N. 16 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2014
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 marzo 2014 (della Regione Lombardia). Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Commissariamento delle amministrazioni provinciali - Previsione di commissariamenti nei casi di scadenza naturale del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali che intervengono in una data compresa tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2014 - Previsione che i commissariamenti gia' avviati e quelli di nuova attivazione cessano al 30 giugno 2014 - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata istituzione o rinnovo di commissariamenti eccezionali basati sulla disciplina di riforma delle Province dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013 - Elusione del giudicato costituzionale - Violazione del principio di ragionevolezza - Carenza di un adeguato fondamento sostanziale per la compressione dei diritti elettorali, risultando impedita la diretta elezione degli organi rappresentativi provinciali - Violazione della Carta europea dell'autonomia locale - Contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione delle disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi 325 e 441. - Costituzione, artt. 1, 3, 5, 81, 97, 114, 117, primo comma, 136, e VIII disp. trans. e fin.; Carta europea dell'autonomia locale del 15 ottobre 1985; legge 24 dicembre 2012, n. 243, artt. 15, comma 2, e 21.(GU n.17 del 16-4-2014 )
Ricorso della regione Lombardia, (codice fiscale 80050050154) in persona del presidente della giunta regionale Roberto Maroni, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. x/1353 del 21 febbraio 2014 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova (codice fiscale FLCGDM45C06L736E), dall'avv. Luigi Manzi di Roma (codice fiscale MNZLGU34E15H501Y), con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2014), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013, per violazione: degli artt. 1, 3, 5, 81, 97, 114, 117 primo comma, 136 e della VIII disp. transitoria e finale Cost.; della Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439; dell'art. 15, comma 2, e dell'art. 21, legge n. 243/2012, sotto i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto Nella legge 27 dicembre 2013, n. 147 (recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2014) sono state inserite, all'interno dell'art. 1, due disposizioni relative al «commissariamento delle province», che conseguirebbe alla scadenza naturale del mandato o alla cessazione anticipata dei relativi organi rappresentativi, oppure alla scadenza di un precedente periodo di commissariamento. Si tratta in primo luogo del comma 325, secondo il quale «le disposizioni di cui all'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, relative al commissariamento delle amministrazioni provinciali si applicano ai casi di scadenza naturale del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali che intervengono in una data compresa tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2014». E si tratta, in secondo luogo, del comma 441, secondo cui «le gestioni commissariali [delle amministrazioni provinciali] di cui all'art. 2, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119, nonche' quelle disposte in applicazione dell'art. 1, comma 115, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, cessano il 30 giugno 2014». Per una migliore comprensione della vicenda, e delle ragioni del presente ricorso, converra' ricordare da un lato i presupposti ed il significato del commissariamento «a regime», previsto dall'art. 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico enti locali), dall'altro il significato dei commissariamenti «straordinari», disposti a partire dal decreto-legge n. 201 del 2011 come strumento di attuazione della «riforma» dell'ordinamento provinciale disposta dallo stesso decreto: che in seguito - come ben noto - e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 220 del 2013 di codesta ecc.ma Corte costituzionale. E' ovvio che nella vita fisiologica degli enti locali, comuni e province, non vi e' bisogno di alcun commissariamento, dal momento che all'approssimarsi della scadenza degli organi elettivi vengono tempestivamente indette le nuove elezioni, secondo le regole disposte dal testo unico sopra citato. Il commissariamento si rende necessario, ed e' come tale disciplinato dall'art. 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000, quando si verifichino determinati eventi straordinari: quando i consigli «compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonche' per gravi motivi di ordine pubblico» (lettera a); quando «non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi» a causa delle «dimissioni del sindaco o del presidente della provincia»; quando vi sia «cessazione dalla carica per dimissioni contestuali ... della meta' piu' uno dei membri assegnati» o quando vi sia «riduzione dell'organo assembleare per impossibilita' di surroga alla meta' dei componenti del consiglio» (lettera h); «quando non sia approvato nei termini il bilancio» (lettera c). Si tratta di ipotesi di varia natura, che hanno in comune il fatto che esse tutte impongono di provvedere a nuove elezioni al di fuori del normale susseguirsi delle legislature, e dunque senza che sia possibile prevedere ed organizzare tempestivamente le nuove elezioni. Di qui la necessita' di un «commissario» che guidi l'amministrazione dell'ente fino al momento in cui sia possibile ripristinare la rappresentanza elettiva. In altre parole, il commissariamento previsto dall'art. 141 del testo unico, non solo non contraddice la natura politica e rappresentativa dell'ente, ma e' strumentale alla sua realizzazione, in una situazione di oggettiva impossibilita' di provvedervi diversamente ed immediatamente. Natura del tutto diversa ha il commissariamento previsto dall'art. 23, comma 20, del decreto-legge n. 201 del 2011: esso non era finalizzato al ripristino del carattere direttamente elettivo delle amministrazioni provinciali, il quale era stato soppresso dai precedenti commi dello stesso articolo, che aveva assegnato alle provincia natura di ente rappresentativo dei comuni componenti; era finalizzato, invece, a consentire l'amministrazione dell'ente nel periodo necessario all'attuazione delle nuove disposizioni. Tale diversa natura non puo' essere nascosta dalla circostanza che il comma 20 dell'art. 23 richiama l'applicazione dello stesso art. 141 del testo unico: tale applicazione, infatti, avviene al di fuori dei suoi presupposti e soprattutto al di fuori delle sue finalita', realizzando dunque il diverso istituto ora descritto. L'attuazione del decreto-legge n. 201 del 2011 incontro', come e' noto, forti resistenze, ed il Governo decise di intervenire ulteriormente con il decreto-legge n. 95 del 2012, che - pur confermando le scelte ordinamentali del decreto-legge n. 201 del 2011 - mirava anche ad una drastica riduzione del numero degli enti. Fatto sta che nel prolungarsi del periodo transitorio fu ritenuto necessario provvedere a nuovi commissariamenti delle amministrazioni provinciali per le quali mano a mano maturavano i presupposti del rinnovo. Vi si provvide con l'art. 1, comma 115, della legge n. 228/2012, espressamente rivolto (tra l'altro) «al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135». Esso prevede la nomina di un commissario straordinario negli enti provinciali ove si verifichino la scadenza naturale o anticipata del mandato dei relativi organi entro il 31 dicembre 2013, oppure la scadenza dell'incarico di commissario straordinario. In particolare, esso era strumentale alla riforma degli enti provinciali recata dall'art. 23, commi 14-20-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) e successivamente dagli artt. 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135). Come e' ben noto, l'intero complesso normativo dedicato alla riforma delle province sia dal decreto-legge n. 201 del 2011, sia dagli artt. 17 e 18 del successivo decreto-legge n. 95 del 2012, e' rimasto travolto dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2013, la quale ha sancito l'illegittimita' del ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza per riforme ordinamentali quale quella prefigurata per le province. La pronuncia toccava direttamente anche il comma 20 dell'art. 23, sulla cui base erano stati disposti i commissariamenti «straordinari» di cui si e' detto, quelli rivolti non al rinnovo delle rappresentanze elettive, ma alla loro sostituzione con organi a rappresentanza indiretta. Questi erano dunque ora privi di base giuridica. Non era invece formalmente toccato dalla sentenza l'art. 1, comma 115, della legge n. 228/2012: formalmente soltanto, pero', dal momento che l'intero disposto di tale comma era fortemente intrecciato sia con il decreto-legge n. 201/2011 che con il decreto-legge n. 95/2012, e con le relative disposizioni sull'ordinamento delle province. Anch'esso, dunque, doveva ritenersi necessariamente paralizzato nella sua efficacia. Il venir meno della riforma dell'ordinamento provinciale privava dunque i commissari sia della loro legittimazione sia del loro compito istituzionale. Giuridicamente, diveniva necessario rimettere in moto, per quanto possibile, le regole ordinarie, e dunque semmai incaricare i commissari, sulla base di una nuova legittimazione, di organizzare il rinnovo delle amministrazioni provinciali scadute, secondo le regole del testo unico enti locali (come ha giustamente ritenuto e deciso, sulla base degli eventi, il TAR della Liguria, nella sentenza n. 295 del 2014). Nel frattempo, tuttavia, il Governo aveva presentato alla Camera (20 agosto 2013) il disegno di legge C. 1542, che in sostanza riprendeva le linee della riforma provinciale gia' approvata con i decreti-legge n. 201/2011 e n. 95/2012. Veniva anche approvata la legge 15 ottobre 2013, n. 119, che all'art. 2, comma 1, disponeva come segue: «Fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono fatti salvi i provvedimenti di scioglimento degli organi e di nomina dei commissari straordinari delle amministrazioni provinciali, adottati, in applicazione dell'art. 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ai sensi dell'art. 141 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, nonche' gli atti e i provvedimenti adottati, alla data di entrata in vigore della presente legge, dai medesimi commissari straordinari». Nel quadro di quanto esposto risulta ora agevole percepire la natura e la portata di quanto stabilito con i due commi oggetto della presente impugnazione. In sintesi, a norma del comma 325 (art. 1, legge n. 147/2013) sono attivati nuovi commissariamenti provinciali nel periodo 1° gennaio-30 giugno 2014; e, a norma del comma 441 (art. 1, legge n. 147/2013), e' fissata la scadenza del 30 giugno 2014 sia per i commissariamenti provinciali precedentemente avviati, sia per quelli che si attivino in forza della nuova disposizione. Il tutto - conviene fin d'ora sottolinearlo - nel quadro e con riferimento alla riforma degli enti provinciali gia' operata dai decreti-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012, nonostante che questa non abbia piu', dopo la sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2013, alcuna esistenza giuridica. Ad avviso della ricorrente regione Lombardia le nuove disposizioni recate dai commi 325 e 441 della legge n. 147 del 2013 sono costituzionalmente illegittime per le ragioni che verranno di seguito esposte. Sia consentito qui di aggiungere che le norme qui contestate produrranno i loro effetti anche in Lombardia, e che la regione Lombardia ricorre anche in rappresentanza e su espressa richiesta degli enti locali della regione, come risulta dalla deliberazione del consiglio delle autonomie locali del 14 febbraio 2014, in applicazione dell'art. 54, comma 6, dello statuto di autonomia, e dell'art. 10, comma 1, della lettera c), della legge regionale n. 22/2009. Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 136 della Costituzione. Come risulta dalla esposizione in fatto, le disposizioni qui impugnate (commi 325 e 441, dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147) sono strettamente legate alla disciplina sulla riforma delle province recata dall'art. 23, commi da 14 a 20-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214); e dagli artt. 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (come convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135). Esse, in effetti, non fanno che disporre nuovi commissariamenti e protrarre sino al 30 giugno 2014 quelli gia' disposti nella stessa prospettiva e secondo le stesse regole entro le quali erano disposti i precedenti commissariamenti «straordinari». Cio' risulta agevolmente dalla circostanza che il comma 325 - nel disporre i nuovi commissariamenti - si richiama alle le disposizioni di cui all'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, a loro volta fondate sulla vigenza del decreto-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012; e dalla circostanza che il comma 441 - nel protrarre i commissariamenti fino al 30 giugno 2014 - si riferisce a quelli di cui all'art. 2, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119 (cioe' sempre quelli disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011) e a quelli disposti - ancora - in applicazione dell'art. 1, comma 115, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228: cioe' sempre a quelli di cui al complesso normativo formato dal decreto-legge n. 201 del 2011 e dal decreto-legge n. 95 del 2012. Si tratta, dunque, ancora di un commissariamento finalizzato non al ripristino delle amministrazioni provinciali elettive, ma all'attuazione di norme di riforma delle province (art. 23, commi da 14 a 20-bis, decreto-legge n. 201/2011; e artt. 17 e 18, decreto-legge n. 95/2012): di quelle stesse norme di riforma che sono state dichiarate incostituzionali da codesta ecc.ma Corte costituzionale con sentenza 3-19 luglio 2013, n. 220. Risulta dunque evidente, ad avviso della ricorrente regione, l'illegittimita' costituzionale sia del comma 325 che del comma 441, in quanto essi - ignorando gli effetti della sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2013 - introducono o protraggono nuovi commissariamenti nella prospettiva della attuazione di disposizioni non piu' esistenti perche' dichiarate incostituzionali. Invero, la nomina di commissari «straordinari» nelle amministrazioni provinciali scadute, finalizzati alla realizzazione della complessa «ristrutturazione» degli enti provinciali, come disposta dalla decretazione legislativa d'urgenza (decreto-legge n. 201/2011, art. 23, commi 14-20-bis; e decreto-legge n. 95/2012, artt. 17 e 18), poteva nel 2011 e nel 2012 risultare legittima, subordinatamente (s'intende) alla legittimita' costituzionale della disciplina che si trattava allora di attuare. Ma essa non puo' certamente considerarsi legittima, una volta che continui a fare riferimento alle stesse discipline gia' dichiarate incostituzionali. Si tratta dunque di commissariamenti che anziche' essere finalizzati al ripristino delle amministrazioni provinciali elettive, tuttora previste dal diritto costituzionale e legislativo vigente, sono finalizzati all'attuazione di regole illegittime e non piu' esistenti. Si tratta, in particolare, di previsioni che eludono o addirittura violano la sentenza n. 220 del 2013, di codesta ecc.ma Corte costituzionale, in quanto, portando ad ulteriore compimento la disciplina di riforma delle province ideata in via d'urgenza (con decreto-legge) e come tale annullata, vengono a privarla degli effetti giuridici costituzionalmente stabiliti. Ne risulta cosi' violato l'art. 136 della Costituzione, secondo il quale «quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione». Sono dunque violati i principi relativi al giudicato costituzionale, in quanto le norme impugnate dispongono come se la disciplina annullata fosse ancora in vigore. A questo riguardo, sia consentito qui di richiamare la consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, secondo la quale «il giudicato costituzionale e' violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a perseguire e raggiungere, "anche se indirettamente", esiti corrispondenti» (sent. n. 245 del 2012, p. 4.1 in diritto, con rinvio alle precedenti sentenze n. 223 del 1983, n. 88 del 1966 e n. 73 del 1963). Poiche' i commi 325 e 441 mirano a raggiungere un esito corrispondente a quello prefigurato dalla disciplina annullata, ne e' evidente l'illegittimita' sotto il profilo della violazione del giudicato costituzionale. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione degli artt. 1, 5, 114, VIII Transitoria e finale della Costituzione. Se pure non vi fosse il vizio indicato al precedente punto 1, ad avviso della ricorrente regione gli impugnati commi sarebbero ugualmente illegittimi per violazione degli artt. 1, 5, 114, VIII Transitoria e finale della Costituzione. Infatti, essi non sono finalizzati - come deve essere istituzionalmente il commissariamento, nel quadro di tali disposizioni - al ripristino degli organi in cui si manifesta il carattere direttamente elettivo, democratico e rappresentativo delle istituzioni provinciali, quale previsto - ad avviso della ricorrente regione - dalle citate disposizioni costituzionali, ma sono al contrario finalizzate ad evitare tale ripristino. Tale finalita' e' resa evidente dall'incongruo richiamo - in ciascuno dei predetti commi - delle disposizioni che, sulla base del diverso contesto normativo allora (sia pure illegittimamente) ancora vigente, miravano alla costituzione di organi solo indirettamente rappresentativi del corpo elettorale provinciale. Vengono cosi' violati i presupposti costituzionali del commissariamento degli organi provinciali i quali - come appare dallo stesso art. 141 del testo unico - consistono nella necessita' di interrompere la legislatura senza che sia stato possibile previamente organizzare le nuove elezioni, e dunque nella necessita' di un organo straordinario che gestisca l'ente fino alle nuove elezioni. Invece, il commissariamento delle province sino al 30 giugno del 2014, disposto dai commi 325 e 441 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013, non solo e' privo della motivazione che potrebbe giustificarlo (la gestione dell'ente per il tempo necessario per pervenire a nuove elezioni, secondo quanto dispone l'art. 141 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, decreto legislativo n. 267/2000), ma persegue, sulla base di norme non piu' vigenti, la finalita' opposta di evitare le nuove elezioni. Tale finalita' si riverbera dunque in violazione delle norme che assicurano il carattere democratico e direttamente rappresentativo dell'ente provinciale, al pari degli altri enti costitutivi della Repubblica. Risultano dunque violate le disposizioni costituzionali di cui all'art. 1, in connessione con l'art. 5 e con l'art. 114 Cost., che tali principi di democraticita' e diretta rappresentanza popolare esprimono anche in relazione alle province, oltre che il relazione allo Stato, alle regioni ed ai comuni. D'altronde, gia' prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione era considerato acquisito tale carattere dell'ente provincia, come emerge tra l'altro dalla VIII Disposizione finale e transitoria della Costituzione, che imponeva di convocare entro un anno «le elezioni dei consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali»: dove e' evidente che per «elezioni» e per «organi elettivi» si intendo organi eletti direttamente dai cittadini. E' qui ora da aggiungere che il commissariamento disposto o prorogato dai commi 325 e 441 della legge n. 147 del 2013, che non puo' essere giustificato dal contesto normativo dei decreti-legge n. 201/2011 e n. 95/2012 (il riferimento al quale al contrario ne attesta l'illegittimita'), non puo' essere giustificato sul piano costituzionale neppure dall'aspettativa dell'approvazione del disegno di legge n. 1542, richiamato nella parte in fatto. In primo luogo, a tale aspettativa non si richiamano le stesse disposizioni impugnate, che al contrario si riferiscono espressamente ai decreti-legge dichiarati in parte qua illegittimi. In secondo luogo, il commissariamento non potrebbe essere costituzionalmente giustificato con riferimento a riforme ancora in fieri, ancorche' evocate come prossime, senza tenere in considerazione il valore costituzionale dei principi in gioco. Infatti, nel trascorrere delle vicende legislative esposte nella parte in fatto, sono ormai moltissime le amministrazioni provinciali che da molto tempo sono amministrate al di fuori delle regole costituzionali e legislative che le dovrebbero governare; e che intere comunita' provinciali sono state private - o stanno per esserlo in forza delle disposizioni impugnate con il presente ricorso - del diritto, dato loro dalla Costituzione e dalle leggi attuative, di eleggere i propri rappresentanti. Risulta cosi' violato in modo manifesto il principio democratico rappresentativo, in quanto sono impedite elezioni di organi provinciali: principio che primeggia nell'art. 1 della Costituzione e che, per il profilo che qui interessa, puo' essere declinato nell'ambito delle garanzie costituzionali di autonomia degli enti locali (artt. 5 e 114 Cost., VIII Disposizione transitoria e finale). Sotto questa luce, e' opportuno rammentare la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che, con riguardo a norme legislative volte a sciogliere i consigli di enti locali per infiltrazioni mafiose, ha puntualizzato che si puo' giustificare «che l'aspetto proprio delle autonomie, quale quello della rappresentativita' degli organi di amministrazione, possa temporaneamente cedere di fronte alla necessita' di assicurare l'ordinato svolgimento della vita delle comunita' locali, nel rispetto delle liberta' di tutti ed al riparo da soprusi e sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro organi elettivi la criminalita' organizzata possa immediatamente riprendere ad esercitare pressioni e condizionamenti» (Corte cost., sent. 103 del 1993, p. 5.4, in diritto). Se e' quindi consentito un temporaneo vulnus del principio proprio (cardine) delle autonomie, cioe' quello della rappresentativita' degli organi degli enti locali, per gravi motivi di ordine pubblico, non si puo' invece giustificare la paralisi di organi rappresentativi, garantiti dal principio autonomistico (art. 5 e art. 114 Cost.), nella prospettiva di dare attuazione ad una disciplina legislativa (attualmente neppure approvata). Sotto il profilo della ragionevolezza e della carenza di un adeguato fondamento sostanziale per la compressione dei diritti elettorali e' quindi violato anche l'art. 3 Cost. Cio' anche a prescindere dai dubbi di legittimita' costituzionali relativi allo stesso disegno di legge in corso di discussione, in relazione alla possibilita' di escludere il voto popolare per la formazione degli organi fondamentali dell'ente provinciale. Sono note, infatte, le contestazioni che incontra la tesi che sia possibile contraddire il carattere direttamente elettivo delle province con semplice legge ordinaria: contestazioni che la regione Lombardia ha gia' ritenuto fondati quando ha presentato a codesta ecc.ma Corte costituzionale il ricorso n. 24 del 2012, deciso anch'esso con la sentenza n. 220 del 2013. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto viola la Carta europea delle autonomie locali (firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439). Come e' ben noto, l'art. 117, primo comma, della Costituzione sancisce che «la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Tra gli atti che determinano obblighi internazionali vi e' la Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439. Posto che non puo' essere messo in dubbio che la provincia, per come e' disegnata dalla Costituzione, costituisca «autonomia locale» ai sensi della Carta europea, occorre qui ricordare che l'art. 3 di essa afferma non solo che alle autonomie locali deve essere riconosciuto «il diritto e le capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici», ma esige che tale diritto sia «esercitato da consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti». Il commissariamento di enti provinciali tuttora pienamente riconosciuti come comunita' e come autonomie locali dalla Costituzione e dalle leggi italiane, privo di una ragionevole motivazione e non rivolto al pronto ripristino della rappresentativita' democratica nei termini di cui all'art. 3 della Carta, quale quello operato dai commi 325 e 441 (art. 1, legge n. 147/2013), qui impugnati, si traduce quindi nella violazione anche della Carta stessa. Ad essi viene infatti impedito di procedere alla diretta elezione dei propri organi rappresentativi. In sintesi, i vizi sopra individuati in relazione alle disposizioni costituzionali che direttamente proteggono le autonomie locali corrispondono anche, per analoghe ragioni, alla violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui questo impone il rispetto degli obblighi internazionali legittimamente assunti, come codesta Corte costituzionale ha piu' volte ribadito a partire dalle sentenza n. 348 e n. 349 del 2007. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 97 della Costituzione. E' inevitabile constatare che i recenti tentativi di riforma dell'ordinamento provinciale, e in particolare quelli tentati con i decreti-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012, per il modo costituzionalmente scorretto in cui sono stati realizzati, attestato dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 220 del 2013, si sono tradotti soltanto in un fattore di turbamento del regolare esercizio dei diritti politici delle comunita' provinciali e del regolare esercizio delle importanti funzioni assegnate alle province. Ora, dopo la ricordata pronuncia, anziche' provvedere al pronto ripristino del fisiologico rinnovo delle amministrazioni provinciali, il legislatore ha invece rinnovato gli eccezionali commissariamenti, sulle stesse basi normative gia' dichiarate incostituzionali. Tale determinazione, oltre ad incorrere nei vizi gia' censurati nei punti precedenti del presente ricorso, costituisce anche violazione dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione, in quanto contraria al principio del buon andamento della pubblica amministrazione. E' ovvio che il legislatore, costituzionale o ordinario a seconda dei casi, puo' bene provvedere alla riforma degli ordinamenti provinciali. Ma e' altrettanto ovvio che cio' esso deve fare, appunto, nei modi e con gli strumenti appropriati, laddove invece una legislazione inadeguata e palesemente incongruente, come quella qui contestata, non puo' che avere come risultato l'impedire il regolare svolgersi delle funzioni amministrative affidate alle province, compromettendone il «buon andamento». Non si puo' negare, infatti, che anche in questo caso - come in quello giudicato da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 70 del 2013, si tratti di «una disciplina normativa "foriera di incertezza", posto che essa "puo' tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione"» (punto 4 in diritto). Ne' potrebbe obiettarsi che, al contrario, la nomina di un commissario sia volta ad assicurare la corretta gestione amministrava. Cio' sarebbe vero ove l'amministrazione commissariale fosse imposta da coerenti presupposti (tali da condurre allo scioglimento di organi rappresentativi di governo, come stabilito dall'art. 141 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, decreto legislativo n. 267/2000), e soprattutto se fosse il necessario punto di passaggio per il rinnovo degli organi amministrativi previsti dalle leggi, conformemente agli indirizzi costituzionali. Invece, la nomina di commissari straordinari negli enti provinciali i cui organi rappresentativi sono semplicemente scaduti, fondati sul richiamo a norme non piu' vigenti, all'implicito scopo di attendere una problematica riforma dell'ordinamento provinciale, si traduce ad avviso della ricorrente regione nella violazione del principio di «buon andamento», che non puo' che essere soddisfatto dalla mera cura dell'ordinaria amministrazione ad opera di un organo straordinario, ma lo puo' soltanto dall'esercizio pieno dei poteri di governo e amministrativi ad opera degli organi immediatamente e legittimamente rappresentativi della comunita' provinciale. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 81 della Costituzione, degli artt. 15 e 21 della legge 24 dicembre 2012, n. 243. L'art. 81 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, prevede (all'ultimo comma) che sia una legge rinforzata (approvata a maggioranza assoluta dai due rami del Parlamento) a stabilire i contenuti della legge annuale di bilancio. A seguito di tale disposizione, e' stata approvata la legge 24 dicembre 2012, n. 243, il cui art. 15 e' rubricato contenuto della legge di bilancio. Il comma 2 di questo articolo vieta l'inserimento nella legge di bilancio di norme a carattere ordinamentale e organizzatorio (oltre che di norme di delegazione legislativa). Lo stesso divieto si rinviene nella legge 31 dicembre 2009, n. 196 (di contabilita' e finanza pubblica), in riferimento alle leggi annuali di stabilita': la legge di stabilita' «non puo' contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero orgnizzatorio» (art. 11, comma 3, legge n. 196/2009). Se prima (con la legge n. 196 del 2009) si poteva in ipotesi dubitare che il divieto fosse riconducibile alla stessa Costituzione, e che dunque non potesse essere superato dalla legge ordinaria, con l'inserimento del divieto nella legge rinforzata n. 243 del 2012, ogni dubbio risulta superato, e tale divieto assume valore di parametro di legittimita' costituzionale: la legge n. 243 del 2012 e' del resto destinata a completare il quadro costituzionale di principi e regole di contabilita' e finanza pubblica, che ha il suo baricentro nell'art. 81 della Costituzione. E, se la legge di bilancio subentrera' alla legge di stabilita' dal 2016 (in base all'art. 21, comma 2, legge n. 243/2012), sembra tuttavia chiaro che il divieto vada pero' applicato nella sua «rinnovata veste» anche in riferimento alla legge di stabilita'. Le norme sul commissariamento delle province, contenute nell'art. 1, commi 325 e 441, della legge di stabilita' per il 2014 (legge n. 147/2013), sono evidentemente norme collegate ad una «riforma ordinamentale» che esse stesse contribuivano a realizzare (gia' comprese nell'art. 23, comma 20, del decreto-legge n. 201/2011, recante una disciplina di tipo «ordinamentale», come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha stabilito, nella sent. 220 del 2013). Inoltre, esse hanno anche carattere organizzatorio, dato che alterano il normale funzionamento delle regole sulla composizione degli organi. L'inclusione di tali norme nella legge di stabilita' viola pertanto l'art. 15 della legge rinforzata n. 243 del 2012 (che assorbe il divieto gia' disposto dall'art. 11 della legge n. 196 del 2009) nella sua funzione di parametro di costituzionalita', assegnata a tale legge dall'art. 81 della Costituzione.
P. Q. M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2014), nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. Prof. avv. Falcon - Avv. Manzi