N. 8 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2014

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 28 febbraio 2014 (della Regione Lazio). 
 
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Legge  di  stabilita'  2014  -
  Disposizioni afferenti  la  protezione  civile  -  Imputazione  dei
  rapporti  attivi  e  passivi,  dei   procedimenti   giurisdizionali
  pendenti nonche' dei rapporti  derivanti  dalle  dichiarazioni  dei
  grandi eventi, gia' facenti  capo  ai  soggetti nominati  ai  sensi
  dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992  -  Previsione  che,  alla
  scadenza dello stato di emergenza, succedono a titolo universale le
  amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti  (comprese  le
  Regioni), ove i soggetti nominati ai sensi del citato art. 5  siano
  rappresentanti delle stesse amministrazioni ed enti  ordinariamente
  competenti ovvero soggetti dagli stessi designati -  Ricorso  della
  Regione Lazio - Denunciata esorbitanza dalla competenza legislativa
  statale nella  materia  concorrente  della  "protezione  civile"  -
  Lesione delle potesta' legislative, regolamentari, amministrative e
  finanziarie delle Regioni nonche' del principio di sussidiarieta' -
  Violazione del principio di leale collaborazione -  Violazione  dei
  principi di ragionevolezza, irretroattivita' della legge,  certezza
  del  diritto,  legittimo   affidamento,   "parita'   delle   armi",
  contraddittorio e giusto processo - Illegittima interferenza  nella
  funzione  giurisdizionale  -  Lesione  del  diritto   alla   tutela
  giurisdizionale dell'Amministrazione subentrante  -  Disparita'  di
  trattamento in danno degli enti i cui rappresentanti  hanno  svolto
  il ruolo  di  commissario  delegato  -  Disparita'  di  trattamento
  rispetto alle ipotesi  di  successione  a  titolo  particolare  nei
  giudizi pendenti. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 422. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 101, 102, 111, (113), 117, commi  primo,
  terzo e sesto, 118 e  119;  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo, artt. 6 e 13. 
(GU n.13 del 19-3-2014 )
    Ricorso della Regione Lazio, con sede in  00145  Roma,  Via  Rosa
Raimondi Garibaldi, n. 7, codice fiscale n. 80143490581,  in  persona
del Presidente pro tempore della Giunta regionale Nicola  Zingaretti,
giusta mandato a margine del presente  atto  rappresentata  e  difesa
dall'Avv. Prof. Massimo  Luciani  (codice  fiscale  LCNMSM52L23H501G;
fax: 06.90236029; PEC massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),  presso
il cui studio in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n.  9,  e'
elettivamente domiciliata; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso i cui uffici  in  00186  Roma,  Via  dei
Portoghesi, n. 12, e'  domiciliata  ex  lege,  per  la  dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 422,  della  legge
27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2014)», pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 27  dicembre  2013,  n.  302,
S.O. n. 87. 
 
                                Fatto 
 
    1. - La legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2014)», pubbl. nella  Gazzetta  Ufficiale  27  dicembre
2013, n. 302, S.O. n, 87, si compone di un unico articolo, del  quale
fanno parte ben 749 commi. Detta legge, nei dettare  le  disposizioni
di bilancio per il triennio  2014-2016,  ha  disciplinato  una  vasta
pluralita' di oggetti,  tra  i  quali  -  per  quanto  qui  interessa
direttamente - la successione nei rapporti gia' intercorrenti  fra  i
terzi e i soggetti deputati alla gestione di uno "stato di emergenza"
ai sensi della legge n. 225 del 1992,  di  istituzione  del  servizio
nazionale di protezione civile. 
    In particolare,  l'art.  1,  comma  422,  della  legge  impugnata
dispone  che  «Alla   scadenza   dello   stato   di   emergenza,   le
amministrazioni e gli  enti  ordinariamente  competenti,  individuati
anche ai sensi dell'articolo 5, commi 4-ter e 4-quater,  della  legge
24 febbraio 1992, n. 225, subentrano in tutti  i  rapporti  attivi  e
passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti,  anche  ai  sensi
dell'articolo 110 del codice di procedura civile,  nonche'  in  tutti
quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all'articolo 5-bis, comma
5, del decreto-legge  7  settembre  2001,  n.  343,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, gia' facenti capo
ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della citata  legge  n.
225 del 1992. Le  disposizioni  di  cui  al  presente  comma  trovano
applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati  ai  sensi
dell'articolo  5  della  medesima  legge  n.  225  del   1992   siano
rappresentanti delle  amministrazioni  e  degli  enti  ordinariamente
competenti ovvero soggetti dagli stessi designati». 
    La disposizione  impugnata,  nell'onerare  altre  Amministrazioni
(tra le quali anche  le  Regioni  e,  dunque,  la  ricorrente)  della
successione  nei  rapporti  (anche)  passivi  gia'  facenti  capo  al
Dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del  Consiglio
dei ministri e nell'estendere  ad  altre  Amministrazioni  (tra  cui,
ancora una volta, anche la Regione ricorrente) la condizione di parte
processuale di giudizi pendenti, e' gravemente lesiva degli interessi
e delle attribuzioni  costituzionali  della  Regione  Lazio,  che  ne
chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1. - La disposizione impugnata prevede che, «alla scadenza  dello
stato di emergenza, le  amministrazioni  e  gli  enti  ordinariamente
competenti, individuati anche ai sensi dell'articolo 5, commi 4-ter e
4-quater, della legge 24, febbraio 1992, n. 225, subentrano in  tutti
i  rapporti  attivi  e  passivi,  nei  procedimenti   giurisdizionali
pendenti, anche ai sensi dell'articolo 110 del  codice  di  procedura
civile, nonche' in lutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di  cui
all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre  2001,  n.
343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre  2001,  n.
401, gia' facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo  5
della citata legge n.  225  del  1992.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente comma trovano applicazione  nelle  sole  ipotesi  in  cui  i
soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della  medesima  legge  n.
225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli  enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati». 
    1.1.  -  La  complessa  oscurita'  della   previsione   impugnata
necessita che si tenti di definirne, in via preliminare,  gli  ambiti
di applicazione: 
        I «soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5» della legge n.
225 del 1992  sono  i  seguenti:  a)  i  "commissari  delegati"  alla
gestione dell'emergenza, di cui ai commi 4 e  4-bis;  b)  i  soggetti
investiti dei potere di ordinanza di protezione civile  in  vece  del
Capo del dipartimento della protezione civile, ai sensi del  comma  2
dello stesso art. 5; c) laddove si  propenda  per  un'interpretazione
estensiva del rinvio all'art. 5 della legge n. 225 del 1992, anche lo
stesso Capo del Dipartimento della protezione civile istituito presso
la Presidenza del Consiglio dei ministri. 
    I soggetti ora menzionati, ai sensi dello  stesso  art.  5  della
legge n. 225 del 2012, operano "al verificarsi degli  eventi  di  cui
all'art. 2, comma 1, lett. c) [della stessa legge n. 225  del  2012],
ovvero nella loro imminenza", ossia nel caso di "calamita' naturali o
connesse  con  l'attivita'  dell'uomo  che  in  ragione  della   loro
intensita' ed  estensione  debbono,  con  immediatezza  d'intervento,
essere fronteggiate con mezzi  e  poteri  straordinari  da  impiegare
durante limitati e predefiniti periodi di tempo". 
    Di conseguenza. i "rapporti attivi e passivi" e  i  "procedimenti
giurisdizionali pendenti" di cui si occupa il comma  impugnato  sono,
anzitutto, quelli sorti e instaurati nello svolgimento delle funzioni
confidate ai soggetti di cui sopra, nella  gestione  dello  stato  di
emergenza  (da  fronteggiare  con  "mezzi  e  poteri   straordinari")
deliberato  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ai  sensi
dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992. 
    1.1.1. - A questo proposito, deve essere segnalato che  il  testo
della disposizione impugnata presenta un'ambiguita'.  Il  legislatore
statale ha previsto che le Amministrazioni diverse  dal  Dipartimento
di protezione  civile  "subentrano  in  tutti  i  rapporti  attivi  e
passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti,  anche  ai  sensi
dell'articolo 110 del codice di procedura civile, [...] gia'  facenti
capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della citata legge
n. 225 del 1992". La struttura della  frase  e  l'approssimativo  uso
della punteggiatura fanno si che non sia immediatamente comprensibile
se il legislatore abbia inteso prevedere la successione solamente nei
procedimenti giurisdizionali pendenti,  oppure  se  il  subentro  sia
relativo a tutti i' rapporti attivi  e  passivi,  anche  sostanziali,
compresi quelli dedotti in giudizio. 
    Ragioni di ordine logico e sistematico inducono a propendere  per
la seconda ipotesi. Anzitutto, non avrebbe propriamente senso parlare
di "attivita'" e "passivita'" dei rapporti,  laddove  questi  fossero
esclusivamente quelli  processuali,  atteso  che  l'attivita'"  e  la
"passivita'" si predicano, logicamente, dei rapporti sostanziali.  In
secondo luogo, una volta che si disponga la successione  in  tutti  i
rapporti (attivi e passivi),  sarebbe  illogico  limitarla  a  quelli
processuali. In ogni caso, la stessa previsione della successione nei
soli rapporti processuali e' del tutto illegittima, come  appresso  -
si confida - si' dimostrera'. 
    1.1.2. - Tra i rapporti per  i  quali  si  dispone  l'illegittima
successione vi sono anche quelli "derivanti  dalle  dichiarazioni  di
cui all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre  2001,
n. 343". Il comma 5 dell'art. 5-bis del d.l. n. 343  del  2001,  oggi
abrogato dal comma 1 dell'art. 40-bis del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1,
faceva riferimento alla "dichiarazione dei grandi  eventi  rientranti
nella  competenza  del  Dipartimento  della  protezione  civile".  Di
conseguenza, se si vuole assegnare  alla  disposizione  impugnata  un
«effetto utile», pare  evidente  che  il  legislatore  statale  abbia
inteso  identificare,  evidentemente  ex   post   e   con   efficacia
sostanzialmente retroattiva, il  centro  d'imputazione  dei  rapporti
relativi alla gestione dei c.d.  "grandi  eventi"  gia'  celebrati  e
gestiti dal Dipartimento della Protezione civile presso la Presidenza
del Consiglio dei ministri (hinc inde, anche DPC). 
    1.1.3. - Infine, tenuti a subentrare al DPC sono in generale  "le
amministrazioni   e   gli   enti"   che   sarebbero   "ordinariamente
competenti", nonche' quelli "individuati anche ai sensi dell'articolo
5, commi 4-ter e 4-quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225". 
    Il comma 4-ter ora menzionato prevede che, "Almeno  dieci  giorni
prima della scadenza del termine di cui al comma 1-bis, il  Capo  del
Dipartimento della  protezione  civile  emana,  di  concerto  con  il
Ministero dell'economia e delle finanze, apposita ordinanza  volta  a
favorire  e  regolare  il  subentro   dell'amministrazione   pubblica
competente in via ordinaria a coordinare gli interventi,  conseguenti
all'evento, che si rendono necessari  successivamente  alla  scadenza
del termine di durata dello stato di emergenza. Ferma  in  ogni  caso
l'inderogabilita' dei vincoli di finanza pubblica, con tale ordinanza
possono essere altresi' emanate, per la durata massima  di  sei  mesi
non  prorogabile  e  per  i  soli  interventi  connessi   all'evento,
disposizioni derogatorie a quelle in materia di affidamento di lavori
pubblici e di acquisizione di beni e servizi". 
    Il  successivo  comma  4-quater,   poi,   specifica   che,   "Con
l'ordinanza  di  cui  al  comma  4-ter   puo'   essere   individuato,
nell'ambito dell'amministrazione pubblica competente a coordinare gli
interventi, il soggetto cui viene intestata la contabilita'  speciale
appositamente  aperta  per   l'emergenza   in   questione,   per   la
prosecuzione della gestione operativa della stessa, per un periodo di
tempo determinato ai fini del completamento degli interventi previsti
dalle ordinanze adottate ai sensi  dei  commi  2  e  4-ter.  Per  gli
ulteriori interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure  di
spesa  con  le  disponibilita'  che  residuano  alla  chiusura  della
contabilita' speciale, le risorse ivi giacenti sono  trasferite  alla
regione o all'ente locale ordinariamente competente  ovvero,  ove  si
tratti  di  altra  amministrazione,  sono  versate  all'entrata   del
bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione". 
    2. - Come si evince dalla lettura delle disposizioni impugnate  e
di quelle cui ivi si rinvia, il comma 422 dell'art. 1 della legge  n.
147 del 2013 regola l'imputazione dei rapporti sorti in ragione della
gestione di una grave emergenza che necessita l'impiego  di  mezzi  e
poteri straordinari, che la legge, in via istituzionale,  confida  al
DPC. Del tutto estraneo al presente giudizio, dunque, e'  l'esercizio
in via sostitutiva dell'ordinaria gestione di funzioni pubbliche  che
l'ordinamento attribuisce  agli  enti  territoriali  autonomi  (e  in
particolare alle Regioni). 
    Al contrario, l'intervento dello Stato e il ricorso ai mezzi e ai
poteri straordinari previsti dall'art. 5 della legge n. 225 del  1992
non sottendono un giudizio negativo sull'operato della  Regione,  sia
pure  di  tipo  omissivo,  ma  si'  giustificano  solo   in   ragione
dell'eccezionalita'  dell'evento  cui  si  collegano.   Le   funzioni
esercitate dal Capo del Dipartimento della protezione  civile  e  dai
commissari delegati di cui ci si sia avvalsi ai  sensi  dell'art.  5,
comma  4,  della  legge  n.  225  del  1992,  conseguentemente,   non
sostituiscono  le  ordinarie  funzioni  normative  ed  amministrative
demandate alle Regioni, ma a queste si sovrappongono, e soltanto  per
la durata dello stato di emergenza. 
    A tal  proposito,  codesta  Ecc.ma  Corte,  pronunziandosi  sulla
possibile lesione delle funzioni regionali o  degli  enti  locali  da
parte dell'art. 5, comma 4, della legge n. 225 del 1992, ha affermato
che "tenuto conto della rilevanza nazionale delle attivita' di tutela
nel   loro   complesso,   e   dell'ampio   coinvolgimento   in   esse
dell'amministrazione statale, i poteri di promozione e  coordinamento
non possono che essere conferiti al Governo". Codesto Ecc.mo Collegio
ha altresi' sottolineato che "la nomina dei  commissari  delegati  e'
consentita nelle ipotesi indicate dall'art. 2, lett. c), cioe' quando
si verifichino eventi calamitosi che, per intensita'  ed  estensione,
devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari [...]  Nel
ricorrere di cosi' gravi emergenze, quando l'ambiente, i  beni  e  la
stessa  vita  delle  popolazioni  sono  in  pericolo  e  si  richiede
un'attivita'  di   soccorso   straordinaria   ed   urgente,   risulta
giustificato che si adottino misure eccezionali, quale puo' essere la
nomina  di  commissari  delegati  [...]  Allo  stesso  modo   risulta
giustificato che, nelle ipotesi gia' considerate o comunque quando la
natura e l'estensione dell'evento comportano l'intervento  coordinato
di piu' enti ed amministrazioni,  il  prefetto  assuma  la  direzione
unitaria dei servizi di emergenza da attivare a  livello  provinciale
ed eserciti tutte le altre funzioni demandategli  dall'art.  14.  Non
risulta irrazionale infatti che, di  fronte  alla  imminenza  e  alla
gravita' del pericolo  per  l'integrita'  di  beni  fondamentali  per
l'uomo, siano individuate autorita' in grado di agire immediatamente,
coordinando l'azione di tutti gli organismi  implicati,  ne'  risulta
irrazionale che tali autorita' siano individuate in  quelle  statali,
tenuto conto del coinvolgimento nella emergenza di amministrazioni di
ogni livello, incluso per l'appunto quello centrale"  (sent.  n.  418
del 1992). 
    La gestione delle emergenze in cui si inserisce  la  disposizione
censurata, dunque, attiene al dominio  dello  Stato.  A  riprova  del
fatto  che  i  commissari  delegati  operano  nell'esercizio  di  una
competenza prettamente governativa, del resto, sta il dato che l'art.
5 della legge n. 225 del 1992, come gia' accennato, limita il proprio
ambito di applicazione alle sole ipotesi di cui all'art. 2, comma  1,
lett. c), ovvero alle  ipotesi  piu'  gravi  di  "eventi  naturali  o
connessi  con  l'attivita'  dell'uomo",  che  non   "possono   essere
fronteggiati  mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti   e
amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1,  lett.
a)), ne' con "l'intervento coordinato di piu' enti o  amministrazioni
competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett. b)). 
    2.2. -  Nel  peculiare  meccanismo  previsto  dalla  legge  sulla
protezione civile, dunque, non e' possibile rinvenire  un'ipotesi  di
"sostituzione" del Governo nei confronti degli organi delle autonomie
ordinariamente  competenti,  in  quanto,  a  ben  vedere,  lungi  dal
"sostituirsi" nell'esercizio di una  o  piu'  funzioni  regionali  (a
seguito,  ad  esempio,  dell'inadempimento   o   dell'inerzia   della
Regione), il Governo e' chiamato a svolgere una funzione sua propria,
quella della cura dell'emergenza, che non modifica, ma si  sovrappone
a quelle regionali e fatalmente le interseca. 
    Vale, sul  punto,  ancora  l'attenta  giurisprudenza  dell'Ecc.ma
Corte, nella quale si e' chiarito  che  "indipendentemente  dal  loro
(piu'  o  meno  delimitato)  ambito  territoriale  di  efficacia,   i
provvedimenti posti in  essere  dai  commissari  delegati  sono  atti
dell'amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi
che operano come longa manus del Governo)  finalizzati  a  soddisfare
interessi che trascendono quelli  delle  comunita'  locali  coinvolte
dalle singole situazioni di emergenza, e cio' in ragione tanto  della
rilevanza delle stesse,  quanto  della  straordinarieta'  dei  poteri
necessari per farvi fronte" (sent. n. 237 del 2007). Su tali basi, si
e' affermato che "costituisce una precipita competenza del Governo  -
come ribadito da questa Corte nella sentenza n. 284 del 2006 - quella
di «disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al  citato
art. 2, comma 1, lettera c)» (cosi' ancora la sent. n. 237 del 2007). 
    2.3. - Quanto sin qui affermato trova conferma nei tipi di atti e
negli strumenti  finanziari  che  la  legge  assicura  al  DPC  nella
gestione dell'emergenza.  Quanto  ai  primi,  ci  si  riferisce  alle
ordinanze di protezione civile, che  possono  avere  anche  efficacia
derogatoria della legge (art. 5, comma 5,  della  legge  n.  225  del
1992). Quanto  ai  secondi,  il  DPC  ha  accesso  al  Fondo  per  la
protezione civile e, cio' che piu' conta, al Fondo per  le  emergenze
nazionali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei  ministri.
Si tratta di mezzi sconosciuti agli  enti  territoriali  e  che  sono
nell'esclusiva     disponibilita'     dello     Stato,     approntati
dall'ordinamento per consentire al Governo, e per  esso  al  DPC,  di
intervenire nella gestione delle emergenze. 
    3. - Si e' visto nei precedenti  paragrafi  che  le  disposizioni
impugnate impongono alle Amministrazioni diverse da quelle competenti
alla gestione dell'emergenza di subentrare nei  rapporti  nati  dalla
gestione di una funzione pubblica (la cura delle emergenze  maggiori)
che e' di esclusiva  spettanza  statale  e  che  -  per  quanto  piu'
interessa in questa sede - non comporta  l'esercizio  sostitutivo  di
competenze regionali. 
    Tutto cio'  considerato,  la  lesione  degli  interessi  e  delle
attribuzioni costituzionali della ricorrente risulta evidente. 
    3.1. - Anzitutto, il complesso di disposizioni in esame  esorbita
dai confini delimitati dall'art. 117, comma 3, Cost., che attribuisce
la  materia   "protezione   civile"   alla   competenza   legislativa
concorrente di Stato e Regioni.  Non  compete,  infatti,  allo  Stato
imputare ad altre Amministrazioni gli effetti dei rapporti  attivi  e
passivi e dei procedimenti  giudiziari  pendenti,  sorti  in  ragione
della gestione  di  uno  stato  d'emergenza,  cosi'  scaricandone  la
responsabilita' e i costi ad essa conseguenti sui soggetti che non ne
sono stati responsabili. 
    Si e' visto, infatti, che la legge  impugnata  non  concerne  gli
"eventi naturali o connessi con  l'attivita'  dell'uomo  che  possono
essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti  e
amministrazioni competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1,  lett.
a), della legge n. 225 del 2012), ne' gli "eventi naturali o connessi
con  l'attivita'  dell'uomo  che  per  loro  natura   ed   estensione
comportano l'intervento coordinato di  piu'  enti  o  amministrazioni
competenti in via ordinaria" (art. 2, comma 1, lett. b), della  legge
n.  225  del  2012),  bensi'  "calamita'  naturali  o  connesse   con
l'attivita'  dell'uomo  che  in  ragione  della  loro  intensita'  ed
estensione   debbono,   con   immediatezza    d'intervento,    essere
fronteggiate con mezzi e poteri  straordinari  da  impiegare  durante
limitati e predefiniti periodi di tempo" (art. 2, comma 1, lett.  c),
della legge n. 225 del 2012). 
    Si tratta,  dunque,  di  interventi  straordinari,  che,  per  la
gravita' degli eventi cui far  fronte,  non  possono  in  alcun  caso
essere compiuti dagli enti territoriali, nemmeno in forma coordinata,
sicche'  la  legge  dispone  l'intervento  diretto  (si  ripete:  non
sostitutivo) dell'Amministrazione statale  al  fine  di  fronteggiare
l'emergenza. 
    Cio' considerato, e' del tutto evidente che i rapporti  giuridici
sorti in ragione della gestione di un'emergenza cosi' acuta, cui  non
si puo' far fronte da parte degli enti territoriali, non possono  che
essere imputati allo Stato. 
    Ne', si badi,  puo'  essere  qui  invocato  il  principio  "cuius
commoda eius et incommoda" (di cui e' nota l'applicazione  anche  nei
rapporti di natura pubblicistica: v. Cons. Stato, Sez. VI,  sentt.  7
marzo 2008, n. 1005; 5 aprile 2006, n. 1775; CGA Reg. Sicilia,  sent.
29 luglio 2013, n.  677).  Come  si  e'  sopra  indicato,  lo  Stato,
nell'affrontare le emergenze ex art. 2, comma 1, lett. c),  della  1.
n. 225 del 2012, non interviene ne' in forma sostitutiva ne' in forma
suppletiva o integrativa rispetto  agli  enti  territoriali,  proprio
perche' si tratta di eventi che  sono  in  via  immediata  e  diretta
affidati alla gestione dello Stato e che non potrebbero in alcun modo
essere  affrontati  dalle  Regioni  o  dalle  altre   Amministrazioni
territoriali.  E,  come  la  Corte  ha  chiarito  nell'arresto  sopra
ricordato, l'interesse a che le emergenze siano fronteggiate  non  e'
delle popolazioni di volta in volta colpite, bensi' nazionale, per la
semplice ragione che gli eventi calamitosi possono  toccare  l'intero
territorio  del  Paese.  Di   qui   l'erroneita'   dell'ipotesi   che
all'interesse   "locale"   consegua   direttamente   la    successiva
attribuzione "locale" dei rapporti sorti in forza dell'emergenza. 
    E', dunque, evidente che la disposizione in esame non concerne un
intervento   che   l'Amministrazione   statale   ponga   in    essere
nell'interesse  degli  enti  territoriali,  con  cio'  sollevando  le
istituzioni locali da oneri che sarebbero ad  esse  spettati  in  via
originaria. Al contrario, l'intervento del  DPC  vale  a  "soddisfare
interessi che trascendono quelli  delle  comunita'  locali  coinvolte
dalle singole situazioni di emergenza" (cfr. sent. n. 237  del  2007,
cit.), sicche' e' lo  Stato  che  deve  farsene  carico,  sia  agendo
nell'immediatezza  dell'evento,  sia  facendo  fronte   ai   rapporti
giuridici che ne sono derivati. 
    Si badi. Che la  gestione  dell'emergenza  produca  effetti  che,
prima o poi, debbano imputarsi agli enti territoriali nei quali si e'
verificata e' inevitabile. Nondimeno: a) tale  imputazione  non  puo'
concernere anche il regime della responsabilita' (di  cio'  si  dira'
sub par. 3.2.); b) essa non puo' estendersi ai  rapporti  processuali
in  essere,  oltretutto  nella  forma  della  successione  a   titolo
universale (di cio' si dira' sub par. 4.); c)  deve  essere  definita
secondo una corretta regolazione  del  passaggio  dall'uno  all'altro
soggetto. 
    Per  quanto  riguarda  quest'ultima  considerazione,  e'  agevole
notare che un ordinato modello di regolazione e' gia'  previsto  (sul
corretto presupposto  che  non  si  possa  operare  un  passaggio  ex
abrupto) dall'art. 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge n. 225  del
1992, e cioe' dalla disciplina generale della materia, che  il  comma
impugnato stravolge con un intervento tanto puntuale quanto illogico,
estemporaneo e privo di coordinamento sistematico. 
    Nelle  disposizioni  ora  menzionate,  infatti,  si  prevede   la
possibilita'  che  venga  individuata   un'Amministrazione   pubblica
competente  a  coordinare  gli  interventi  "conseguenti   all'evento
[calamitoso], che si rendono necessari successivamente alla  scadenza
del termine di durata dello stato  di  emergenza".  In  questi  casi,
pero',  all'Amministrazione  che   subentra   viene   "intestata   la
contabilita'  speciale  appositamente  aperta  per   l'emergenza   in
questione,  per  la  prosecuzione  della  gestione  operativa   della
stessa".  Tale  Amministrazione,  dunque,  viene  dotata   di   mezzi
straordinari, che non  sarebbero  nelle  disponibilita'  di  soggetti
diversi dal DPC. 
    L'utilizzo  delle  dotazioni  finanziarie  ordinarie  di  enti  e
soggetti  diversi  dal  DPC  e'  regolato  nel  secondo  periodo  del
menzionato comma 5-quater, ove si specifica che, "per  gli  ulteriori
interventi da realizzare secondo le ordinarie procedure di spesa  con
le disponibilita' che  residuano  alla  chiusura  della  contabilita'
speciale, le risorse ivi giacenti  sono  trasferite  alla  regione  o
all'ente locale ordinariamente competente ovvero, ove  si  tratti  di
altra amministrazione, sono versate all'entrata  del  bilancio  dello
Stato per la successiva riassegnazione". 
    In definitiva, lo schema della legge n. 225  del  1992  e'  molto
preciso e puo' essere cosi' sintetizzato: 
        i) le emergenze maggiori di cui all'art. 2,  comma  1,  lett.
c), della legge n. 225 del 1992 sono gestite dal DPC,  dato  che  gli
enti minori non avrebbero i mezzi per farvi fronte; 
        ii) terminata l'emergenza, v'e' la possibilita' che  un'altra
Amministrazione  sia  chiamata   a   svolgere   gli   interventi   di
completamento delle misure di contrasto all'emergenza  stessa,  anche
utilizzando la contabilita' speciale gia' apprestata e utilizzata dal
DPC; 
        iii) esaurita anche questa  fase  e  chiusa  la  contabilita'
speciale, l'Amministrazione  competente  (si  badi:  solo  in  questo
momento la legge generale in  materia  contempla  le  Amministrazioni
territoriali,  come  Regioni  ed  Enti  locali)  procede  secondo  le
ordinarie procedure di spesa, eventualmente anche  impiegando  quanto
possa residuare della contabilita' speciale, ormai chiusa. 
    La disposizione impugnata sconvolge questo meccanismo,  imputando
gia'  alla   "scadenza   dello   stato   di   emergenza"   ad   altre
Amministrazioni, tra le quali anche le  Regioni,  rapporti  attivi  e
passivi e procedimenti  giudiziari  pendenti,  logicamente  attinenti
(ratione temporis) alla gestione dell' emergenza. 
    3.2. -  Come  si  vede,  il  legislatore  statale  ha  ampiamente
oltrepassato i confini della sua competenza concorrente in materia di
"protezione  civile".  Cosi'  facendo,  pero',  ha:  a)   invaso   la
corrispettiva competenza legislativa regionale, per il semplice fatto
che la discrezionalita' del  legislatore  regionale  in  tale  ambito
materiale  e'  oggi  vincolata   da   un'illegittima,   illogica   ed
irragionevole disciplina  statale;  b)  leso  tutte  le  attribuzioni
regionali costituzionalmente protette, in quanto  ha:  b1)  accollato
alla Regione oneri derivanti  dall'azione  di  un  organo  statale  e
responsabilita' connesse ad una res inter alios acta; b2) determinato
lo  stravolgimento   di   tutte   le   attribuzioni   legislative   e
amministrative della Regione, costretta a distogliere risorse umane e
materiali  agli  altri  impieghi,  necessari  per  l'esercizio  delle
funzioni regionali costituzionalmente garantite. 
    Per le stesse ragioni sono lese anche le competenze regolamentari
e amministrative confidate alla Regione ai  sensi  degli  artt.  117,
comma 6, e 118 Cost. Il subentro nei rapporti e nei giudizi  pendenti
attinenti alla gestione di uno stato di emergenza, infatti, e' di per
se' idoneo ad interferire con lo svolgimento delle ordinarie funzioni
amministrative regionali, sia nella materia della  protezione  civile
che, come ora osservato, nelle altre materie di competenza regionale. 
    L'art.  118  e'  violato  anche  pel  profilo  del  principio  di
sussidiarieta': stride evidentemente con tale principio l'affidamento
ad altre Amministrazioni pubbliche la gestione dei rapporti attivi  e
passivi e dei giudizi pendenti, sorti e instaurati in ragione di  uno
stato d'emergenza che  gli  enti  territoriali  sono  strutturalmente
inidonei ad affrontare, come dimostra il rinvio da parte del comma in
esame all'art. 5 della legge n.  225  del  2012  e,  di  conseguenza,
all'art. 2, comma 1, lett. c), di quella stessa legge. 
    Violato e' anche, in  combinato  disposto  con  l'art.  3  Cost.,
l'art. 119 Cost., perche' la successione ex lege nei rapporti passivi
e nei rapporti processuali derivanti dalla gestione, da  parte  dello
Stato, dello stato di emergenza comporta nuovi e  maggiori  oneri  in
capo  alle  Amministrazioni  territoriali  (tra  cui   le   Regioni),
necessari per finanziare spese  determinate  dalla  gestione  statale
dell'emergenza e imputabili alla sola responsabilita'  statale.  Qui,
invece, si accolla alla Regione  10  responsabilita'  per  fatto  del
terzo, gravandola automaticamente e  irrimediabilmente  di  tutte  le
conseguenze pregiudizievoli che, per avventura, possono essere  state
determinate dall'organo statale gestore  dell'emergenza,  in  lesione
dell'autonomia finanziaria della Regione e  in  violazione  dei  piu'
elementari principi di ragionevolezza (e, prima ancora,  di  civilta'
giuridica) implicati dall'art. 3 Cost. 
    L'art. 119 Cost., poi, e' violato anche per un ulteriore profilo.
La  successione  anche  nei  rapporti  passivi  implica,  ovviamente,
l'accollo di costi supplementari e non  previsti,  in  violazione  di
quanto disposto dal comma 4 dello stesso art. 119, a tenor del  quale
tutte le funzioni regionali debbono essere  integralmente  finanziate
dalle risorse disponibili. Lo stesso, ovviamente, vale per  i  costi,
essi pure supplementari e non previsti, derivanti  dalla  successione
nelle  liti,  che  implica  oneri  materiali  gravosissimi,  sia  per
l'apprestamento  e  il  pagamento  delle  difese  tecniche,  sia  per
l'apprestamento delle risorse  organizzative  idonee  al  trattamento
delle pratiche. 
    Violato, poi, e' anche l'art. 3 Cost., pel profilo del  principio
di ragionevolezza, in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost.,  per
la semplice constatazione  che  e'  irragionevole  imporre  ad  altre
Amministrazioni, in particolare alla Regione  ricorrente,  gli  oneri
derivanti dalla precedente gestione di un'emergenza pubblica da parte
dello Stato, dunque dallo svolgimento di una funzione pubblica che la
legge confida esclusivamente allo  Stato  e  che  e'  strutturalmente
inaccessibile agli enti territoriali. Non si potrebbe  obiettare,  si
badi, che la successione e' limitata all'ipotesi in cui  la  gestione
dell'emergenza  sia   stata   affidata   ai   "rappresentanti   delle
amministrazioni e degli enti  ordinariamente  competenti  ovvero  [a]
soggetti dagli stessi designati", quasi  che,  in  tale  ipotesi,  la
Regione sia chiamata a  subentrare  in  rapporti  ch'essa  stessa  ha
contribuito a stringere. Cosi' ragionando, invero,  si  commetterebbe
un errore giuridico addirittura elementare, perche' si  confonderebbe
fra l'organo e la persona che ne e'  titolare.  Il  Presidente  della
Regione (immaginiamo il caso piu' comune, ma il ragionamento vale per
tutte le ipotesi analoghe), invero, una volta che e' stato incaricato
della gestione dell'emergenza agisce (si insiste) da organo statale e
con tutti i  vincoli  nella  normativa  statale  (che  e'  tenuto  ad
applicare fedelmente) e  il  fatto  che  la  medesima  "persona"  sia
titolare di due "organi"  diversi  non  sposta  minimamente  il  dato
giuridico della diversita' - appunto - di  tali  organi  (cfr.  Corte
cost., sent. n. 219 del 2013). 
    Violato e' anche l'art. 24 Cost., ancora una volta  in  relazione
al principio di ragionevolezza e alle attribuzioni regionali ex artt.
117, 118 e 119 Cost., perche' collide con l'ordinato esercizio  delle
attribuzioni regionali e col principio di  ragionevolezza  pretendere
che un'altra Amministrazione debba rispondere, dentro e  fuori  dalle
aule  giudiziarie,  degli  effetti  determinati  dall'Amministrazione
statale nello svolgimento di funzioni pubbliche sue  proprie,  dunque
non esercitate in sostituzione  o  integrazione  dell'Amministrazione
regionale o locale. 
    Infine, violato e' il principio di leale collaborazione tra Stato
e Regione, ancora per il fatto che, con la disposizione impugnata, lo
Stato   si   sottrae   irragionevolmente   agli   impegni   contratti
nell'esercizio di una funzione  pubblica  che  la  legge  stessa  gli
affida, scaricandone i costi su altre  Amministrazioni,  tra  cui  la
ricorrente, Si badi: e' vero che, almeno  in  linea  di  massima,  il
principio  di  leale  collaborazione  non  puo'  essere  invocato  in
riferimento all'esercizio della funzione  legislativa.  Non  e'  meno
vero, pero', che in questo caso la legge impugnata ha la sostanza del
provvedimento  puntuale,  derogatorio  della   disciplina   generale,
funzionalizzato al  solo  scopo  di  avvantaggiare  l'Amministrazione
statale in danno delle Regioni (e  di  tutti  gli  enti  territoriali
autonomi).  E  si  aggiunga  che  l'attivita'  regolata  dalla  legge
impugnata dovrebbe essere caratterizzata proprio (e al massimo grado)
dalla leale collaborazione, che -  invece  -  e'  totalmente  assente
dalla relativa disciplina. 
    3.3. - Si e' gia' accennato al par. 1.1.2.  che  la  disposizione
impugnata prevede che la successione al DPC si  verifichi  anche  per
tutti i rapporti attivi e passivi "derivanti dalle  dichiarazioni  di
cui all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre  2001,
n. 343". Il comma 5 dell'art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001,  faceva
riferimento alla "dichiarazione dei grandi  eventi  rientranti  nella
competenza del Dipartimento della protezione  civile",  sicche'  alle
Amministrazioni diverse dal  DPC  dovrebbero  essere  imputati  anche
tutti i rapporti attivi e passivi e i procedimenti pendenti  relativi
alla gestione dei c.d. "grandi eventi", precedentemente  gestiti  dal
DPC stesso. 
    L'art. 5-bis, comma 5, del d.l. n. 343 del 2011, pero', e'  stato
abrogato dal comma 1 dell'art. 40-bis del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1. 
    Ora, richiamando una disposizione abrogata, e'  evidente  che  la
disposizione impugnata ha inteso imputare  ad  altre  Amministrazioni
pubbliche, tra cui anche la  ricorrente,  alcuni  rapporti  attivi  e
passivi e la posizione di parte processuale nei giudizi pendenti,  in
riferimento a fattispecie gia' consumatesi e regolate da disposizioni
non piu' in vigore. Si  tratta,  appunto,  di  quelle  relative  alla
gestione dei c.d.  "grandi  eventi"  gia'  celebrati  e  gestiti  dal
Dipartimento  della  Protezione  civile  presso  la  Presidenza   del
Consiglio dei ministri. Considerato il fatto  che  non  possono  piu'
darsi, pro futuro, nuove dichiarazioni di "grandi eventi",  confidati
alla gestione del DPC, appare evidente che la disposizione  impugnata
regola pro praeterito tempore lo svolgimento  di  funzioni  pubbliche
(anche) affidate alla Regione ricorrente  nell'ambito  della  materia
"protezione civile". 
    Ancora una volta, dunque, la disposizione in esame esorbita dalla
competenza legislativa statale nella materia  "protezione  civile"  e
lede  le   contrapposte   potesta'   legislative,   regolamentari   e
amministrative della Regione, tutelate dagli artt.  117,  118  e  119
Cost.,  in  quanto,  in  connessione  tra  loro  e  con  i  parametri
costituzionali che definiscono la sfera delle attribuzioni regionali,
sono violati: 
        il principio d'irretroattivita' della legge, nella misura  in
cui alla Regione e alle altre amministrazioni sono affidati  ex  post
costi,  oneri  e  posizioni  di  svantaggio  nei  giudizi   pendenti,
nonostante che questi oneri siano dovuti allo svolgimento di funzioni
pubbliche gia' esercitate, per di piu' di competenza esclusiva  dello
Stato; 
        in connessione a questo,  il  principio  della  certezza  del
diritto e del legittimo affidamento, con evidente  pregiudizio  della
Regione, che si trova a dover far fronte in via successiva agli oneri
determinati da una precedente gestione di un  c.d.  "grande  evento",
che era stata affidata alla potesta' dai competenti organi statali; 
        l'art. 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 6 e  13
della  CEDU,  i  quali  tutelano  anch'essi   i   principi   di   non
retroattivita' della legge, di tutela dell'affidamento e di  certezza
del diritto, come insegna la giurisprudenza costituzionale  e  quella
della Corte di Strasburgo (cfr. sentt. 11 dicembre 2012, De  Rosa  c.
Italia; 14 febbraio 2012, Arras c. Italia; 7 giugno 2011,  Agrati  c.
Italia; 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; 10 giugno 2008, Bortesi  c.
Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino c. Italia). 
    A questo proposito, nella sent. n. 78  del  2012  l'Ecc.ma  Corte
costituzionale ha affermato che il divieto  di  retroattivita'  della
legge  costituisce  "valore  fondamentale  di  civilta'   giuridica",
sicche' il legislatore puo' emanare norme retroattive solo laddove la
"retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  nell'esigenza   di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse  generale»,
ai sensi della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU)". 
    Tanto, come si e' gia' visto, non accade nel caso di  specie.  La
precedente gestione dei grandi eventi e' stata operata da parte della
protezione civile in ragione di scelte discrezionali del  legislatore
e dell'Amministrazione statale, ne' l'imputazione, in  un  successivo
momento, dei rapporti attivi e passivi determinati da quella gestione
dell'evento e'  necessaria  per  servire  un  "motivo  imperativo  di
interesse generale". 
    Se si  aggiunge  che,  come  ha  specificato  la  Corte  EDU,  le
circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere
intese in senso restrittivo (sent. 14  febbraio  2012,  Arras  contro
Italia), risulta  evidente  che  non  vi  e'  alcuna  valida  ragione
giustificatrice dell'imputazione dei costi della gestione di un  c.d.
"grande evento" gia' celebratosi in  capo  ad  altre  Amministrazioni
pubbliche,  invece  che  a  quella  che  ne  e'  stata   responsabile
originariamente. 
    3.4. - Non basta. Si e' detto che il comma impugnato deve  essere
interpretato nel senso che esso dispone la successione universale nei
rapporti attivi e passivi  relativi  alla  gestione  degli  stati  di
emergenza e dei c.d. "grandi eventi" gia' gestiti dal DPC.  Fra  tali
rapporti (eventualmente  di  durata)  devono  necessariamente  essere
annoverati anche quelli ormai definiti in  base  ad  un  accertamento
giurisdizionale definitivo, passato in giudicato. 
    In questo caso, dunque, l'accertamento svolto dal giudice sarebbe
immediatamente travolto dall'individuazione, retroattiva ed in  forza
di legge, di una nuova e diversa  parte  del  rapporto  giuridico  in
esame. 
    Il rovesciamento (per quanto limitato all'ambito soggettivo)  del
giudicato e l'estensione, in via diretta, dei dicta dei  giudici  che
si sono gia' pronunciati anche alle Amministrazioni subentranti  (tra
cui la ricorrente) rappresenta una nuova e piu' grave  lesione  delle
attribuzioni  regionali   relative   all'esercizio   della   potesta'
legislativa,  regolamentare,  amministrativa  e   finanziaria   nella
materia di competenza concorrente "protezione civile" e -  come  gia'
si e' osservato, in tutte le materie  di  competenza  regionale,  con
contestuale violazione degli artt. 117, 118 e 119  Cost.  La  lesione
delle attribuzioni regionali, in particolare, discende di conseguenza
dalla  violazione,  in  connessione  tra  loro  e  con  i   parametri
costituzionali che definiscono la sfera delle attribuzioni regionali: 
        dei principi del contraddittorio tra le parti  e  del  giusto
processo, di cui all'art. 111 Cost.; 
        degli artt. 101  e  102  Cost.,  per  l'evidente  illegittima
interferenza nella funzione giurisdizionale; 
        degli artt. 24 e 113 Cost., stante  la  lesione  del  diritto
alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli  interessi  legittimi
dell'Amministrazione subentrante; 
        dell'art. 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 6  e
13 della CEDU, i quali tutelano - come gia' detto - i principi di non
retroattivita' della legge, di tutela dell'affidamento e di  certezza
del diritto. 
    3.5.  -  Non  basta.  Se  si  tiene  conto  del  fatto   che   le
Amministrazioni (tra cui quella regionale) diverse dal DPC subentrano
anche nel contenzioso pendente relativo alla gestione pro  praeterito
tempore dei c.d. "grandi eventi", emerge  con  ancor  piu'  forza  la
lesione della potesta' legislativa, regolamentare,  amministrativa  e
finanziaria della Regione tutelata dagli artt. 117, 118 e  119  Cost.
derivante   dalla   violazione   dei   principi   costituzionali   di
irretroattivita'  della  legge,  di  tutela  dell'affidamento  e   di
certezza del diritto, nonche' degli artt. 24, 101, 102, 111,  113,  e
117 Cost., comma 1, in riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU. 
    L'Amministrazione subentrante, infatti, si trova  inserita  iussu
principis in un procedimento giurisdizionale pendente,  sottoposta  a
tutte  le  decadenze  e  preclusioni  gia'  intervenute,  dunque   in
posizione di svantaggio rispetto alle altre  parti  processuali,  che
hanno potuto svolgere le loro difese con la pienezza degli  strumenti
riconosciuti dal diritto processuale. 
    Tanto dimostra l'evidente violazione dei principi  costituzionali
e   di   diritto   internazionale    che    presidiano    l'attivita'
giurisdizionale e, di conseguenza,  un  immediato  pregiudizio  delle
attribuzioni costituzionali  della  ricorrente.  In  particolare,  in
connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono
la sfera delle attribuzioni regionali: 
        sono violati i principi del contraddittorio tra  le  parti  e
del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost.; 
        si  produce  un'illegittima   interferenza   nella   funzione
giurisdizionale, con evidente lesione degli artt. 101 e 102 Cost.; 
        di  conseguenza,  e'   violato   il   diritto   alla   tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi  legittimi  di  ciascun
soggetto privato  o  pubblico  dell'ordinamento,  riconosciuto  dagli
artt. 24 e 113 Cost.; 
        e' violato l'art. 117, comma 1, Cost., in quanto sono lesi il
diritto della Regione Lazio ad un processo equo, di  cui  all'art.  6
CEDU, il diritto all'effettivita' della  tutela  giurisdizionale,  di
cui all'art. 13 CEDU; il principio della "parita' delle armi" tra  le
parti processuali, ricavato  dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU
proprio dai menzionati artt. 6 e 13 CEDU (cfr.,  ex  plurimis,  Corte
EDU, sentt. 27 ottobre 1993, Dombo Beheer c. Paesi Bassi; 9  dicembre
1994, Raffinerie Greche Stran  e  Stratis  Andreatis  c.  Grecia;  22
ottobre 1997, Papageorgiou c. Grecia). 
    A questo proposito, occorre ricordare che "La Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha  piu'  volte  affermato  che  se,  in  linea  di
principio, nulla vieta al  potere  legislativo  di  regolamentare  in
materia civile, con nuove  disposizioni  dalla  portata  retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della  preminenza
del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6  della
Convenzione ostano, salvo che per  imperative  ragioni  di  interesse
generale [che qui non si danno], all'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza
sezione seconda, 7  giugno  2011,  Agrati  ed  altri  contro  Italia;
sezione seconda,  31  maggio  2011,  Maggio  contro  Italia;  sezione
quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia;  sezione  seconda,
10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia)" (Corte  cost.,  cent.
n. 78 del 2012). 
    Il pregiudizio che la Regione soffre sul piano processuale,  gia'
di per se' di assoluta gravita', comporta - come si e' gia' accennato
-   un   illegittimo   sacrificio   della    potesta'    legislativa,
regolamentare,  amministrativa  e  finanziaria  della  Regione,   con
evidente lesione, in primo luogo nella materia  "protezione  civile",
ma anche in tutte le altre materie  di  competenza  regionale,  delle
attribuzioni riconosciute alla ricorrente dagli artt. 117, 118 e  119
Cost. 
    3.6. - Infine, e' costituzionalmente illegittimo  anche  l'ultimo
periodo del comma in questione, che prevede che "Le  disposizioni  di
cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in  cui
i soggetti nominati ai sensi dell' articolo 5 della medesima legge n.
225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli  enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati". 
    In virtu' di tale disposizione, infatti, il subentro in  tutti  i
rapporti  giuridici  attivi  e  passivi  e  nelle  liti  pendenti  e'
destinato ad operare soltanto per gli enti  nei  quali  il  ruolo  di
commissario sia stato svolto da un rappresentante dell'ente stesso  o
da un soggetto da quest'ultimo designato. Negli altri casi, invece, i
rapporti giuridici della fase di emergenza resterebbero in capo  allo
Stato, pur cessando la gestione commissariale. 
    Tale  distinzione  presenta  evidenti   profili   di   violazione
dell'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento. Come  si  e'  visto
nei  paragrafi  precedenti,  infatti,  la  gestione  degli  stati  di
emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della  legge  n.  225
del 2012 compete in via esclusiva allo Stato, dato che le  Regioni  e
gli altri enti territoriali non hanno a  disposizione  gli  strumenti
materiali e istituzionali per farvi fronte. 
    Se cosi' e', come e', il fatto che uno dei soggetti  nominati  ai
sensi dell'art. 5 della legge n. 225  del  2012  sia  contestualmente
titolare di un mandato da parte di una diversa Amministrazione e' del
tutto irrilevante  quanto  all'imputazione  degli  effetti  derivanti
dalla gestione dello stato di emergenza. In altri termini, e' il dato
oggettivo delle funzioni di protezione civile  in  esame  (che  -  si
ripete - esorbitano dall'ambito degli interessi delle sole  comunita'
locali, come ha detto l'Ecc.ma Corte nella sent. n. 237 del 2007) che
stabilisce un collegamento funzionale tra i rapporti attivi e passivi
sorti e l'Amministrazione statale, collegamento che non  puo'  essere
interrotto dal  dato  soggettivo  dell'eventuale  sovrapposizione  di
munera di diverse Amministrazioni. 
    L'irragionevole definizione dell'ambito di applicazione del comma
422 dell'art. 1 della legge  n.  147  del  2013  operata  dall'ultimo
periodo  dello  stesso  comma,  dunque,  ne   aggrava   ulteriormente
l'illegittimita' per irragionevolezza e  lesione  delle  attribuzioni
regionali nell'esercizio della potesta'  legislativa,  regolamentare,
amministrativa e finanziaria sia nella  materia  "protezione  civile"
che in tutte le altre materie di competenza regionale, gia' vulnerate
per i profili esposti nei paragrafi precedenti. 
    4. - Si e' visto che la disposizione in esame e'  illegittima  in
quanto dispone la successione di altre Amministrazioni pubbliche  nei
rapporti conseguenti alla gestione dello stato di emergenza da  parte
del DPC. 
    Nella  denegata  ipotesi  che  le  precedenti   censure   fossero
rigettate,  il  comma   impugnato   sarebbe   comunque   illegittimo,
quantomeno nella misura in cui dispone  la  successione  nei  giudizi
pendenti a titolo universale, per violazione  dell'art.  3  Cost.,  e
precisamente per  disparita'  di  trattamento  delle  amministrazioni
pubbliche (tra cui e' la ricorrente) cui si applica  la  disposizione
in esame rispetto alla platea generale dei  soggetti  interessati  da
fenomeni di successione  nei  giudizi  pendenti  (soggetti  non  solo
privati, ma anche pubblici, nei casi diversi rispetto  alla  gestione
dello stato di emergenza ex art. 2, comma 1, lett. c), della legge n.
225 del 1992). 
    4.1. - Come si e' visto, il comma 422 dell'art. 1 della legge  n.
147 del 2013 prevede  che  l'ente  competente  subentri  nei  giudizi
pendenti ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ., ossia  a  titolo  di
successione universale ("Quando la parte vien meno per  morte  o  per
altra causa, il processo e' proseguito dal successore universale o in
suo  confronto"),  escludendo  l'ipotesi  di   successione   in   via
particolare nel processo, regolata dall'art. 111, comma 1, cod. proc.
civ.  ("Se  nel  corso  del  processo  si  trasferisce   il   diritto
controverso per atto tra  vivi  a  titolo  particolare.  il  processo
prosegue tra le  parti  originarie.  Se  il  trasferimento  a  titolo
particolare avviene a causa di morte, il processo e'  proseguito  dal
successore universale o in suo confronto. In ogni caso il  successore
a titolo particolare puo' intervenire o essere chiamato nel  processo
e, se le altre parti  vi  consentono,  l'alienante  o  il  successore
universale puo' esserne estromesso. La  sentenza  pronunciata  contro
questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore
a titolo particolare ed e' impugnabile anche da lui, salve  le  norme
sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione"). 
    Questa previsione, pero', e'  in  aperta  contraddizione  con  un
consolidato orientamento della giurisprudenza  di  legittimita',  che
deve essere rapidamente ricordato. 
    Nella sent. Sez. I, 26 luglio 2002, n. 11045, la Suprema Corte ha
affermato che "costituisce giurisprudenza ormai consolidata di questa
S. C. il principio (affermato  proprio  con  riferimento  ad  ipotesi
espropriative promosse dalla Provincia di Firenze in aree  di  Comuni
distaccati, ad opera del d.lgs. 27 marzo  1992,  n.  254,  da  quella
stessa Provincia per l'istituzione della nuova  Provincia  di  Prato)
secondo cui la disciplina dettata dall'art. 110 c.p.c.,  in  tema  di
successione nel  processo,  presuppone  il  venir  meno  della  parte
processuale, sicche' nell'ipotesi di successione a titolo particolare
tra enti con trasferimento ex lege di una parte di beni e rapporti ad
un ente di nuova istituzione, senza estinzione dell'ente i cui beni e
rapporti  sono  in  parte  trasferiti  (ipotesi  verificatasi   nella
specie), il processo prosegue tra le parti originarie. Il  principio,
tradotto in tema espropriativo, comporta che non  e'  possibile  ,far
transitare nel patrimonio della Provincia  di  nuova  istituzione  il
debito   indennitario   sorto   in   precedenza,   per   effetto   di
espropriazione, a carico  della  Provincia  gia'  esistente,  la  cui
legittimazione passiva nel relativo procedimento di opposizione  alla
stima permane, dunque, anche a seguito della creazione di detto nuovo
ente territoriale". In maniera analoga, nella sent. Sez. I, 19  marzo
2007, n. 6521, in merito ad un giudizio "promosso nei  confronti  del
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni con citazione notificata il
3 agosto 1993, prima della  nascita  dell'Ente  Poste  italiane",  e'
stata affermata "la riconducibilita'  della  fattispecie  nell'ambito
dell'art. 111 c.p.c., a norma del quale se nel corso del processo  si
trasferisce il diritto controverso a titolo particolare, il  processo
prosegue fra le parti  originarie,  tenuto  conto  che,  in  tema  di
successione nel processo, la diversa disciplina dettata dall'art. 110
c.p.c., presuppone il venire meno  della  parte  processuale,  mentre
nell'ipotesi di successione a titolo particolare, con trasferimento -
come nella specie - ex lege solo di una parte di beni e  rapporti  ad
uno o piu' soggetti senza estinzione dell'ente i cui beni e  rapporti
sono  in  parte  trasferiti,  il  processo  prosegue  tra  le   parti
originarie, essendo irrilevanti, ai sensi del citato art. 111 c.p.c.,
le  modificazioni  delle  posizioni  giuridiche  attive   e   passive
successive all'inizio della controversia (Cass. 12  aprile  2006,  n.
8515; 31 ottobre 2005, n. 21107; 22 giugno 2005, n. 13401; 22  maggio
2003, n, 8052; 26 luglio 2002, n. 11045; 16 gennaio 1999, n. 398)". 
    Lo stesso orientamento e' stato seguito anche nelle  sentt.  Sez.
I, 29 maggio 2001, n. 7528; 16  gennaio  1999,  n.  398,  SS.UU.,  14
febbraio 2006, n.  3116,  sicche'  esso  assume  la  connotazione  di
"diritto vivente" (cfr. ancora sent. n. 78 del 2012). 
    4.2. -  L'aver  disposto  in  senso  contrario  comporta  che  la
Regione, come  tutte  le  Amministrazioni  territoriali  che  possono
essere chiamate a subentrare ai  DPC  nei  rapporti  derivanti  dalla
gestione di  un  grave  stato  di  emergenza,  debba  sopportare  una
evidente ed ulteriore lesione del diritto di difesa. 
    L'applicazione della successione  proprio  a  titolo  universale,
infatti, comporta in capo alla Regione  il  dovere  di  accettare  lo
stato e il grado del processo, con le decadenze e le preclusioni gia'
intervenute, senza poter dispiegare con  pienezza  tutta  l'attivita'
difensiva consentita alle altre parti. 
    Se e' vero che anche il  successore  a  titolo  particolare  puo'
essere chiamato in causa, e' altrettanto  vero  che  quest'ultimo  ha
ogni possibilita'  di  allegazione  dei  fatti  e  di  partecipazione
all'istruzione probatoria e puo' anche ampliare il  thema  decidendum
attraverso la chiamata di un terzo, anche in garanzia. Si  tratta  di
possibilita' che la disposizione impugnata, invece, non contempla. 
    La Regione, dunque, e' confinata in una  posizione  ulteriormente
deteriore  rispetto  alle  altre  parti  processuali,  con   evidente
violazione dei principi costituzionali e  di  diritto  internazionale
che presidiano l'attivita' giurisdizionale e con  immediato  riflesso
sulle  proprie  attribuzioni  costituzionali.  In   particolare,   in
connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono
la sfera delle attribuzioni regionali: 
        sono violati i principi del contraddittorio tra  le  parti  e
del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost.; 
        e'  lesa,   per   illegittima   interferenza,   la   funzione
giurisdizionale, con evidente violazione degli artt. 101 e 102 Cost. 
        di  conseguenza,  e'   violato   il   diritto   alla   tutela
giurisdizionale dei diritti  e  degli  interessi  legittimi  di  ogni
soggetto privato  o  pubblico  nell'ordinamento,  riconosciuto  dagli
artt. 24 e 113 Cost.; 
        e' violato l'art. 117, comma 1, Cost., in quanto sono violati
il diritto della Regione Lazio ad un processo equo, di cui all'art. 6
CEDU, il diritto all'effettivita' della  tutela  giurisdizionale,  di
cui all'art. 13 CEDU; il principio della "parita' delle armi" tra  le
parti processuali, ricavato  dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU
proprio dai menzionati artt. 6 e 13 CEDU (cfr.,  ex  plurimis,  Corte
EDU, sentt. 27 ottobre 1993, Dombo Beheer c. Paesi Bassi; 9  dicembre
1994, Raffinerie Greche Stran  e  Stratis  Andreatis  c.  Grecia;  22
ottobre 1997, Papageorgiou c. Grecia). 
    4.3.  -  Il  pregiudizio  che  la  Regione   soffre   sul   piano
processuale, gia' di per se' di assoluta gravita',  deve  essere  qui
apprezzato anche e soprattutto pel profilo degli effetti che comporta
sull'esercizio, da parte della Regione, delle competenze riconosciute
dalla Costituzione,  in  primo  luogo  nella  materia  di  competenza
concorrente "protezione civile", ex art. 117, comma 3, Cost. 
    E' di tutta evidenza, infatti,  che  l'automatico  subentro  allo
Stato nel far fronte ai  giudizi  pendenti  sorti  in  ragione  della
gestione dell'emergenza limita, come si e' avuto  modo  di  dire,  la
potesta' legislativa regolamentare  e  amministrativa  della  Regione
nella suddetta materia, come pure ne viola l'autonomia finanziaria in
ragione  dei  costi  imposti  dalla  disposizione   in   esame,   con
conseguente violazione degli artt. 117, commi 3 e 6, 118 e 119 Cost. 
    Per le ragioni che prima si sono indicate, peraltro e ancor  piu'
decisivamente, il pregiudizio qui lamentato si  estende  a  tutte  le
altre competenze regionali, lese dalla necessita' di  affrontare  gli
oneri  (finanziari  ed  organizzativi)   implicati   dall'illegittima
successione prevista dalle disposizioni censurate.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale,  in  accoglimento
del   presente   ricorso,    voglia    dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre  2013,
n. 147, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2013, n. 302,
S.O. n. 87, per violazione, per i profili  sopra  specificati,  degli
artt. 3, 24, 101, 102, 111, 117, 118, 119 Cost., anche  in  relazione
agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea  dei  Diritti  dell'Uomo,
nonche' dei principi di ragionevolezza, di leale  collaborazione,  di
irreotrattivita' della legge, di certezza del diritto,  di  legittimo
affidamento  e   di   "parita'   delle   armi"   nelle   controversie
giurisdizionali. 
    Si produrra' copia  conforme  all'originale  delle  Deliberazioni
della Giunta regionale della Regione Lazio n. 80 del 24 febbraio 2014
e n. 88 del 25 febbraio 2014, con allegati i rispettivi estratti  del
verbale d'approvazione. 
        Roma, 25 febbraio 2014 
 
                         Avv. Prof. Luciani