N. 92 ORDINANZA 7 - 10 aprile 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento civile - Opposizione al decreto ingiuntivo  -  Riduzione
  del termine di costituzione in giudizio dell'opponente. 
- Legge 29 dicembre  2011,  n.  218  (Modifica  dell'articolo  645  e
  interpretazione autentica dell'articolo 165 del codice di procedura
  civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), art. 2. 
-   
(GU n.17 del 16-4-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge  29  dicembre  2011,  n.  218  (Modifica  dell'articolo  645  e
interpretazione autentica dell'articolo 165 del codice  di  procedura
civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), promosso dal
Tribunale  ordinario  di  Benevento  nel  procedimento  vertente  tra
Pennino Costruzioni s.r.l. e M.S., con ordinanza del 28 giugno  2012,
iscritta al n. 186 del registro ordinanze  2013  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  12  marzo  2014  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione  a  decreto
ingiuntivo, promosso dalla societa' Pennino  Costruzioni  s.r.l.  nei
confronti  di  M.S.,  il  Tribunale  ordinario   di   Benevento,   in
composizione monocratica, con ordinanza del 28 giugno 2012  (r.o.  n.
186 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  24,  102,
111 e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 2 della  legge  29  dicembre  2011,  n.  218
(Modifica dell'articolo 645 e interpretazione autentica dell'articolo
165 del codice di procedura  civile  in  materia  di  opposizione  al
decreto ingiuntivo); 
    che, come riferisce il giudice a quo, il decreto  ingiuntivo  era
stato emesso  il  14-22  giugno  2011,  su  ricorso  di  M.S.,  quale
cessionario  del  credito  vantato  dall'ing.  L.S.  per  prestazioni
professionali rese nei confronti di Pennino  Costruzioni  s.r.l.,  ed
era stato notificato alla societa' intimata il 13 luglio 2011; 
    che quest'ultima aveva  proposto  opposizione,  notificata  il  3
ottobre 2011 con invito a comparire per  l'udienza  del  10  febbraio
2012, e si era costituita in giudizio il 12 ottobre 2011; 
    che  l'intimata  aveva  eccepito:  1)  l'estinzione  del  credito
professionale di L.S., stante l'integrale  pagamento  avvenuto  prima
della cessione all'opposto del credito  stesso;  2)  l'emissione  del
decreto  ingiuntivo   senza   il   parere   del   competente   ordine
professionale; 3) il carattere eccessivo della somma richiesta, anche
perche' comprensiva di attivita' professionali non svolte da L.S.; 
    che la medesima societa' aveva chiesto di  essere  autorizzata  a
chiamare in causa il cedente  L.S.  e,  nel  merito,  la  revoca  del
decreto ingiuntivo; 
    che l'opposto, costituendosi in giudizio, aveva eccepito  in  via
preliminare la tardivita' della costituzione dell'opponente,  perche'
effettuata oltre il termine di cinque giorni di cui agli artt. 165  e
645 del codice di procedura civile, con conseguente  improcedibilita'
dell'opposizione, alla luce della sentenza della Corte di cassazione,
resa a sezioni unite, il 9 settembre 2010, n. 19246; 
    che -  prosegue  il  rimettente  -  nel  merito  l'opposto  aveva
evidenziato che la cessione del credito  era  stata  notificata  alla
societa' debitrice in data 7 luglio 2010,  per  cui  ogni  successivo
eventuale    pagamento,    eseguito    dall'opponente    in    favore
dell'originario  creditore  cedente,  non  era  opponibile  ad   esso
cessionario; 
    che  l'opposto  aveva  rilevato,  altresi',  la  congruita'   del
corrispettivo   richiesto,   anche   in   relazione   alle    tariffe
professionali  vigenti  all'epoca  delle  prestazioni,   e   la   non
obbligatorieta' del parere dell'ordine professionale per  l'emissione
del  provvedimento  monitorio,  concludendo  per   la   dichiarazione
d'improcedibilita' dell'opposizione e, in subordine, per  il  rigetto
di essa; 
    che l'opponente aveva dedotto  l'infondatezza  dell'eccezione  di
improcedibilita', stante il disposto dell'art. 2 della legge  n.  218
del 2011; 
    che  l'opposto  aveva   chiesto   di   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge  ora  citata,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., rilevando che l'opposizione
era stata proposta da Pennino Costruzioni  s.r.l.  dopo  la  sentenza
delle sezioni unite della Corte di  cassazione  n.  19246  del  2010,
secondo cui, nel giudizio di opposizione  a  decreto  ingiuntivo,  la
previsione della riduzione a meta' dei termini a comparire, stabilita
dall'art. 645, secondo comma,  cod.  proc.  civ.,  determinerebbe  il
dimezzamento automatico dei termini di  comparizione  dell'opposto  e
dei termini di costituzione dell'opponente; 
    che tale duplice automatismo  conseguirebbe  -  ad  avviso  della
Corte  di  cassazione  nella  pronuncia  richiamata   -   alla   mera
proposizione dell'opposizione, e, quindi, non soltanto  nel  caso  di
assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello
ordinario, con conseguente improcedibilita' dell'opposizione nel caso
di costituzione dell'opponente oltre i cinque giorni  dalla  notifica
della citazione; 
    che, tutto cio' premesso, il Tribunale dubita della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  2  della  legge  n.  218  del   2011,   in
riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., per
violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU); 
    che, in punto di rilevanza, secondo il giudice a quo, nel caso di
declaratoria di illegittimita' costituzionale del censurato  art.  2,
in conformita' al principio giuridico  di  cui  alla  sentenza  delle
sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  n.  19246   del   2010,
l'opposizione  a  decreto  ingiuntivo  dovrebbe   essere   dichiarata
improcedibile,  per  essersi  la  societa'  opponente  costituita  in
giudizio oltre i cinque giorni di cui all'art. 165 cod.  proc.  civ.,
letto in combinato  disposto  con  l'art.  645,  secondo  comma,  del
medesimo codice, nel testo vigente all'epoca  dell'instaurazione  del
giudizio principale; 
    che   il   rimettente   sottolinea   come    fosse    consolidato
l'orientamento giurisprudenziale di  legittimita'  secondo  cui,  nel
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione
dell'opponente fosse da equiparare alla sua  mancata  costituzione  e
comportasse l'improcedibilita' dell'opposizione  medesima  (Corte  di
cassazione, sezione prima civile, sentenze 20 agosto 1992, n. 9684; 3
aprile 1990, n. 2707 e 13 febbraio 1978, n. 652); 
    che - rileva ancora il Tribunale  -  qualora,  invece,  l'art.  2
della  legge  n.  218  del  2011  fosse  ritenuto  costituzionalmente
legittimo, in quanto rispettoso dei limiti  generali  alla  efficacia
retroattiva   delle   leggi,    l'eccezione    di    improcedibilita'
dell'opposizione dovrebbe essere considerata infondata; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo,
dopo avere riportato il contenuto dell'art. 2 della legge n. 218  del
2011, osserva che detta norma, avuto riguardo al suo  preciso  tenore
letterale, non potrebbe essere interpretata in modo diverso dal senso
reso palese  dal  significato  proprio  delle  parole,  per  cui  non
potrebbe essere disapplicata nella  sua  efficacia  retroattiva,  ne'
interpretata in modo conforme ai principi costituzionali sanciti  dal
giudice delle leggi e dalla Corte EDU in  materia  di  retroattivita'
delle leggi; 
    che il Tribunale sottolinea come la Corte di cassazione  (sezione
prima civile, sentenza 17 maggio 2012, n. 7792) si sia gia'  espressa
nel  senso  della   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale della citata norma, ma il caso  preso  in
esame atteneva ad un'opposizione  a  decreto  ingiuntivo  iscritta  a
ruolo in data 6 marzo 2002,  cioe'  in  epoca  in  cui  la  pregressa
giurisprudenza della Corte di cassazione era costante  nell'affermare
che   il   termine   di   costituzione   dell'opponente   si   riduce
automaticamente a cinque giorni quando  l'opponente  si  sia  avvalso
della facolta' di indicare un termine  di  comparizione  inferiore  a
quello ordinario (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza
30 marzo 1998, n. 3316 e sezione seconda civile,  sentenza  7  aprile
1987, n. 3355); 
    che, pertanto, le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione
nella sentenza sopra richiamata, per ritenere conforme a Costituzione
la norma censurata senza scorgere  «alcuna  intrusione  indebita  del
legislatore nei procedimenti in corso», sarebbero da riferire  ad  un
giudizio instaurato e deciso dai giudici di merito in epoca anteriore
alla sentenza, a sezioni unite, della Corte di  cassazione  n.  19246
del 2010; 
    che la societa' Pennino,  invece,  aveva  proposto  l'opposizione
nell'ottobre  del  2011,  cioe'  dopo  oltre  un  anno  dalla   sopra
richiamata  pronuncia,  secondo  cui  l'automatico  dimezzamento  dei
termini di costituzione dell'opponente opererebbe,  nel  giudizio  di
opposizione a decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui  quest'ultimo
abbia assegnato all'opposto un termine a comparire  non  inferiore  a
quello ordinario; 
    che, pertanto, ad avviso del rimettente, la societa'  ben  poteva
essere a conoscenza dell'interpretazione data all'art. 165 cod. proc.
civ. dalla Corte di cassazione a sezioni unite, nell'esercizio  della
funzione nomofilattica ad essa riservata dall'ordinamento e,  quindi,
ben poteva costituirsi in giudizio nel termine abbreviato  di  cinque
giorni dalla notificazione dell'atto di citazione in opposizione; 
    che - aggiunge il giudice a  quo  -  l'opposto,  nell'avviare  lo
speciale procedimento di cui agli artt. 633  e  seguenti  cod.  proc.
civ., sapeva di potere fare affidamento su di una norma che,  secondo
l'interpretazione  datane  dalle  sezioni  unite   della   Corte   di
cassazione,  successivamente  non  contrastata  da   alcun   difforme
giudicato, garantiva una piu' sollecita trattazione del  procedimento
di opposizione mediante la previsione del dimezzamento automatico del
termine di costituzione in giudizio dell'opponente, per il solo fatto
che si trattasse di un'opposizione a decreto ingiuntivo e, quindi,  a
prescindere dalla volonta' dell'opponente medesimo  di  assegnare  un
termine di comparizione inferiore a quello previsto per  il  processo
di cognizione ordinario; 
    che l'intervento del legislatore,  realizzato  con  la  censurata
norma transitoria interpretativa,  avrebbe  comportato  un  mutamento
delle "regole del gioco" a procedimento gia' in corso, senza  che  vi
fosse una situazione di oggettiva incertezza del dato  normativo  ne'
un dibattito giurisprudenziale irrisolto; 
    che,  secondo  il  rimettente,  la  norma  censurata  violerebbe,
altresi', i limiti costituzionali  dell'efficacia  retroattiva  delle
leggi; 
    che il Tribunale osserva, al riguardo, come, sebbene  il  divieto
di retroattivita' della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge
in generale) non riceva nell'ordinamento la  tutela  privilegiata  di
cui all'art. 25 Cost., l'introduzione da  parte  del  legislatore  di
norme   retroattive   debba    trovare    adeguata    giustificazione
nell'esigenza di  tutelare  beni  costituzionalmente  rilevanti,  che
assurgano a «motivi imperativi di interesse generale»,  e  non  debba
violare i limiti generali  dell'efficacia  retroattiva  delle  leggi,
come individuati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2012)
e dalla Corte Edu; 
    che, ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe,  in
primo luogo, il principio generale di ragionevolezza, che si riflette
nel divieto di introdurre ingiustificate  disparita'  di  trattamento
(art. 3 Cost.); 
    che,  mentre  le  cause  di  opposizione  a  decreto  ingiuntivo,
caratterizzate  da  analoga  questione  di  improcedibilita'  per  la
costituzione dell'opponente oltre il termine di cinque  giorni  dalla
notifica dell'atto di citazione, che siano state decise medio tempore
tra l'arresto giurisprudenziale di cui alla  sentenza  n.  19246  del
2010 delle sezioni unite della Corte  di  cassazione  e  l'intervento
legislativo di cui alla legge n. 218  del  2011,  hanno  trovato  una
definizione   in   rito   con   dichiarazione   di   improcedibilita'
dell'opposizione, anche con  sentenze  passate  in  giudicato,  altre
cause contemporanee, non definite alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge n. 218 del 2011, per un mero e  casuale  dato  temporale,
non potrebbero essere decise, in base ad  una  norma  precedentemente
vigente,  come  interpretata  dalle  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione, in senso favorevole ai creditori opposti; 
    che,  pertanto,  secondo  il  rimettente,  la   norma   censurata
violerebbe  l'art.  3  Cost.,  per   ingiustificata   disparita'   di
trattamento di situazioni simili,  per  inosservanza  dei  limiti  di
coerenza  e  di  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  nonche'  per
violazione dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti,  quale
principio connaturato allo Stato di diritto; 
    che, per gli  stessi  motivi,  risulterebbero  violati  anche  il
principio   della   tutela   dei   diritti   davanti    all'autorita'
giurisdizionale (art. 24 Cost.) e quello del  giusto  processo  (art.
111 Cost.); 
    che, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 2 contrasterebbe
anche con l'art. 117, primo comma, Cost., per violazione dell'art.  6
della Convenzione Edu, come interpretato in  modo  consolidato  dalla
Corte di Strasburgo; 
    che il rimettente ricorda come, secondo la Corte  di  Strasburgo,
il legislatore  possa  intervenire  retroattivamente  modificando  le
norme vigenti in  materia  civile,  purche'  non  vengano  ad  essere
violati i principi della preminenza del diritto e dell'equo  processo
sanciti    dall'art.    6    della    CEDU,     cosi'     ingerendosi
nell'amministrazione della  giustizia,  con  incidenza  su  cause  in
corso, salvo che per imperative ragioni  di  interesse  generale  (ex
plurimis, CEDU, sezione seconda, sentenza 7 giugno  2011,  Agrati  ed
altri contro Italia); 
    che, ad avviso del  giudice  a  quo,  nel  caso  di  specie,  non
sarebbero ravvisabili i «motivi imperativi  di  interesse  generale»,
idonei a giustificare il  censurato  intervento  del  legislatore  su
tutti i processi di opposizione a decreto  ingiuntivo  pendenti  alla
data di entrata in vigore della  legge  n.  218  del  2011,  compresi
quelli instaurati in epoca successiva  alla  sentenza  delle  sezioni
unite della Corte di cassazione n. 19246 del 2010; 
    che, in tal modo, secondo il rimettente,  sarebbe  violato  anche
l'art. 102 Cost.,  stante  l'invasione  della  sfera  giurisdizionale
riservata alla magistratura ordinaria; 
    che,  con  atto  depositato  in  data  24  settembre   2013,   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha  chiesto  la
dichiarazione di inammissibilita' e, nel merito,  di  non  fondatezza
della sollevata questione di legittimita' costituzionale; 
    che, ad avviso della difesa dello Stato, infatti, la legge n. 218
del 2011, nel ridefinire i  termini  per  le  opposizioni  a  decreto
ingiuntivo, avrebbe posto fine ad una situazione  di  incertezza  del
dato normativo, determinatasi a seguito della sentenza delle  sezioni
unite della Corte di cassazione, n. 19246 del 2010; 
    che la difesa statale ricorda come le sezioni unite  della  Corte
di cassazione, con la richiamata sentenza, modificando il consolidato
orientamento  giurisprudenziale  in  materia,  abbiano  ritenuto   il
dimezzamento automatico del termine di costituzione  per  l'opponente
quale conseguenza del solo fatto della proposizione  dell'opposizione
a decreto ingiuntivo, stante la  previsione  della  dimidiazione  dei
termini di comparizione, ai sensi dell'art. 645 cod. proc. civ.; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri  sottolinea  come  a
tale   mutamento   giurisprudenziale   abbia   fatto   seguito    una
giurisprudenza di merito (Trib. Torino, sezione prima,  ordinanza  11
ottobre 2010; Trib. Milano, ordinanza 13 ottobre 2010; Trib.  Varese,
sentenza 8 ottobre 2010, n. 1274) volta ad evitare la declaratoria di
improcedibilita' delle opposizioni a decreto ingiuntivo gia' in corso
alla data della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n.
19246 del 2010, nonche' una dottrina alquanto critica; 
    che, peraltro, -  prosegue  la  difesa  statale  -  la  Corte  di
cassazione ha nuovamente rimesso la  questione  alle  sezioni  unite,
ritenendo che la riduzione automatica a cinque giorni del termine  di
costituzione in giudizio, a prescindere da  ogni  consapevole  scelta
dell'opponente, di cui alla sentenza n. 19246 del 2010,  non  sarebbe
compatibile con i principi del giusto processo che deve svolgersi «in
condizioni di parita' tra le parti» ed essere «regolato dalla  legge»
(Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 22  marzo  2011,
n. 6514); 
    che  l'interveniente  pone  in  evidenza  come,  con   la   norma
censurata, il legislatore sia intervenuto per fare  chiarezza  in  un
quadro di incertezze del dato normativo che rischiava di travolgere i
giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso; 
    che, in particolare, con la legge n. 218 del 2011 il  legislatore
avrebbe, da un lato, inciso sulla disciplina generale dei termini  di
costituzione in giudizio, espungendo dall'art. 645 cod. proc. civ. il
riferimento alla dimidiazione dei termini a  comparire  (art.  1)  e,
dall'altro, interpretato autenticamente l'art. 165 cod.  proc.  civ.,
con specifico riferimento ai  procedimenti  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore della  norma,  nel  senso  della  correlazione  del
dimezzamento del termine di costituzione dell'opponente  alla  scelta
di quest'ultimo di assegnare  un  termine  a  comparire  inferiore  a
quello ordinario (art. 2), con cio' confermando il previo consolidato
orientamento di legittimita' in materia (Corte di cassazione, sezione
prima civile, sentenze 1° settembre 2006, n. 18942; 27 novembre 1998,
n. 12044; 30 marzo 1998, n. 3316; 3 marzo 1995,  n.  2460  e  sezione
seconda civile, sentenza 7 aprile 1987, n. 3355); 
    che la difesa erariale ritiene, dunque, priva  di  fondamento  la
censura mossa dal giudice a quo in riferimento all'art. 3 Cost.; 
    che essa richiama, al riguardo, la giurisprudenza  costituzionale
secondo cui le leggi retroattive, non solo interpretative,  ma  anche
innovative, non possono  dirsi  costituzionalmente  illegittime,  per
violazione dell'art. 3 Cost., qualora si limitino ad  assegnare  alla
disposizione interpretata un  significato  gia'  in  esso  contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del testo  originario,
e non contrastino con altri valori  ed  interessi  costituzionalmente
protetti (ex plurimis, sentenze n. 15 del 2012, n. 271 e n.  257  del
2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009); 
    che, pertanto, ad avviso della difesa dello Stato, con  l'opzione
ermeneutica di cui all'art.  2  della  legge  n.  218  del  2011,  il
legislatore non avrebbe introdotto  nella  disposizione  interpretata
elementi ad essa estranei, limitandosi ad assegnarle  un  significato
riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario e
confermando,  legislativamente,  un  orientamento   giurisprudenziale
consolidato che correlava la riduzione del  termine  di  costituzione
dell'opponente alla scelta di quest'ultimo di fissare all'opposto  un
termine di comparizione inferiore a quello ordinario; 
    che - sottolinea il Presidente del Consiglio dei  ministri  -  la
stessa Corte di cassazione, con la sentenza del 17  maggio  2012,  n.
7792, ha dichiarato la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 218 del  2011,
sulla  base  della  considerazione  che  la  disposizione  censurata,
rappresentando una delle possibili letture del dato normativo,  trova
adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza; 
    che la difesa dello Stato esclude, peraltro, anche la sussistenza
dell'assunta  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   in
relazione all'art. 6 della CEDU; 
    che, infatti - conformemente  all'orientamento  giurisprudenziale
della Corte europea, che ammette un'incidenza del potere  legislativo
sull'amministrazione della  giustizia  attraverso  la  produzione  di
norme retroattive solo  se  giustificata  da  «motivi  imperativi  di
interesse  generale»   -   la   norma   censurata,   nel   confermare
l'orientamento costante della  giurisprudenza  di  legittimita'  fino
alla citata pronuncia innovativa delle sezioni unite della  Corte  di
cassazione, avrebbe superato una situazione di oggettiva  incertezza,
contribuendo a realizzare i  principi  di  interesse  generale  della
certezza del diritto e dell'uguaglianza dei  cittadini  dinanzi  alla
legge; 
    che la difesa erariale esclude anche l'assunta  violazione  degli
artt. 24 e  111  Cost.,  rilevando  come  l'incidenza  di  una  norma
interpretativa sui giudizi in corso sia da  considerare  un  fenomeno
fisiologico (ex plurimis, sentenza n. 376 del 2004 e ordinanza n. 428
del 2006); 
    che,  ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
sarebbe, altresi', infondata  la  censura  relativa  alla  violazione
dell'art.  102  Cost.,  in  quanto,  come   affermato   dalla   Corte
costituzionale, non sarebbe configurabile a favore  del  giudice  una
esclusivita'  nell'esercizio  dell'attivita'  ermeneutica  che  possa
precludere quella spettante al legislatore (sentenza n. 15 del 2012). 
    Considerato  che  il  Tribunale  ordinario   di   Benevento,   in
composizione monocratica, con ordinanza del 28 giugno 2012  (r.o.  n.
186 del 2013), dubita, in riferimento agli artt. 3, 24,  102,  111  e
117,   primo   comma,   della   Costituzione,   della    legittimita'
costituzionale dell'art. 2 della  legge  29  dicembre  2011,  n.  218
(Modifica dell'articolo 645 e interpretazione autentica dell'articolo
165 del codice di procedura  civile  in  materia  di  opposizione  al
decreto ingiuntivo); 
    che la norma censurata dispone  che  «Nei  procedimenti  pendenti
alla data di entrata in vigore della presente legge, l'articolo  165,
primo comma, del codice di procedura civile si interpreta  nel  senso
che la riduzione del termine di costituzione dell'attore ivi prevista
si applica, nel caso di opposizione a  decreto  ingiuntivo,  solo  se
l'opponente abbia assegnato all'opposto un  termine  di  comparizione
inferiore a quello di cui  all'articolo  163-bis,  primo  comma,  del
medesimo codice»; 
    che il divieto di retroattivita'  della  legge,  pur  costituendo
valore   fondamentale   di    civilta'    giuridica,    non    riceve
nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost.  (ex
plurimis, sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006); 
    che  il  legislatore,  nel  rispetto  di  tale  previsione,  puo'
emanare, dunque, disposizioni retroattive, anche  di  interpretazione
autentica, purche' la retroattivita' trovi  adeguata  giustificazione
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi  imperativi  di
interesse generale» ai sensi della Corte Edu (ex multis, sentenza  n.
15 del 2012); 
    che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica,
pertanto, non puo' dirsi costituzionalmente  illegittima  qualora  si
limiti ad assegnare alla  disposizione  interpretata  un  significato
gia' in  essa  contenuto,  riconoscibile  come  una  delle  possibili
letture del testo originario (ex plurimis, sentenze n. 271 e  n.  257
del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009); 
    che, con riguardo ai principi qui richiamati, nel caso  in  esame
non  sussistono  le  violazioni  dell'art.  3  Cost.  ipotizzate  dal
rimettente, sotto il profilo della irragionevolezza, della disparita'
di trattamento di situazioni omogenee, della lesione del principio di
legittimo affidamento nonche' dell'eccesso dei cosiddetti  limiti  di
coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico; 
    che, infatti, l'opzione ermeneutica prescelta dal legislatore non
ha  introdotto  nella  disposizione  interpretata  elementi  ad  essa
estranei, ma le ha assegnato un significato  riconoscibile  come  una
delle possibili letture del testo originario (ex multis, sentenze  n.
15 del 2012 e n. 257 del 2011), cioe' ha reso vincolante  un  dettato
comunque  ascrivibile  al   tenore   letterale   della   disposizione
interpretata; 
    che  cio'  e'  reso  palese  dal  rilievo  che   quella   opzione
interpretativa - che correla, per i procedimenti pendenti  alla  data
di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011, la dimidiazione del
termine di costituzione  dell'opponente  all'esercizio  da  parte  di
quest'ultimo della facolta' di assegnare  all'opposto  un  termine  a
comparire inferiore a quello previsto dall'art. 163-bis, primo comma,
cod.  proc.  civ.  -   aveva   trovato   spazio   nella   consolidata
giurisprudenza  di  legittimita'   formatasi   in   epoca   anteriore
all'entrata in vigore della legge n. 218 del 2011; 
    che e' significativo come, poi,  la  Corte  di  cassazione,  dopo
avere definito l'art.  2  della  legge  n.  218  del  2011  norma  di
«interpretazione  autentica»,  ne  abbia  fatto  applicazione,  cosi'
superando il precedente  orientamento  di  cui  alla  sentenza  delle
sezioni unite n. 19246 del 2010 (Corte di cassazione, sezione seconda
civile, sentenza 16 febbraio 2012, n. 2242); 
    che   proprio   il    contrasto    emerso    in    giurisprudenza
sull'interpretazione dell'art. 165, primo comma, cod. proc. civ.  (in
combinato disposto con l'art. 645, secondo comma, cod.  proc.  civ.),
in quanto fonte di dubbi ermeneutici con conseguente  incremento  del
contenzioso,  giustifica   ulteriormente   l'intervento   legislativo
finalizzato a garantire la certezza applicativa del sistema, con cio'
escludendone ogni carattere d'irragionevolezza; 
    che non e' ravvisabile,  altresi',  la  violazione  dell'art.  24
Cost., sotto il profilo del diritto alla tutela  giurisdizionale,  in
quanto la norma censurata assicura: 1) con  riguardo  ai  giudizi  di
opposizione a decreto ingiuntivo, pendenti alla data  di  entrata  in
vigore della legge  n.  218  del  2011  ed  incardinati  prima  della
sentenza delle sezioni unite civili  della  Corte  di  cassazione  n.
19246 del 2010, la tutela dell'affidamento incolpevole dell'opponente
in relazione ad atti compiuti sulla base  di  un  consolidato  previo
orientamento giurisprudenziale e prima della oggettiva conoscibilita'
del cosiddetto overruling,  comportante  un  effetto  preclusivo  del
diritto di azione o di difesa della parte; 2) con riguardo ai giudizi
di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti alla data di entrata  in
vigore della legge n. 218 del 2011 ed incardinati  dopo  la  sentenza
ora citata, il non aggravamento della posizione  di  una  sola  delle
parti del  giudizio  nell'esercizio  del  diritto  di  difesa,  ferma
restando  la  possibilita'  da   parte   dell'opposto   di   chiedere
l'anticipazione  dell'udienza  di  comparizione  ai  sensi  dell'art.
163-bis, terzo comma, cod. proc. civ.,  a  tutela  dell'interesse  di
quest'ultimo alla trattazione sollecita del giudizio; 
    che, del pari, non sussiste la violazione  dell'art.  111  Cost.,
sotto il profilo del principio del "giusto processo", perche' - fermo
il punto che l'incidenza di una norma interpretativa  su  giudizi  in
corso e' fenomeno fisiologico, (sentenza n. 376 del 2004 e  ordinanza
n. 428 del 2006) - la norma censurata non interferisce sull'esercizio
della  funzione  giudiziaria  e  sulla  parita'  delle  parti   nello
specifico   processo,   bensi'   pone   una    disciplina    generale
sull'interpretazione di un'altra norma e, dunque, si  colloca  su  un
piano diverso da quello dell'applicazione giudiziale  delle  norme  a
singole fattispecie (ex plurimis, sentenza n. 15 del 2012, punto 3.3.
del Considerato in diritto e ordinanza n. 428 del 2006); 
    che e' da escludere, altresi', la violazione dell'art. 102 Cost.,
sotto il profilo di un'assunta invasione della sfera  giurisdizionale
riservata alla magistratura ordinaria, in quanto,  sulla  base  delle
argomentazioni esposte sopra, l'intervento legislativo deve ritenersi
legittimo, mentre non e' configurabile  a  favore  del  giudice  «una
esclusivita'  nell'esercizio  dell'attivita'  ermeneutica  che  possa
precludere quella spettante al legislatore, in quanto  l'attribuzione
per legge ad una norma di un  determinato  significato  non  lede  la
potestas iudicandi, ma definisce e delimita la fattispecie  normativa
che e' oggetto della potestas medesima» (ex plurimis, sentenze n.  15
del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto e n.  234  del  2007,
punto 17 del Considerato in diritto); 
    che, per le ragioni fin qui  esposte,  non  sussiste  neanche  la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6
CEDU, nel significato e nella portata chiariti  dalla  giurisprudenza
della Corte di Strasburgo; 
    che la regola di  diritto,  affermata  dalla  Corte  europea  con
sentenza in data 7 giugno 2011,  in  causa  Agrati  ed  altri  contro
Italia, e' che «Se,  in  linea  di  principio,  il  legislatore  puo'
regolamentare  in  materia  civile,   mediante   nuove   disposizioni
retroattive, i diritti derivanti da leggi gia' vigenti, il  principio
di prevalenza del diritto e  la  nozione  di  equo  processo  sancito
dall'articolo 6 ostano, salvo che per ragioni imperative  d'interesse
generale, all'ingerenza del  legislatore  nell'amministrazione  della
giustizia  allo  scopo  di  influenzare   la   risoluzione   di   una
controversia. L'esigenza della parita' delle armi comporta  l'obbligo
di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilita'  di  presentare
il  suo  caso,  in  condizioni  che  non  comportino  un  sostanziale
svantaggio rispetto alla controparte» (sentenza n. 15 del 2012, punto
3.3. del Considerato in diritto); 
    che, anche secondo la detta regola, dunque, sussiste uno  spazio,
sia pur delimitato, per un intervento del legislatore  con  efficacia
retroattiva  (fermi  i  limiti  di  cui  all'art.   25   Cost.),   se
giustificato da «motivi imperativi di interesse generale» che  spetta
innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare,  con
riferimento a principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,
nell'ambito  del  margine   di   apprezzamento   riconosciuto   dalla
Convenzione europea ai singoli ordinamenti statali; 
    che,  «diversamente,  se  ogni  intervento   del   genere   fosse
considerato come  indebita  ingerenza  allo  scopo  d'influenzare  la
risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a
rimanere  una  mera  enunciazione,  priva  di  significato  concreto»
(sentenze n. 15 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto e  n.
257 del 2011, punto 5.1. del Considerato in diritto); 
    che, nella fattispecie, la norma  censurata  si  e'  limitata  ad
enucleare una delle possibili  opzioni  ermeneutiche  dell'originario
testo normativo, peraltro  gia'  fatta  propria  da  un  orientamento
consolidato della giurisprudenza di legittimita'; 
    che la  soluzione  prescelta  dal  legislatore  ha  superato  una
situazione di oggettiva incertezza, contribuendo cosi'  a  realizzare
principi d'indubbio interesse generale e di  rilievo  costituzionale,
quali sono la  certezza  del  diritto  e  l'eguaglianza  di  tutti  i
cittadini di fronte alla legge; 
    che, pertanto, le questioni sollevate dal Tribunale ordinario  di
Benevento sono manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale) e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 29 dicembre 2011,
n.  218  (Modifica  dell'articolo  645  e  interpretazione  autentica
dell'articolo 165 del  codice  di  procedura  civile  in  materia  di
opposizione al decreto ingiuntivo), sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  dal
Tribunale  ordinario  di  Benevento,  con  l'ordinanza  indicata   in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI