N. 29 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 2013

Ordinanza del 13 novembre 2013 emessa dal Tribunale di Brescia - sez.
per il riesame nel procedimento penale a carico di K.B.. 
 
Processo penale - Misure cautelari personali - Riesame dell'ordinanza
  che dispone una misura coercitiva - Ipotesi di ordinanza  cautelare
  la cui motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente
  con la comunicazione di reato della  polizia  giudiziaria  recepita
  per relationem  -  Interpretazione  della  Corte  di  cassazione  -
  Esclusione del vizio di nullita'  della  motivazione  -  Potere  di
  integrazione del Tribunale del riesame - Contrasto con il principio
  dell'obbligo di motivazione  dei  provvedimenti  giurisdizionali  -
  Lesione del  diritto  alla  liberta'  personale  -  Violazione  del
  principio di terzieta' del giudice. 
- Codice di procedura penale, art. 292, commi 1 e  2,  lett.  c),  in
  combinato disposto con l'art. 309, comma 9, del medesimo codice. 
- Costituzione, artt. 13, comma  secondo,  e  111,  commi  secondo  e
  sesto. 
(GU n.12 del 12-3-2014 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Riunito  in  Camera  di  consiglio  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza sulla richiesta di riesame depositata/pervenuta in data  27
febbraio 2013 dal difensore K.B. avverso l'ordinanza 9 febbraio  2013
del G.I.P. del Tribunale di  Bergamo  di  applicazione  della  misura
cautelare della custodia in carcere, pronunciando in sede di rinvio a
seguito  di  sentenza  della  Corte  di  Cassazione  20  giugno  2013
(depositata  l'11  luglio  2013)   di   annullamento   dell'ordinanza
pronunciata da questo Tribunale in data 8 marzo 2013; 
    Premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data  11
ottobre 2013 sciogliendo la riserva  formulata  all'udienza  camerale
del 29 ottobre 2013 
 
                               Osserva 
 
    Con ordinanza 9 febbraio 2013 - eseguita il 13 febbraio 2013 - il
G.I.P. del Tribunale di Bergamo applicava a K. B. la misura cautelare
della custodia  in  carcere  per  il  delitto  di  favoreggiamento  e
sfruttamento della prostituzione ai  danni  di  plurime  donne  e  in
concorso con altri soggetti. Piu' precisamente, il Giudice  ravvisava
la gravita' indiziaria riportando i contenuti della comunicazione  di
reato 84/5-101 del 21 febbraio 2013 dei Carabinieri di  Bergamo,  ivi
comprese le sintesi dell'attivita' di  intercettazione,  e  ritenendo
comprovata l'attribuzione a K.  B.  dell'utenza  intercettata  atteso
che, secondo l'impostazione  accusatoria  recepita  dal  Giudice,  il
ricorrente era subentrato nell'attivita' illecita allo zio paterno K.
G. nel frattempo rientrato in Albania. Il Giudice tuttavia  escludeva
la contestata ipotesi  associativa,  ravvisando,  nella  cooperazione
reciproca  di   tutti   gli   indagati   nello   sfruttamento   della
prostituzione  di  tutte  le  parti  offese  indicate  nel  capo   di
imputazione,  una   mera   ipotesi   concorsuale.   Riteneva   infine
sussistente il  pericolo  di  recidiva  e  adeguata  la  sola  misura
carceraria. 
    In sede di interrogatorio di garanzia il ricorrente  si  avvaleva
della  facolta'  di  non  rispondere,  spontaneamente  negando   ogni
addebito. 
    Proposta richiesta di  riesame  dalla  difesa  di  K.  B.  questo
Tribunale con ordinanza 8  marzo  2013  dichiarava  la  nullita'  del
provvedimento cautelare per difetto di motivazione. 
    Piu' precisamente, il Tribunale, richiamato il  canone  normativa
dell'art. 292 c. 2  c.p.p.  sul  contenuto  specifico  dell'ordinanza
cautelare in  punto  di  gravita'  indiziaria  e  sulla  sanzione  di
nullita' in caso di trasgressione di quel canone, ed  evidenziata  la
portata sostanziale dell'obbligo (pure sussistente a livello di fonte
costituzionale),  ripercorreva  la  giurisprudenza  di   legittimita'
sull'argomento - anche con richiami alle pronunce piu' recenti -  per
la necessita' di definire la  nozione  di  motivazione  nulla  in  un
ambito normativa che, comunque, consente  al  Tribunale  in  sede  di
riesame di integrare eventuali  carenze  dell'apparato  motivazionale
del provvedimento cautelare. 
    In particolare, il Tribunale  richiamava  alcune  pronunce  della
Suprema  Corte  secondo  le   quali   l'apparato   motivazionale   e'
inesistente perche' del tutto inadeguato  o  basato  su  affermazioni
apodittiche (Cass. sez. 3, 17 settembre 2010, Lteri Lulzim - nel caso
di specie la Corte, confermando l'ordinanza del Tribunale del riesame
che aveva dichiarato la nullita' del  provvedimento  del  G.I.P.,  ha
precisato  che  non  e'  sufficiente  una  mera  trascrizione   delle
intercettazioni   per   ritenere    soddisfatto    l'obbligo    della
motivazione), ovvero  quando  a  fronte  di  articolate  e  complesse
risultanze delle investigazioni ...  il  G.I.P.  si  sia  limitato  a
riprodurre  integralmente  nel   corpo   della   propria   ordinanza,
verosimilmente  mediante  il   sistema   del   'copia   ed   incolla'
informatico, il testo della richiesta cautelare del P. M., senza dare
dimostrazione di averne  valutato  criticamente  il  contenuto  e  di
averne  recepito  il   tenore   perche'   funzionale   alle   proprie
determinazioni (Cass. sez. 6, 8 giugno 2012, Di Sarno). 
    Cosi' individuato il  percorso  ermeneutico  di  legittimita'  da
preferire  in  ordine  sia  alla  questione  della  motivazione   del
provvedimento cautelare conforme all'obbligo motivazionale  dell'art.
292 c.p.p., sia al criterio per valutarne l'apparenza,  il  Tribunale
ripercorreva l'istituto della motivazione per relationem alla stregua
della medesima giurisprudenza  di  legittimita',  onde  verificare  a
quali  condizioni  era  da  ritenersi  soddisfatto  l'obbligo   della
motivazione a  fronte  di  una  tecnica  di  motivazione  con  rinvio
recettizio al contenuto di altro atto del procedimento. 
    Nello  specifico,  il  Tribunale  osservava  che  il  G.I.P.  con
l'ordinanza impugnata aveva operato un rinvio recettizio - attraverso
la trasposizione integrale (da p. 106 a p. 113) - alla  comunicazione
di reato della p.g.  n.  84/5-101  del  21  gennaio  2013;  in  altri
termini, il Tribunale  verificava  che  per  la  parte  afferente  la
posizione del ricorrente K. B. il G.I.P. si era limitato a riprodurre
integralmente la corrispondente parte della comunicazione di reato  e
che su quei dati di p.g. aveva proceduto  alla  riqualificazione  del
fatto a termini di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione
in concorso e in danno di plurimi soggetti, anziche' di  associazione
per delinquere. 
    In ultima analisi, il Tribunale sottolineava che vi era stato  un
trasferimento diretto del  contenuto  della  comunicazione  di  reato
nell'ordinanza cautelare senza mediazioni intellettive ed elaborative
ulteriori e su  tale  presupposto  aveva  poi  concluso  quanto  alla
qualificazione del reato. 
    Sulla base di queste premesse, il Tribunale affermava: 
        - che  una  tale  tecnica  redazionale  non  soddisfaceva  le
condizioni sulla scorta delle quali era ammessa, dalla giurisprudenza
di legittimita', la motivazione per relationem, anche perche' un atto
di p.g. non puo'  mai  contenere  una  motivazione  congrua  rispetto
all'esigenza  motivazionale   propria   dell'atto   di   destinazione
(l'ordinanza  cautelare).   Sottolineava   che   una   tale   tecnica
pregiudicava la funzione di terzieta'  del  Giudice,  il  quale  deve
vagliare la fondatezza della ricostruzione  fattuale  proposta  dalla
p.g.,  essendo  questa   una   ricomposizione   storica   unilaterale
(legittimamente unilaterale); 
        - che in ogni caso  non  si  rintracciava  nel  provvedimento
cautelare    alcuna    argomentazione    logico-giuridica    relativa
all'idoneita' degli elementi raccolti dalla p.g., essendo irrilevanti
a tal fine le considerazioni del G.I.P. in  punto  di  qualificazione
dei  fatti,  valutazione  quest'ultima  che,  ovviamente,  presuppone
l'accertamento dei fatti oggetto di qualificazione. 
    Da ultimo, il Tribunale riteneva impossibile avvalersi del potere
integrativo  di  cui  all'art.  309  c.  9  c.p.p.,  atteso  che   la
disposizione presuppone una motivazione  se  pure  in  qualche  parte
carente, operazione impraticabile a fronte di una motivazione assente
che imporrebbe la scrittura ex novo del provvedimento cautelare. 
    Avverso  l'ordinanza  del  Tribunale  era  proposto  ricorso  per
cassazione dal Pubblico Ministero. 
    Con sentenza 20 giugno 2013 (depositata 11 luglio 2013) la  Corte
di Cassazione annullava l'ordinanza e rinviava al Tribunale per nuovo
esame. 
    La Corte in primo luogo riteneva  preferibile  quell'orientamento
di legittimita',  pure  non  univoco,  che  riconosceva  in  capo  al
Tribunale  del  riesame  un  potere  di  annullamento  dell'ordinanza
cautelare del G.I.P. per difetto di motivazione, pur limitando questo
potere alle ipotesi di carenza grafica della motivazione,  ovvero  di
un apparato argomentativo che, recependo integralmente  il  contenuto
di altro atto del procedimento o nel rinviare  a  questo,  si  limita
all'uso di mere clausole di stile o  all'uso  di  frasi  apodittiche,
senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto  proprio
il contenuto dell'atto recepito o  richiamato  o  comunque  lo  abbia
considerato coerente rispetto alle sue decisioni. 
    Argomentava inoltre la Corte sulla legittimita' della motivazione
del G.I.P. per  relationem  alla  richiesta  cautelare  del  Pubblico
Ministero  richiamando   la   propria   giurisprudenza   sul   potere
integrativo di cui all'art. 309  c.  9  c.p.p..  In  conclusione,  la
Corte, nell'interpretazione sistematica degli artt. 292 c. 1-2  lett.
c e  309  c.  9  c.p.p.,  affermava  che  la  nullita'  della  misura
coercitiva puo' essere dichiarata dal Tribunale del riesame solo  nei
casi  di   carenza   grafica   dell'ordinanza   del   G.I.P.   o   di
giustificazione della misura mediante l'impiego di clausole di  stile
ed un generico rinvio alle risultanze  delle  indagini,  dovendo,  in
ogni altro caso, avvalersi del potere integrativo  summenzionato  con
accesso diretto al materiale indiziario. 
    Nel merito della questione la Corte osservava che il G.I.P. aveva
formulato  un  giudizio  di  gravita'  indiziaria  sulla  base  delle
conversazioni  estrapolate  dal  compendio  indiziario,  di   talche'
spettava  al  Tribunale  del  riesame  integrare  la  motivazione,  e
conseguentemente annullava l'ordinanza con rinvio per nuovo giudizio. 
    Ritualmente  instaurato  il  contraddittorio   relativamente   al
giudizio di rinvio, all'odierna udienza camerale, assente il Pubblico
Ministero ritualmente avvisato, la  difesa  presente  concludeva  per
l'annullamento della misura per difetto della gravita' indiziaria. 
    Cosi' ricostruito  l'iter  procedimentale,  questo  Tribunale  e'
vincolato - ai  fini  della  decisione  -  al  principio  di  diritto
affermato dalla Suprema Corte con la sentenza di annullamento. 
    Il principio di diritto  affermato,  in  relazione  al  combinato
disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c e 309 c.  9  c.p.p.,  e':  la
nullita' della misura coercitiva puo' essere dichiarata dal Tribunale
del riesame solo nei  casi  di  carenza  grafica  dell'ordinanza  del
G.I.P. o  di  giustificazione  della  misura  mediante  l'impiego  di
clausole di  stile  ed  un  generico  rinvio  alle  risultanze  delle
indagini; in ogni altro caso, il Tribunale deve avvalersi del  potere
integrativo  summenzionato,  con   accesso   diretto   al   materiale
indiziario. 
    Il principio enunciato contiene due affermazioni in diritto: 
        - il Tribunale del riesame e'  legittimato  a  dichiarare  la
nullita' del provvedimento adottato ai sensi dell'art. 292 c.p.p. per
difetto di motivazione; 
        - il Tribunale puo' dichiarare la  nullita'  per  difetto  di
motivazione soltanto in due  distinte  ipotesi:  1)  carenza  grafica
dell'ordinanza; 2) motivazione supportata da clausole di stile ed  un
generico rinvio al materiale d'indagine, dovendo in ogni  altro  caso
ricorrere al potere integrativo dell'art. 309 c. 9 c.p.p. . 
    Contiene, inoltre, un'altra affermazione in diritto, per come  si
evince chiaramente da precisi passaggi motivazionali  della  sentenza
di  annullamento,  ovvero  che  e'  legittima  la   motivazione   per
relationem, purche' non si risolva nell'impiego di mere  clausole  di
stile o nell'uso di frasi apodittiche. 
    In sintesi, il principio di diritto legittima la motivazione  per
relationem delle ordinanze cautelarli ma in ogni caso, dice la Corte,
qualunque sia la tecnica adottata dal Giudice la motivazione non deve
risolversi in clausole di stile, frasi apodittiche  o  in  un  rinvio
generico alle risultanze delle indagini. 
    Al di fuori di queste specifiche ipotesi il  Tribunale  non  puo'
dichiarare la nullita' ma deve, previo accesso diretto  al  materiale
indiziario,  integrare  la  motivazione  eventualmente  carente   del
Giudice. 
    La successiva valutazione della  Corte  di  corretta  motivazione
dell'ordinanza cautelare del G.I.P. di Bergamo e' diretta conseguenza
degli espressi principi di diritto.  Infatti,  esclusa  pacificamente
l'ipotesi della carenza grafica della motivazione nel caso di  specie
(situazione invero gia' disciplinata dall'art. 125 c.p.p. secondo  il
piu' recente orientamento di legittimita': Cass.  s.u.,  28  dicembre
2006, Giuffrida), la Corte ha ritenuto soddisfatto il requisito della
motivazione nei contesto argomentativo fatto proprio  dal  G.I.P.  in
quanto non ricompreso nella casistica delle nullita' come enucleate. 
    Al riguardo, e prima di procedere oltre nell'esame del  principio
di diritto vincolante da applicare al caso di specie, e' necessario e
opportuno riassumere  alcuni  dati  obiettivi  e  fattuali  circa  la
tecnica di motivazione adottata dal G.I.P. di  Bergamo  -  dati  gia'
enucleati da questo Tribunale con l'ordinanza poi annullata (p. 8 s.)
- trattandosi di aspetti salienti per le ulteriori considerazioni. 
    Si tratta, comunque, di dati per nulla smentiti  o  negati  dalla
Corte di Cassazione, dal momento che  non  sono  stati  censurati  in
alcuna  parte  della  sentenza  di  annullamento,  di  talche'  vanno
ribaditi  anche  in  questa  sede  di  rinvio  e   devono   ritenersi
consolidati e acclarati. 
    Premesso  che  il  provvedimento  cautelare  afferisce   numerosi
indagati, l'ordinanza del G.I.P. di Bergamo  si  occupa  ex  professo
della posizione dell'odierno indagato-ricorrente K. B. e in relazione
al materiale indiziario,  da  pagina  106  a  pagina  113,  allorche'
tratteggia  il  subentro  del  ricorrente  al  cugino  K.  G.   nello
sfruttamento della prostituzione di C. C. A. 
    L'intera porzione dedicata agli indizi raccolti nei confronti  di
K. B. e' sostanzialmente una fedele e pedissequa trasposizione  della
comunicazione di reato 84/5-101 del 21 gennaio 2013  dei  Carabinieri
di Bergamo Reparto operativo - Nucleo investigativo,  e  precisamente
da p. 13 a p. 21. 
    Invero, il confronto tra i  due  testi  consente  agevolmente  di
giungere a questa conclusione, tenuto anche conto dei fatto che  sono
riprodotti immutati le note a pie' di pagina, l'uso del corsivo e del
grassetto, e persino gli errori di stesura (a  titolo  d'esempio:  p.
108 ordinanza e p. 14 c.n. r. - 21.12.201; p. 110 ordinanza e pag. 17
c.n.r. - gentl). 
    Occorre aggiungere, per una migliore comprensione  della  tecnica
di redazione, che alcune brevi  frasi  o  periodi  della  piu'  ampia
porzione compresa tra p. 13 e p. 21 sono  interpolati  sia  da  altre
pagine della medesima comunicazione di reato (p.  8,  9,  10)  e  ivi
riprodotte integralmente comprese  le  note  a  pie'  di  pagina  (ad
esempio: l'incipit di p. 106),  sia  dalla  richiesta  cautelare  del
Pubblico Ministero (l'incipit di pagina 107 dell'ordinanza  riproduce
un passaggio di p. 11 della richiesta e relative note - n.  25  e  26
della richiesta cautelare  e  n.  17  e  18  dell'ordinanza  -  salvo
marginali e irrilevanti modifiche terminologiche). 
    La  fedelta'  nella  trasposizione  e'  pure  evidenziata   dalla
circostanza che la fine del paragrafo relativo a K. B.  coincide  con
l'inizio di quello relativo al coindagato M. E. (p. 113 ordinanza), e
cio' in perfetta aderenza alla comunicazione di reato (dove a  p.  21
finisce la trattazione di K. B. e inizia l'esame di M.). 
    Deve percio' convenirsi, in  una  valutazione  complessiva  della
parte  del  provvedimento  che  qui  interessa,  che  la  motivazione
dell'ordinanza sugli elementi indiziari raccolti nei confronti di  K.
B. si risolve nella corrispondente parte della comunicazione di reato
della p.g., salvo brevi e  limitati  inserti  tratti,  invece,  dalla
richiesta cautelare del Pubblico Ministero. 
    Questa puntualizzazione vale  a  significare  che,  recepita  nel
corpo dell'ordinanza la parte della comunicazione di  reato  relativa
all'indagato-ricorrente K. B., l'affermazione conclusiva  del  G.I.P.
(p. 282-283  dell'ordinanza)  di  sussistenza  dei  gravi  indizi  di
colpevolezza nei confronti di tutti gli indagati compreso K. B. - con
riqualificazione dei fatti come contestati dal Pubblico  Ministero  -
fonda sul recepimento  integrale  della  comunicazione  di  reato  n.
84/5-101 del 21 gennaio 2013  sopra  richiamata,  nel  senso  che  il
provvedimento giurisdizionale fa propria la selezione, l'analisi e la
valutazione di quel materiale indiziario  secondo  la  prospettazione
della  polizia  giudiziaria,  e  su  di  esse  formula  il   giudizio
conclusivo ex art. 273 c.p.p.. 
    L'atto di p.g. recepito nel corpo della motivazione,  secondo  la
tecnica della motivazione per relationem,  costituisce,  percio',  la
parte argomentativa su cui si innesta la valutazione finale circa  la
sussistenza di gravita' indiziaria. 
    Le contrarie indicazioni del Pubblico Ministero nel  ricorso  per
cassazione  non  smentiscono  i  rilievi  di  cui  sopra   (anzi   li
confermano), dal momento  che  le  ulteriori  pagine  nelle  quali  -
secondo l'organo  dell'Accusa  -  si  rintraccerebbe  la  motivazione
propria e autonoma del G.I.P. quanto a K.  B.  (pp.  92-93,  106-107,
120,  127-128,  282  sull'identificazione  dell'indagato,  283  sulle
esigenze cautelari) in realta' non valgono allo scopo. 
    Ed  infatti,  escluso  il  richiamo  alle  argomentazioni   sulle
esigenze cautelari perche' irrilevante ai fini  qui  d'interesse  (il
Tribunale  non  ha  dichiarato  la  nullita'  della  motivazione   in
relazione alle esigenze cautelari): 
        - le pagine 92-93 dell'ordinanza  argomentano  sull'attivita'
di meretricio delle ragazze, ma nulla attestano quanto agli  elementi
fattuali e indiziari  gravanti  su  K.  B.  circa  il  coinvolgimento
nell'attivita' di  sfruttamento  e  favoreggiamento,  di  talche'  il
richiamo e' eccentrico per cio' che in questa sede rileva;  peraltro,
neppure compare il nominativo di K. B.; in queste pagine se  non  per
attestare la coabitazione con la prostituta C. C.; 
        - le pagine 106-107 sono gia' state commentate in precedenza,
e  si  rileva  che  si  tratta  pur  sempre  di  brevissimi   periodi
estrapolati da  altre  parti  della  c.n.r.  ovvero  dalla  richiesta
cautelare; 
        -  la  pagina  120  per  un  verso  riproduce  fedelmente  la
richiesta del Pubblico Ministero  (p.  12-13),  per  altro  verso  e'
trasposizione integrale della c.n.r. (p. 9 ivi compresa  la  nota  n.
18); 
        - le pagine 127-128 sono  una  riproduzione  integrale  delle
pagine 3-4 della c.n.r. (le diversita' afferiscono la collocazione di
taluni riferimenti, in nota anziche' nel testo); 
        - le pagine 282-283 si risolvono  nella  clausola  finale  di
sussistenza  della  gravita'  indiziaria   e   nella   qualificazione
giuridica dei fatti come riprodotti dalla c.n.r., per  come  gia'  in
precedenza indicato. 
    Per sole ragioni  di  completezza,  si  osserva  che  la  tecnica
redazionale adottata dal G.I.P. pare caratterizzare  gran  parte  del
provvedimento cautelare. 
    A titolo esemplificativo si richiama la posizione del  coindagato
M. E., trattata da p.  113  e  s.  dell'ordinanza.  Il  testo  e'  la
riproduzione integrale e  fedele  della  corrispondente  parte  della
medesima comunicazione di reato (p. 21-26), salvo  un  breve  inserto
estrapolato  (sempre  fedelmente)  dalla  richiesta   cautelare   del
Pubblico Ministero, comprese le note a pie' di  pagina  (p.  11).  La
sola divergenza riguarda l'ordine delle  porzioni  del  testo  che  a
volte sono  inseriti  diversamente  rispetto  alla  consequenzialita'
dell'atto recepito, ma cio' non toglie che l'argomentazione  sia  del
tutto quella promanante dalla p.g. . 
    Ed allora, conclusivamente su questo  aspetto,  il  provvedimento
del G.I.P. risulta redatto (sia  in  genere  che  piu'  in  specifico
quanto al ricorrente K. B.), attraverso la ricezione integrale  della
comunicazione di reato della p.g., con taluni brevi inserti  recepiti
dalla richiesta cautelare. 
    Ebbene, questa tecnica di redazione della motivazione - si ripete
- non e' affatto contestata e smentita  dalla  Corte  di  Cassazione,
atteso che nessun rilievo fattuale  si  rinviene  al  riguardo  nella
sentenza di annullamento, di talche' il giudizio della medesima Corte
sulla corretta stesura del provvedimento del  G.I.P.  ha  ad  oggetto
proprio la motivazione redatta  nei  termini  specificati.  E  cosi',
quando la Corte di legittimita' osserva che  il  G.I.P.  ha  espresso
puntualmente un giudizio di gravita' del  quadro  indiziario  desunto
dal  contenuto  di  numerose  telefonate,  estratte   dal   compendio
indiziario e  di  cui  viene  riportato  il  testo,  corredato  delle
annotazioni  esplicative  della  condotta  alla   quale   le   stesse
risultavano riferirsi, necessariamente richiama  la  selezione  delle
telefonate e le annotazioni esplicative contenute si'  nell'ordinanza
cautelare  ma  ivi  direttamente  e  integralmente   recepite   dalla
comunicazione di reato della polizia giudiziaria. In  definitiva,  la
Suprema Corte,  dopo  avere  affermato  il  menzionato  principio  di
diritto tale per cui la nullita' puo' essere dichiarata  per  carenza
grafica dell'ordinanza, ovvero per motivazione (anche per relationem)
supportata da clausole di stile e da un generico rinvio al  materiale
d'indagine, ha ritenuto che la motivazione dell'ordinanza  cautelare,
composta con le modalita' di cui s'e' detto di recepimento  integrale
della comunicazione di reato, e' immune dal vizio della nullita'. 
    In altre parole, la Corte ha innanzitutto delimitato  le  ipotesi
di nullita' della motivazione a quelle che si risolvono  in  clausole
di stile ed un generico rinvio alle  risultanze  delle  indagini,  e,
successivamente, convalidando l'operato del  G.I.P.  di  Bergamo,  ha
comunque ed in ogni caso escluso  il  vizio  di  nullita'  di  quelle
motivazioni che - come quella in esame - recepiscono la comunicazione
di reato della polizia giudiziaria e  fondano  in  via  esclusiva  su
detta comunicazione l'affermazione della sussistenza  della  gravita'
indiziaria.  Il  connotato  vincolante  dei  dictum  della  Corte  di
Cassazione  preclude  a  questo  Tribunale,   ovviamente,   ulteriori
valutazioni in punto di nullita' ex artt. 292 e 309 c.p.p., imponendo
il passaggio alla successiva valutazione di merito della  vicenda,  e
tuttavia si rinvengono profili di illegittimita'  costituzionale  nel
combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c e 309 c. 9  c.p.p.,
nell'interpretazione vincolante della Suprema Corte. 
    Piu' precisamente, i dubbi  di  costituzionalita'  riguardano  la
parte  in  cui  detta  interpretazione  esclude  la  nullita'   della
motivazione ai sensi dell'art. 292 c.  2  lett.  c),  e  consente  il
potere integrativo del Tribunale del riesame ai sensi  dell'art.  309
c. 9 c.p.p., nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui  motivazione
sulla gravita' indiziaria coincida integralmente con la comunicazione
di reato  della  polizia  giudiziaria  recepita  per  relationem  nel
provvedimento  cautelare.  L'individuazione  di  questi  profili   di
illegittimita' costituzionale comporta la proposizione  del  relativo
giudizio incidentale onde rimuovere quel principio di  diritto  cosi'
formulato e consentire in questa sede una diversa  valutazione  degli
aspetti di nullita' del provvedimento cautelare. 
    Il Tribunale, in sede di giudizio di rinvio  ex  art.  627  c.  3
c.p.p.,  e'  certamente   legittimato   a   proporre   questione   di
legittimita'   costituzionale   della   norma   da    applicare,    e
nell'interpretazione stabilita  e  vincolante  nel  giudizio  a  quo,
trattandosi  di  rapporti   non   ancora   esauriti,   e   a   fronte
dell'impossibilita'  del  giudice  di  rinvio   di   discostarsi   da
quell'unica interpretazione normativa indicata dalla Corte in sede di
annullamento  (sul  punto  e'  costante  l'orientamento  della  Corte
costituzionale, e tra  le  altre  si  citano  le  seguenti  sentenze:
305/2008; 78/2007; 130/1993, e, da ultimo e su questione sollevata da
questo stesso Tribunale: Corte Cost. 17-20 luglio 2012 n. 204). Sulla
rilevanza della questione proposta, rileva il Collegio che la  natura
vincolante dell'interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione del
combinato disposto degli artt. 292 c.  1-2  lett.  c)  e  309  c.p.p.
preclude qualsivoglia altra diversa valutazione sul punto da parte di
questo Tribunale in sede di rinvio, dovendosi procedere  oltre  nella
valutazione di merito  della  vicenda  processuale.  Ma  tale  ultima
valutazione di merito transita - necessariamente  -  per  il  vincolo
imposto dal citato principio di diritto,  sia  perche'  il  vizio  di
nullita'   dell'ordinanza   cautelare   e'   questione    logicamente
antecedente rispetto alle questioni in fatto,  sia  -  soprattutto  -
perche' quel principio di diritto impone un  potere  integrativo  del
Tribunale del riesame (potere che, pertanto, deve  essere  esercitato
in questo giudizio di rinvio nella ricostruzione  e  valutazione  dei
fatti contestati a K.  B.),  laddove  i  dubbi  di  costituzionalita'
investono proprio l'interpretazione vincolante  circa  il  menzionato
potere di cui all'art. 309 c. 9 c.p.p. . 
    Ne' potrebbe obiettarsi che resta pur sempre in capo al tribunale
la possibilita' di ritenere che la motivazione di questa ordinanza si
risolve in clausole di stile ed un generico  rinvio  alle  risultanze
delle indagini, e percio' ribadirne la nullita'. 
    Infatti,  acclarata  la   tecnica   di   redazione,   l'integrale
recepimento dell'atto di p.g. e'  stato  gia'  valutato  dalla  Corte
idoneo ed immune da vizi,  e,  giocoforza,  estraneo  all'ambito  del
vizio di nullita' come circoscritto dalla stessa  Corte,  di  talche'
ogni contraria affermazione sarebbe una violazione del  principio  di
diritto che ha escluso la sanzione invalidante a fronte  di  siffatta
tecnica motivazionale. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale si' osserva quanto segue. 
    L'interpretazione del combinato disposto degli artt. 292  c.  1-2
lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. accolta  dalla  sentenza  di  annullamento
della Corte di Cassazione solleva forti dubbi  di'  costituzionalita'
in relazione agli artt. 111  e,  6,  13  c.  2,  e  111  c.  2  della
Costituzione. 
    Artt. 111 c. 6 e 13 c. 2 Costituzione. 
    La norma costituzionale dell'art. 111 c.  6  impone  un  generale
obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, tra i quali
certamente si  annovera  l'ordinanza  cautelare  del  G.1.P.,  mentre
l'art. 13 c. 2 della Costituzione, nello specifico ambito del diritto
alla liberta'  personale,  contempla  la  possibilita'  di  forme  di
restrizione e compressione della liberta' individuale purche' avvenga
per atto motivato dell'autorita' giudiziaria. 
    Le   citate   disposizioni   costituzionali    fondano,    cosi',
perentoriamente  un  obbligo  di   motivazione   degli   atti   della
giurisdizione, e nello specifico degli atti limitativi della liberta'
personale, tra cui l'ordinanza ex art. 292 c.p.p. . 
    Tale ultima norma codicistica, nella formulazione attuale dopo la
modifica legislativa di cui alla L. n. 332  del  1995,  individua  al
comma 2 lett. c) il peculiare contenuto del provvedimento cautelare e
sanziona la carenza di questo contenuto con una specifica ipotesi  di
nullita', rilevabile anche ex officio; la norma  processuale  assume,
percio',  una  portata  attuativa  dell'obbligo   costituzionale   di
motivazione, per un  verso  indicando  specificatamente  quale  debba
essere il contenuto di un'ordinanza cautelare in punto  di'  gravita'
indiziaria, e  per  altro  verso  introducendo  un'apposita  sanzione
nell'ipotesi della violazione di un obbligo  di  diretta  derivazione
costituzionale. 
    Insomma, sussiste uno stringente nesso derivativo  tra  le  norme
costituzionali degli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2, da un lato,  e  l'art.
292 c.p.p., dall'altro, essendo le  prime  fondative  di  un  obbligo
giurisdizionale di motivazione, e la seconda attuativa  del  suddetto
obbligo con  previsione  di  un  vizio  di  nullita'  in  ipotesi  di
inottemperanza. 
    La Suprema  Corte  ha  circoscritto  la  motivazione  affetta  da
nullita', sanzionata appunto dall'art. 292 c.p.p., alle sole  ipotesi
di carenza grafica e di clausole di stile e con  rinvio  generico  al
compendio  indiziario,  escludendo  il  vizio  invalidante   per   le
fattispecie - come quella in esame - in cui la motivazione del G.I.P.
e'  costruita  esclusivamente  con   rinvio   per   relationem   alla
comunicazione di' reato della p.g. recepita nel corpo dell'ordinanza. 
    La Suprema  Corte  e'  pervenuta  a  questa  delimitazione  delle
ipotesi di nullita', coordinando l'interpretazione dell'art.  292  c.
1-2 lett. c) c.p.p. con quella dell'art. 309 c. 9 c.p.p. afferente il
potere integrativo motivazionale del Tribunale del riesame;  infatti,
a fronte di una disposizione che legittima il Tribunale del riesame a
confermare  l'ordinanza  cautelare  per  ragioni  diverse  da  quelle
indicate nella motivazione ha ritenuto di circoscrivere e restringere
le ipotesi di invalidita' dell'atto nei termini indicati, di  talche'
l'interpretazione  congiunta  degli  artt.  292  e  309   c.p.p.   ha
determinato  l'individuazione   della   sfera   della   nullita'   e,
correlativamente, l'ambito del potere integrativo del Tribunale. 
    E' questa, invero, ad avviso del Collegio,  un'esegesi  riduttiva
della portata delle menzionate disposizioni in rito, e  non  conforme
alle succitate norme costituzionali. 
    La motivazione di un provvedimento  giurisdizionale  -  e  di  un
provvedimento de libertate in specie - si estrinseca in  un  percorso
logico-giuridico in grado di disvelare l'iter cognitivo e  valutativo
seguito dal giudice, nonche' i risultati che debbono essere  conformi
alle prescrizioni  della  legge  (in  tali  termini  si  e'  espressa
autorevolmente  la   Suprema   Corte   circa   la   motivazione   dei
provvedimenti giurisdizionali - nella specie i decreti  autorizzativi
delle  intercettazioni   telefoniche   -   Cass.   s.u.,   21.9.2000,
Primavera). 
    Soltanto un'argomentazione  siffatta,  esplicativa  cioe'  di  un
percorso  del  giudice  in  primo  luogo  di  conoscenza   dei   dati
procedimentali (cognitivo), e in secondo luogo di  valutazione  degli
elementi  esaminati  (valutativo),   puo'   dare   conto   dell'esito
decisionale fatto proprio dal giudice medesimo (il risultato) e della
sua conformita' a legge. 
    La necessita' di una motivazione appropriata e caratterizzata nei
termini suddetti e' quella imposta - a parere del Tribunale  -  dalle
relative norme costituzionali degli  artt.  111  c.  6  e  13  c.  2,
dovendosi contemperare opposti interessi costituzionalmente tutelati:
la liberta' personale individuale e l'amministrazione della giustizia
(prevenzione e repressione dei reati).  In  tali  frangenti,  proprio
l'equivalenza degli interessi in gioco, e la loro tutela e protezione
al massimo  rango  legislativo,  hanno  imposto  determinate  cautele
approntate dalla Costituzione: dalla riserva di legge  al  necessario
intervento del  giudice,  alla  predeterminazione  legislativa  delle
situazioni eccezionali di arresto da parte della p.g., con  scansione
temporale rigida per la convalida da parte del  giudice.  Tra  queste
garanzie rientra proprio  la  necessita'  di  un  atto  motivato  del
giudice, laddove la motivazione, proprio per la funzione che  assolve
nel contesto di un contemperamento  tra  interessi  diversi  tutelati
dalla  Costituzione,  deve  essere  adeguata,  specifica,   puntuale,
perche'  vi  sia  la  concreta  dimostrazione  che  il   giudice   ha
correttamente esercitato il potere che gli e' attribuito  (in  questi
termini si e' espressa  la  Corte  costituzionale,  ripetutamente,  a
proposito della questione parallela dei decreti  autorizzativi  delle
intercettazioni telefoniche: tra le altre, seni. n. 34 del  1973,  n.
366 del 1991 le cui affermazioni sono  state  reiterate  in  pronunce
successive). 
    Ed allora, quando l'art. 292 c. 2 impone - a pena di  nullita'  -
che l'ordinanza cautelare contenga c) l'esposizione ... degli  indizi
che giustificano in concreto la misura  disposta,  con  l'indicazione
degli elementi di fatto da cui sono desunti, e dei motivi per i quali
essi assumono rilevanza, non fa  altro  che  estrinsecare  a  livello
normativo  ordinario  l'obbligo  costituzionale  della   motivazione.
Infatti, la disposizione richiede l'esposizione degli indizi  la  cui
presenza e' necessaria per l'adozione della misura,  e,  soprattutto,
l'indicazione degli elementi di fatto in grado di  concretizzare  gli
indizi (da cui desumerli) - iter  cognitivo  -  e  dei  motivi  sulla
scorta dei quali quegli elementi assurgono al rango di indizi -  iter
valutativo. Soltanto in questo modo e' possibile  conoscere  (perche'
esplicitato) la conformita' del risultato (restrizione della liberta'
personale) alle norme di legge. 
    Inoltre, l'obbligo costituzionale della motivazione, perche'  non
riduca l'argomentazione del giudice ad un  assolvimento  dell'obbligo
meramente formale se non addirittura  ad  uno  sterile  esercizio  di
stile, deve  essere  concepito,  contenutisticamente,  in  vista  del
soddisfacimento  di  altri  valori  costituzionalmente  tutelati:  il
diritto di difesa e la terzieta-imparzialita' del giudice. 
    Il diritto di difesa (art. 24), laddove consente un  suo  congruo
esercizio nelle sedi  di  impugnazione  previste  dalla  legislazione
ordinaria  avverso  il  provvedimento  giurisdizionale.  Invero,  una
motivazione  dell'atto  che  non   rispondesse   a   quei   requisiti
costituzionali di adeguatezza, specificita' e puntualita'  (e,  nello
specifico  della  liberta'  personale,  ai  requisiti  espositivi   e
valutativi  di  cui  all'art.  292  c.  2  lett.  c)   c.p.p.),   non
consentirebbe   alla   difesa    di    rappresentare    al    giudice
dell'impugnazione (al Tribunale del  riesame)  le  proprie  doglianze
avverso la  decisione  e  circa  il  corretto  esercizio  del  potere
restrittivo,  appunto  perche'  all'oscuro  del  percorso  valutativo
seguito  dal  giudice  nell'adozione  della  misura.   Ne'   varrebbe
obiettare che la natura interamente devolutiva dell'istituto ex  art.
309 c.p.p. e la possibilita' di  riservare  i  motivi  d'impugnazione
alla fase dell'udienza rendono irrilevante  la  specificita'  o  meno
della motivazione del G.I.P., dal  momento  che  il  ricorso  e'  pur
sempre concepito dal legislatore come mezzo d'impugnazione  (attivato
dalla parte che si duole del provvedimento  adottato  dal  G.I.P.)  e
come verifica di legittimita' del provvedimento assunto  dal  giudice
di  prime  cure  (da  cui  un  potere  di'  annullamento  contemplato
dall'art. 309 c. 9 c.p.p.), sicche' l'ordinanza cautelare costituisce
il parametro di riferimento  per  le  valutazioni  sollecitate  dalla
difesa. Inoltre, l'effetto devolutivo atipico  e  la  facolta'  della
riserva  dei  motivi  non  possono  all'evidenza  risolversi  in   un
impedimento alla proposizione dei motivi a cagione di  una  decisione
priva dell'esplicitazione delle ragioni che ad  essa  hanno  condotto
(sulla funzione della  motivazione  a  salvaguardare  il  diritto  di
difesa, Cass. s.u., Primavera, cit.). 
    La  terzieta-imparzialita'   dei   giudice   (art.   111   c.   2
Costituzione),  laddove   consente   di   verificare   la   posizione
equidistante  dell'organo  decidente  rispetto  alle  parti'  (quella
pubblica e quella  privata),  atteso  che  proprio  la  linearita'  e
trasparenza del percorso motivazionale  (inteso  come  analisi  degli
elementi di fatto e valutazione di' essi in relazione al  presupposto
legittimante la misura, cioe' la gravita' indiziaria) evidenzia  quel
requisito del giudicante essenziale al principio del giusto processo,
oggi formalmente costituzionalizzato (sulla terzieta-imparzialita' si
dira'  oltre  e  alle  successive  argomentazioni  si'  rinvia).   In
definitiva, le norme costituzionali degli arti. 111 c. 6 e  13  c.  2
impongono al giudice - nella stesura dei provvedimenti  -  l'adozione
di una motivazione caratterizzata, quanto al contenuto,  nei  termini
dianzi descritti, e, per le ordinanze cautelari, nei termini  di  cui
all'art. 292 c.  2  lett.  c)  c.p.p.  che  delle  norme  e  principi
costituzionali e' diretta attuazione. 
    Nondimeno, la tecnica redazionale di una  tale  motivazione  puo'
anche risolversi con rinvio recettizio ad altro  atto  procedimentale
(motivazione  per  relationem)  -  tecnica   ampiamente   ammessa   e
riconosciuta valida da una giurisprudenza di  legittimita'  oltremodo
costante e consolidata (e valga per tutte,  e  autorevolmente,  Cass.
s.u., Primavera, cit.) - ma, va da se',  deve  essere  rispettato  il
contenuto voluto dalle norme  costituzionali.  Al  riguardo  sovviene
assai utilmente il requisito della congruita', elaborato dalla  Corte
di Cassazione, ai  fini  della  legittimita'  della  motivazione  per
relationem. La Corte ha infatti specificato che una tale  tecnica  e'
ammessa quando la motivazione  dell'atto  richiamato  o  recepito  e'
congrua  rispetto  all'esigenza   di   giustificazione   propria   al
provvedimento di destinazione. In  tal  modo  si  garantisce  che  la
motivazione del  provvedimento  di  destinazione,  pur  recependo  il
contenuto di  altro  atto  del  procedimento,  conservi  i  requisiti
argomentativi che quella tipologia di provvedimento deve avere. 
    Orbene, l'obbligo di motivazione sancito dalla  Costituzione  non
esclude  che   nella   tecnica   di   redazione   del   provvedimento
giurisdizionale si ricorra al metodo per relationem, ma devono essere
salvaguardati  i  requisiti  che,   sulla   base   delle   precedenti
considerazioni, sono  imposti  dalle  norme  costituzionali  evocate.
Altrimenti si tratterebbe di obbligo facilmente aggirabile. 
    Ebbene, tutto  questo  premesso  sull'obbligo  costituzionale  di
motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, rileva il Collegio che
il principio di diritto della  sentenza  di  annullamento,  allorche'
legittima la motivazione del G.I.P. costruita  integralmente  con  il
recepimento della comunicazione di reato  della  polizia  giudiziaria
(cosi' interpretando il combinato disposto degli artt. 292 c. 2 e 309
c. 9 c.p.p.), contrasta  con  i  menzionati  principi  costituzionali
degli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2. 
    La comunicazione di reato e' il mezzo attraverso il quale la p.g.
riferisce al Pubblico Ministero gli elementi  essenziali  del  fatto,
con indicazione delle fonti di prova e delle attivita' compiute (art.
347 c.p.p.). In altre parole, costituisce ia sintesi elaborata  della
p.g. dei fatti occorsi, e cio' sulla  base  delle  prove  raccolte  e
delle  attivita'  compiute:  la  comunicazione   di   reato   e'   la
ricostruzione fattuale offerta e proposta dalla p.g.. 
    La disposizione normativa, distinguendo tra  comunicazione  degli
elementi essenziali e degli altri elementi raccolti, da  un  lato,  e
indicazione  delle  fonti  di  prova  e  delle   attivita'   compiute
previamente documentate, dall'altro, introduce una differenza non  di
poco conto nell'atto di cui all'art. 347 c.p.p. . 
    Invero, le fonti di prova  (ad  esempio  orali)  e  le  attivita'
compiute (ad esempio accertamenti urgenti, sequestri, perquisizioni),
forniscono elementi obiettivi suscettibili di valutazione, mentre  la
narrazione di p.g. degli elementi essenziali del fatto e degli  altri
elementi, e' piu'  che  altro  una  sintesi  della  vicenda,  fondata
ovviamente  su  quelle  fonti  e   quelle   attivita'   separatamente
documentate, e come ogni sintesi ha un contenuto valutativo allorche'
seleziona gli elementi raccolti valorizzandone alcuni e  svalutandone
altri. 
    La circostanza e' assai evidente allorche' l'attivita' d'indagine
si  sviluppa  in   attivita'   di   intercettazione;   invero,   alla
documentazione   delle   conversazioni   intercettate   si   aggiunge
l'attivita' di sintesi della p.g. che, selezionando le  conversazioni
ed estrapolando  le  frasi  da  alcune  conversazioni,  ricompone  un
contesto delittuoso modellato sull'ipotesi che propone  all'autorita'
giudiziaria (tale e' il caso di specie). 
    Quindi, in una comunicazione di reato ex art. 347 c.p.p.  occorre
separare la documentazione delle fonti di  prova  e  delle  attivita'
compiute, dalla sintesi elaborata della p.g.  sulla  base  di  questa
documentazione, essendo quest'ultima  una  rappresentazione  fattuale
unilaterale allorche' seleziona gli elementi d'accusa e li interpreta
secondo una propria ricomposizione degli accadimenti in  vista  delle
funzioni  di  tutela  della  collettivita'  (funzioni  cristallizzate
nell'art. 55 c.p.p.). 
    Orbene,  la  trasposizione  integrale  del   contenuto   di   una
comunicazione di reato nell'ordinanza cautelare (secondo  la  tecnica
della  motivazione  per  relationem),  di  modo  che  la  motivazione
giurisdizionale coincide e si sovrappone al  contenuto  dell'atto  di
p.g. - proprio come nel caso in oggetto  -  non  soddisfa  affatto  i
requisiti motivazionali che l'ordinanza cautelare deve avere a  norma
di costituzione,  di  talche'  un'interpretazione  restrittiva  degli
artt. 292 e 309 c.p.p. contrasta  con  le  norme  costituzionali  che
impongono un diverso contenuto agli atti giurisdizionali. 
    La  motivazione  del   giudice   deve   disvelare   il   percorso
cognitivo-valutativo di cui s'e' parlato e cio' al fine di verificare
sia la presenza delle condizioni normative che sole  giustificano  la
compressione del diritto alla  liberta'  personale  (nell'evidenziata
operazione di contemperamento di  opposti  interessi  tutelati  dalla
Costituzione), sia il corretto esercizio del potere limitativo  della
liberta' personale  riconosciuto  dalla  Costituzione;  una  siffatta
motivazione non puo' rinvenire elementi di  affinita'  contenutistica
nella comunicazione di reato e nella sua sintesi valutativa,  proprio
per la finalita'  unica  perseguita  dalla  polizia  giudiziaria,  e,
soprattutto,  perche'  in  quell'atto  e'  ricostruita   la   vicenda
processuale secondo una valutazione della p.g.,  e  previa  selezione
degli  elementi  indiziari.  Una  motivazione   giurisdizionale   che
coincide perfettamente e si risolve nella valutazione  della  polizia
giudiziaria, e che percio' accetta la selezione e  la  valorizzazione
degli elementi probatori nella  ricostruzione  della  p.g.,  non  da'
conto dell'approccio del giudice  a  tutto  il  materiale  probatorio
risultante nella documentazione allegata alla comunicazione di reato,
e, giocoforza, della valutazione del  giudice  una  volta  conosciuto
quel materiale (valutazione sotto forma di valorizzazione  di  alcuni
elementi e svilimento di altri). In  definitiva,  questa  motivazione
non da' conto delle ragioni che il giudice assume a fondamento  della
decisione, perche' queste ragioni collimano nel provvedimento con  la
prospettazione della p.g. che il giudice avrebbe dovuto vagliare. 
    Insomma,  una  motivazione  del  giudice  che  si  sovrappone  al
contenuto dell'atto di p.g., non  si  limita  a  prendere  cognizione
delle  fonti  di  prova,  ma  aderisce  sic  et  simpliciter  ad  una
prospettazione valutativa di  parte,  risultando  percio'  del  tutto
priva delle caratteristiche imposte dalla Costituzione affinche'  sia
osservato il canone motivazionale dei  provvedimenti  giurisdizionali
in materia di liberta' personale. 
    Una motivazione recettizia della comunicazione di  reato  non  e'
poi conforme agli artt. 111 c. 6  e  13  c.  2  Cost.  anche  perche'
disattende i valori perseguiti dalle  citate  norme:  il  diritto  di
difesa e la terzieta-imparzialita' del giudice. 
    Quel genere di motivazione da un lato  non  consente  l'esercizio
del diritto di difesa che, non potendo confrontarsi con  un  percorso
argomentativo giurisdizionale sostituito da un atto portatore di  una
ricostruzione fattuale unilaterale in danno dell'indagato,  non  puo'
rappresentare al giudice dell'impugnazione le  proprie  doglianze  su
quel  percorso  mancante;  dall'altro  esclude  il  requisito   della
terzieta-imparzialita'  del   Giudice,   atteso   che   la   perfetta
sovrapposizione tra motivazione del giudice e comunicazione di  reato
impedisce di apprendere se vi sia stato o meno quell'iter cognitivo e
valutativo  che  garantisce  l'equidistanza  del   giudicante   dalle
prospettazioni  di  una  parte  (la  p.g.,  poi  rappresentata  nelle
richieste cautelati del Pubblico Ministero), e, percio', il requisito
costituzionale della terzieta'. 
    In conclusione, una motivazione dell'ordinanza cautelare  che  si
risolve nel contenuto della comunicazione di reato della p.g. non  e'
conforme ai parametri costituzionali  indicati,  e  l'interpretazione
della Corte di Cassazione del combinato disposto degli artt. 292 o. 2
e 309 c. 9 c.p.p., nella parte in cui esclude il vizio di nullita' di
siffatte motivazioni, consequenzialmente si pone in contrasto con  le
citate norme della Costituzione. 
    Art. 111 c. 2 Costituzione. 
    L'art.  111  c.  2  della  Costituzione,  indicando  i  caratteri
essenziali del giusto  processo,  statuisce  che  questo  si  celebri
davanti a giudice terzo e imparziale. La norma,  inserita  con  legge
costituzionale del 1999 n. 2, ha solo formalizzato un connotato della
giurisdizione da tempo affermato e sottolineato dalla  giurisprudenza
della Corte costituzionale  in  plurime  occasioni,  nelle  quali  il
carattere della terzieta-imparzialita' e' stato delineato in funzione
della tutela del diritto di difesa (sotto il profilo dell'alterazione
della dialettica processuale) e del principio di uguaglianza (tra  le
altre  sentenze,  si  richiamano:  390/91,  133/93,  148/96,  387/99,
240/03). 
    In particolare la Corte ha precisato, nell'analisi del menzionato
requisito della giurisdizione, che rimane imprescindibile - qualunque
sia la tipologia del processo - l'esigenza generale di assicurare che
sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto  estraneo  agli
interessi oggetto del processo (sent.  n.  387/99),  ed  inoltre  che
l'identita' del giudice e' quella della sua posizione  super  partes,
occorrendo  evitare  che  agisca,  e  appaia,   come   l'attore   del
procedimento sul quale giudica (sent. n. 240/03). 
    Il giusto processo richiede ed impone, quindi, un giudice che sia
ed appaia estraneo alla dialettica processuale ed agli  interessi  in
gioco  (nella  specie:  l'interesse  del  Pubblico   Ministero   alla
prevenzione e repressione dei reati, e  l'interesse  della  difesa  e
dell'indagato al rispetto delle norme  che  rigidamente  disciplinano
l'ambito  di  ammissibilita'   della   restrizione   della   liberta'
personale). E per essere ed apparire  estraneo  alle  parti  ed  agli
interessi di cui le parti medesime sono portatrici  il  giudice  deve
consequenzialmente essere estraneo alle prospettazioni fattuali delle
parti medesime, dal momento che queste  prospettazioni  sono  animate
dall'interesse  che   ciascuna   parte   intende   salvaguardare,   e
l'intervento del giudice vale appunto a dirimere la  contrapposizione
attraverso il vaglio e la valutazione autonoma che  gli  e'  propria:
che e' propria e fondante della sua funzione. 
    Lo strumento tramite il quale ii giudice puo' dare  dimostrazione
di avere conservato un ruolo super partes, e di avere percio' agito e
deciso in posizione di equidistanza dalle posizioni delle parti,  e',
ad  avviso  del  Tribunale,  proprio  quello  della  motivazione  del
provvedimento. Invero,  il  percorso  motivazionale,  scandito  dalla
cognizione e  dalla  valutazione  degli  elementi,  e'  in  grado  di
esplicitare l'estraneita' del giudice alla vicenda e di garantire  la
parita' processuale delle parti (la loro dialettica). 
    Questa esigenza, secondo il Tribunale, e' ancora piu' forte nella
fase delle indagini preliminari allorche' viene adottata  una  misura
cautelare. L'accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero,  in
assenza di un contraddittorio e prima di avere ascoltato le eventuali
ragioni difensive dispiegate in sede di interrogatorio  di'  garanzia
(come nel caso di specie in cui non vi e' stato un previo  arresto  o
fermo  dell'indagato),  e  quindi  l'adesione  alla  rappresentazione
fattuale di una sola parte del procedimento, impone un'esplicitazione
ancora maggiore e piu' intensa del percorso motivazionale,  sotto  il
profilo della cognizione, selezione,  e  valutazione  degli  elementi
indiziari, affinche' il giudice sia e appaia equidistante dalla parte
pubblica che propone restrizioni alla liberta' personale. In siffatte
ipotesi soltanto un  percorso  motivazionale  puntuale  ed  esaustivo
nelle modalita' In precedenza indicate puo' garantire il rispetto  di
quel connotato  di  terzieta',  perche'  e'  proprio  la  motivazione
conforme alle regole costituzionali - di  cui  la  norma  codicistica
dell'art. 292 c.p.p. e' attuazione - che sola puo' dare conto  di  un
vaglio completo degli elementi e di autonoma valutazione del  giudice
(autonoma in quanto  originaria  rispetto  alle  rappresentazioni  di
parte). 
    Diversamente,   una   motivazione   integralmente    riproduttiva
dell'atto  di  polizia  giudiziaria  di   selezione,   cognizione   e
valutazione degli indizi (salvo il sigillo  finale  del  giudice  che
detti indizi cosi' selezionati e ricomposti  integrano  il  requisito
della gravita' indiziaria), non svolge il ruolo suo proprio che  s'e'
detto. II difetto di un percorso argomentativo del G.I.P. originario,
e percio' autonomo, e  l'accettazione  acritica  della  versione  del
soggetto che accusa  (acritica,  perche'  cosi'  appare  in  assenza,
appunto, di un'argomentazione originaria), inficiano la posizione  di
terzieta-imparzialita'  in  quanto  impediscono   di   conoscere   le
valutazioni proprie del giudice e l'iter  ricostruttivo  nelle  forme
esplicite richieste, confondendosi il ruolo del giudice con ii  ruolo
di una sola delle parti. 
    Insomma, una motivazione ricalcata tutta sulle valutazioni di cui
alla comunicazione di reato, identificando il giudice  con  la  p.g.,
incide   radicalmente    sul    ruolo    di    terzieta-imparzialita'
costituzionalmente imposto. Ecco,  pertanto,  che  un'interpretazione
normativa del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2  lett.  c)  e
309 c. 9 c.p.p. tale da legittimare questa motivazione, configura  un
ruolo giurisdizionale lesivo della norma costituzionale  in  oggetto,
ponendosi in contrasto con questa. 
    Alla stregua di tutte le precedenti  argomentazioni  e',  dunque,
rilevante e non manifestamente infondata - in  relazione  agli  artt.
111 c. 6, 13 c.  2  e  111  c.  2  Costituzione  -  la  questione  di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 292 c.
1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui esclude la nullita'
della motivazione e consente il potere integrativo del Tribunale  del
riesame nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla
gravita' indiziaria coincida integralmente con  la  comunicazione  di
reato  della  polizia  giudiziaria  recepita   per   relationem   nel
provvedimento cautelare, 
    Va dunque disposta la sospensione della presente procedura  e  la
rimessione della questione  alla  Corte  costituzionale  per  la  sua
decisione ai sensi degli artt. 1 Legge Cost, 9.2.1948 n. 1  e  23  L.
11.3.1953 n. 87. 
    Dispone che a cura della cancelleria la  presente  ordinanza  sia
notificata al Pubblico Ministero  e  alle  altre  parti,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  Deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione: 
        sulla  richiesta  di  riesame  depositata/pervenuta  in  data
27.2.2013 dal difensore di K. B., avverso  l'ordinanza  9.2.2013  del
G.I.P.  del  Tribunale  di  Bergamo  di  applicazione  della   misura
cautelare della custodia in carcere 
        visti gli artt. 1 Legge Cost. 9.2.1948 n, 1 e 23 L. 11.3.1953
n. 87 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  in  relazione
agli arti. 111 c. 6, 13 c. 2 e 111 c. 2  Costituzione,  la  questione
di' legittimita' costituzionale del combinato  disposto  degli  artt.
292 c. 1-2 lett. o) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui  esclude  la
nullita' della motivazione  e  consente  il  potere  integrativo  del
Tribunale del riesame nelle ipotesi di  ordinanza  cautelare  la  cui
motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente  con  la
comunicazione  di  reato  della  polizia  giudiziaria  recepita   per
relationem nel provvedimento cautelare. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che a cura della cancelleria la  presente  ordinanza  sia
notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti. 
    Dispone la notifica della presente ordinanza  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  Deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
        Cosi' deciso in data 29 ottobre 2013 
 
                  Il Presidente estensore: Mocciola