore di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti. Nello stesso tempo la valutazione delle condizioni che legittimano il provvedimento ex art. 28 non divergeva - quanto a parametri di giudizio - da quella che deve compiere il giudice dell'eventuale opposizione, se non per il carattere del contraddittorio e della cognizione sommaria; allo stesso modo, risultando identici l'oggetto e il presupposto dell'azione di tutela contro la condotta antisindacale nelle due fasi, la seconda di esse assumeva valore impugnatorio con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae. 6. - Il rapporto tra le due fasi, sotto il profilo della imparzialita-terzieta' del giudice non puo', ora, ritenersi mutato per il semplice sopravvenuto intervento di modifica (legge 8 novembre 1977, n. 847, art. 3, sostitutivo del terzo comma dell'art. 28, della legge n. 300 del 1970) della sola norma sulla competenza con la riunificazione di questa in capo al giudice monocratico, essendo rimaste identiche le norme relative ai poteri del giudice nelle diverse fasi, ai presupposti delle pronunce, nonche' agli effetti e alle altre regole dello speciale procedimento". "7. - Ancora - prosegue la sent. 1999/n. 387 - non puo' costituire ostacolo ad una applicazione, nelle fasi del procedimento di repressione di condotta antisindacale, della regola della alterita' del giudice dell'impugnazione la dizione del codice di procedura del 1942, cioe' "magistrato in altro grado del processo". Tale espressione deve, infatti, intendersi alla luce dei principi che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto processo, come espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 della Costituzione) avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe' con la connaturale imparzialita', senza la quale non avrebbe significato ne' la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 della Costituzione), ne' la stessa autonomia ed indipendenza della magistratura (art. 104, primo comma, della Costituzione). In altri termini, la espressione "altro grado" non puo' avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine degli uffici giudiziari, come previsto dall'ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere - con una interpretazione conforme a Costituzione - anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata (per la peculiarita' del giudizio di opposizione di cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche' avanti allo stesso organo giudiziario". "8. - Infine - conclude la sent. 1999/n. 387 - non puo' impedire la anzidetta interpretazione dell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ., la circostanza che l'ufficio giudiziario rimettente abbia dei criteri di assegnazione delle cause ai magistrati della sezione del lavoro, espressi nelle tabelle periodiche, nel senso della identita' del giudice delle due fasi, posto che una determinazione organizzatoria - amministrativa, non puo' derogare a principi contenuti nelle norme processuali e costituzionali, dovendo il giudice disapplicarla - in quanto priva di forza di legge - se in contrasto con detti principi. Del resto, altri uffici giudiziari, sulla base di diverse tabelle debitamente approvate, hanno da tempo applicato criteri del tutto conformi ai principi costituzionali sopraindicati, disponendo l'assegnazione delle cause di opposizione a decreto ex art. 28, della legge n. 300 del 1970 sulla base degli ordinari criteri, con esclusione specifica del giudice del primo procedimento. Tantomeno puo' valere ad escludere l'anzidetta interpretazione la considerazione di possibili rischi di lentezze e difficolta' nella gestione degli uffici giudiziari, poiche' deve ritenersi assolutamente preminente il principio costituzionale della imparzialita' del giudice, da attuarsi nel processo civile per mezzo dell'istituto dell'astensione e ricusazione. D'altro canto, le prospettate difficolta', mentre risultano gia' all'epoca smentite dalla pacifica attuazione dei principi anzidetti in uffici giudiziari con dimensioni di procedimenti tutt'altro che insignificanti, sono ormai del tutto trascurabili a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado, che consentira' una possibilita' di scelta piu' ampia tra magistrati cui assegnare la seconda fase del procedimento a seguito di opposizione, 9. - In definitiva, la questione deve essere dichiarata infondata sotto tutti i profili denunciati dalle tre ordinanze del Pretore di Torino, essendo l'interprete tenuto ad una esegesi costituzionalmente corretta della norma denunciata, tale da ricomprendere, tra le ipotesi, dalla stessa contemplate, di obbligo di astensione del giudice per avere conosciuto della causa in un altro grado, quella dell'opposizione a decreto dallo stesso emesso ex art. 28, primo comma, della legge n. 300 del 1970". Infine, con la sent. 2005/n. 460, la Corte costituzionale, in altra materia (giudizio di opposizione di cui all'art. 18, del r.d. 1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), ha nuovamente "dichiara(to) non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Grosseto". Compiuto ampio riferimento e piena condivisione, in specie della sent. 1999/n. 387, la sent. 2005/n. 460, puntualizza, "che la sostanziale natura impugnatoria dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento non si riscontra, come questa Corte ha gia' statuito, nel caso dell'opposizione allo stato passivo (caratterizzato da accertamento sommario, incompleto e superficiale: sentenze n. 158 del 1970; n. 94 del 1975; ordinanze n. 304 del 1998; n. 167 del 2001; n. 75 del 2002), del reclamo ex art. 26, della legge fallimentare avverso provvedimenti del giudice delegato (caratterizzato dalle esigenze di continuita' dello svolgimento della procedura concorsuale: sentenza n. 363 del 1998), del giudizio promosso dal curatore su autorizzazione .del giudice delegato (data sulla base di una mera delibazione di non infondatezza: ordinanza n. 176 del 2001). Ne' si riscontra, al di fuori delle procedure concorsuali, nei casi - anch'essi esaminati da questa Corte - di provvedimento cautelare autorizzato ante causam e di successiva cognizione piena in sede di giudizio di merito (sentenza n. 326 del 1997), di decisione emessa ex art. 187-quater cod. proc. civ. (ordinanza n. 168 del 2000), di rinvio cosiddetto restitutorio ex art. 354 cod. proc. civ. (sentenza n. 341 del 1998). 3.3. - In conclusione, l'obbligo di astensione - la cui violazione e' idonea a rendere nulla la sentenza per vizio di costituzione del giudice solo se sia tempestivamente proposta la ricusazione e questa venga erroneamente respinta - presuppone, come nell'ipotesi qui in esame, che il procedimento svolgentesi davanti al medesimo ufficio giudiziario sia solo apparentemente "bifasico", mentre in realta' esso - per le caratteristiche decisorie e potenzialmente definitive del provvedimento che chiude la prima fase e per la sostanziale identita' di valutazioni da compiersi in entrambe le fasi nel rispetto del principio del contraddittorio, ancorche' realizzato con modalita' deformalizzate - si articola in due momenti, il secondo dei quali assume il valore di vera e propria impugnazione, e acquista pertanto, i caratteri essenziali di «altro grado del processo». Se abbiamo riletto e ricordato a noi stessi il pensiero, l'interpretazione del Giudice delle Leggi e' per maturare ancor piu' pienamente la convinzione che quei principi, traslati nella nostra fattispecie (procedimento ex art. 1, comma 47 ss., l. 2012/n. 92) non possano che condurre all'accoglimento della sollecitazione astensiva ovvero velata minaccia ricusatoria. Non pare dubbio, infatti, che il provvedimento conclusivo della fase sommaria, l'ordinanza immediatamente esecutiva, tra altro con previsione di temporanee non sospensione o revoca (co. 50), di accoglimento o rigetto della domanda di impugnazione del licenziamento nelle ipotesi previste dall'art. 18, l. 1970/n. 300, chiuda una fase-grado, con attitudine alla definitiva e certa regolamentazione dichiarativa, decisoria dell'assetto del diritto sostanziale ad esito dell'impugnazione del recesso datoriale, un procedimento che non ha struttura e funzione meramente cautelari, la cui rilevanza socio-economica e' tra altro inversamente proporzionale alla sua stretta delimitazione processuale (co. 48, 3° periodo). Come non e' dubbio che il giudizio, eventuale, che ne consegua, ex comma 51 ss., abbia struttura e funzione impugnatoria o di riesame (anche per talune espressioni letterali, quali "contro l'ordinanza", "opposizione", "a pena di decadenza entro trenta giorni", "con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47"). Se il giudice e' notoriamente tenuto ad una interpretazione della norma conforme a Costituzione, "l'uso, quindi, della normativa costituzionale deve essere compreso nell'ambito della comune interpretazione sistematica della legge ordinaria, e dunque e' tra i canoni che il giudice ordinario deve usare per formulare l'interpretazione corretta", riteniamo che la stella cometa di questa tecnica interpretativa sia tracciata anzitutto dal pensiero cosi' autorevolmente espresso e ribadito dalla Corte costituzionale, e in materia (art. 28 Statuto dei Lavoratori) certo con impressionanti tratti di analogia, strutturali e funzionali, pur nella diversita' della fattispecie sostanziale e delle esigenze di accertamento e tutela, a fronte del modello di chiara ispirazione. Pertanto, pur dandosi atto dello straordinario sforzo argomentativo di taluni giudici nazionali e autori della dottrina, propendiamo per l'affermazione che l'astensione e in suo difetto l'accoglimento della ricusazione, siano in materia rispettivamente doverose e scontate, poiche' "la reinterpretazione, da parte della Corte costituzionale, della disposizione impugnata e' pur sempre finalizzata al sindacato di costituzionalita' e non a semplice intento nomofilattico, cosi' che l'interpretazione "corretta" reperita sul piano della legislazione ordinaria (...) e' di regola anche quella "costituzionalmente conforme" sulla quale si basa la valutazione di non fondatezza", elevandosi pertanto l'interpretazione conforme a Costituzione quale unica interpretazione possibile della disposizione impugnata. Il dispositivo delle decisioni interpretative di rigetto sopra menzionate contiene una parte negativa in certo modo vincolante, in quanto la disposizione non puo' essere interpretata nel senso ritenuto palesemente incostituzionale dalla Corte. E' questa via orientata, non sulla base di un diritto vivente in materia mai nato, ma dall'interpretazione vissuta e vivente (da ultimo, in generale, Corte costituzionale, sent. 3-9/7/2013, n. 183: "giova premettere che, per reiterata affermazione di questa Corte, le norme sull'incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen., presidiano i valori della sua terzieta' e imparzialita', attualmente oggetto di espressa previsione nel secondo comma dell'art. 111 Cost., aggiunto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione), ma gia' in precedenza pacificamente insiti nel sistema costituzionale. Le predette norme risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere un atteggiamento gia' assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001)", e per certi aspetti vincolante del Giudice delle Leggi, che riteniamo sommessamente doversi modificare, sotto due profili. Il primo, che sosteniamo con particolare convinzione, con specifico riferimento alla propria esperienza, ma condivisa da tutte quelle numerose sedi giudiziarie del Paese in cui istituzionalmente e' previsto uno ed un solo Giudice unico del Lavoro persona fisica. Il secondo, di portata piu' generale e problematica. Riteniamo infatti, non potendo discostarci dall'interpretazione conforme a Costituzione data, quale unica interpretazione possibile delle disposizioni impugnate, che la ponderazione di tutti i valori costituzionali da bilanciare in materia debba sempre condurre piuttosto alla identita' del giudice persona fisica, nelle due fasi-grado in cui si articola il procedimento implicato nella presente controversia (art. 1, comma 47 ss. l. 2012/n. 92). Quanto al primo profilo, si tratta di rendersi conto come nelle diffuse realta' locali predette, quali la sanese, aderendosi doverosamente alla impostazione massimamente garantista riportata, non ci si limiti a "introdurre nella gestione degli uffici, gia' appesantita da lentezze di varia natura, nuove difficolta'", gia' stigmatizzate nella loro essenziale irrilevanza dalla sent. 1999/n. 387, "poiche' deve ritenersi assolutamente preminente il principio costituzionale della imparzialita' del giudice" (cfr. inoltre sent. 2005/n. 460, che al passo compie richiamo: "esclusa ogni rilevanza dei pretesi inconvenienti fattuali derivanti dalla interpretazione adottata come l'unica conforme a Costituzione"). Le controversie ex art. 409 cpc, che forse e senza forse assumono il piu' elevato spessore individuale ed economico-sociale, quali le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti in area regolata dall'art. 18" (tra le quali debbono ricondursi anche i licenziamenti collettivi ex lege 1991/n. 223 e mod. succ.), una disposizione che si compone oggi di "sole" 1675 parole, vengono ad essere sottratte alla professionalita' del Giudice unico del Lavoro, per essere in sede locale demandate alla cognizione di un giudice non specializzato, e cio' non in via eccezionale (astensione, ricusazione, temporanea assenza) dove la deroga appare pressoche' inevitabile, ma con previsione ordinaria e nella generalita' dei casi. Aprendo una piccola digressione empirica, nella realta' locale in circa un anno di applicazione della legge di "riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita" sono stati proposti e decisi con ordinanza circa sessanta ricorsi ex comma 48, art. 1, l. 2012/n. 92. I giudizi di opposizione ex comma 51, sono stati proposti in numero di circa 10. Un rapporto fase sommaria/opposizione di circa 6 ad 1. L'attribuzione a giudice non specializzato dell'una o l'altra delle due fasi-grado presenta attentati lesivi di pari gravita': attribuire al giudice non specializzato la fase a cognizione sommaria parrebbe demandare ad esso la potenziale definizione della maggior parte del contenzioso in materia; attribuire, invece, al giudice non specializzato la fase a cognizione ordinaria, sottrae al giudice che professionalmente opera in funzione di giudice del lavoro la definizione del giudizio di primo, sia pure articolato, grado ex commi 51/57. Due soluzioni che travalicano entrambe l'argine pur non privo di rispettabilita' dell'"Inconveniente fattuale" ed esondano nella piu' aperta violazione, dell'art. 3, commi 1 e 2, dell'art. 24, commi 1 e 2, dell'art. 25, comma 1, Cost. L'"inconveniente" appena sopra denunciato non si propone, ovviamente, non appena le figure professionali del Giudice unico del Lavoro siano impersonate istituzionalmente, ordinariamente, da piu' di una persona fisica, come in altrettanto numerose realta' locali - ma il legislatore nazionale dovrebbe appunto essere nazionale e non locale - tuttavia, ribadiamo che la ponderazione di tutti i valori costituzionali da bilanciare in materia debba sempre condurre alla identita' del giudice persona fisica, nelle due fasi-grado in cui si articola il procedimento implicato nella presente controversia (art. 1, comma 47 ss. l. 2012/n. 92). La finalita' dichiarata del legislatore del 2012 di "riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita" (art. 1, comma 1, l. n. 92: "la presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantita' e qualita', alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione"), si e' voluta attuare in particolare, per quanto qui di interesse,"(...) adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altresi' di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie", fortemente valorizzando in tempi di grave crisi un evidente interesse pubblico, economico-sociale, di sembianza bilaterale, proprio sia del lavoratore che del datore di lavoro, tale tra altro da imporre una almeno tendenziale obbligatorieta' e non mera facoltativita' del rito speciale. Ora, non solo dobbiamo registrare stupefatti, a fronte di questa importante proclamazione di intenti, il contenuto del comma 69 ("dall'attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 47 a 68 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ovvero minori entrate"), ma assistiamo inermi in questo disegno "a costo zero", a fronte della avvertita, giusta esigenza di accelerazione processuale in materia, alla scomposizione bifasica del giudizio di primo grado, cioe' alla introduzione di un meccanismo processuale che inevitabilmente ritarda, in luogo di anticipare, la definizione della causa (ed e' solo un dato empirico isolato, locale e provvisorio la cennata rilevazione di una elevata percentuale di definizioni in fase sommaria, ex comma 49, non seguite da opposizione ex comma 51). Se in questo assetto rituale introduciamo la necessaria presenza di due giudici persona fisica ad occuparsi della materia, con aggravato dispendio di tempo e risorse da parte di una organizzazione in molti casi gia' gravemente sofferente, senza criterio di ragionevole proporzionalita', viene a collocarsi nel gia' complicato meccanismo un fattore di ulteriore potenziale rallentamento del giudizio che, se deve svolgersi "davanti a giudice terzo e imparziale", deve altresi' ricevere assicurazione da parte della legge di una "ragionevole durata" (art. 111 Cost.), non senza misconoscere elementari istanze di buon andamento dell'amministrazione anche della Giustizia (art. 97), e gia' abbiamo appena sopra rilevato la negativa precauzione legislativa del comma 69. Ne puo' tacersi sullo sfondo il principio, di applicazione e derivazione comunitaria, in base al quale una determinata norma deve essere interpretata, di preferenza, in modo da favorire il raggiungimento dell'obiettivo in essa prefissato, Corte di Giustizia, Quinta Sezione, sentenza 14 ottobre 1999, Adidas AG, in causa C-223/98 (punto 24: "si deve rilevare poi che, allorche' una disposizione di diritto comunitario e' suscettibile di svariate interpretazioni delle quali una sola idonea a salvaguardare l'effetto utile della norma, e' a questa che occorre dare priorita'"), come sent. 22 settembre 1988, Land della Sarre e altri, in causa C-187/87 (punto 19: "(...) solo l'interpretazione secondo la quale (...) consente di realizzare lo scopo di detta norma. E ad una simile interpretazione, idonea a salvaguardare effetto utile della norma, che occorre dare priorita', conformemente ad una giurisprudenza costante della Corte" (sentenza 5 maggio 1981 Commissione/Regno Unito, causa C-804/79; sentenza 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio, causa C-22/70; sentenza 6 ottobre 1970, Grad, causa C-9/70). Del resto, senza delicate e difficili trasposizioni concettuali, soccorre in tal senso gia' nel nostro ordinamento, lo stesso art. 12 disp. prel. c.c.. Di qui, riteniamo, la violazione omissivamente perpetrata dal legislatore in pregiudizio anche di quel valore costituzionale ("ragionevole durata" del processo, ex art. 111 Cost.), al quale in materia, ed oggi con particolare forza, deve essere attribuita valenza dominante, per attenere anch'esso a un principio e un diritto fondamentale, valenza che non e' peraltro possibile all'interprete accentuare ed affermare sulla base del rigoroso, assoluto orientamento della Corte costituzionale sul tema della preminenza del valore dell'imparzialita' del giudice sopra trascorso in rassegna. Se ci sentiamo, serenamente, di propugnare questo abbassamento, per dir cosi', del livello di guardia sul terreno della terzieta' ed imparzialita' del giudice e' anzitutto per una lettura processuale consapevolmente egalitaria, ex art. 3 Cost., risultando non pienamente comprensibile l'adozione in materia di licenziamento, pur nei casi regolati dall'art. 18, l. 1970/n. 300, di una scelta ordinamentale che preveda l'intervento di due giudici persona fisica in primo grado, aggravando quell'unicum rappresentato dall'esperienza dell'art. 28, l. 1970/n. 300. Propendiamo, inoltre, per una lettura di quei fondamentali principi che privilegi all'apparenza della terzieta' ed imparzialita' la sua sostanza. Il mestiere del giudice esercitato nel corso del grado del giudizio e' frutto continuo di progressive, stratificate, implicite ed esplicite decisioni, provvisorie, di parziali anticipazioni di giudizio (una fra tutte, la valutazione di ammissibilita', ma soprattutto rilevanza, dei mezzi di prova costituendi), senza stare neppure a menzionare la possibilita' di provvedimenti interinali di condanna (art. 423 cpc), come di provvedimenti cautelari ante causam, come in corso di causa (artt. 669-ter e quater cpc), provvedimenti autorizzatori o inibitori della provvisoria esecuzione (artt. 648, 649 cpc), etc. senza per questo potersi lontanamente concepire, pena la paralisi del sistema, un giudizio di primo grado impersonato da cento giudici diversi. Il giudice toccato in sorte in primo grado al lavoratore e al datore di lavoro, "sentite le parti e omessa ogni formalita' non essenziale al contraddittorio", "proceduto nel modo che ritiene piu' opportuno agli atti di istruzione indispensabili (...)", emana ex comma 49 una ordinanza. Il suo percorso cognitivo ed argomentativo e' per certi aspetti sicuramente sommario e i tempi imposti dal legislatore (comma 48) sono inoltre serrati. Nel giudizio eventuale di opposizione (comma 51) questo stesso giudice certamente ripercorrera' quella cognizione ed argomentazione, essenzialmente sul medesimo oggetto, ma su basi ricostruttive fattuali e anche giuridiche almeno parzialmente, ma decisivamente nuove, nell'ambito di una cognizione ora piena ed esauriente, che non soffre della maturazione di preclusioni per effetto della fase pregressa e che, in ogni caso, al suo esito sara' pienamente controllabile ad opera del giudice dell'appello. Vogliamo spingerci oltre, per affermare che la garanzia di una decisione giusta, obiettivo che supera e trascende il valore della terzieta' ed imparzialita', riceve piu' consistente probabilita' di funzionamento e riuscita proprio ad esito di una sommaria anticipazione di giudizio, che consente alla parte provvisoriamente soccombente di affinare e profondere il proprio sforzo argomentativo e persuasivo, in attuazione del principio del contraddittorio piu' piena rispetto alla ordinaria situazione in cui un giudice silente, magari ad esito di attivita' istruttoria, certamente ha cominciato nella propria mente (pur senza incorrere in violazione dell'art. 101, comma 2, introdotto dalla l. 2009/n. 69, art. 45) a maturare un certo convincimento contro il quale la parte potenzialmente pregiudicata, per non conoscerlo, rischia di non avere armi o di poterne sfoderare di minor efficacia. In fondo e' questa la difesa anche del valore della dignita' e della professionalita' del giudice, della sua sostanziale terzieta' ed imparzialita' - non condividiamo pienamente la teorica della "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere un atteggiamento gia' assunto" (v. sopra), ne' "il paventato pericolo di una degenerazione intuizionistica e di una deriva illegalistica", "il rischio di sconfinare nell'abuso e nell'arbitrio" - che sviliscono e mortificano il nostro intelletto e il nostro lavoro, tra altro in tempi nei quali ad opera di diffusi settori politici e sociali appare cosi' poco considerato, antidemocraticamente. Riteniamo pertanto rilevante, in relazione all'oggetto della presente controversia, di "opposizione", ai sensi del comma 51, art. 1, l. 2012/n. 92, all'"ordinanza" 8 aprile 2012 del Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro, a mezzo della quale si "ordina(va) alla Novartis Vaccines and Diagnostics Srl l'immediata reintegrazione di Luciana Borsini nel posto di lavoro", ad esito del licenziamento intimatole con lettera 21 settembre 2012, la questione di legittimita' costituzionale del comma 51 medesimo, nel contesto procedimentale di inserimento (art. 1, comma 47 ss., l. 2012/n. 92), come dell'art. 51, comma 1, n. 4, cpc, nella parte in cui la prima disposizione non prevede che il giudizio di opposizione abbia svolgimento davanti al medesimo giudice persona fisica della fase sommaria e la seconda non esclude dalla sua operativita' la fattispecie in parola, in violazione non manifestamente infondata dell'art. 3, commi 1 e 2, dell'art. 24, commi 1 e 2, dell'art. 25, comma 1, dell'art. 97 e dell'art. 111, comma 1, pt. II, Cost.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 23 l. 1953/n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art, 1, comma 51, nel contesto procedimentale di inserimento (art. 1, comma 47 ss., l. 2012/n. 92), come dell'art. 51, comma 1, n. 4, cpc, nella parte in cui la prima disposizione non prevede che il giudizio di opposizione abbia svolgimento davanti al medesimo giudice persona fisica della fase sommaria e la seconda non esclude dalla sua operativita' la fattispecie in parola, in violazione dell'art. 3, commi 1 e 2, dell'art. 24, commi 1 e 2, dell'art. 25, comma 1, dell'art. 97 e dell'art. 111, comma 1, pt. II, Cost; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza riservata sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica a cura della Cancelleria. Siena, 15 agosto 2013 Il giudice: Cammarosano