N. 29 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 2013
Ordinanza del 13 novembre 2013 emessa dal Tribunale di Brescia - sez. per il riesame nel procedimento penale a carico di K.B.. Processo penale - Misure cautelari personali - Riesame dell'ordinanza che dispone una misura coercitiva - Ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria recepita per relationem - Interpretazione della Corte di cassazione - Esclusione del vizio di nullita' della motivazione - Potere di integrazione del Tribunale del riesame - Contrasto con il principio dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali - Lesione del diritto alla liberta' personale - Violazione del principio di terzieta' del giudice. - Codice di procedura penale, art. 292, commi 1 e 2, lett. c), in combinato disposto con l'art. 309, comma 9, del medesimo codice. - Costituzione, artt. 13, comma secondo, e 111, commi secondo e sesto.(GU n.12 del 12-3-2014 )
IL TRIBUNALE Riunito in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta di riesame depositata/pervenuta in data 27 febbraio 2013 dal difensore K.B. avverso l'ordinanza 9 febbraio 2013 del G.I.P. del Tribunale di Bergamo di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, pronunciando in sede di rinvio a seguito di sentenza della Corte di Cassazione 20 giugno 2013 (depositata l'11 luglio 2013) di annullamento dell'ordinanza pronunciata da questo Tribunale in data 8 marzo 2013; Premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data 11 ottobre 2013 sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerale del 29 ottobre 2013 Osserva Con ordinanza 9 febbraio 2013 - eseguita il 13 febbraio 2013 - il G.I.P. del Tribunale di Bergamo applicava a K. B. la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione ai danni di plurime donne e in concorso con altri soggetti. Piu' precisamente, il Giudice ravvisava la gravita' indiziaria riportando i contenuti della comunicazione di reato 84/5-101 del 21 febbraio 2013 dei Carabinieri di Bergamo, ivi comprese le sintesi dell'attivita' di intercettazione, e ritenendo comprovata l'attribuzione a K. B. dell'utenza intercettata atteso che, secondo l'impostazione accusatoria recepita dal Giudice, il ricorrente era subentrato nell'attivita' illecita allo zio paterno K. G. nel frattempo rientrato in Albania. Il Giudice tuttavia escludeva la contestata ipotesi associativa, ravvisando, nella cooperazione reciproca di tutti gli indagati nello sfruttamento della prostituzione di tutte le parti offese indicate nel capo di imputazione, una mera ipotesi concorsuale. Riteneva infine sussistente il pericolo di recidiva e adeguata la sola misura carceraria. In sede di interrogatorio di garanzia il ricorrente si avvaleva della facolta' di non rispondere, spontaneamente negando ogni addebito. Proposta richiesta di riesame dalla difesa di K. B. questo Tribunale con ordinanza 8 marzo 2013 dichiarava la nullita' del provvedimento cautelare per difetto di motivazione. Piu' precisamente, il Tribunale, richiamato il canone normativa dell'art. 292 c. 2 c.p.p. sul contenuto specifico dell'ordinanza cautelare in punto di gravita' indiziaria e sulla sanzione di nullita' in caso di trasgressione di quel canone, ed evidenziata la portata sostanziale dell'obbligo (pure sussistente a livello di fonte costituzionale), ripercorreva la giurisprudenza di legittimita' sull'argomento - anche con richiami alle pronunce piu' recenti - per la necessita' di definire la nozione di motivazione nulla in un ambito normativa che, comunque, consente al Tribunale in sede di riesame di integrare eventuali carenze dell'apparato motivazionale del provvedimento cautelare. In particolare, il Tribunale richiamava alcune pronunce della Suprema Corte secondo le quali l'apparato motivazionale e' inesistente perche' del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche (Cass. sez. 3, 17 settembre 2010, Lteri Lulzim - nel caso di specie la Corte, confermando l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva dichiarato la nullita' del provvedimento del G.I.P., ha precisato che non e' sufficiente una mera trascrizione delle intercettazioni per ritenere soddisfatto l'obbligo della motivazione), ovvero quando a fronte di articolate e complesse risultanze delle investigazioni ... il G.I.P. si sia limitato a riprodurre integralmente nel corpo della propria ordinanza, verosimilmente mediante il sistema del 'copia ed incolla' informatico, il testo della richiesta cautelare del P. M., senza dare dimostrazione di averne valutato criticamente il contenuto e di averne recepito il tenore perche' funzionale alle proprie determinazioni (Cass. sez. 6, 8 giugno 2012, Di Sarno). Cosi' individuato il percorso ermeneutico di legittimita' da preferire in ordine sia alla questione della motivazione del provvedimento cautelare conforme all'obbligo motivazionale dell'art. 292 c.p.p., sia al criterio per valutarne l'apparenza, il Tribunale ripercorreva l'istituto della motivazione per relationem alla stregua della medesima giurisprudenza di legittimita', onde verificare a quali condizioni era da ritenersi soddisfatto l'obbligo della motivazione a fronte di una tecnica di motivazione con rinvio recettizio al contenuto di altro atto del procedimento. Nello specifico, il Tribunale osservava che il G.I.P. con l'ordinanza impugnata aveva operato un rinvio recettizio - attraverso la trasposizione integrale (da p. 106 a p. 113) - alla comunicazione di reato della p.g. n. 84/5-101 del 21 gennaio 2013; in altri termini, il Tribunale verificava che per la parte afferente la posizione del ricorrente K. B. il G.I.P. si era limitato a riprodurre integralmente la corrispondente parte della comunicazione di reato e che su quei dati di p.g. aveva proceduto alla riqualificazione del fatto a termini di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in concorso e in danno di plurimi soggetti, anziche' di associazione per delinquere. In ultima analisi, il Tribunale sottolineava che vi era stato un trasferimento diretto del contenuto della comunicazione di reato nell'ordinanza cautelare senza mediazioni intellettive ed elaborative ulteriori e su tale presupposto aveva poi concluso quanto alla qualificazione del reato. Sulla base di queste premesse, il Tribunale affermava: - che una tale tecnica redazionale non soddisfaceva le condizioni sulla scorta delle quali era ammessa, dalla giurisprudenza di legittimita', la motivazione per relationem, anche perche' un atto di p.g. non puo' mai contenere una motivazione congrua rispetto all'esigenza motivazionale propria dell'atto di destinazione (l'ordinanza cautelare). Sottolineava che una tale tecnica pregiudicava la funzione di terzieta' del Giudice, il quale deve vagliare la fondatezza della ricostruzione fattuale proposta dalla p.g., essendo questa una ricomposizione storica unilaterale (legittimamente unilaterale); - che in ogni caso non si rintracciava nel provvedimento cautelare alcuna argomentazione logico-giuridica relativa all'idoneita' degli elementi raccolti dalla p.g., essendo irrilevanti a tal fine le considerazioni del G.I.P. in punto di qualificazione dei fatti, valutazione quest'ultima che, ovviamente, presuppone l'accertamento dei fatti oggetto di qualificazione. Da ultimo, il Tribunale riteneva impossibile avvalersi del potere integrativo di cui all'art. 309 c. 9 c.p.p., atteso che la disposizione presuppone una motivazione se pure in qualche parte carente, operazione impraticabile a fronte di una motivazione assente che imporrebbe la scrittura ex novo del provvedimento cautelare. Avverso l'ordinanza del Tribunale era proposto ricorso per cassazione dal Pubblico Ministero. Con sentenza 20 giugno 2013 (depositata 11 luglio 2013) la Corte di Cassazione annullava l'ordinanza e rinviava al Tribunale per nuovo esame. La Corte in primo luogo riteneva preferibile quell'orientamento di legittimita', pure non univoco, che riconosceva in capo al Tribunale del riesame un potere di annullamento dell'ordinanza cautelare del G.I.P. per difetto di motivazione, pur limitando questo potere alle ipotesi di carenza grafica della motivazione, ovvero di un apparato argomentativo che, recependo integralmente il contenuto di altro atto del procedimento o nel rinviare a questo, si limita all'uso di mere clausole di stile o all'uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni. Argomentava inoltre la Corte sulla legittimita' della motivazione del G.I.P. per relationem alla richiesta cautelare del Pubblico Ministero richiamando la propria giurisprudenza sul potere integrativo di cui all'art. 309 c. 9 c.p.p.. In conclusione, la Corte, nell'interpretazione sistematica degli artt. 292 c. 1-2 lett. c e 309 c. 9 c.p.p., affermava che la nullita' della misura coercitiva puo' essere dichiarata dal Tribunale del riesame solo nei casi di carenza grafica dell'ordinanza del G.I.P. o di giustificazione della misura mediante l'impiego di clausole di stile ed un generico rinvio alle risultanze delle indagini, dovendo, in ogni altro caso, avvalersi del potere integrativo summenzionato con accesso diretto al materiale indiziario. Nel merito della questione la Corte osservava che il G.I.P. aveva formulato un giudizio di gravita' indiziaria sulla base delle conversazioni estrapolate dal compendio indiziario, di talche' spettava al Tribunale del riesame integrare la motivazione, e conseguentemente annullava l'ordinanza con rinvio per nuovo giudizio. Ritualmente instaurato il contraddittorio relativamente al giudizio di rinvio, all'odierna udienza camerale, assente il Pubblico Ministero ritualmente avvisato, la difesa presente concludeva per l'annullamento della misura per difetto della gravita' indiziaria. Cosi' ricostruito l'iter procedimentale, questo Tribunale e' vincolato - ai fini della decisione - al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza di annullamento. Il principio di diritto affermato, in relazione al combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c e 309 c. 9 c.p.p., e': la nullita' della misura coercitiva puo' essere dichiarata dal Tribunale del riesame solo nei casi di carenza grafica dell'ordinanza del G.I.P. o di giustificazione della misura mediante l'impiego di clausole di stile ed un generico rinvio alle risultanze delle indagini; in ogni altro caso, il Tribunale deve avvalersi del potere integrativo summenzionato, con accesso diretto al materiale indiziario. Il principio enunciato contiene due affermazioni in diritto: - il Tribunale del riesame e' legittimato a dichiarare la nullita' del provvedimento adottato ai sensi dell'art. 292 c.p.p. per difetto di motivazione; - il Tribunale puo' dichiarare la nullita' per difetto di motivazione soltanto in due distinte ipotesi: 1) carenza grafica dell'ordinanza; 2) motivazione supportata da clausole di stile ed un generico rinvio al materiale d'indagine, dovendo in ogni altro caso ricorrere al potere integrativo dell'art. 309 c. 9 c.p.p. . Contiene, inoltre, un'altra affermazione in diritto, per come si evince chiaramente da precisi passaggi motivazionali della sentenza di annullamento, ovvero che e' legittima la motivazione per relationem, purche' non si risolva nell'impiego di mere clausole di stile o nell'uso di frasi apodittiche. In sintesi, il principio di diritto legittima la motivazione per relationem delle ordinanze cautelarli ma in ogni caso, dice la Corte, qualunque sia la tecnica adottata dal Giudice la motivazione non deve risolversi in clausole di stile, frasi apodittiche o in un rinvio generico alle risultanze delle indagini. Al di fuori di queste specifiche ipotesi il Tribunale non puo' dichiarare la nullita' ma deve, previo accesso diretto al materiale indiziario, integrare la motivazione eventualmente carente del Giudice. La successiva valutazione della Corte di corretta motivazione dell'ordinanza cautelare del G.I.P. di Bergamo e' diretta conseguenza degli espressi principi di diritto. Infatti, esclusa pacificamente l'ipotesi della carenza grafica della motivazione nel caso di specie (situazione invero gia' disciplinata dall'art. 125 c.p.p. secondo il piu' recente orientamento di legittimita': Cass. s.u., 28 dicembre 2006, Giuffrida), la Corte ha ritenuto soddisfatto il requisito della motivazione nei contesto argomentativo fatto proprio dal G.I.P. in quanto non ricompreso nella casistica delle nullita' come enucleate. Al riguardo, e prima di procedere oltre nell'esame del principio di diritto vincolante da applicare al caso di specie, e' necessario e opportuno riassumere alcuni dati obiettivi e fattuali circa la tecnica di motivazione adottata dal G.I.P. di Bergamo - dati gia' enucleati da questo Tribunale con l'ordinanza poi annullata (p. 8 s.) - trattandosi di aspetti salienti per le ulteriori considerazioni. Si tratta, comunque, di dati per nulla smentiti o negati dalla Corte di Cassazione, dal momento che non sono stati censurati in alcuna parte della sentenza di annullamento, di talche' vanno ribaditi anche in questa sede di rinvio e devono ritenersi consolidati e acclarati. Premesso che il provvedimento cautelare afferisce numerosi indagati, l'ordinanza del G.I.P. di Bergamo si occupa ex professo della posizione dell'odierno indagato-ricorrente K. B. e in relazione al materiale indiziario, da pagina 106 a pagina 113, allorche' tratteggia il subentro del ricorrente al cugino K. G. nello sfruttamento della prostituzione di C. C. A. L'intera porzione dedicata agli indizi raccolti nei confronti di K. B. e' sostanzialmente una fedele e pedissequa trasposizione della comunicazione di reato 84/5-101 del 21 gennaio 2013 dei Carabinieri di Bergamo Reparto operativo - Nucleo investigativo, e precisamente da p. 13 a p. 21. Invero, il confronto tra i due testi consente agevolmente di giungere a questa conclusione, tenuto anche conto dei fatto che sono riprodotti immutati le note a pie' di pagina, l'uso del corsivo e del grassetto, e persino gli errori di stesura (a titolo d'esempio: p. 108 ordinanza e p. 14 c.n. r. - 21.12.201; p. 110 ordinanza e pag. 17 c.n.r. - gentl). Occorre aggiungere, per una migliore comprensione della tecnica di redazione, che alcune brevi frasi o periodi della piu' ampia porzione compresa tra p. 13 e p. 21 sono interpolati sia da altre pagine della medesima comunicazione di reato (p. 8, 9, 10) e ivi riprodotte integralmente comprese le note a pie' di pagina (ad esempio: l'incipit di p. 106), sia dalla richiesta cautelare del Pubblico Ministero (l'incipit di pagina 107 dell'ordinanza riproduce un passaggio di p. 11 della richiesta e relative note - n. 25 e 26 della richiesta cautelare e n. 17 e 18 dell'ordinanza - salvo marginali e irrilevanti modifiche terminologiche). La fedelta' nella trasposizione e' pure evidenziata dalla circostanza che la fine del paragrafo relativo a K. B. coincide con l'inizio di quello relativo al coindagato M. E. (p. 113 ordinanza), e cio' in perfetta aderenza alla comunicazione di reato (dove a p. 21 finisce la trattazione di K. B. e inizia l'esame di M.). Deve percio' convenirsi, in una valutazione complessiva della parte del provvedimento che qui interessa, che la motivazione dell'ordinanza sugli elementi indiziari raccolti nei confronti di K. B. si risolve nella corrispondente parte della comunicazione di reato della p.g., salvo brevi e limitati inserti tratti, invece, dalla richiesta cautelare del Pubblico Ministero. Questa puntualizzazione vale a significare che, recepita nel corpo dell'ordinanza la parte della comunicazione di reato relativa all'indagato-ricorrente K. B., l'affermazione conclusiva del G.I.P. (p. 282-283 dell'ordinanza) di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di tutti gli indagati compreso K. B. - con riqualificazione dei fatti come contestati dal Pubblico Ministero - fonda sul recepimento integrale della comunicazione di reato n. 84/5-101 del 21 gennaio 2013 sopra richiamata, nel senso che il provvedimento giurisdizionale fa propria la selezione, l'analisi e la valutazione di quel materiale indiziario secondo la prospettazione della polizia giudiziaria, e su di esse formula il giudizio conclusivo ex art. 273 c.p.p.. L'atto di p.g. recepito nel corpo della motivazione, secondo la tecnica della motivazione per relationem, costituisce, percio', la parte argomentativa su cui si innesta la valutazione finale circa la sussistenza di gravita' indiziaria. Le contrarie indicazioni del Pubblico Ministero nel ricorso per cassazione non smentiscono i rilievi di cui sopra (anzi li confermano), dal momento che le ulteriori pagine nelle quali - secondo l'organo dell'Accusa - si rintraccerebbe la motivazione propria e autonoma del G.I.P. quanto a K. B. (pp. 92-93, 106-107, 120, 127-128, 282 sull'identificazione dell'indagato, 283 sulle esigenze cautelari) in realta' non valgono allo scopo. Ed infatti, escluso il richiamo alle argomentazioni sulle esigenze cautelari perche' irrilevante ai fini qui d'interesse (il Tribunale non ha dichiarato la nullita' della motivazione in relazione alle esigenze cautelari): - le pagine 92-93 dell'ordinanza argomentano sull'attivita' di meretricio delle ragazze, ma nulla attestano quanto agli elementi fattuali e indiziari gravanti su K. B. circa il coinvolgimento nell'attivita' di sfruttamento e favoreggiamento, di talche' il richiamo e' eccentrico per cio' che in questa sede rileva; peraltro, neppure compare il nominativo di K. B.; in queste pagine se non per attestare la coabitazione con la prostituta C. C.; - le pagine 106-107 sono gia' state commentate in precedenza, e si rileva che si tratta pur sempre di brevissimi periodi estrapolati da altre parti della c.n.r. ovvero dalla richiesta cautelare; - la pagina 120 per un verso riproduce fedelmente la richiesta del Pubblico Ministero (p. 12-13), per altro verso e' trasposizione integrale della c.n.r. (p. 9 ivi compresa la nota n. 18); - le pagine 127-128 sono una riproduzione integrale delle pagine 3-4 della c.n.r. (le diversita' afferiscono la collocazione di taluni riferimenti, in nota anziche' nel testo); - le pagine 282-283 si risolvono nella clausola finale di sussistenza della gravita' indiziaria e nella qualificazione giuridica dei fatti come riprodotti dalla c.n.r., per come gia' in precedenza indicato. Per sole ragioni di completezza, si osserva che la tecnica redazionale adottata dal G.I.P. pare caratterizzare gran parte del provvedimento cautelare. A titolo esemplificativo si richiama la posizione del coindagato M. E., trattata da p. 113 e s. dell'ordinanza. Il testo e' la riproduzione integrale e fedele della corrispondente parte della medesima comunicazione di reato (p. 21-26), salvo un breve inserto estrapolato (sempre fedelmente) dalla richiesta cautelare del Pubblico Ministero, comprese le note a pie' di pagina (p. 11). La sola divergenza riguarda l'ordine delle porzioni del testo che a volte sono inseriti diversamente rispetto alla consequenzialita' dell'atto recepito, ma cio' non toglie che l'argomentazione sia del tutto quella promanante dalla p.g. . Ed allora, conclusivamente su questo aspetto, il provvedimento del G.I.P. risulta redatto (sia in genere che piu' in specifico quanto al ricorrente K. B.), attraverso la ricezione integrale della comunicazione di reato della p.g., con taluni brevi inserti recepiti dalla richiesta cautelare. Ebbene, questa tecnica di redazione della motivazione - si ripete - non e' affatto contestata e smentita dalla Corte di Cassazione, atteso che nessun rilievo fattuale si rinviene al riguardo nella sentenza di annullamento, di talche' il giudizio della medesima Corte sulla corretta stesura del provvedimento del G.I.P. ha ad oggetto proprio la motivazione redatta nei termini specificati. E cosi', quando la Corte di legittimita' osserva che il G.I.P. ha espresso puntualmente un giudizio di gravita' del quadro indiziario desunto dal contenuto di numerose telefonate, estratte dal compendio indiziario e di cui viene riportato il testo, corredato delle annotazioni esplicative della condotta alla quale le stesse risultavano riferirsi, necessariamente richiama la selezione delle telefonate e le annotazioni esplicative contenute si' nell'ordinanza cautelare ma ivi direttamente e integralmente recepite dalla comunicazione di reato della polizia giudiziaria. In definitiva, la Suprema Corte, dopo avere affermato il menzionato principio di diritto tale per cui la nullita' puo' essere dichiarata per carenza grafica dell'ordinanza, ovvero per motivazione (anche per relationem) supportata da clausole di stile e da un generico rinvio al materiale d'indagine, ha ritenuto che la motivazione dell'ordinanza cautelare, composta con le modalita' di cui s'e' detto di recepimento integrale della comunicazione di reato, e' immune dal vizio della nullita'. In altre parole, la Corte ha innanzitutto delimitato le ipotesi di nullita' della motivazione a quelle che si risolvono in clausole di stile ed un generico rinvio alle risultanze delle indagini, e, successivamente, convalidando l'operato del G.I.P. di Bergamo, ha comunque ed in ogni caso escluso il vizio di nullita' di quelle motivazioni che - come quella in esame - recepiscono la comunicazione di reato della polizia giudiziaria e fondano in via esclusiva su detta comunicazione l'affermazione della sussistenza della gravita' indiziaria. Il connotato vincolante dei dictum della Corte di Cassazione preclude a questo Tribunale, ovviamente, ulteriori valutazioni in punto di nullita' ex artt. 292 e 309 c.p.p., imponendo il passaggio alla successiva valutazione di merito della vicenda, e tuttavia si rinvengono profili di illegittimita' costituzionale nel combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c e 309 c. 9 c.p.p., nell'interpretazione vincolante della Suprema Corte. Piu' precisamente, i dubbi di costituzionalita' riguardano la parte in cui detta interpretazione esclude la nullita' della motivazione ai sensi dell'art. 292 c. 2 lett. c), e consente il potere integrativo del Tribunale del riesame ai sensi dell'art. 309 c. 9 c.p.p., nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria recepita per relationem nel provvedimento cautelare. L'individuazione di questi profili di illegittimita' costituzionale comporta la proposizione del relativo giudizio incidentale onde rimuovere quel principio di diritto cosi' formulato e consentire in questa sede una diversa valutazione degli aspetti di nullita' del provvedimento cautelare. Il Tribunale, in sede di giudizio di rinvio ex art. 627 c. 3 c.p.p., e' certamente legittimato a proporre questione di legittimita' costituzionale della norma da applicare, e nell'interpretazione stabilita e vincolante nel giudizio a quo, trattandosi di rapporti non ancora esauriti, e a fronte dell'impossibilita' del giudice di rinvio di discostarsi da quell'unica interpretazione normativa indicata dalla Corte in sede di annullamento (sul punto e' costante l'orientamento della Corte costituzionale, e tra le altre si citano le seguenti sentenze: 305/2008; 78/2007; 130/1993, e, da ultimo e su questione sollevata da questo stesso Tribunale: Corte Cost. 17-20 luglio 2012 n. 204). Sulla rilevanza della questione proposta, rileva il Collegio che la natura vincolante dell'interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c.p.p. preclude qualsivoglia altra diversa valutazione sul punto da parte di questo Tribunale in sede di rinvio, dovendosi procedere oltre nella valutazione di merito della vicenda processuale. Ma tale ultima valutazione di merito transita - necessariamente - per il vincolo imposto dal citato principio di diritto, sia perche' il vizio di nullita' dell'ordinanza cautelare e' questione logicamente antecedente rispetto alle questioni in fatto, sia - soprattutto - perche' quel principio di diritto impone un potere integrativo del Tribunale del riesame (potere che, pertanto, deve essere esercitato in questo giudizio di rinvio nella ricostruzione e valutazione dei fatti contestati a K. B.), laddove i dubbi di costituzionalita' investono proprio l'interpretazione vincolante circa il menzionato potere di cui all'art. 309 c. 9 c.p.p. . Ne' potrebbe obiettarsi che resta pur sempre in capo al tribunale la possibilita' di ritenere che la motivazione di questa ordinanza si risolve in clausole di stile ed un generico rinvio alle risultanze delle indagini, e percio' ribadirne la nullita'. Infatti, acclarata la tecnica di redazione, l'integrale recepimento dell'atto di p.g. e' stato gia' valutato dalla Corte idoneo ed immune da vizi, e, giocoforza, estraneo all'ambito del vizio di nullita' come circoscritto dalla stessa Corte, di talche' ogni contraria affermazione sarebbe una violazione del principio di diritto che ha escluso la sanzione invalidante a fronte di siffatta tecnica motivazionale. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale si' osserva quanto segue. L'interpretazione del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. accolta dalla sentenza di annullamento della Corte di Cassazione solleva forti dubbi di' costituzionalita' in relazione agli artt. 111 e, 6, 13 c. 2, e 111 c. 2 della Costituzione. Artt. 111 c. 6 e 13 c. 2 Costituzione. La norma costituzionale dell'art. 111 c. 6 impone un generale obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, tra i quali certamente si annovera l'ordinanza cautelare del G.1.P., mentre l'art. 13 c. 2 della Costituzione, nello specifico ambito del diritto alla liberta' personale, contempla la possibilita' di forme di restrizione e compressione della liberta' individuale purche' avvenga per atto motivato dell'autorita' giudiziaria. Le citate disposizioni costituzionali fondano, cosi', perentoriamente un obbligo di motivazione degli atti della giurisdizione, e nello specifico degli atti limitativi della liberta' personale, tra cui l'ordinanza ex art. 292 c.p.p. . Tale ultima norma codicistica, nella formulazione attuale dopo la modifica legislativa di cui alla L. n. 332 del 1995, individua al comma 2 lett. c) il peculiare contenuto del provvedimento cautelare e sanziona la carenza di questo contenuto con una specifica ipotesi di nullita', rilevabile anche ex officio; la norma processuale assume, percio', una portata attuativa dell'obbligo costituzionale di motivazione, per un verso indicando specificatamente quale debba essere il contenuto di un'ordinanza cautelare in punto di' gravita' indiziaria, e per altro verso introducendo un'apposita sanzione nell'ipotesi della violazione di un obbligo di diretta derivazione costituzionale. Insomma, sussiste uno stringente nesso derivativo tra le norme costituzionali degli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2, da un lato, e l'art. 292 c.p.p., dall'altro, essendo le prime fondative di un obbligo giurisdizionale di motivazione, e la seconda attuativa del suddetto obbligo con previsione di un vizio di nullita' in ipotesi di inottemperanza. La Suprema Corte ha circoscritto la motivazione affetta da nullita', sanzionata appunto dall'art. 292 c.p.p., alle sole ipotesi di carenza grafica e di clausole di stile e con rinvio generico al compendio indiziario, escludendo il vizio invalidante per le fattispecie - come quella in esame - in cui la motivazione del G.I.P. e' costruita esclusivamente con rinvio per relationem alla comunicazione di' reato della p.g. recepita nel corpo dell'ordinanza. La Suprema Corte e' pervenuta a questa delimitazione delle ipotesi di nullita', coordinando l'interpretazione dell'art. 292 c. 1-2 lett. c) c.p.p. con quella dell'art. 309 c. 9 c.p.p. afferente il potere integrativo motivazionale del Tribunale del riesame; infatti, a fronte di una disposizione che legittima il Tribunale del riesame a confermare l'ordinanza cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione ha ritenuto di circoscrivere e restringere le ipotesi di invalidita' dell'atto nei termini indicati, di talche' l'interpretazione congiunta degli artt. 292 e 309 c.p.p. ha determinato l'individuazione della sfera della nullita' e, correlativamente, l'ambito del potere integrativo del Tribunale. E' questa, invero, ad avviso del Collegio, un'esegesi riduttiva della portata delle menzionate disposizioni in rito, e non conforme alle succitate norme costituzionali. La motivazione di un provvedimento giurisdizionale - e di un provvedimento de libertate in specie - si estrinseca in un percorso logico-giuridico in grado di disvelare l'iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice, nonche' i risultati che debbono essere conformi alle prescrizioni della legge (in tali termini si e' espressa autorevolmente la Suprema Corte circa la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali - nella specie i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche - Cass. s.u., 21.9.2000, Primavera). Soltanto un'argomentazione siffatta, esplicativa cioe' di un percorso del giudice in primo luogo di conoscenza dei dati procedimentali (cognitivo), e in secondo luogo di valutazione degli elementi esaminati (valutativo), puo' dare conto dell'esito decisionale fatto proprio dal giudice medesimo (il risultato) e della sua conformita' a legge. La necessita' di una motivazione appropriata e caratterizzata nei termini suddetti e' quella imposta - a parere del Tribunale - dalle relative norme costituzionali degli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2, dovendosi contemperare opposti interessi costituzionalmente tutelati: la liberta' personale individuale e l'amministrazione della giustizia (prevenzione e repressione dei reati). In tali frangenti, proprio l'equivalenza degli interessi in gioco, e la loro tutela e protezione al massimo rango legislativo, hanno imposto determinate cautele approntate dalla Costituzione: dalla riserva di legge al necessario intervento del giudice, alla predeterminazione legislativa delle situazioni eccezionali di arresto da parte della p.g., con scansione temporale rigida per la convalida da parte del giudice. Tra queste garanzie rientra proprio la necessita' di un atto motivato del giudice, laddove la motivazione, proprio per la funzione che assolve nel contesto di un contemperamento tra interessi diversi tutelati dalla Costituzione, deve essere adeguata, specifica, puntuale, perche' vi sia la concreta dimostrazione che il giudice ha correttamente esercitato il potere che gli e' attribuito (in questi termini si e' espressa la Corte costituzionale, ripetutamente, a proposito della questione parallela dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche: tra le altre, seni. n. 34 del 1973, n. 366 del 1991 le cui affermazioni sono state reiterate in pronunce successive). Ed allora, quando l'art. 292 c. 2 impone - a pena di nullita' - che l'ordinanza cautelare contenga c) l'esposizione ... degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti, e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, non fa altro che estrinsecare a livello normativo ordinario l'obbligo costituzionale della motivazione. Infatti, la disposizione richiede l'esposizione degli indizi la cui presenza e' necessaria per l'adozione della misura, e, soprattutto, l'indicazione degli elementi di fatto in grado di concretizzare gli indizi (da cui desumerli) - iter cognitivo - e dei motivi sulla scorta dei quali quegli elementi assurgono al rango di indizi - iter valutativo. Soltanto in questo modo e' possibile conoscere (perche' esplicitato) la conformita' del risultato (restrizione della liberta' personale) alle norme di legge. Inoltre, l'obbligo costituzionale della motivazione, perche' non riduca l'argomentazione del giudice ad un assolvimento dell'obbligo meramente formale se non addirittura ad uno sterile esercizio di stile, deve essere concepito, contenutisticamente, in vista del soddisfacimento di altri valori costituzionalmente tutelati: il diritto di difesa e la terzieta-imparzialita' del giudice. Il diritto di difesa (art. 24), laddove consente un suo congruo esercizio nelle sedi di impugnazione previste dalla legislazione ordinaria avverso il provvedimento giurisdizionale. Invero, una motivazione dell'atto che non rispondesse a quei requisiti costituzionali di adeguatezza, specificita' e puntualita' (e, nello specifico della liberta' personale, ai requisiti espositivi e valutativi di cui all'art. 292 c. 2 lett. c) c.p.p.), non consentirebbe alla difesa di rappresentare al giudice dell'impugnazione (al Tribunale del riesame) le proprie doglianze avverso la decisione e circa il corretto esercizio del potere restrittivo, appunto perche' all'oscuro del percorso valutativo seguito dal giudice nell'adozione della misura. Ne' varrebbe obiettare che la natura interamente devolutiva dell'istituto ex art. 309 c.p.p. e la possibilita' di riservare i motivi d'impugnazione alla fase dell'udienza rendono irrilevante la specificita' o meno della motivazione del G.I.P., dal momento che il ricorso e' pur sempre concepito dal legislatore come mezzo d'impugnazione (attivato dalla parte che si duole del provvedimento adottato dal G.I.P.) e come verifica di legittimita' del provvedimento assunto dal giudice di prime cure (da cui un potere di' annullamento contemplato dall'art. 309 c. 9 c.p.p.), sicche' l'ordinanza cautelare costituisce il parametro di riferimento per le valutazioni sollecitate dalla difesa. Inoltre, l'effetto devolutivo atipico e la facolta' della riserva dei motivi non possono all'evidenza risolversi in un impedimento alla proposizione dei motivi a cagione di una decisione priva dell'esplicitazione delle ragioni che ad essa hanno condotto (sulla funzione della motivazione a salvaguardare il diritto di difesa, Cass. s.u., Primavera, cit.). La terzieta-imparzialita' dei giudice (art. 111 c. 2 Costituzione), laddove consente di verificare la posizione equidistante dell'organo decidente rispetto alle parti' (quella pubblica e quella privata), atteso che proprio la linearita' e trasparenza del percorso motivazionale (inteso come analisi degli elementi di fatto e valutazione di' essi in relazione al presupposto legittimante la misura, cioe' la gravita' indiziaria) evidenzia quel requisito del giudicante essenziale al principio del giusto processo, oggi formalmente costituzionalizzato (sulla terzieta-imparzialita' si dira' oltre e alle successive argomentazioni si' rinvia). In definitiva, le norme costituzionali degli arti. 111 c. 6 e 13 c. 2 impongono al giudice - nella stesura dei provvedimenti - l'adozione di una motivazione caratterizzata, quanto al contenuto, nei termini dianzi descritti, e, per le ordinanze cautelari, nei termini di cui all'art. 292 c. 2 lett. c) c.p.p. che delle norme e principi costituzionali e' diretta attuazione. Nondimeno, la tecnica redazionale di una tale motivazione puo' anche risolversi con rinvio recettizio ad altro atto procedimentale (motivazione per relationem) - tecnica ampiamente ammessa e riconosciuta valida da una giurisprudenza di legittimita' oltremodo costante e consolidata (e valga per tutte, e autorevolmente, Cass. s.u., Primavera, cit.) - ma, va da se', deve essere rispettato il contenuto voluto dalle norme costituzionali. Al riguardo sovviene assai utilmente il requisito della congruita', elaborato dalla Corte di Cassazione, ai fini della legittimita' della motivazione per relationem. La Corte ha infatti specificato che una tale tecnica e' ammessa quando la motivazione dell'atto richiamato o recepito e' congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione. In tal modo si garantisce che la motivazione del provvedimento di destinazione, pur recependo il contenuto di altro atto del procedimento, conservi i requisiti argomentativi che quella tipologia di provvedimento deve avere. Orbene, l'obbligo di motivazione sancito dalla Costituzione non esclude che nella tecnica di redazione del provvedimento giurisdizionale si ricorra al metodo per relationem, ma devono essere salvaguardati i requisiti che, sulla base delle precedenti considerazioni, sono imposti dalle norme costituzionali evocate. Altrimenti si tratterebbe di obbligo facilmente aggirabile. Ebbene, tutto questo premesso sull'obbligo costituzionale di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, rileva il Collegio che il principio di diritto della sentenza di annullamento, allorche' legittima la motivazione del G.I.P. costruita integralmente con il recepimento della comunicazione di reato della polizia giudiziaria (cosi' interpretando il combinato disposto degli artt. 292 c. 2 e 309 c. 9 c.p.p.), contrasta con i menzionati principi costituzionali degli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2. La comunicazione di reato e' il mezzo attraverso il quale la p.g. riferisce al Pubblico Ministero gli elementi essenziali del fatto, con indicazione delle fonti di prova e delle attivita' compiute (art. 347 c.p.p.). In altre parole, costituisce ia sintesi elaborata della p.g. dei fatti occorsi, e cio' sulla base delle prove raccolte e delle attivita' compiute: la comunicazione di reato e' la ricostruzione fattuale offerta e proposta dalla p.g.. La disposizione normativa, distinguendo tra comunicazione degli elementi essenziali e degli altri elementi raccolti, da un lato, e indicazione delle fonti di prova e delle attivita' compiute previamente documentate, dall'altro, introduce una differenza non di poco conto nell'atto di cui all'art. 347 c.p.p. . Invero, le fonti di prova (ad esempio orali) e le attivita' compiute (ad esempio accertamenti urgenti, sequestri, perquisizioni), forniscono elementi obiettivi suscettibili di valutazione, mentre la narrazione di p.g. degli elementi essenziali del fatto e degli altri elementi, e' piu' che altro una sintesi della vicenda, fondata ovviamente su quelle fonti e quelle attivita' separatamente documentate, e come ogni sintesi ha un contenuto valutativo allorche' seleziona gli elementi raccolti valorizzandone alcuni e svalutandone altri. La circostanza e' assai evidente allorche' l'attivita' d'indagine si sviluppa in attivita' di intercettazione; invero, alla documentazione delle conversazioni intercettate si aggiunge l'attivita' di sintesi della p.g. che, selezionando le conversazioni ed estrapolando le frasi da alcune conversazioni, ricompone un contesto delittuoso modellato sull'ipotesi che propone all'autorita' giudiziaria (tale e' il caso di specie). Quindi, in una comunicazione di reato ex art. 347 c.p.p. occorre separare la documentazione delle fonti di prova e delle attivita' compiute, dalla sintesi elaborata della p.g. sulla base di questa documentazione, essendo quest'ultima una rappresentazione fattuale unilaterale allorche' seleziona gli elementi d'accusa e li interpreta secondo una propria ricomposizione degli accadimenti in vista delle funzioni di tutela della collettivita' (funzioni cristallizzate nell'art. 55 c.p.p.). Orbene, la trasposizione integrale del contenuto di una comunicazione di reato nell'ordinanza cautelare (secondo la tecnica della motivazione per relationem), di modo che la motivazione giurisdizionale coincide e si sovrappone al contenuto dell'atto di p.g. - proprio come nel caso in oggetto - non soddisfa affatto i requisiti motivazionali che l'ordinanza cautelare deve avere a norma di costituzione, di talche' un'interpretazione restrittiva degli artt. 292 e 309 c.p.p. contrasta con le norme costituzionali che impongono un diverso contenuto agli atti giurisdizionali. La motivazione del giudice deve disvelare il percorso cognitivo-valutativo di cui s'e' parlato e cio' al fine di verificare sia la presenza delle condizioni normative che sole giustificano la compressione del diritto alla liberta' personale (nell'evidenziata operazione di contemperamento di opposti interessi tutelati dalla Costituzione), sia il corretto esercizio del potere limitativo della liberta' personale riconosciuto dalla Costituzione; una siffatta motivazione non puo' rinvenire elementi di affinita' contenutistica nella comunicazione di reato e nella sua sintesi valutativa, proprio per la finalita' unica perseguita dalla polizia giudiziaria, e, soprattutto, perche' in quell'atto e' ricostruita la vicenda processuale secondo una valutazione della p.g., e previa selezione degli elementi indiziari. Una motivazione giurisdizionale che coincide perfettamente e si risolve nella valutazione della polizia giudiziaria, e che percio' accetta la selezione e la valorizzazione degli elementi probatori nella ricostruzione della p.g., non da' conto dell'approccio del giudice a tutto il materiale probatorio risultante nella documentazione allegata alla comunicazione di reato, e, giocoforza, della valutazione del giudice una volta conosciuto quel materiale (valutazione sotto forma di valorizzazione di alcuni elementi e svilimento di altri). In definitiva, questa motivazione non da' conto delle ragioni che il giudice assume a fondamento della decisione, perche' queste ragioni collimano nel provvedimento con la prospettazione della p.g. che il giudice avrebbe dovuto vagliare. Insomma, una motivazione del giudice che si sovrappone al contenuto dell'atto di p.g., non si limita a prendere cognizione delle fonti di prova, ma aderisce sic et simpliciter ad una prospettazione valutativa di parte, risultando percio' del tutto priva delle caratteristiche imposte dalla Costituzione affinche' sia osservato il canone motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali in materia di liberta' personale. Una motivazione recettizia della comunicazione di reato non e' poi conforme agli artt. 111 c. 6 e 13 c. 2 Cost. anche perche' disattende i valori perseguiti dalle citate norme: il diritto di difesa e la terzieta-imparzialita' del giudice. Quel genere di motivazione da un lato non consente l'esercizio del diritto di difesa che, non potendo confrontarsi con un percorso argomentativo giurisdizionale sostituito da un atto portatore di una ricostruzione fattuale unilaterale in danno dell'indagato, non puo' rappresentare al giudice dell'impugnazione le proprie doglianze su quel percorso mancante; dall'altro esclude il requisito della terzieta-imparzialita' del Giudice, atteso che la perfetta sovrapposizione tra motivazione del giudice e comunicazione di reato impedisce di apprendere se vi sia stato o meno quell'iter cognitivo e valutativo che garantisce l'equidistanza del giudicante dalle prospettazioni di una parte (la p.g., poi rappresentata nelle richieste cautelati del Pubblico Ministero), e, percio', il requisito costituzionale della terzieta'. In conclusione, una motivazione dell'ordinanza cautelare che si risolve nel contenuto della comunicazione di reato della p.g. non e' conforme ai parametri costituzionali indicati, e l'interpretazione della Corte di Cassazione del combinato disposto degli artt. 292 o. 2 e 309 c. 9 c.p.p., nella parte in cui esclude il vizio di nullita' di siffatte motivazioni, consequenzialmente si pone in contrasto con le citate norme della Costituzione. Art. 111 c. 2 Costituzione. L'art. 111 c. 2 della Costituzione, indicando i caratteri essenziali del giusto processo, statuisce che questo si celebri davanti a giudice terzo e imparziale. La norma, inserita con legge costituzionale del 1999 n. 2, ha solo formalizzato un connotato della giurisdizione da tempo affermato e sottolineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in plurime occasioni, nelle quali il carattere della terzieta-imparzialita' e' stato delineato in funzione della tutela del diritto di difesa (sotto il profilo dell'alterazione della dialettica processuale) e del principio di uguaglianza (tra le altre sentenze, si richiamano: 390/91, 133/93, 148/96, 387/99, 240/03). In particolare la Corte ha precisato, nell'analisi del menzionato requisito della giurisdizione, che rimane imprescindibile - qualunque sia la tipologia del processo - l'esigenza generale di assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo agli interessi oggetto del processo (sent. n. 387/99), ed inoltre che l'identita' del giudice e' quella della sua posizione super partes, occorrendo evitare che agisca, e appaia, come l'attore del procedimento sul quale giudica (sent. n. 240/03). Il giusto processo richiede ed impone, quindi, un giudice che sia ed appaia estraneo alla dialettica processuale ed agli interessi in gioco (nella specie: l'interesse del Pubblico Ministero alla prevenzione e repressione dei reati, e l'interesse della difesa e dell'indagato al rispetto delle norme che rigidamente disciplinano l'ambito di ammissibilita' della restrizione della liberta' personale). E per essere ed apparire estraneo alle parti ed agli interessi di cui le parti medesime sono portatrici il giudice deve consequenzialmente essere estraneo alle prospettazioni fattuali delle parti medesime, dal momento che queste prospettazioni sono animate dall'interesse che ciascuna parte intende salvaguardare, e l'intervento del giudice vale appunto a dirimere la contrapposizione attraverso il vaglio e la valutazione autonoma che gli e' propria: che e' propria e fondante della sua funzione. Lo strumento tramite il quale ii giudice puo' dare dimostrazione di avere conservato un ruolo super partes, e di avere percio' agito e deciso in posizione di equidistanza dalle posizioni delle parti, e', ad avviso del Tribunale, proprio quello della motivazione del provvedimento. Invero, il percorso motivazionale, scandito dalla cognizione e dalla valutazione degli elementi, e' in grado di esplicitare l'estraneita' del giudice alla vicenda e di garantire la parita' processuale delle parti (la loro dialettica). Questa esigenza, secondo il Tribunale, e' ancora piu' forte nella fase delle indagini preliminari allorche' viene adottata una misura cautelare. L'accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, in assenza di un contraddittorio e prima di avere ascoltato le eventuali ragioni difensive dispiegate in sede di interrogatorio di' garanzia (come nel caso di specie in cui non vi e' stato un previo arresto o fermo dell'indagato), e quindi l'adesione alla rappresentazione fattuale di una sola parte del procedimento, impone un'esplicitazione ancora maggiore e piu' intensa del percorso motivazionale, sotto il profilo della cognizione, selezione, e valutazione degli elementi indiziari, affinche' il giudice sia e appaia equidistante dalla parte pubblica che propone restrizioni alla liberta' personale. In siffatte ipotesi soltanto un percorso motivazionale puntuale ed esaustivo nelle modalita' In precedenza indicate puo' garantire il rispetto di quel connotato di terzieta', perche' e' proprio la motivazione conforme alle regole costituzionali - di cui la norma codicistica dell'art. 292 c.p.p. e' attuazione - che sola puo' dare conto di un vaglio completo degli elementi e di autonoma valutazione del giudice (autonoma in quanto originaria rispetto alle rappresentazioni di parte). Diversamente, una motivazione integralmente riproduttiva dell'atto di polizia giudiziaria di selezione, cognizione e valutazione degli indizi (salvo il sigillo finale del giudice che detti indizi cosi' selezionati e ricomposti integrano il requisito della gravita' indiziaria), non svolge il ruolo suo proprio che s'e' detto. II difetto di un percorso argomentativo del G.I.P. originario, e percio' autonomo, e l'accettazione acritica della versione del soggetto che accusa (acritica, perche' cosi' appare in assenza, appunto, di un'argomentazione originaria), inficiano la posizione di terzieta-imparzialita' in quanto impediscono di conoscere le valutazioni proprie del giudice e l'iter ricostruttivo nelle forme esplicite richieste, confondendosi il ruolo del giudice con ii ruolo di una sola delle parti. Insomma, una motivazione ricalcata tutta sulle valutazioni di cui alla comunicazione di reato, identificando il giudice con la p.g., incide radicalmente sul ruolo di terzieta-imparzialita' costituzionalmente imposto. Ecco, pertanto, che un'interpretazione normativa del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. tale da legittimare questa motivazione, configura un ruolo giurisdizionale lesivo della norma costituzionale in oggetto, ponendosi in contrasto con questa. Alla stregua di tutte le precedenti argomentazioni e', dunque, rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 111 c. 6, 13 c. 2 e 111 c. 2 Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. c) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui esclude la nullita' della motivazione e consente il potere integrativo del Tribunale del riesame nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria recepita per relationem nel provvedimento cautelare, Va dunque disposta la sospensione della presente procedura e la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli artt. 1 Legge Cost, 9.2.1948 n. 1 e 23 L. 11.3.1953 n. 87. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
P.Q.M. Pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione: sulla richiesta di riesame depositata/pervenuta in data 27.2.2013 dal difensore di K. B., avverso l'ordinanza 9.2.2013 del G.I.P. del Tribunale di Bergamo di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere visti gli artt. 1 Legge Cost. 9.2.1948 n, 1 e 23 L. 11.3.1953 n. 87 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli arti. 111 c. 6, 13 c. 2 e 111 c. 2 Costituzione, la questione di' legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 292 c. 1-2 lett. o) e 309 c. 9 c.p.p. nella parte in cui esclude la nullita' della motivazione e consente il potere integrativo del Tribunale del riesame nelle ipotesi di ordinanza cautelare la cui motivazione sulla gravita' indiziaria coincida integralmente con la comunicazione di reato della polizia giudiziaria recepita per relationem nel provvedimento cautelare. Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti. Dispone la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Cosi' deciso in data 29 ottobre 2013 Il Presidente estensore: Mocciola