N. 77 ORDINANZA 26 marzo - 2 aprile 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contratto, atto e negozio giuridico - Caparra confirmatoria -  Omessa
  previsione della possibilita' per il giudice di  ridurre  equamente
  la somma da ritenere o il  doppio  da  restituire,  in  ipotesi  di
  manifesta sproporzione o di giustificati motivi. 
- Codice civile, art. 1385, secondo comma. 
-   
(GU n.16 del 9-4-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1385,
secondo comma, del codice civile, promosso dal Tribunale ordinario di
Tivoli nel procedimento civile tra L.C. e M.P., con ordinanza  del  3
aprile 2013, iscritta  al  n.  181  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  35,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2014  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli. 
    Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe - emessa nel corso di un
giudizio  civile  promosso,  dalla  promissaria  acquirente   di   un
immobile,  per  ottenere,  in  ragione  della  mancata  stipula   del
contratto  definitivo,  la  condanna  del  promittente  venditore   a
restituirle il doppio della caparra gia' versata - l'adito  Tribunale
ordinario  di  Tivoli  ha   sollevato,   sotto   il   profilo   della
irragionevolezza,     intesa     come     «intrinseca     incoerenza,
contraddittorieta'  od  illogicita'»,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1385,  secondo  comma,  del  codice  civile,
«nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi in cui  la  parte
che ha dato la caparra e' inadempiente,  l'altra  puo'  recedere  dal
contratto,  ritenendo  la  caparra  e  nella  ipotesi  in   cui,   se
inadempiente e' invece la  parte  che  l'ha  ricevuta,  l'altra  puo'
recedere dal contratto ed  esigere  il  doppio  della  caparra  -  il
giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il  doppio  da
restituire, in ipotesi di manifesta  sproporzione  o  ove  sussistano
giustificati motivi», tenendo conto della natura dell'affare e  delle
prassi commerciali; 
    che, ad avviso del  rimettente,  l'automatismo  della  disciplina
recata dalla disposizione denunciata non lascerebbe spazio al giudice
per  alcun  rimedio  ripristinatorio  dell'equita'  oggettiva  e  del
complessivo equilibrio contrattuale in fattispecie - come  quella  al
suo esame - in cui sussista una «evidente sproporzione che porterebbe
ad una restituzione complessiva di somme,  addirittura  superiori  al
valore stesso dell'affare»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha concluso per l'inammissibilita'  della  questione,  per
omessa espressa indicazione dei parametri costituzionali evocati,  e,
in subordine, per la sua infondatezza. 
    Considerato, che, dal contesto dell'ordinanza di  rimessione,  e'
chiaramente  individuabile,  nell'art.  3,   secondo   comma,   della
Costituzione, il  parametro  rispetto  al  quale  il  giudice  a  quo
sollecita la verifica di  costituzionalita'  della  disciplina  della
caparra confirmatoria, per sospetta sua «intrinseca incoerenza  [...]
rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore»,  per
cui non risulta fondata l'eccezione di  inammissibilita'  come  sopra
formulata dall'Avvocatura; 
    che,  comunque,  questione  identica  a  quella  odierna  -  gia'
sollevata dal medesimo Tribunale ordinario di Tivoli  in  fattispecie
speculare, di ritenzione della caparra da parte del  promittente  del
venditore - con sentenza di questa Corte n. 248 del  2013,  e'  stata
dichiarata manifestamente inammissibile per  difetto  di  motivazione
sia in punto di non manifesta infondatezza che di  rilevanza.  Quanto
al  primo  profilo,  perche'  -  nel  presupporre  un  oggettivo   ed
insuperabile automatismo tra  l'inadempimento  dell'accipiens  o  del
tradens, e, rispettivamente, la restituzione del  doppio,  ovvero  la
ritenzione, della caparra confirmatoria - il rimettente aveva  omesso
di considerare, al fine del decidere, che cio' che viene in  rilievo,
anche nel contesto della disciplina del recesso recata dall'art. 1385
del  codice  civile,  e'  comunque  un   inadempimento   «"gravemente
colpevole [...], cioe' imputabile (ex artt. 1218 e 1256  c.c.)  e  di
non scarsa importanza (ex art. 1456 c.c.)" come ben posto in evidenza
nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione  n.  533
del 2009». E, quanto al secondo profilo, perche' quel  Tribunale  non
aveva tenuto conto dei possibili margini di intervento  riconoscibili
al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta  (come  da
sua prospettazione) un regolamento degli opposti interessi non equo e
gravemente sbilanciato in danno di una parte. E cio' in ragione della
rilevabilita' ex officio della nullita' (totale o parziale), ex  art.
1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il  precetto
dell'art.  2  Cost.  (per  il  profilo  dell'adempimento  dei  doveri
inderogabili di solidarieta'), che entra direttamente nel  contratto,
in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce
vis normativa, «"funzionalizzando cosi' il rapporto obbligatorio alla
tutela anche dell'interesse del partner negoziale nella misura in cui
non  collida  con  l'interesse  proprio  dell'obbligato"  (Corte   di
cassazione n. 10511 del  1999;  ma  gia'  n.  3775  del  1994  e,  in
prosieguo, a Sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009)»; 
    che - stante l'assoluta identita' di contenuto tra l'ordinanza di
rimessione oggetto della richiamata sentenza n. 248 del 2013 e quella
odierna - la questione da quest'ultima  riproposta  (in  relazione  a
fattispecie analoga, ancorche' a parti invertite, rispetto  a  quella
precedente) va, conseguentemente, a sua  volta,  dichiarata,  per  le
stesse ragioni, manifestamente inammissibile. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, commi 1 e  2,  delle  norme  integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1385, secondo comma, del codice
civile, sollevata, in riferimento all'art. 3,  secondo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Tivoli, con  l'ordinanza  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI