N. 98 SENTENZA 9 - 16 aprile 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contenzioso tributario -  Controversie  di  valore  non  superiore  a
  ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle  entrate
  -  Obbligo   di   presentare   preliminarmente   reclamo   a   pena
  d'inammissibilita' del ricorso. 
- Decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
  processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
  nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.  413),  art.  17-bis,
  nel testo originario, anteriore alla sostituzione  dello  stesso  a
  opera dell'art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge 27
  dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del  bilancio
  annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilita' 2014). 
-   
(GU n.18 del 23-4-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  17-bis  del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della  legge  30  dicembre  1991,  n.  413),  nel  testo
originario,  anteriore  alla  sostituzione  dello  stesso   a   opera
dell'art. 1, comma  611,  lettera  a),  numero  1),  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale  dello  Stato  -  Legge  di  stabilita'  2014),
promossi dalla Commissione  tributaria  provinciale  di  Perugia  con
ordinanza  del  7  febbraio  2013,   dalla   Commissione   tributaria
provinciale di Campobasso con due ordinanze del 17 aprile 2013, dalla
Commissione tributaria provinciale di Benevento con ordinanza del  18
aprile 2013 e dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna con
due ordinanze del 12 luglio 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 68,
146, 147, 153, 270 e 271 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 26, 27 e 51,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2014  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza pronunciata il 1° febbraio 2013 e depositata il
7 febbraio 2013 (registro ordinanze n. 68 del 2013),  la  Commissione
tributaria provinciale di Perugia ha sollevato, in  riferimento  agli
artt. 3, 24  e  25  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
dell'art. 17-bis del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
inserito dall'art. 39, comma 9, del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.
98  (Disposizioni  urgenti  per  la   stabilizzazione   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio 2011, n. 111,  che  disciplina  il  reclamo  e  la  mediazione
tributarie. 
    1.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a)
con ricorso del 5 luglio 2012, Massimiliano  Morettini  ha  impugnato
una cartella «esattoriale» recante l'iscrizione a ruolo  della  somma
di € 16.531,06, deducendo sia «alcuni errori formali concernenti»  la
stessa, sia «il  mancato  riconoscimento  del  credito  IVA»;  b)  la
«Amministrazione  finanziaria»  ha,  in  via  preliminare,   eccepito
l'inammissibilita' del ricorso perche' il ricorrente non aveva «adito
l'istituto della mediazione» previsto dall'art. 17-bis del d.lgs.  n.
546 del 1992, e, nel merito, chiesto il rigetto del gravame. 
    1.2.- La Commissione tributaria provinciale di Perugia ritiene di
dovere  anzitutto  esaminare  l'eccezione  di  inammissibilita'   del
ricorso sollevata  dalla  parte  resistente.  Al  riguardo,  afferma,
tuttavia, che «sussistono  seri  dubbi  di  costituzionalita'»  della
disposizione invocata dalla «Amministrazione finanziaria» e  che  gli
stessi hanno «riflessi immediati sull'esito del ricorso». 
    Secondo il giudice rimettente, l'art.17-bis del d.lgs. n. 546 del
1992 violerebbe, infatti, gli artt. 3, 24 e 25 Cost. 
    La  Commissione  tributaria  rimettente  premette,  in  punto  di
diritto,  che  l'articolo  censurato:  a)  stabilendo  che,  «Per  le
controversie di valore non superiore a ventimila  euro,  relative  ad
atti emessi dall'Agenzia delle entrate, chi intende proporre  ricorso
e'  tenuto  preliminarmente   a   presentare   reclamo   secondo   le
disposizioni» successive (comma 1) e che la presentazione del reclamo
e' condizione di ammissibilita' del ricorso, la cui  inammissibilita'
e' rilevabile di ufficio in ogni stato e grado  del  giudizio  (comma
2), configura «la proposizione di tale reclamo [come]  obbligatori[a]
ed impedisce al contribuente di  adire  immediatamente  la  giustizia
tributaria ricevendone  la  eventuale  tutela»;  b)  prevede  che  il
reclamo in questione e' esaminato da un organo  dell'amministrazione,
ancorche' tramite apposite strutture diverse e autonome da quelle che
curano l'istruttoria degli atti reclamabili, al quale sono  demandate
sia la decisione in ordine  all'accoglimento  dello  stesso  e  della
proposta di mediazione che puo' esservi contenuta sia la formulazione
di ufficio, nel caso di rigetto dei  medesimi,  di  una  proposta  di
mediazione (commi 5, 7 e 8). 
    1.3.- In punto di  non  manifesta  infondatezza,  la  Commissione
tributaria rimettente lamenta in  primo  luogo  che  «il  Legislatore
abbia usato l'istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico». 
    A tale conclusione si giungerebbe in base all'art. 3, lettera a),
della  direttiva  21  maggio  2008,  n.  2008/52/CE  (Direttiva   del
Parlamento europeo e del Consiglio  relativa  a  determinati  aspetti
della mediazione in materia civile e commerciale) - secondo cui «Tale
procedimento [in cui la  mediazione  consiste]  puo'  essere  avviato
dalle parti, suggerito od ordinato da  un  organo  giurisdizionale  o
prescritto  dal  diritto  di  uno  Stato  membro»  -  dal  quale   si
ricaverebbe che «l'organo della mediazione deve essere estraneo  alle
parti», mentre la disposizione  impugnata  affiderebbe  il  ruolo  di
mediatore, «in sostanza», a una delle parti  della  controversia  (la
Direzione  provinciale  o  la  Direzione  regionale  che  ha  emanato
l'atto). 
    Osserva,  inoltre,  il  giudice  rimettente  che  la   mediazione
prevista dall'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, sia  che  venga
proposta dal reclamante sia che venga  proposta  d'ufficio,  sarebbe,
«di fatto, [...] obbligatoria e come tale, in  materia  civile,  gia'
dichiarata incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di
delega)» dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2012. 
    1.4.- Il giudice a quo rileva poi, sempre in  punto  di  diritto,
che la disposizione impugnata stabilisce che «Decorsi novanta  giorni
senza che sia stato notificato l'accoglimento del reclamo o senza che
sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti  del
ricorso» (comma 9, primo periodo)  e  che  «I  termini  di  cui  agli
articoli 22 e 23 [cioe' i termini per la costituzione in giudizio del
ricorrente e della parte resistente] decorrono dalla  predetta  data»
(comma 9, secondo periodo), dal  che  si  desume  che  «sino  a  quel
momento il contribuente  non  puo'  adire  formalmente  la  giustizia
tributaria». Il rimettente sottolinea inoltre che, ai sensi dell'art.
23, comma 30, del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio  2011,  n.
111 (recte: ai sensi dell'art. 29 del decreto-legge 31  maggio  2010,
n.  78,  recante  «Misure  urgenti  in  materia  di   stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica»,   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122, come modificato dal predetto art. 23, comma 30, del d.l.  n.  98
del 2011), gli  avvisi  di  accertamento  emessi  dall'Agenzia  delle
entrate ai fini delle imposte  sui  redditi,  dell'imposta  regionale
sulle  attivita'  produttive  e  dell'imposta  sul  valore   aggiunto
contengono anche l'intimazione ad  adempiere,  entro  il  termine  di
presentazione del ricorso, all'obbligo  di  pagamento  degli  importi
negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del
ricorso e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'art.  15
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla  riscossione
delle imposte sul reddito), e divengono  esecutivi  decorsi  sessanta
giorni dalla loro notificazione (art. 29, comma 1, lettere a e b, del
d.l. n. 78 del 2010). 
    La  Commissione  rimettente  lamenta,  a   tale   riguardo,   «la
incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione  e
l'immediata esecuzione dell'avviso di accertamento». Cio' in  quanto,
poiche', a norma della disposizione impugnata (art. 17-bis, comma 9),
il reclamo «produce gli effetti  del  ricorso»  solo  dopo  che  sono
decorsi  novanta  giorni  senza  che  sia  stato  notificato  il  suo
accoglimento o senza che sia stata  conclusa  la  mediazione  e  solo
successivamente  e'  possibile  la  costituzione  in   giudizio   del
ricorrente, il contribuente,  nell'attesa  dell'esaurimento  di  tale
fase, e' costretto a  pagare  gli  importi  indicati  nell'avviso  di
accertamento, divenuto, nel frattempo, esecutivo, ai sensi  dell'art.
29 del d.l. n. 78 del 2010. Ne' e' possibile chiedere la  sospensione
dell'avviso di accertamento, ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. n.  546
del 1992, atteso che il contribuente «non  ha  potuto  depositare  il
proprio ricorso presso la Commissione, ricorso che  comunque  sarebbe
dichiarato inammissibile perche'  non  preceduto  dall'iter  previsto
dalla norma impugnata». 
    1.5.- Sempre secondo la Commissione rimettente,  la  disposizione
censurata viola l'art. 3 Cost.  anche  la'  dove  stabilisce  che  il
reclamo e la mediazione si applicano solo alle controversie  relative
ad atti emessi  «dall'Agenzia  delle  entrate»  e,  quindi,  solo  ai
tributi di pertinenza di tale Agenzia  e  non  anche  ai  tributi  di
pertinenza di altri soggetti impositori, con  la  conseguenza  che  i
contribuenti obbligati al pagamento  di  questi  ultimi  tributi  «si
troverebbero  ad  avere  maggiore  tutela   giuridica   rispetto   ai
contribuenti cui pervengono atti dell'Amministrazione finanziaria che
devono attenersi all'iter» dell'art. 17-bis del  d.lgs.  n.  546  del
1992. 
    1.6.- Il giudice rimettente lamenta  infine  l'illogicita'  della
disposizione impugnata la' dove limita l'applicazione del  reclamo  e
della mediazione da essa previsti alle sole  controversie  di  valore
non superiore a ventimila euro. Tale limitazione comporta infatti che
i contribuenti, qualora il loro  debito  nei  confronti  dello  Stato
superi l'importo a ventimila euro,  per  tale  solo  fatto,  «trovino
maggiore tutela giudiziaria» perche' possono adire immediatamente  il
giudice tributario e  chiedere,  ove  lo  ritengano,  la  sospensione
dell'atto impugnato. 
    1.7.- In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente
afferma che le questioni avrebbero «rilessi immediati sull'esito  del
ricorso in esame». 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
manifestamente infondate. 
    2.1.-    La    difesa    dello    Stato    eccepisce    anzitutto
l'inammissibilita' della questione con la quale il giudice rimettente
lamenta  che  la   disposizione   censurata,   non   consentendo   al
contribuente  di  adire  immediatamente  il  giudice  tributario,  lo
priverebbe della possibilita' di  avvalersi  della  tutela  cautelare
prevista dall'art. 47 del d.lgs. n. 546 del  1992,  costringendolo  a
pagare   gli   importi   indicati   nell'avviso    di    accertamento
notificatogli, divenuto esecutivo  durante  l'iter  del  reclamo,  ai
sensi dell'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010. La difesa statale  deduce
al riguardo che dagli atti del giudizio  principale  risulta  che  la
Commissione tributaria  provinciale  di  Perugia,  con  ordinanza  n.
155/02/12, depositata il 6 novembre 2012, aveva  rigettato  l'istanza
di sospensione della cartella di  pagamento  impugnata  -  affermando
che: «La Commissione, decidendo in merito all'istanza di  sospensiva,
rilevato che indipendentemente dalla sussistenza  o  meno  del  fumus
boni iuris, non e' stato provato, nella fattispecie, un danno grave e
irreparabile tale da  consentire  l'emissione  del  provvedimento  di
sospensione; visto  l'art.  47  D.Lgs.  546/92  rigetta  la  proposta
istanza di sospensiva» - con la conseguenza che,  essendo  il  potere
cautelare gia' stato esercitato,  nel  senso  della  negazione  della
sospensione richiesta, non «si vede quale utilita'» potrebbe derivare
dall'accoglimento della questione. Cio' comporterebbe, sempre secondo
l'Avvocatura generale dello Stato,  l'inammissibilita'  della  stessa
per mancanza di rilevanza o,  comunque,  per  omessa  motivazione  in
ordine alla rilevanza, alla luce della  decisione  gia'  adottata  in
sede cautelare. 
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato,  la  stessa  questione
sarebbe, comunque, infondata. L'interveniente deduce in proposito che
la Commissione rimettente ha trascurato di considerare che, ancorche'
il comma 1 dell'art. 29 del  d.l.  n.  78  del  2010  abbia  previsto
«l'immediata esecutivita'» degli avvisi di  accertamento,  lo  stesso
comma 1, alla lettera b) - nel testo modificato  dall'art.  8,  comma
12, lettera a), numero 1), del decreto-legge  2  marzo  2012,  n.  16
(Disposizioni urgenti in materia di  semplificazioni  tributarie,  di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  26
aprile 2012, n. 44 (recte: come  modificato  dall'art.  7,  comma  2,
lettera n, numero 3, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante
«Semestre Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia»,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  12
luglio 2011, n.  106)  -  stabilisce  che  «L'esecuzione  forzata  e'
sospesa per un periodo  di  centottanta  giorni  dall'affidamento  in
carico agli agenti della riscossione degli atti di cui  alla  lettera
a)». Tale previsione esclude, ad avviso della  difesa  statale,  ogni
pregiudizio,  per  il   contribuente,   derivante   dall'obbligo   di
presentare reclamo impostogli dalla disposizione censurata. La difesa
statale soggiunge infine che un'ulteriore possibilita' di sospensione
della riscossione a istanza del contribuente e' prevista dall'art. 1,
commi  da  537  a  543,  della  legge  24  dicembre  2012,   n.   228
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2013) 
    2.2.   -   L'Avvocatura   generale   dello   Stato   deduce   poi
l'infondatezza della questione con la quale la Commissione tributaria
rimettente lamenta che la disposizione censurata utilizza l'«istituto
della mediazione in modo erroneo ed illogico», sia perche' ne  affida
la conduzione a una delle parti della controversia,  sia  perche'  la
configura come obbligatoria «e come tale,  in  materia  civile,  gia'
dichiarata   incostituzionale»   con   la   sentenza   della    Corte
costituzionale n.  272  del  2012.  La  difesa  statale  osserva,  al
riguardo, che: a) il richiamo, operato dal giudice  rimettente,  alla
direttiva n. 2008/52/CE «e' del tutto improprio» in quanto l'art.  1,
paragrafo 2, della stessa, prevede  che  «Essa  non  si  estende,  in
particolare, alla materia fiscale,  doganale  e  amministrativa»;  b)
anche il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 272 del
2012 in tema di mediazione civile e' «del tutto fuori  luogo»,  anche
senza considerare che tale pronuncia di illegittimita' costituzionale
si fonda non  sul  contrasto  dell'obbligatorieta'  della  mediazione
civile con i principi costituzionali ma sul riscontro di  un  eccesso
di  delega  (profilo  che  certamente   non   rileva   con   riguardo
all'impugnato art. 17-bis, introdotto da  un  decreto-legge);  c)  la
previsione che a condurre la  mediazione  debba  essere  un  soggetto
terzo rispetto alle  parti  della  controversia,  se  puo'  ritenersi
«naturale»  nel  caso  di   controversie   civili,   sarebbe   invece
«impropria» nel caso di  controversie  tributarie,  nelle  quali  una
parte pubblica esercita un potere  impositivo  che  trova  fondamento
nell'art. 53 Cost. A tale ultimo proposito, la difesa statale osserva
che solo l'amministrazione finanziaria  e'  titolare,  nell'esercizio
dell'attivita' di controllo dell'adempimento degli obblighi tributari
da parte dei contribuenti (e' richiamato, sul punto,  l'art.  31  del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre  1973,  n.  600,
recante «Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte
sui redditi»), del potere amministrativo di imposizione -  nelle  sue
manifestazioni del potere di emissione nonche' di annullamento  e  di
rideterminazione del contenuto (anche  con  l'adesione  del  soggetto
passivo del tributo) degli atti impositivi - e che cio' rileva, nella
specie, con riguardo all'esclusivita' della titolarita' del potere di
annullamento  di  detti  atti  nell'ambito  del  generale  potere  di
autotutela.  Coerentemente  con  tale  principio,   la   disposizione
impugnata ha attribuito il potere  di  riesame  sul  reclamo,  «volto
all'annullamento totale o parziale dell'atto» (comma 8 dell'impugnato
art. 17-bis), nell'esercizio del generale potere di autotutela,  alla
stessa  amministrazione  finanziaria.  L'affidamento  di  un   potere
siffatto a un terzo privato si sarebbe, per converso, tradotto in una
indebita attribuzione allo stesso di un potere  amministrativo,  «con
una (essa si', costituzionalmente illegittima) "privatizzazione"  del
potere impositivo», riguardante diritti indisponibili. 
    2.3.- Quanto alle questioni con le quali  il  giudice  rimettente
lamenta che l'applicazione del reclamo e  della  mediazione  previsti
dalla disposizione censurata alle sole controversie relative ad  atti
emessi dall'Agenzia  delle  entrate  e  di  valore  non  superiore  a
ventimila euro comporterebbe, per  cio'  solo,  un  trattamento  meno
favorevole di tali controversie  (e  dei  contribuenti  che  ne  sono
parte) rispetto a quelle che, per essere relative ad atti  emessi  da
soggetti diversi dall'Agenzia delle entrate e/o di valore superiore a
ventimila euro, sono escluse dall'applicazione di detti istituti,  la
parte pubblica ne eccepisce anzitutto l'inammissibilita'  in  ragione
della gia' rilevata erroneita' di tale presupposto. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  tali  questioni   sono,
comunque, infondate. Cio' perche' la gia' evidenziata necessita'  che
la mediazione tributaria sia condotta da ciascun ente impositore,  in
quanto avente il potere di  rinunciare  alla  propria  pretesa  o  di
ridurla, comporta, da un canto, «una diversita' di situazione» tra le
controversie relative ad atti emessi  dall'Agenzia  delle  entrate  e
quelle  che  coinvolgono  altri  enti  impositori,  che  «rende   non
comparabili le relative fattispecie»; dall'altro, la necessita',  per
il legislatore, nel caso in cui decida, nell'esercizio della  propria
discrezionalita', di prevedere il reclamo e la mediazione  anche  per
controversie relative ad atti emessi  da  enti  diversi  dall'Agenzia
delle entrate, di predisporre le risorse,  le  strutture  e  i  mezzi
necessari per l'esercizio di tale ulteriore attivita' amministrativa. 
    Secondo la difesa statale, le  «medesime  motivazioni  sono  alla
base  della  scelta  di  limitare,  nella  prima   fase   di   avvio,
l'applicazione del nuovo istituto alle  sole  cause  di  importo  non
rilevante». 
    2.4.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  formula  poi,   «per
completezza», alcune osservazioni che ritiene  idonee  a  dimostrare,
anche alla luce  della  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,
l'assoluta assenza di contrasto tra la disposizioni  impugnata  e  «i
principi costituzionali». 
    La difesa statale sottolinea in  particolare  che  l'obbligatoria
presentazione del reclamo non determina per il contribuente  un  piu'
gravoso esercizio dell'azione in giudizio. Infatti,  come  si  evince
chiaramente dai commi 6 e 9 della disposizione impugnata, nel caso di
mancata conclusione positiva della fase amministrativa del reclamo  e
della mediazione, l'art. 17-bis considera l'azione in giudizio  «gia'
esercitata al momento della presentazione del  reclamo»  -  il  quale
«anticipa» il contenuto del ricorso, atteso che, con tale istanza, il
contribuente chiede l'annullamento totale o parziale dell'atto  sulla
base degli stessi motivi di fatto o di diritto che  intende  proporre
alla   commissione   tributaria   provinciale   nell'eventuale   fase
giurisdizionale  -  imponendo  al   contribuente,   al   fine   della
prosecuzione del contenzioso, solo l'onere di costituirsi in giudizio
dinnanzi alla commissione  tributaria.  La  difesa  erariale  osserva
ancora  che   la   previsione   di   un   obbligatorio   procedimento
amministrativo (preliminare a quello giurisdizionale), da  concludere
entro il ragionevole termine di  novanta  giorni,  se,  da  un  lato,
posticipa l'azione in giudizio, dall'altro, allorche' si conclude con
l'accoglimento, totale o parziale, delle richieste del  contribuente,
consente di ottenere, negli indicati brevi tempi,  cio'  che  sarebbe
conseguito solo a una decisione del giudice, con i necessari tempi di
attesa della stessa, con conseguente aderenza ai principi degli artt.
97 e 111 Cost. L'Avvocatura generale dello Stato osserva  ancora  che
«l'esercizio della  giurisdizione  condizionata  a  una  previa  fase
amministrativa» e' da tempo previsto in campo  amministrativo  e,  in
particolare, tributario, e cita, al riguardo, l'art. 21, comma 2, del
d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui: «Il ricorso avverso  il  rifiuto
tacito della restituzione di cui all'articolo 19,  comma  1,  lettera
g), puo' essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda  di
restituzione». 
    Con  riguardo   all'utilita'   di   meccanismi   deflattivi   del
contenzioso, la difesa dello Stato richiama infine le sentenze  della
Corte costituzionale n. 130 del 1970, n. 276 del 2000  e  n.  56  del
1995.  A  proposito  di  quest'ultima,  con   la   quale   la   Corte
costituzionale dichiaro' l'illegittimita' dell'art.  12  del  decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  641  (Disciplina
delle tasse sulle concessioni governative) - che  stabiliva,  per  le
controversie relative all'applicazione  delle  tasse  di  concessione
governativa, la preclusione della possibilita' di  esperire  l'azione
giudiziaria  in  mancanza  dei  preventivi   ricorsi   amministrativi
previsti nell'art. 11 dello stesso d.P.R. n. 641 del 1972 - la difesa
statale afferma che le considerazioni poste dalla Corte a  fondamento
di  tale  pronuncia,  cioe'  la  mancanza  di  una  ratio  idonea   a
giustificare il limite imposto dall'art. 12 del  d.P.R.  n.  641  del
1972 al principio dell'art. 24 Cost., in ragione  del  fatto  che  si
trattava «di controversie che non implicano accertamenti  tecnici  in
funzione  dei  quali  appaia  necessario  o  opportuno  che  la  fase
giudiziaria sia preceduta da un esame in sede  amministrativa  [...],
tanto meno quando, come nella  specie,  e'  chiesto  il  rimborso  di
tributi indebitamente riscossi dall'amministrazione finanziaria», non
si attagliano al caso dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, in
cui gli atti impositivi emessi  dall'Agenzia  delle  entrate  possono
porre (e di norma pongono) la necessita' di valutazioni tecniche  che
abbisognano di un approfondito esame e  rendono,  percio',  opportuna
una previa verifica di fondatezza in sede amministrativa. 
    2.5.- La difesa dello Stato rileva, conclusivamente, che i  primi
dati  disponibili  «sull'efficacia   della   mediazione   tributaria»
introdotta dall'art.  17-bis  del  d.P.R.  n.  546  del  1992  paiono
confermare l'utilita' dell'istituto.  Premesso  che  le  controversie
relative ad atti emessi dall'Agenzia delle  entrate  «interessate  [a
tale] mediazione (quelle cioe' di valore fino ad € 20.000)»  sono  il
56% del totale, l'Avvocatura dello Stato nota  che,  nell'ambito  dei
65.545 «reclami» esaminati da detta Agenzia nel periodo dal 3 ottobre
2012 al 31 marzo 2013, «l'esito  positivo»  ha  riguardato  il  48,2%
delle «posizioni», dato che evidenzia «l'idoneita' dell'istituto»  ad
abbattere il numero dei ricorsi  proposti  davanti  alle  commissioni
tributarie  provinciali,  con  evidenti   vantaggi   sia   per   tale
giurisdizione (che vede  ridotto  il  proprio  carico  di  lavoro  e,
conseguentemente, incrementata la rapidita' della  trattazione  delle
cause pendenti davanti a se') sia per i contribuenti che riescono  ad
ottenere soddisfazione entro poche settimane. 
    3.- Con ordinanza pronunciata il 16 aprile 2013 e  depositata  il
17 aprile 2013 (reg. ord. n. 146 del 2013), la Commissione tributaria
provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,
24, 25, 111 e 113 Cost., questione di legittimita'  dell'art.  17-bis
del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
    3.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a)
la  Regione  Molise  ha  proposto  ricorso  avverso  un   avviso   di
irrogazione di sanzioni per il ritardato  pagamento  della  tassa  di
concessione per il servizio di telefonia mobile in abbonamento emesso
dall'Agenzia delle entrate e notificatole il 18 settembre 2012,  atto
con  il  quale  veniva  richiesto  il  pagamento   della   somma   di
€ 13.993,12, oltre  a  interessi  e  a  spese;  b)  l'amministrazione
finanziaria    si    e'    costituita    in    giudizio    eccependo,
pregiudizialmente, l'inammissibilita' del ricorso per  non  avere  la
ricorrente preliminarmente presentato, in violazione dell'art. 17-bis
del d.lgs.  n.  546  del  1992,  il  reclamo  che  tale  disposizione
obbligatoriamente impone a chi intenda proporre  ricorso  avverso  un
atto emesso dall'Agenzia delle entrate con il quale e'  richiesto  il
pagamento di sole sanzioni (oltre a  interessi  e  a  spese)  per  un
importo inferiore a ventimila  euro  e  che  e'  stato  notificato  a
decorrere dal 1° aprile 2012; c) la ricorrente ha sollevato eccezione
di illegittimita'  costituzionale  del  menzionato  art.  17-bis  per
violazione degli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost. 
    3.2.- Il giudice rimettente premette poi, in  punto  di  diritto,
che il reclamo obbligatorio previsto dall'art. 17-bis del  d.lgs.  n.
546 del 1992 ha natura amministrativa -  come  si  evince  sia  dalla
collocazione di tale articolo come ultima disposizione del  Titolo  I
di tale decreto legislativo (cioe'  del  Titolo  che  precede  quello
contenente la disciplina del processo), sia  dal  dato  testuale  dei
commi 2 e 9 dello stesso art. 17-bis, i quali distinguono chiaramente
il reclamo dal ricorso - e si  configura,  in  particolare,  come  un
rimedio amministrativo  di  secondo  grado,  diretto  a  definire  la
controversia nell'ambito dell'amministrazione senza l'intervento  del
giudice e previsto come filtro obbligatorio del  processo  tributario
la cui omessa attivazione e' sanzionata  con  l'inammissibilita'  del
ricorso rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo. 
    3.3.- Tanto premesso in via generale, il giudice a quo, in  punto
di non manifesta infondatezza, si duole anzitutto  della  previsione,
da parte  della  disposizione  impugnata,  dell'inammissibilita'  del
ricorso quale sanzione dell'omessa presentazione del reclamo. 
    Secondo la Commissione  tributaria  rimettente,  tale  previsione
lede, anzitutto, l'art. 24 Cost., che riconosce  sia  il  diritto  di
agire in giudizio a tutela dei propri diritti e  interessi  legittimi
sia il diritto di difesa. A tale proposito, il giudice  a  quo,  dopo
avere  richiamato  il  contenuto  di  alcune  pronunce  della   Corte
costituzionale sui limiti entro i quali e' consentito al  legislatore
di condizionare  l'accesso  alla  giurisdizione  all'assolvimento  di
oneri, in specie, al  previo  esperimento  di  rimedi  amministrativi
(sentenze n. 56 del 1995; n. 360 del 1994; n. 406 del 1993; n. 82 del
1992; n. 15 del 1991; n. 530 del 1989; n. 641 del  1972;  n.  47  del
1964), afferma che la stessa Corte,  se  ha,  generalmente,  ritenuto
legittimo il differimento della possibilita' di agire in  giudizio  a
condizione che ricorrano «esigenze di  ordine  generale  e  superiori
finalita'  di  giustizia»  -  anche  queste,  peraltro,  secondo   il
rimettente,  «discutibili»   nella   specie,   tenuto   conto   della
preesistenza di «vari filtri amministrativi» -  ha  tuttavia  escluso
che,  anche  in  tali  casi,  il  diritto  di  azione  possa   essere
eccessivamente compresso  e,  in  particolare,  che  l'ammissibilita'
stessa dell'azione possa essere condizionata al previo esperimento di
un  rimedio  amministrativo.  Sulla  scorta  di  tale  giurisprudenza
costituzionale, il giudice rimettente afferma che il legislatore  ben
poteva, per la salvaguardia dell'interesse  generale  alla  riduzione
dell'eccessivo carico giudiziario e delle conseguenti difficolta'  di
funzionamento della giurisdizione, imporre a chi intende proporre  un
ricorso   l'onere   della   previa   proposizione   di   un   rimedio
amministrativo, ma che l'esigenza di non  sacrificare  eccessivamente
la  tutela  giurisdizionale   avrebbe   consentito,   al   piu',   di
procrastinare tale  tutela  -  in  particolare,  di  prevedere,  come
conseguenza   per   l'inosservanza   dell'onere,   l'improcedibilita'
dell'azione, in modo  tale  da  consentire  al  giudice  che  accerti
l'omessa presentazione del reclamo di concedere  un  termine  per  la
presentazione «della domanda» - ma giammai, come e' invece  avvenuto,
di   sanzionare    l'omessa    presentazione    del    reclamo    con
l'inammissibilita' del ricorso, cioe' con la perdita  definitiva  del
diritto di agire in giudizio. 
    Sempre    ad    avviso    del    rimettente,    la     previsione
dell'inammissibilita'  del   ricorso   quale   sanzione   dell'omessa
presentazione del reclamo contrasta poi sia con l'art.  3  Cost.,  in
relazione ai principi di uguaglianza e  di  ragionevolezza,  sia  con
l'art.  113  Cost.,  la'   dove   vieta   di   limitare   la   tutela
giurisdizionale avverso gli atti della pubblica  amministrazione  per
determinate categorie di atti. La Commissione  tributaria  rimettente
osserva, anzitutto, in proposito,  che  detta  sanzione  «genera  una
irragionevole discriminazione  tra  il  diritto  del  contribuente  a
corrispondere  il   giusto   tributo   e   la   potesta'   impositiva
dell'Amministrazione»  perche',  considerata   la   preesistenza   di
istituti  deflattivi  del   contenzioso   tributario   di   carattere
preventivo  quali   l'autotutela,   l'obbligo   del   contraddittorio
preventivo e  l'accertamento  con  adesione,  non  possono  ritenersi
ravvisabili quelle «esigenze di ordine generale e superiori finalita'
di  giustizia»  idonee,  in  base  alla   menzionata   giurisprudenza
costituzionale, a giustificare l'imposizione dell'obbligo preliminare
di presentazione del  reclamo  che  costituisce,  percio',  solo  «un
rilevante aggravio del procedimento». Sempre ad avviso del giudice  a
quo, gli invocati parametri sono violati anche perche' la  previsione
di un reclamo  obbligatorio,  la  cui  omissione  e'  sanzionata  con
l'inammissibilita' del ricorso, comporta una limitazione della tutela
giurisdizionale solo per i contribuenti ai  quali  tale  istituto  e'
applicabile - cioe' quelli destinatari di  atti  emessi  dall'Agenzia
delle entrate aventi un valore,  determinato  a  norma  del  comma  5
dell'art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 (comma 3 dell'impugnato  art.
17-bis) non superiore a ventimila euro - e non,  quindi,  per  quelli
destinatari di «altri» atti emessi dalla stessa Agenzia delle entrate
o di atti emessi da altri enti impositori. 
    3.4.- Secondo la Commissione tributaria rimettente, l'art. 17-bis
del d.lgs. n. 546 del 1992 viola  l'art.  24  Cost.  anche  la'  dove
impone, al comma 6 - in  virtu'  del  richiamo,  da  questo  operato,
all'art. 18 dello stesso d.lgs. n. 546 del 1992 -  che  il  contenuto
del reclamo  sia  identico  a  quello  del  ricorso  di  cui  potra',
eventualmente, produrre gli effetti. Il  giudice  a  quo  afferma  in
proposito che «la  anticipata  discovery  della  tesi  difensiva  del
contribuente nella fase amministrativa,  che  obbligatoriamente  deve
precedere la fase del giudizio, con conseguente immodificabilita'  di
ulteriori  prospettazioni  difensive   nell'eventuale   giudizio   in
relazione ad un provvedimento ancora da valutare,  costituisce  grave
pregiudizio difensivo per il contribuente (che, ad es., se nella fase
amministrativa   aveva   chiesto    l'annullamento    parziale    del
provvedimento,  nella  fase  del  giudizio  non   potra'   richiedere
l'annullamento totale)». 
    3.5.- Il giudice rimettente, premesso che l'art. 47 del d.lgs. n.
546 del 1992 permette al  contribuente  di  ottenere  la  sospensione
dell'esecuzione dell'atto impugnato solo a condizione che egli si sia
costituito nel giudizio sul merito dell'atto stesso - come si  evince
sia dal  comma  1  dell'art.  47,  che  consente  di  chiedere  detta
sospensione  con  atto  separato  notificato  alle  altre   parti   e
depositato in segreteria «sempre che siano osservate le  disposizioni
di cui all'art. 22», sia dal  comma  6  dello  stesso  art.  47,  che
dispone  che,  nei  casi  di  sospensione  dell'atto  impugnato,   la
trattazione della controversia sia fissata non oltre  novanta  giorni
dalla pronuncia della sospensione - rileva che tale tutela  cautelare
e', percio', preclusa «per tutto il tempo necessario all'espletamento
della fase di reclamo». 
    Tale preclusione determinerebbe, in primo  luogo,  la  violazione
dell'art. 3 Cost. per la «irrazionalita' e diversita' di trattamento»
che comporta. Essa infatti, da un canto, opera solo nei confronti dei
contribuenti ai quali sono stati notificati atti emessi  dall'Agenzia
delle entrate e relativi a controversie di  valore  non  superiore  a
ventimila  euro,  mentre  tutti  gli   altri   contribuenti   possono
immediatamente accedere alla tutela cautelare. D'altro canto, e' «del
tutto  irrazionale   [...]   e   assolutamente   non   giustificabile
trattandosi della  tutela  giurisdizionale  di  posizioni  giuridiche
soggettive  che  devono  essere  garantite  in  modo  particolare  in
presenza della immediata esecutivita' degli  avvisi  di  accertamento
(art.  29  DL  78/2010)  o  in  caso  di  ricorso  avverso   cartelle
esattoriali (ex art. 36 bis DPR 600/73 o 54 bis DPR 633/72 o in  caso
di ricorso avverso il ruolo». 
    La stessa preclusione  dell'accesso  alla  tutela  cautelare  nel
tempo necessario all'espletamento della  fase  di  reclamo  comporta,
sempre secondo il rimettente, la violazione anche dell'art. 24 Cost.,
che garantisce il diritto di difesa, e dell'art. 25 Cost., che  vieta
che chiunque possa essere distolto dal giudice naturale precostituito
per legge. Cio' in  quanto  «il  contribuente  potra'  rivolgersi  al
proprio giudice naturale per  ottenere  un  provvedimento  cautelare»
solo  dopo  l'inutile  esperimento  della  procedura   amministrativa
conseguente al reclamo, mentre nelle more di tale procedura,  pur  in
presenza di un danno grave e irreparabile che gli  derivi  dall'atto,
e' privato della tutela cautelare giurisdizionale ma  puo'  usufruire
solo  della  «autotutela  sospensiva»  concessa  dall'amministrazione
nell'esercizio  dell'ampio  potere  discrezionale  che  essa  ha   in
materia. 
    3.6.- Il rimettente censura l'art. 17-bis del d.lgs. n.  546  del
1992  anche  in  quanto  prevede  una  disciplina  delle  spese   del
procedimento di reclamo solo per il caso in cui si pervenga alla fase
giurisdizionale, con  la  conseguenza  che,  in  caso  contrario,  il
contribuente che, in considerazione del fatto  che  il  reclamo  deve
avere «lo stesso contenuto del ricorso» del quale  potrebbe  produrre
gli effetti, abbia dovuto avvalersi di un difensore (perche' a  tanto
lo obbliga l'art. 12 del d.lgs. n.  546  del  1992  o  perche'  abbia
ritenuto  di  farlo,  pur  potendo  stare  in  giudizio  anche  senza
assistenza  tecnica),   dovra'   sostenere   delle   spese   per   la
remunerazione dello stesso che non gli saranno rimborsate neppure nel
caso di accoglimento del reclamo. 
    Tale disciplina si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l'art. 3
Cost., con riguardo ai principi di uguaglianza  e  ragionevolezza  in
quanto, nel caso in cui non si pervenga alla fase giurisdizionale, il
contribuente deve sostenere delle  spese  per  la  remunerazione  del
difensore di cui si e' dovuto avvalere, «mentre l'A.F. beneficia  del
risparmio delle spese del giudizio che non sara' instaurato». 
    L'indicato obbligo di sostenere, nel caso in cui non si  pervenga
alla   fase   giurisdizionale,   delle   spese    non    rimborsabili
contrasterebbe anche con il diritto di difesa garantito dall'art.  24
Cost. atteso che, in tale  ipotesi,  lo  stesso  diritto  «non  viene
garantito nella sua interezza ma  solo  previa  la  detrazione  delle
spese per l'assistenza tecnica». 
    3.7.- L'introduzione del reclamo contrasterebbe ancora con l'art.
111, primo comma (recte: secondo comma), ultimo periodo,  Cost.,  che
prevede che la legge assicuri la ragionevole durata del processo.  Il
rimettente  osserva  in  proposito  che,  poiche'  il   reclamo   «e'
compatibile»  con  l'accertamento  con  adesione  e   a   questo   e'
applicabile la sospensione dei  termini  nel  periodo  feriale,  puo'
verificarsi  che,  nel  caso  in  cui  sia   formulata   istanza   di
accertamento  con  adesione,  al  periodo  di   novanta   giorni   di
sospensione dei termini per  l'impugnazione  dell'atto  davanti  alla
commissione tributaria provinciale previsto dall'art. 6 del d.lgs. 19
giugno 1997, n. 218 (Disposizioni  in  materia  di  accertamento  con
adesione e di conciliazione giudiziale),  cui  potrebbe  sommarsi  la
sospensione di quarantacinque giorni nel  periodo  feriale,  potrebbe
aggiungersi il termine di sessanta giorni previsto dalla disposizione
impugnata per la presentazione del reclamo e, «in  caso  di  silenzio
dell'A.F. sul reclamo», l'ulteriore periodo di novanta giorni, per un
totale di duecentottantacinque giorni, cioe' di oltre nove mesi,  con
la conseguenza che il processo tributario potrebbe essere  instaurato
solo decorso tale tempo. Per tale ragione non sarebbe «in alcun  modo
possibile ritenere che con l'introduzione dell'istituto  del  reclamo
il legislatore abbia rispettato  il  principio  posto  dall'art.  111
della Costituzione». 
    3.8.- La disposizione impugnata violerebbe l'art. 111 Cost. anche
in ragione della  «complicazione  processuale  per  il  caso  che  il
contribuente  intenda   proporre   un   ricorso   cumulativo»,   che,
consentendo l'impugnazione contestuale di  piu'  provvedimenti  e  la
trattazione unitaria delle domande, evita la formazione di  giudicati
tra  loro  contraddittori,  assicura  una  migliore  formazione   del
convincimento del giudice  e  economizza  le  attivita'  processuali.
Osserva il rimettente che, a seguito dell'introduzione  del  reclamo,
nel caso in cui debbano essere impugnati, entro  lo  stesso  termine,
piu' provvedimenti, per l'impugnazione di alcuni soltanto  dei  quali
deve essere preliminarmente presentato  detto  reclamo,  «non  sembra
dubbio che [...] la evidente complicazione processuale,  dovuta  alla
diversita'  del  termine  per  la  costituzione   in   giudizio   del
ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilita' del  ricorso,
indurra'  il  contribuente  a   presentare   distinti   ricorsi   con
conseguente vanificazione dei benefici  processuali  derivanti  dalla
presentazione del ricorso cumulativo». 
    3.9.- Il rimettente ribadisce, in conclusione, che le limitazioni
della tutela giurisdizionale sono state ritenute  ammissibili  quando
realizzano   un   alleggerimento   del   sovraccarico   dell'apparato
giudiziario e il  soddisfacimento  piu'  immediato  delle  situazioni
sostanziali controverse e a condizione che siano ragionevoli, ma che,
anche in tali casi, gli istituti ritenuti  idonei  erano  configurati
come condizioni di procedibilita' della domanda e non come  requisiti
di ammissibilita' della stessa. 
    Il rimettente afferma ancora che  anche  la  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea e la Corte europea dei  diritti  dell'uomo  hanno
ritenuto l'ammissibilita' di restrizioni della tutela giurisdizionale
mediante strumenti di conciliazione extragiudiziale a condizione  che
esse corrispondano  a  obiettivi  di  interesse  generale  e  non  si
traducano in un intervento sproporzionato ed inaccettabile,  tale  da
ledere la sostanza  dei  diritti  cosi'  garantiti  (sono  citate  le
pronunce della Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,  15  giugno
2006, in causa C-28/05, Dokter ed altri, e della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo 21  novembre  2011,  Fogarty  contro  Regno  Unito;
quest'ultimo  riferimento   da   intendersi,   verosimilmente,   alla
decisione della Grande Camera sul caso Fogarty contro Regno Unito del
21  novembre  2001).  La  Commissione   tributaria   provinciale   di
Campobasso ricorda infine che  la  Corte  di  giustizia,  pur  avendo
ammesso la compatibilita'  con  il  diritto  dell'Unione  europea  di
normative  nazionali  che  prevedevano  procedure   obbligatorie   di
conciliazione extragiudiziale  in  quanto  esse  non  erano  tali  da
rendere   praticamene   impossibile   o   eccessivamente    difficile
l'esercizio dei diritti conferiti ai singoli, ha  chiarito  che  cio'
che conta e' che tali procedure non comportino un ritardo sostanziale
per la proposizione di  un  ricorso  giurisdizionale,  sospendano  la
prescrizione dei diritti in questione e non  generino  costi  per  le
parti e sia possibile  disporre  provvedimenti  provvisori  nei  casi
eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone  (e'  citata,
sul punto, la sentenza della Corte di giustizia  dell'Unione  europea
del 18 marzo 2010, nelle cause riunite da C-317/08 a C-320/08). 
    3.10.-  In  punto  di  rilevanza,   la   Commissione   tributaria
rimettente afferma la questione «e' indubbiamente  rilevante  poiche'
della predetta disposizione deve necessariamente  farsi  applicazione
nel  presente  giudizio   sia   ai   fini   dell'ammissibilita'   che
relativamente ad aspetti sostanziali dello stesso». 
    4.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate. 
    4.1.- Con riguardo alla questione  con  la  quale  la  rimettente
Commissione tributaria provinciale di Campobasso si duole  del  fatto
l'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 sanziona  l'omissione  della
presentazione del reclamo  con  l'inammissibilita'  del  ricorso,  la
difesa statale prospetta deduzioni identiche alle «osservazioni»  che
aveva formulato, «per completezza» - al  fine  di  dimostrare,  anche
alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, l'assoluta
assenza di contrasto tra la  disposizioni  impugnata  e  «i  principi
costituzionali» -  nell'atto  di  intervento  nel  giudizio  derivato
dall'ordinanza  iscritta  al  r.o.  n.  68  del  2013  (punto  2.4.),
aggiungendo che le stesse escludono che  l'indicata  sanzione  «possa
configurarsi come scelta  manifestamente  irragionevole»  e,  dunque,
eccedente il limite posto dalla  giurisprudenza  costituzionale  alla
discrezionalita' e  insindacabilita'  delle  scelte  del  legislatore
nella disciplina degli istituti processuali (a tale ultimo proposito,
e' richiamata la sentenza n. 10 del 2013). 
    4.2.-   L'Avvocatura   generale   dello   Stato   eccepisce   poi
l'inammissibilita' della questione con la  quale  il  giudice  a  quo
lamenta il fatto che il contenuto del reclamo debba essere identico a
quello  del  ricorso  di  cui  potra',  eventualmente,  produrre  gli
effetti, «per omesso esame della rilevanza», atteso che il rimettente
non ha indicato quale effetto sul giudizio principale potrebbe  avere
la decisione della Corte costituzionale che accogliesse tale  profilo
di doglianza. In particolare, sempre secondo la difesa  della  Stato,
sarebbe stato necessario, a tale fine, precisare se  il  contribuente
avesse notificato motivi aggiunti, che si sarebbero  dovuti  ritenere
inammissibili in quanto non dedotti nel reclamo. 
    4.3.- Anche la questione con la quale il  rimettente  lamenta  la
preclusione della possibilita' di chiedere la tutela cautelare di cui
all'art.  47  del  d.lgs.  n.  546  del  1992   sarebbe,   anzitutto,
inammissibile per  difetto  di  rilevanza  o,  comunque,  per  omessa
motivazione sulla rilevanza, «alla luce della concreta situazione  di
causa», in quanto il giudice a quo ha trascurato  di  indicare  quale
utilita'   potrebbe   derivare   da   una   decisione   della   Corte
costituzionale che accogliesse tale profilo di doglianza. 
    La stessa  questione  sarebbe,  comunque,  infondata.  La  difesa
statale formula, al riguardo, deduzioni identiche ad alcune di quelle
prospettate  nell'atto  di  intervento   nel   giudizio   riguardante
l'ordinanza di cui al r.o. n. 68 del  2013,  ribadendo:  a)  l'omessa
considerazione, da parte del  rimettente,  della  disposizione  della
lettera b) del comma 1 dell'art. 29 del d.l.  n.  78  del  2010,  nel
testo modificato dall'art. 7, comma 2, lettera  n),  numero  3),  del
d.l. n. 70 del 2011 (punto. 2.1.); b) con specifico riferimento  alla
doglianza  con  la  quale  il  giudice  rimettente  lamenta  che   la
possibilita'  di  chiedere  immediatamente  la  tutela  cautelare  e'
preclusa solo ai contribuenti che sono parti di controversie  per  le
quali la disposizione censurata impone la  previa  presentazione  del
reclamo,  l'erroneita'  del  presupposto  secondo   il   quale   tali
controversie godrebbero di un trattamento meno favorevole  (cio'  che
comporta, in effetti, l'inammissibilita' di tale questione),  nonche'
la «diversita' di situazione» tra le controversie  relative  ad  atti
emessi dall'Agenzia delle entrate e quelle che coinvolgono altri enti
impositori e tra le controversie di valore non superiore a  ventimila
euro e quelle di valore superiore a tale importo e la necessita', per
il legislatore, nel caso in cui decida, nell'esercizio della  propria
discrezionalita',  di  prevedere  il  reclamo  e  la  mediazione  per
controversie ulteriori, di predisporre le risorse, le strutture  e  i
mezzi necessari per  l'esercizio  di  tale  attivita'  amministrativa
(punto 2.3.). 
    4.4.- Anche la questione  con  la  quale  il  giudice  rimettente
censura la mancanza di una disciplina delle  spese  del  procedimento
per il caso in cui non si pervenga alla fase giurisdizionale, con  la
conseguenza che, anche  nell'ipotesi  di  accoglimento  del  reclamo,
dette  spese  resterebbero  a  carico  del   contribuente,   sarebbe,
anzitutto, inammissibile per omessa motivazione  sulla  rilevanza  in
quanto «il giudice a quo avrebbe dovuto [...] previamente valutare la
fondatezza del ricorso,  perche'  solo  in  tale  caso  la  questione
sarebbe stata rilevante». 
    La stessa questione sarebbe, comunque, manifestamente  infondata.
Secondo la difesa statale, la scelta operata dal legislatore  di  non
prevedere, nelle  circostanze  indicate,  una  condanna  alle  spese,
sarebbe ragionevole in quanto  opera  «sia  a  favore  che  contro  i
contribuenti», i quali se, da un  canto,  hanno  la  possibilita'  di
vedere accolte  le  proprie  ragioni  in  tempi  brevissimi,  con  un
dispendio minimo di attivita' «processuale», dall'altro, in  caso  di
infondatezza «del loro ricorso», hanno la possibilita' di evitare una
condanna alle spese non iscrivendo a ruolo la  causa  (dopo  essersi,
magari, resi conto, nel contraddittorio instauratosi  in  seguito  al
reclamo, di non avere alcuna possibilita' di vittoria).  L'Avvocatura
dello Stato conclude affermando  che  «l'attivita'  svolta,  sia  dal
contribuente, sia dall'ufficio, e' fuori dal  regime  di  regolazione
delle spese e cio' appare  giustificato  anche  dalla  necessita'  di
favorire l'istituto, di  sicuro  effetto  positivo  per  entrambe  le
parti». 
    4.5.- Quanto alla  questione  con  la  quale  si  deduce  che  la
possibile sommatoria del  periodo  di  sospensione  dei  termini  per
l'impugnazione prevista nel caso in cui  sia  presentata  istanza  di
accertamento con adesione con i termini previsti per la presentazione
del reclamo e per l'esaurimento della procedura  da  esso  introdotta
contrasterebbe  con  il  principio  della  ragionevole   durata   del
processo, la difesa statale ne deduce, anzitutto,  l'inammissibilita'
perche' «nessuna motivazione  si  rinviene  [...]  nell'ordinanza  in
ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo». 
    Tale questione sarebbe, comunque, manifestamente  infondata,  non
potendosi «addebitare al (contenuto) termine per  la  mediazione,  la
durata anche di altri istituti (come  l'accertamento  con  adesione),
peraltro rimessi alla scelta discrezionale del contribuente». 
    4.6.- Parimenti inammissibile, in quanto «del  tutto  ipotetica»,
sarebbe, infine, la questione con la quale il rimettente  lamenta  la
violazione  dell'art.  111  Cost.  in  ragione  della  «complicazione
processuale» determinata dalla norma impugnata nel  caso  in  cui  il
contribuente intenda proporre un ricorso cumulativo. 
    4.7.- La  difesa  statale  conclude  ribadendo  quanto  affermato
nell'atto di intervento nel giudizio relativo all'ordinanza di cui al
r.o. n.  68  del  2013  con  riguardo  al  fatto  che  i  primi  dati
disponibili   confermerebbero    l'utilita'    dell'istituto    della
«mediazione tributaria» (punto 2.5.). 
    5.- Con ordinanza pronunciata il 16 aprile 2013 e  depositata  il
17 aprile 2013 (r.o. n. 147  del  2013),  la  Commissione  tributaria
provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,
24, 25, 111 e 113 Cost., questione di legittimita'  dell'art.  17-bis
del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
    5.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a)
Ottavio  De  Paola  ha  proposto  ricorso  avverso  una  cartella  di
pagamento, emessa dalla s.p.a.  Equitalia  Sud  e  notificata  il  20
settembre 2012, con  la  quale  veniva  richiesto  al  ricorrente  il
pagamento della somma complessiva di € 16.506,00 in conseguenza di un
precedente avviso di liquidazione di imposte di registro,  ipotecaria
e   catastale,   oltre   a   sanzioni,   interessi   e   spese;    b)
l'amministrazione finanziaria si e' costituita in giudizio eccependo,
pregiudizialmente, l'inammissibilita' del ricorso per  non  avere  la
ricorrente preliminarmente presentato, in violazione dell'art. 17-bis
del d.lgs. n. 546 del 1992, il reclamo previsto da tale  disposizione
«e  vertendosi  nella  specie  di  impugnazione  della  cartella  per
contestare la pretesa tributaria derivante dal ruolo,  essendo  stata
contestata la definitivita' del presupposto Avviso di liquidazione». 
    5.2.- Il giudice rimettente, ritiene  che  l'eccezione  sollevata
dall'amministrazione    finanziaria    debba     essere     esaminata
pregiudizialmente ma afferma di dubitare della legittimita' dell'art.
17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 per contrasto con gli artt. 3,  24,
25, 111 e 113 Cost. 
    In punto di rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso svolge
considerazioni identiche a quelle esposte nell'ordinanza iscritta  al
r.o. n. 146 del 2013 (punti da 3.2. a 3.10.). 
    6.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate. 
    6.1.- Preliminarmente,  la  difesa  statale  rende  noto  che  la
cartella di  pagamento  oggetto  del  giudizio  principale  e'  stata
annullata in via di  autotutela  con  provvedimento  della  Direzione
provinciale dell'Agenzia delle entrate di Campobasso  del  26  giugno
2013, chiedendo, per  tale  ragione,  alla  Corte  costituzionale  di
valutare la persistenza dell'interesse alla pronuncia richiesta. 
    6.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta deduzioni
identiche a quelle formulate nell'atto  di  intervento  nel  giudizio
riguardante l'ordinanza di cui al r.o. n. 146 del 2013. Con  riguardo
alle questioni con la quale  il  rimettente  lamenta  la  preclusione
della possibilita' di chiedere la tutela cautelare di cui all'art. 47
del  d.lgs.  n.  546  del  1992,  la  difesa  statale  ne   eccepisce
l'inammissibilita' per difetto di rilevanza o, comunque,  per  omessa
motivazione sulla rilevanza, in particolare, per la  ragione  che  la
stessa Commissione rimettente, con  l'ordinanza  n.  4/2/2013,  aveva
gia' concesso la sospensione dell'esecuzione  dell'atto  impugnato  e
aveva, quindi, gia'  esercitato  il  suo  potere  cautelare,  con  la
conseguenza che «in  tale  situazione  non  si  vede  quale  utilita'
potrebbe derivare da una pronuncia che ritenesse fondata la questione
sotto il denunciato profilo della mancanza di una  tempestiva  tutela
cautelare». 
    7.- Con ordinanza pronunciata l'8 aprile 2013 e depositata il  18
aprile 2013  (r.o.  n.  153  del  2013),  la  Commissione  tributaria
provinciale di Benevento ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
24 e 111 Cost., «oltre che per l'assenza di un obbligo in tale  senso
e della giusta terzieta' del mediatore rispetto alle parti  coinvolte
nell'ambito della normativa comunitaria», questioni  di  legittimita'
dell'art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. 
    7.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a)
Giulia  De  Luca  aveva  proposto  ricorso  avverso  la  cartella  di
pagamento n. 017 2012 0001761 4 32 000 notificatale dall'agente della
riscossione per la Provincia di  Benevento  e  relativa  a  un  ruolo
ordinario, formato e reso esecutivo  dall'Agenzia  delle  entrate  di
Benevento, scaturito dalla precedente notificazione di un  avviso  di
accertamento  per  l'anno  2005  divenuto  definitivo   perche'   non
impugnato; b) la ricorrente, a sostegno della formulata richiesta  di
annullamento della cartella e di condanna della parte  resistente  al
pagamento delle spese di giudizio, eccepiva: b.1.) l'assenza  di  una
motivazione «tale da rendere  ammissibile  il  prodromico  avviso  di
accertamento»; b.2.) «l'inadeguatezza della cartella  impugnata  alla
sua   funzione,   attesa   la   mancata    identificazione    fiscale
dell'obbligato»; b.3.) l'errata  indicazione  delle  sanzioni;  b.4.)
«l'assenza di informazioni circa l'intervenuta  notifica  agli  altri
eredi»; b.5.) la decadenza per decorso dei  relativi  termini;  b.6.)
«la  mancanza  di  alcuni  elementi  formali  necessari  al  fine  di
esercitare [...] il proprio diritto di difesa»; c) «l'Ufficio» si era
costituito   in   giudizio    eccependo,    in    via    preliminare,
l'inammissibilita' del ricorso per  avere  il  ricorrente  omesso  di
presentare il reclamo previsto dall'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del
1992, affermando la correttezza del proprio operato (in quanto  aveva
regolarmente notificato il menzionato avviso di  accertamento  e  non
essendo lo stesso stato impugnato) e chiedendo che il  ricorso  fosse
dichiarato inammissibile e  la  ricorrente  condannata  al  pagamento
delle spese di giudizio; d) anche l'agente della riscossione  si  era
costituito in giudizio eccependo il proprio difetto di legittimazione
passiva    oltre     all'inammissibilita',     improcedibilita'     e
improponibilita' della domanda nei propri confronti,  precisando  che
l'avviso   di   accertamento   che    costituiva    il    presupposto
dell'iscrizione a ruolo era divenuto definitivo e che la cartella  di
pagamento era stata regolarmente notificata  e  chiedendo  che  fosse
accertato il proprio difetto  di  legittimazione  passiva  e  che  la
ricorrente fosse condannata al pagamento delle spese di giudizio;  e)
la ricorrente aveva depositato  delle  «brevi  note»  rappresentando:
e.1.) «evidenti errori di notificazione»;  e.2.)  «di  non  aver  mai
ricevuto l'atto dal quale  era  scaturita  l'obbligazione  tributaria
composta nel ruolo di cui all'impugnata cartella»; f) anche  l'agente
della  riscossione  aveva  depositato  «brevi  repliche»,  lamentando
«l'omissione di comunicazioni al difensore  costituito»,  contestando
la fondatezza di quanto dedotto dalla ricorrente nelle proprie  delle
«repliche», affermando la legittimita' della  cartella  di  pagamento
notificata e la legittimita' del proprio operato e  insistendo  nelle
richieste avanzate nel proprio atto di costituzione in  giudizio;  g)
venivano successivamente depositati dei documenti diretti  a  provare
l'errata notificazione dell'avviso di accertamento posto a fondamento
dell'iscrizione a ruolo; h) con un altro ricorso, la stessa Giulia De
Luca, nella qualita' di erede del defunto coniuge, aveva impugnato la
cartella di pagamento n. 017  2011  0009518  2  55  000  notificatale
dall'agente  della  riscossione  per  la  Provincia  di  Benevento  e
relativa a un ruolo ordinario, formato e reso esecutivo  dall'Agenzia
delle entrate di  Benevento,  anch'esso  scaturito  dalla  precedente
notificazione di un avviso di accertamento per l'anno  2005  divenuto
definitivo perche' non impugnato; i) la ricorrente prospettava motivi
analoghi a quelli dedotti nel primo ricorso e chiedeva l'annullamento
dell'atto impugnato e la condanna delle parti resistenti al pagamento
delle spese di giudizio; l) «l'Ufficio» si era costituito in giudizio
affermando la  correttezza  del  proprio  operato  (in  quanto  aveva
regolarmente notificato il menzionato avviso di  accertamento  e  non
essendo lo stesso stato impugnato) e chiedendo che il  ricorso  fosse
dichiarato inammissibile e  la  ricorrente  condannata  al  pagamento
delle spese di giudizio; m) anche l'agente della riscossione  per  la
Provincia di  Benevento  si  era  costituito  in  giudizio  deducendo
«l'inesistenza di alcuna responsabilita' per  i  fati  dedotti  dalla
parte» e chiedendo  il  rigetto  del  ricorso  e  la  condanna  della
ricorrente al pagamento delle spese di giudizio; n) nell'udienza  del
18 marzo 2013, il collegio, sentiti il relatore e le parti, riuniti i
giudizi,  nella  successiva  camera  di  consiglio  si  riservava  la
decisione, riserva che veniva sciolta all'udienza dell'8 aprile 2013. 
    7.2.- La Commissione tributaria rimettente, dopo avere  riportato
il testo dei commi 1, 2 e  10,  primo  periodo,  dell'impugnato  art.
17-bis, afferma di dubitare della legittimita' di  tale  disposizione
in riferimento agli artt. artt. 3, 24 e 111 Cost. 
    7.3.- In punto di  non  manifesta  infondatezza  della  questione
sollevata in riferimento all'art.  3  Cost.,  il  rimettente  lamenta
anzitutto che la disposizione censurata, per il  fatto  di  riferirsi
alle sole controversie di valore  non  superiore  a  ventimila  euro,
«impedirebbe: 1. sia la riunione di controversie aventi  il  medesimo
oggetto  ed  inerenti  soggetti  cointeressati;   2.   sia   un'unica
discussione»; rilevando tale ultimo aspetto nella  plausibile  ottica
di ottenere giudizi tra loro contrastanti in relazione  a  situazioni
del tutto analoghe». 
    Sempre in riferimento all'art. 3 Cost., il giudice a quo  lamenta
che, nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione vada  a
buon fine, le spese del procedimento introdotto dal reclamo restino a
carico  del  contribuente,   mentre   l'amministrazione   finanziaria
beneficia di un risparmio per via della mancata  instaurazione  della
fase contenziosa. 
    La Commissione rimettente si duole infine del fatto che,  poiche'
l'obbligo del reclamo e' previsto solo con riguardo agli atti  emessi
dall'Agenzia delle entrate e non per  quelli  emessi  da  altri  enti
impositori, i contribuenti che sono parti di  controversie  con  tali
ultimi enti «si troverebbero ad avere, come  appresso  indicato,  una
serie di garanzie maggiori ed un iter processuale piu' spedito, anche
in ordine alla  richiesta  di  eventuali  sospensive  dell'esecuzione
degli atti impugnati». 
    7.4.- La Commissione tributaria provinciale di  Benevento  deduce
poi  la  violazione  dell'art.  24  Cost.  perche'  la   disposizione
impugnata comprime la possibilita' di agire in giudizio per la tutela
dei   propri   diritti   e   interessi    legittimi    subordinandola
all'esperimento di una previa fase amministrativa imposta a  pena  di
inammissibilita'   del   ricorso,   «in   stridente   contrasto   con
l'inviolabilita' del diritto di difesa». 
    7.5.- Quanto alle questioni sollevate in riferimento all'art. 111
Cost., la  Commissione  rimettente  deduce  in  primo  luogo  che  la
disposizione impugnata «rischia, mancando un necessario coordinamento
con  l'istituto   dell'accertamento   con   adesione,   di   dilatare
eccessivamente i tempi di introduzione del  giudizio  tributario»,  e
percio' viola il principio della ragionevole durata del processo. 
    Secondo il giudice a  quo,  l'art.  111  Cost.  sarebbe  violato,
sempre  in  relazione  al  principio  della  ragionevole  durata  del
processo,  anche  in  quanto   i   «tempi   [di   definizione   delle
controversie]  appaiono  [...]  non  congrui  anche  in   riferimento
all'immediata esecutivita', decorsi sessanta  giorni  alla  notifica,
sia degli avvisi di accertamenti che  delle  cartelle  di  pagamento,
rimanendo comunque precluso al  contribuente  l'accesso  all'istituto
della sospensiva di  cui  all'articolo  47  del  decreto  legislativo
numero 546 del 1992». 
    L'art.  111  Cost.  sarebbe  infine  violato  anche  perche'   la
disposizione  impugnata  attribuisce  il  compito  di  decisione  del
reclamo e di mediatore a una delle parti della controversia (sia pure
attraverso apposite strutture diverse e autonome da quelle che curano
l'istruttoria degli atti reclamabili), in contrasto con la necessaria
terzieta' dell'organo al quale detti  ruoli  -  quanto  a  quello  di
mediatore, «anche alla luce del diritto comunitario» - devono  essere
conferiti. 
    7.6.- Il rimettente sottolinea infine che la sentenza della Corte
costituzionale  n.  272  del  2012   avrebbe   evidenziato:   a)   la
«centralita'»  degli  atti  dell'Unione  europea   costituiti   dalle
conclusioni adottate dal Consiglio europeo nel maggio del  2000,  dal
libro verde presentato dalla Commissione nell'aprile del 2002,  dalla
direttiva n. 2008/52/CE e dalla Risoluzione  del  Parlamento  europeo
del 25 ottobre 2011 (2011/2117-INI), con particolare  riferimento  al
suo paragrafo 31, sesto capoverso;  b)  l'assenza,  rilevabile  dagli
indicati atti dell'Unione  europea,  di  una  esplicita  o  implicita
opzione in favore del carattere obbligatorio della  mediazione  e  il
fatto che tale carattere non e' intrinseco alla ratio  dell'istituto;
c) l'obbligo imposto dall'art. 4 della citata direttiva n. 2008/52/CE
di uno svolgimento imparziale della mediazione; d) l'esclusione  che,
a giustificazione dell'introduzione di una  mediazione  obbligatoria,
possa  essere  invocato  il  fatto  che  l'ordinamento   prevede   la
conciliazione obbligatoria, attesa la specificita'  di  ciascuno  dei
due istituti. 
    7.7.- La  Commissione  rimettente  solleva  quindi  questione  di
legittimita'  dell'art.  17-bis  del  d.lgs.  n.  546  del  1992   in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., «oltre che per l'assenza di
un obbligo in tale senso  e  della  giusta  terzieta'  del  mediatore
rispetto   alle   parti   coinvolte   nell'ambito   della   normativa
comunitaria». 
    8.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate. 
    8.1.- La  difesa  statale  eccepisce  anzitutto  che  l'eccessiva
sinteticita' della motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione  unita
alla mancata indicazione, nella stessa, degli elementi necessari  per
valutare  la   rilevanza   della   questione   -   mancando   perfino
l'indicazione  del  valore  della  controversia  dal  quale   dipende
l'applicabilita' della disposizione impugnata - rendono le  questioni
inammissibili. L'Avvocatura dello Stato precisa quindi di evidenziare
quanto segue «solo per completezza [...], in relazione ai profili  di
cui e' possibile comprendere la portata». 
    8.2.- Quanto alle censure con le quali il rimettente si duole, in
riferimento all'art. 24 Cost., dell'obbligatorieta' della  mediazione
prevista dal  censurato  art.  17-bis  e  del  fatto  che  la  stessa
disposizione  sanzioni  l'omessa  presentazione   del   reclamo   con
l'inammissibilita' del ricorso, l'Avvocatura dello  Stato  ne  deduce
l'infondatezza, svolgendo  considerazioni  identiche  a  quelle  gia'
svolte negli atti di intervento nei giudizi relativi  alle  ordinanze
di cui al r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013 e riportate  ai  punti
2.4., 4.1. e 6.2. 
    8.3.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce  poi
l'inammissibilita'  della  questione  con  la  quale  la  Commissione
tributaria provinciale  di  Benevento  lamenta  che  la  disposizione
censurata  non  consente  la  riunione  di   cause   connesse   («non
consentirebbe [...] la riunione di controversie  aventi  il  medesimo
oggetto ed inerenti soggetti cointeressati») in quanto il  rimettente
non ha indicato  per  quale  motivo,  in  assenza  di  previsioni  al
riguardo nell'art. 17-bis, cio' non sarebbe consentito. 
    8.4.- Quanto alla questione con la quale  il  giudice  a  quo  si
duole, in riferimento all'art. 3 Cost., del fatto che,  nel  caso  in
cui il reclamo venga accolto o la mediazione vada  a  buon  fine,  le
spese del procedimento introdotto dal reclamo restano  a  carico  del
contribuente, la difesa  statale  ne  deduce  l'inammissibilita'  per
omessa motivazione sulla rilevanza e, comunque,  l'infondatezza,  per
ragioni identiche  a  quelle  illustrate,  con  riguardo  ad  analoga
doglianza, negli  atti  di  intervento  nei  giudizi  concernenti  le
ordinanze di cui al r.o. n. 146 e n. 147  del  2013  e  riportate  ai
punti 4.4. e 6.2. 
    8.5.- Con riguardo alla questione  con  la  quale  il  rimettente
deduce la violazione dell'art. 3 Cost.  in  relazione  al  fatto  che
l'obbligo del reclamo e' previsto solo con riguardo agli atti  emessi
dall'Agenzia delle entrate e non per  quelli  emessi  da  altri  enti
impositori,  la  difesa  statale  ne  deduce  l'inammissibilita'   e,
comunque, la manifesta infondatezza per ragioni  identiche  a  quelle
spese, con riguardo a doglianza analoga, nell'atto di intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza iscritta nel r.o. al n. 68 del 2013 e
riportata al punto 2.3. 
    8.6.-  La  difesa  statale  deduce  poi   l'inammissibilita'   e,
comunque, la manifesta infondatezza  anche  della  questione  con  la
quale il rimettente si duole del fatto che la disposizione impugnata,
in mancanza di un coordinamento con l'istituto dell'accertamento  con
adesione,  violerebbe  il  principio  della  ragionevole  durata  del
processo, spendendo argomentazioni identiche a  quelle  esposte,  con
riguardo ad analoga doglianza, negli atti di intervento  nei  giudizi
derivanti dalle ordinanze di cui al r.o. n. 146 e n. 147 del  2013  e
riportate ai punti 4.5. e 6.2. 
    8.7.- Parimenti inammissibile  e,  comunque,  infondata,  sarebbe
anche la questione con la quale il rimettente censura  il  fatto  che
l'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 priverebbe il ricorrente  di
una tempestiva tutela giurisdizionale cautelare. Sul punto la  difesa
dello Stato svolge considerazioni identiche  a  quelle  esposte,  con
riguardo ad analoga doglianza, nell'atto di intervento  nel  giudizio
relativo all'ordinanza di cui al r.o. n. 146 del 2013 e riportate  al
punto 4.3. 
    8.8.-   l'Avvocatura   generale   dello   Stato   deduce   infine
l'infondatezza della censura con la quale il giudice a quo lamenta la
mancanza di  terzieta'  dell'organo  investito  della  decisione  del
reclamo e del ruolo di  mediatore,  invocando  argomenti  identici  a
quelli prospettati, con riguardo ad analoga doglianza,  nell'atto  di
intervento nel giudizio riguardante l'ordinanza di cui al r.o. n.  68
del 2013 e riportati al punto 2.2. 
    8.9.- La difesa statale conclude ribadendo quanto affermato negli
atti di intervento nei giudizi relativi alle ordinanze  iscritte  nel
r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013 con  riguardo  al  fatto  che  i
primi dati disponibili confermerebbero l'utilita' dell'istituto della
«mediazione tributaria» (punti 2.5., 4.7. e 6.2.). 
    9.- Con ordinanza pronunciata il 12 luglio 2013 - secondo  quanto
risulta nel frontespizio della stessa, «sull'istanza  di  sospensione
dell'atto impugnato» - e depositata lo stesso giorno (r.o. n. 270 del
2013), la Commissione tributaria provinciale di Ravenna ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., questioni di legittimita'
dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, inserito  dall'art.  39,
comma 9, del d.l. n. 98  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011. 
    9.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a)
con ricorso del 7 gennaio 2013, la s.a.s. Societa' Hotel  Ficocle  di
Marabini Alfonsina & C. e la stessa Marabini Alfonsina,  quale  socia
accomandataria, impugnavano, la prima, l'avviso  di  accertamento  n.
HQ023C00784  per  l'anno  di  imposta  2007  con  il  quale  venivano
accertate maggiori IRAP  per  €_1.649,00  e  IVA  per  € 3.878,00,  e
irrogata una  sanzione  di  €  5.817,00  e  la  seconda  l'avviso  di
accertamento n. THQ013200830 per l'anno di imposta 2007 con il  quale
venivano accertate  maggiori  IRPEF  per  €  1.667,00  e  addizionali
regionale e comunale all'IRPEF per,  rispettivamente,  €  54,00  e  €
15,00, e irrogata una sanzione di € 1.736,00; b)  l'«Amministrazione»
si costituiva in giudizio il 13 febbraio 2013, chiedendo  il  rigetto
«dei ricorsi»; c) con memoria depositata il  6  giugno  2013,  veniva
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11, 24 e 113 Cost., eccezione
di illegittimita' costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs.  n.  546
del 1992, «nella parte in cui esclude l'accesso alla tutela cautelare
giurisdizionale  per  tutto  il  periodo  di  tempo  occorrente   per
l'obbligatorio esperimento del reclamo». 
    9.2.- La Commissione tributaria provinciale di Ravenna ritiene di
dovere  anzitutto  esaminare  tale  eccezione  e   afferma   che   la
disposizione impugnata contrasta con gli artt. 3, 24 e 25 Cost. 
    9.3.- Dopo avere richiamato il contenuto essenziale dell'articolo
censurato,   il   giudice   rimettente   contesta   anzitutto   l'uso
«controvertibile» della mediazione da parte del legislatore.  A  tale
conclusione si  perviene  in  base  all'art.  3,  lettera  a),  della
direttiva n. 2008/52/CE, dalla quale si ricava  che  «l'organo  della
mediazione [...] deve essere estraneo alle parti», con la conseguenza
che non puo' svolgere la funzione di mediatore una delle parti  della
controversia, «anche se costituita  in  ufficio  autonomo».  Osserva,
inoltre, il giudice rimettente che la mediazione  prevista  dall'art.
17-bis del d.lgs. n.  546  del  1992,  sia  che  venga  proposta  dal
reclamante sia che venga  proposta  d'ufficio,  sarebbe,  «di  fatto,
[...] obbligatoria e come tale, in materia  civile,  gia'  dichiarata
incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso  di  delega)»
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2012. 
    9.4.- Il giudice a quo, dopo avere richiamato  il  contenuto  del
comma 9, primo e  secondo  periodo,  dell'impugnato  art.  17-bis,  e
dell'art. 23, comma 30, del decreto-legge n. 98 del 2011, lamenta «la
incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e la mediazione, e
l'immediata esecuzione dell'avviso di accertamento». Cio' in  quanto,
poiche', a norma della disposizione impugnata,  il  reclamo  «produce
gli effetti del ricorso» solo dopo che sono  decorsi  novanta  giorni
senza che sia stato notificato il suo accoglimento o  senza  che  sia
stata conclusa la mediazione e solo successivamente e'  possibile  la
costituzione in giudizio del ricorrente, il contribuente, nell'attesa
dell'esaurimento di tale fase, e'  costretto  a  pagare  gli  importi
indicati  nell'avviso  di  accertamento,  divenuto,  nel   frattempo,
esecutivo, ai sensi dell'art. 29 del decreto-legge n.  78  del  2010,
senza potere chiedere la sospensione di tale atto, ai sensi dell'art.
47 del d.lgs. n. 546 del 1992, perche'  atteso  che  il  contribuente
«non ha potuto depositare il proprio ricorso presso  la  Commissione;
ricorso che comunque sarebbe  dichiarato  inammissibile  perche'  non
preceduto dalla procedura [...] della norma impugnata». 
    9.5.- Secondo la Commissione rimettente, l'art. 17-bis del d.lgs.
n. 546 del 1992 viola l'art. 3 Cost. anche la' dove stabilisce che il
reclamo e la mediazione si applicano solo alle controversie  relative
ad atti emessi «dall'Agenzia delle entrate»  e  non  anche  a  quelle
relative  ad  atti  emessi  da  altri  soggetti  impositori,  con  la
conseguenza che i  contribuenti  obbligati  al  pagamento  di  questi
ultimi tributi avrebbero «maggiore tutela». 
    9.6.- Il giudice a  quo  si  duole  infine  dell'irragionevolezza
della disposizione impugnata la' dove limita la propria  applicazione
alle sole controversie di valore non superiore a  ventimila  euro  in
quanto essa,  in  tale  modo,  crea  una  disparita'  di  trattamento
garantendo ai contribuenti che abbiano un debito nei confronti  dello
Stato superiore a ventimila euro, per  tale  solo  fatto,  «una  piu'
sollecita  e  proficua  tutela  giurisdizionale,  anche   di   natura
cautelare». 
    9.7.- In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente
rileva  come   «la   norma   presenti   profili   di   illegittimita'
costituzionale che si riflettono direttamente sull'esito del  ricorso
in esame». 
    10.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
manifestamente infondate. 
    10.1.-  In  via  preliminare,   la   difesa   statale   eccepisce
l'inammissibilita' di tutte le  questioni  «sotto  il  profilo  della
corretta ricostruzione dei fatti di causa nell'ordinanza, che  sembra
essere  identica  alla  questione  parallela  (n.   271/2013   r.o.),
nonostante i ricorrenti siano diversi». L'Avvocatura  generale  dello
Stato  mette  in   rilievo,   sul   punto,   che   nel   frontespizio
dell'ordinanza di rimessione si fa riferimento a un ricorso  proposto
da Alessandro Leonardo Zecchi e da Raffaello Ludovico Zecchi,  mentre
nella parte narrativa della stessa ordinanza il rimettente riferisce,
in punto di fatto, le stesse vicende descritte nell'ordinanza n.  271
del 2013, ivi inclusi i nomi dei  ricorrenti  s.a.s.  Societa'  Hotel
Ficocle di Marabini Alfonsina & C. e la stessa Marabini Alfonsina. 
    10.2.- La difesa dello Stato  eccepisce  poi  l'inammissibilita',
per difetto di rilevanza o, comunque, di motivazione sulla rilevanza,
della questione con la quale la Commissione  rimettente  lamenta  che
l'impugnato art. 17-bis, non consentendo  al  contribuente  di  adire
immediatamente   il   giudice   tributario,   lo   priverebbe   della
possibilita' di avvalersi della tutela cautelare  prevista  dall'art.
47 del d.lgs. n. 546 del 1992, costringendolo a  pagare  gli  importi
indicati  nell'avviso   di   accertamento   notificatogli,   divenuto
esecutivo durante l'iter del reclamo. La  difesa  statale  deduce  al
riguardo l'insufficienza, al fine di dimostrare  la  rilevanza  della
questione, di quanto affermato,  in  modo  ritenuto  apodittico,  dal
giudice  a  quo  (punto  9.6.).  Infatti,  poiche'   nelle   premesse
dell'ordinanza di rimessione si legge che la stessa e'  stata  emessa
«sull'istanza  di  sospensione  dell'atto   impugnato»,   ad   avviso
dell'Avvocatura generale dello  Stato,  il  rimettente,  al  fine  di
sollevare la questione in ordine  all'esistenza  di  tale  potere  di
sospensione,  avrebbe  dovuto  affermare  di  ritenere  in   concreto
esistenti i presupposti  per  l'esercizio  dello  stesso  -  cioe'  i
requisiti del fumus boni iuris (ritenuto  necessario  dalla  sentenza
della Corte di cassazione, sezione tributaria, 24 febbraio  2012,  n.
2845) e del periculum in mora - atteso che, in mancanza anche di  uno
solo di essi, nessuna utilita'  potrebbe  derivare  da  una  sentenza
della Corte costituzionale che dichiarasse fondata la questione sotto
il  denunciato  profilo  della  mancanza  di  una  tempestiva  tutela
cautelare. 
    10.3.- Per il resto, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
presenta  deduzioni  identiche  a  quelle  formulate   nell'atto   di
intervento nel giudizio relativo all'ordinanza di cui al r.o.  n.  68
del 2013. 
    11.- Con ordinanza pronunciata il 12 luglio 2013 - secondo quanto
risulta nel frontespizio della stessa, «sull'istanza  di  sospensione
dell'atto impugnato» - e depositata lo stesso giorno (r.o. n. 271 del
2013), la Commissione tributaria provinciale di Ravenna ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., questioni di legittimita'
dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, inserito  dall'art.  39,
comma  9,  del  decreto-legge  n.  98  del  2011,   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011. 
    11.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di  fatto,  che:
a) con ricorso del 7 gennaio 2013, la s.a.s. Societa'  Hotel  Ficocle
di Marabini Alfonsina & C. e  la  stessa  Marabini  Alfonsina,  quale
socia accomandataria, impugnavano, la prima, l'avviso di accertamento
n. HQ023C00784 per l'anno di  imposta  2007  con  il  quale  venivano
accertate maggiori IRAP  per  €_1.649,00  e  IVA  per  € 3.878,00,  e
irrogata una  sanzione  di  €  5.817,00  e  la  seconda  l'avviso  di
accertamento n. THQ013200830 per l'anno di imposta 2007 con il  quale
venivano accertate  maggiori  IRPEF  per  €  1.667,00  e  addizionali
regionale e comunale all'IRPEF per,  rispettivamente,  €  54,00  e  €
15,00, e irrogata una sanzione di € 1.736,00; b)  l'«Amministrazione»
si costituiva in giudizio il 13 febbraio 2013, chiedendo  il  rigetto
«dei ricorsi»; c) con memoria depositata il  6  giugno  2013,  veniva
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11, 24 e 113 Cost., eccezione
di illegittimita' costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs.  n.  546
del 1992, «nella parte in cui esclude l'accesso alla tutela cautelare
giurisdizionale  per  tutto  il  periodo  di  tempo  occorrente   per
l'obbligatorio esperimento del reclamo». 
    11.2.- In punto di rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza
delle questioni, la Commissione  tributaria  provinciale  di  Ravenna
svolge considerazioni identiche a quelle  esposte  nell'ordinanza  di
cui al r.o. n. 270 del 2013 (punti da 9.2. a 9.6.). 
    12.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
manifestamente infondate. Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri
formula, in  proposito,  deduzioni  identiche  a  quelle  prospettate
nell'atto di intervento nel giudizio riguardante l'ordinanza  di  cui
al  r.o.  n.  270  del  2013,   ad   esclusione   dell'eccezione   di
inammissibilita' di tutte le  questioni  sollevate  con  quest'ultima
ordinanza «sotto il profilo della corretta ricostruzione dei fatti di
causa nell'ordinanza,  che  sembra  essere  identica  alla  questione
parallela (n. 271/2013 r.o.), nonostante i ricorrenti siano  diversi»
(punto 10.1.). 
    13.- In prossimita' della camera di consiglio, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  depositato  una  memoria  nel  giudizio
iscritto al r.o. n. 147 del 2013. 
    La difesa dello Stato esamina i dati risultanti da due  prospetti
(che produce) relativi  rispettivamente,  all'indice  di  proficuita'
della «mediazione tributaria» dal 2 aprile 2012 al 2 aprile  2013,  e
all'efficacia deflattiva della  stessa  «mediazione  tributaria»  sul
contenzioso. Dal primo di tali prospetti risulterebbe che: a)  dal  2
aprile 2012, data dalla quale i nuovi istituti del  reclamo  e  della
mediazione tributari sono stati  applicati,  al  2  aprile  2013,  le
«istanze di mediazione» presentate sono state 80.495;  b)  a  seguito
dell'esame delle stesse,  i  contribuenti  che  hanno  depositato  il
ricorso nelle commissioni tributarie provinciali sono  stati  33.552,
cioe' il 41,7% di chi aveva presentato l'«istanza»; c)  l'«indice  di
proficuita' della mediazione» e' stato, quindi,  del  58,3%,  di  tal
che', ogni dieci «istanze di mediazione» presentate, circa sei «hanno
trovato soddisfazione». Dal secondo di  tali  prospetti  risulterebbe
invece che: a) il numero dei  ricorsi  depositati  nelle  commissioni
tributarie provinciali  nell'anno  2011  era  stato  di  159.392;  b)
nell'anno 2012 (durante  il  quale,  a  partire  dal  2  aprile,  gli
istituti del reclamo e della mediazione tributari hanno cominciato  a
trovare applicazione), tale numero e' sceso a 113.387;  c)  nell'anno
2013 e' prevista un'ulteriore riduzione a 93.947; d) il raffronto tra
il 2011 e il 2013 (quando reclamo e mediazione tributari  sono  stati
applicati durante l'intero anno) mostra  una  «riduzione  totale  del
contenzioso (compreso quello "non  mediabile")»  del  41,18%;  e)  la
riduzione dell'intero  contenzioso,  cioe'  di  quello  relativo  sia
all'Agenzia delle entrate che agli altri enti  impositori,  e'  stata
del 24,4%. Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, tali  dati
dimostrano  che  gli  obiettivi  perseguiti   dal   legislatore   con
l'introduzione  dei  nuovi  istituti  sono  stati  in  buona   misura
raggiunti visti gli effetti positivi che essi hanno  prodotto  per  i
contribuenti, che o hanno visto soddisfatte  le  proprie  ragioni  in
tempi  brevi  «ovvero  hanno  desistito  dal   proseguire   un'azione
giudiziaria», per l'Agenzia  delle  entrate,  che,  a  fronte  di  un
maggiore impegno di risorse nella fase  amministrativa,  ha  ottenuto
una   riduzione   delle   controversie   da   seguire   nella    fase
giurisdizionale e, infine, per la giurisdizione  tributaria,  che  ha
visto ridurre il contenzioso e ha potuto cosi' prendere in esame piu'
cause arretrate riducendone i tempi di trattazione. 
    La  difesa  dello  Stato,  richiamando  anche  le  argomentazioni
contenute nel proprio atto di intervento, ribadisce la  richiesta  di
dichiarare le  questioni  sollevate  inammissibili  o  manifestamente
infondate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sei ordinanze, le Commissioni tributarie  provinciali  di
Perugia (registro ordinanze n. 68 del 2013), Campobasso (r.o. n.  146
e n. 147 del 2013), Benevento (r.o. n. 153 del 2013) e Ravenna  (r.o.
n. 270 e n. 271 del 2013) hanno sollevato, in riferimento agli  artt.
3, 24, 25,  111  e  113  della  Costituzione,  diverse  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs.  31  dicembre
1992, n. 546 (Disposizioni  sul  processo  tributario  in  attuazione
della delega  al  Governo  contenuta  nell'art.  30  della  legge  30
dicembre  1991,  n.  413),  inserito  dall'art.  39,  comma  9,   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale ha
introdotto nella disciplina del processo tributario gli istituti  del
reclamo e della mediazione. 
    1.1.- In base all'articolo censurato -  le  cui  disposizioni  si
applicano  «con  riferimento  agli  atti  suscettibili   di   reclamo
notificati a decorrere dal 1° aprile 2012» (comma 11 dell'art. 39 del
d.l. n. 98 del 2011) - per le controversie «relative ad  atti  emessi
dall'Agenzia delle entrate» e «di valore non  superiore  a  ventimila
euro» (da tale ambito applicativo dei nuovi  istituti  sono  peraltro
escluse, a norma del comma  4  dello  stesso  art.  17-bis,  le  liti
relative ad atti volti al recupero di aiuti di  Stato),  chi  intende
proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale  «e'  tenuto
preliminarmente  a  presentare  reclamo»  (comma  1)  alla  Direzione
provinciale o alla Direzione regionale che  ha  emanato  l'atto,  «le
quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da
quelle che curano l'istruttoria degli atti  reclamabili»  (comma  5).
L'adempimento di tale obbligo di previa presentazione del reclamo «e'
condizione di ammissibilita' del ricorso»,  la  cui  inammissibilita'
«e' rilevabile in ogni stato e grado del giudizio» (comma 2, primo  e
secondo periodo). Quanto alla disciplina del procedimento, il comma 6
dell'art. 17-bis opera anzitutto un richiamo agli artt. 12,  18,  19,
20, 21 e 22, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, in  quanto
compatibili, richiamo comportante, tra l'altro, che il reclamo  deve:
a) rispettare  l'obbligo  dell'assistenza  tecnica  di  un  difensore
abilitato, salvo che si tratti di controversie di valore inferiore  a
5.000.000 di lire, pari a 2.582,28 euro (art. 12);  b)  contenere  le
indicazioni (concernenti il giudice,  il  ricorrente,  il  convenuto,
l'atto impugnato, l'oggetto della domanda e i motivi)  corrispondenti
al contenuto del  ricorso  introduttivo  del  giudizio  davanti  alla
commissione tributaria provinciale (art. 18,  comma  2),  nonche'  la
sottoscrizione del difensore o  della  parte  che  stia  in  giudizio
personalmente, cosi' come stabilito per il ricorso  (art.  18,  comma
3); c) riguardare gli stessi  atti  imponibili  ed  avere  lo  stesso
oggetto del ricorso (art. 19); d) essere presentato con le  modalita'
ed entro i termini previsti per la proposizione  del  ricorso,  cioe'
mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 dell'art. 16 del d.lgs.  n.
546 del 1992 (art. 20), da effettuare entro il  termine  di  sessanta
giorni dalla notificazione dell'atto oggetto del  reclamo  (art.  21,
comma 1); e) essere accompagnato  dall'originale  o  dalla  fotocopia
dell'atto contro il quale e'  indirizzato  e  dai  documenti  che  si
intendono produrre (art. 22, comma 4). Il contenuto del reclamo - che
corrisponde, per il resto, come si e' visto, a quello del  ricorso  -
puo' differenziarsi da quest'ultimo in quanto, a norma  del  comma  7
dell'art. 17-bis, «Il reclamo puo' contenere una motivata proposta di
mediazione,  completa  della  rideterminazione  dell'ammontare  della
pretesa». Il comma 8 dell'articolo impugnato stabilisce, tra l'altro,
che l'organo destinatario del reclamo, se non intende  accogliere  lo
stesso ne' la proposta di mediazione in esso eventualmente contenuta,
«formula  d'ufficio  una  proposta  di  mediazione   avuto   riguardo
all'eventuale incertezza delle questioni  controverse,  al  grado  di
sostenibilita'  della  pretesa  e  al   principio   di   economicita'
dell'azione  amministrativa».  Alla  mediazione   si   applicano   le
disposizioni  dell'art.  48  del  d.lgs.  n.  546  del   1992   sulla
conciliazione giudiziale, in quanto compatibili (ultimo  periodo  del
comma 8). A norma del comma 9, «Decorsi novanta giorni senza che  sia
stato notificato l'accoglimento del reclamo o  senza  che  sia  stata
conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I
termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla  predetta  data.
Se l'Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i
predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego.  In  caso  di
accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla
notificazione  dell'atto   di   accoglimento   parziale».   Da   tale
disposizione consegue quindi che: a) l'organo investito  del  reclamo
puo' accogliere lo stesso (annullando l'atto  in  tutto  o  in  parte
conformemente alle richieste del reclamante)  oppure  respingerlo  o,
ancora, accoglierlo parzialmente; b) qualora,  entro  il  termine  di
novanta giorni dalla presentazione del reclamo, non venga  notificato
l'accoglimento del medesimo e non sia stata conclusa  la  mediazione,
«il  reclamo  produce  gli  effetti  del  ricorso»;  c)   la   stessa
"conversione" ope legis del reclamo in ricorso consegue -  in  virtu'
dell'evidente analogia di  tali  fattispecie  -  alla  notificazione,
prima del decorso del menzionato termine di  novanta  giorni,  di  un
atto che respinga, in tutto o in parte,  il  reclamo  stesso;  d)  in
tutti  tali  casi,  il  contribuente  potra'  adire  la   commissione
tributaria costituendosi in  giudizio  entro  il  termine  di  trenta
giorni previsto dal richiamato art. 22 del d.lgs. n. 546 del  1992  -
decorrenti,  a  seconda  del  caso,  dal  novantesimo  giorno   dalla
presentazione del reclamo o dalla data, anteriore, in cui ha ricevuto
la notificazione dell'atto che respinge lo stesso reclamo in tutto  o
in parte - mediante il deposito, nella segreteria  della  commissione
tributaria  adita  (o  trasmissione  alla  stessa  a   mezzo   posta)
dell'originale del reclamo notificato  a  norma  degli  artt.  137  e
seguenti del codice di procedura civile o di copia conforme di quello
notificato mediante consegna o spedizione per posta all'Agenzia delle
entrate. Il  comma  10  dell'art.  17-bis  disciplina  le  spese  del
giudizio e del procedimento di reclamo/mediazione  nel  caso  in  cui
venga instaurato il  giudizio  davanti  alla  commissione  tributaria
provinciale (nulla e' espressamente previsto,  invece,  con  riguardo
alle spese del procedimento introdotto con il reclamo nel caso in cui
il giudizio, in  seguito  all'accoglimento  del  reclamo,  non  venga
avviato). Per le controversie che rientrano  nell'indicato  campo  di
operativita'  dell'art.  17-bis  e'  esclusa  l'applicabilita'  della
conciliazione giudiziale di cui all'art. 48-bis del d.lgs. n. 546 del
1992 (comma 1 dell'art. 17-bis). 
    1.2.- Secondo le Commissioni tributarie  provinciali  di  Perugia
(r.o. n. 68 del 2013) e di Ravenna (r.o. n. 270 e n. 271  del  2013),
l'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 si  porrebbe  in  contrasto,
anzitutto, con gli artt. 3, 24  e  25  Cost.,  perche':  a)  utilizza
l'«istituto della mediazione in modo erroneo ed illogico» (r.o. n. 68
del 2013) o «controvertibile» (r.o. n. 270 e n.  271  del  2013),  in
quanto: a.1.) in contrasto con l'art. 3, lettera a), della  direttiva
21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in  materia
civile e commerciale) - il quale, col prevedere che il  «procedimento
[in cui la mediazione consiste]  puo'  essere  avviato  dalle  parti,
suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o  prescritto  dal
diritto  di  uno  Stato  membro»,  evidenzia  che   «l'organo   della
mediazione deve essere estraneo alle parti» - affiderebbe il ruolo di
mediatore, «in sostanza», a una delle parti  della  controversia  (la
Direzione  provinciale  o  la  Direzione  regionale  che  ha  emanato
l'atto); a.2.) configura la mediazione, sia che  venga  proposta  dal
reclamante sia che venga proposta d'ufficio, come, «di  fatto,  [...]
obbligatoria  e  come  tale,  in  materia  civile,  gia'   dichiarata
incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di  delega)»,
dalla Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  272  del  2012;  b)
comporta «la incongruenza tra i termini previsti per il reclamo e  la
mediazione» e la previsione «dell'art. 23 co. 30  del  D.L.  6.7.2011
convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del  2011»  [rectius,
dell'art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122,  come  modificato  dall'art.  23,
comma 30, del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio  2011,  n.
111] secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle
entrate ai fini delle imposte  sui  redditi,  dell'imposta  regionale
sulle  attivita'  produttive  e  dell'imposta  sul  valore   aggiunto
divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla loro notificazione,
atteso che, poiche' la costituzione in giudizio del  contribuente  e'
possibile   solo    dopo    l'esaurimento    della    procedura    di
reclamo/mediazione (comma  9,  secondo  periodo,  dell'art.  17-bis),
durante tale fase amministrativa  lo  stesso  non  puo'  chiedere  la
sospensione dell'esecuzione  dell'atto  ai  sensi  dell'art.  47  del
d.lgs. n. 546 del 1992 ed e' costretto, percio', a pagare gli importi
indicati  nell'avviso  di  accertamento,  divenuto,  nel   frattempo,
esecutivo. Secondo le stesse Commissioni  tributarie  provinciali  di
Perugia e di Ravenna, l'impugnato art.  17-bis  violerebbe  l'art.  3
Cost. anche perche', irragionevolmente,  assicurerebbe  una  maggiore
tutela   giurisdizionale   (consistente,   in   particolare,    nella
possibilita' di adire  immediatamente  il  giudice  tributario  e  di
chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato):  a)  ai
contribuenti che sono parti di controversie  relative  a  tributi  di
pertinenza di soggetti impositori diversi dall'Agenzia delle  entrate
rispetto a quelli che sono parti di controversie relative  a  tributi
di pertinenza di tale Agenzia;  b)  ai  contribuenti  che  potrebbero
essere debitori dell'Agenzia delle entrate per un importo superiore a
ventimila euro rispetto  a  quelli  che  potrebbero  esserlo  per  un
importo non superiore a tale cifra. 
    1.3.- Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso
(r.o. n. 146 e n. 147 del 2013), l'impugnato art. 17-bis, stabilendo,
quale  conseguenza  dell'inosservanza   dell'obbligo   della   previa
presentazione del reclamo da esso  previsto,  l'inammissibilita'  del
ricorso, violerebbe: a) l'art. 24 Cost. (in relazione sia al  diritto
di agire  in  giudizio  che  al  diritto  di  difesa),  perche'  tale
conseguenza   (diversamente   dall'improcedibilita'   del    ricorso)
sacrifica  eccessivamente  il   diritto   di   agire   in   giudizio,
comportandone la perdita definitiva; b) l'art. 3 Cost. (in  relazione
sia al principio di uguaglianza che a  quello  di  ragionevolezza)  e
l'art. 113 Cost. (in relazione  al  divieto  di  limitare  la  tutela
giurisdizionale avverso gli atti della pubblica  amministrazione  per
determinate categorie di atti), perche': b.1.) esistendo  gia'  altri
«preventivi istituti deflattivi (quali  l'autotutela,  l'obbligo  del
preventivo contraddittorio, l'accertamento con adesione)»,  non  sono
ravvisabili quelle «esigenze di ordine generale e superiori finalita'
di giustizia» idonee a  giustificare,  in  base  alla  giurisprudenza
costituzionale,    l'imposizione    dell'obbligo    preliminare    di
presentazione del reclamo, il quale costituisce,  percio',  «solo  un
rilevante aggravio del procedimento» che,  in  quanto  condizione  di
ammissibilita' del ricorso, «genera una irragionevole discriminazione
tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto  tributo  e
la potesta'  impositiva  dell'Amministrazione»;  b.2.)  comporta  una
limitazione della tutela giurisdizionale solo per i  contribuenti  ai
quali detto reclamo e' imposto (e non,  quindi,  per  i  contribuenti
parti di controversie relative ad  atti  emessi  da  enti  impositori
diversi dall'Agenzia delle entrate o di controversie relative ad atti
emessi da detta Agenzia ma di valore  superiore  a  ventimila  euro).
L'articolo impugnato, imponendo, al comma 6 (in virtu' del  richiamo,
da questo operato, all'art. 18 del d.lgs. n. 546 del  1992),  che  il
contenuto del reclamo sia identico a quello del ricorso di  cui  esso
potra', eventualmente, produrre gli effetti, violerebbe poi l'art. 24
Cost. perche' «la  anticipata  discovery  della  tesi  difensiva  del
contribuente nella fase amministrativa,  che  obbligatoriamente  deve
precedere la fase del giudizio, con conseguente immodificabilita'  di
ulteriori  prospettazioni  difensive   nell'eventuale   giudizio   in
relazione a un provvedimento ancora da  valutare,  costituisce  grave
pregiudizio  difensivo  per  il  contribuente».  L'art.   17-bis   e'
censurato  anche  in  quanto,   precludendo   la   tutela   cautelare
giurisdizionale - in  particolare  la  possibilita'  di  chiedere  la
sospensione dell'esecuzione  dell'atto  ai  sensi  dell'art.  47  del
d.lgs. n. 546 del 1992 - durante tutto il  tempo  necessario  per  lo
svolgimento del procedimento amministrativo introdotto  dal  reclamo,
lederebbe: a) l'art. 3 Cost., per la «irrazionalita' e diversita'  di
trattamento» che cio' comporta, atteso che detta  preclusione:  a.1.)
opera solo nei confronti dei contribuenti ai quali detto  reclamo  e'
imposto; a.2.) e' «del tutto irrazionale [...]  e  assolutamente  non
giustificabile trattandosi della tutela giurisdizionale di  posizioni
giuridiche soggettive che devono essere garantite in modo particolare
in presenza della immediata esecutivita' degli avvisi di accertamento
(art.  29  DL  78/2010)  o  in  caso  di  ricorso  avverso   cartelle
esattoriali (ex art. 36 bis DPR 600/73 o 54 bis DPR 633/72 o in  caso
di ricorso avverso il ruolo)»; b) l'art. 24 Cost., che garantisce  il
diritto di difesa, e l'art. 25 Cost., che vieta  che  chiunque  possa
essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, perche'
«il contribuente potra' rivolgersi al proprio  giudice  naturale  per
ottenere un provvedimento cautelare» solo dopo l'inutile  esperimento
della procedura amministrativa conseguente al reclamo,  mentre  nelle
more di  tale  procedura,  pur  in  presenza  di  un  danno  grave  e
irreparabile che  gli  derivi  dall'atto,  e'  privato  della  tutela
cautelare  giurisdizionale.  Ulteriori  censure  sono  avanzate   dai
rimettenti con riguardo al fatto che l'articolo impugnato prevede una
disciplina delle spese del procedimento di reclamo solo per  il  caso
in cui si pervenga alla fase giurisdizionale, cio' che  comporterebbe
il contrasto con: a) l'art. 3 Cost. (in relazione sia al principio di
uguaglianza che a quello di ragionevolezza), perche', nel caso in cui
non si pervenga a detta fase, il contribuente avra'  sostenuto  delle
spese per la remunerazione del difensore di cui si e' dovuto avvalere
- in ragione del fatto che al reclamo si applicano le regole generali
in materia di assistenza tecnica dettate dall'art. 12 del  d.lgs.  n.
546 del 1992 - che non gli saranno rimborsate  neppure  nel  caso  di
accoglimento del reclamo,  «mentre  l'A.F.  beneficia  del  risparmio
delle spese del giudizio che non  sara'  instaurato»;  b)  l'art.  24
Cost., perche' «il diritto di difesa non viene  garantito  nella  sua
interezza ma solo previa la detrazione delle spese  per  l'assistenza
tecnica». L'articolo 17-bis violerebbe ancora l'art.  111,  «I  comma
ultima parte» (recte: secondo  comma,  ultimo  periodo),  Cost.,  che
prevede che la legge assicuri la ragionevole durata del processo,  in
quanto, potendosi verificare che,  nel  caso  in  cui  sia  formulata
istanza di accertamento con adesione, al periodo di novanta giorni di
sospensione  dei  termini  per  l'impugnazione   dell'atto   previsto
dall'art.  6  del  decreto  legislativo  19  giugno  1997,   n.   218
(Disposizioni  in  materia  di  accertamento  con   adesione   e   di
conciliazione giudiziale) - cui potrebbe sommarsi la  sospensione  di
quarantacinque giorni nel periodo feriale - potrebbe  aggiungersi  il
termine di sessanta giorni previsto per la presentazione del  reclamo
e, «in caso di silenzio dell'A.F. sul reclamo»,  l'ulteriore  periodo
di novanta giorni, per  un  totale  di  duecentottantacinque  giorni,
cioe' di  oltre  nove  mesi,  con  la  conseguenza  che  il  processo
tributario potrebbe essere instaurato solo dopo il  decorso  di  tale
tempo,  «non  e'  in  alcun   modo   possibile   ritenere   che   con
l'introduzione  dell'istituto  del  reclamo  il   legislatore   abbia
rispettato il principio  posto  dall'art.  111  della  Costituzione».
Secondo la Commissione tributaria provinciale di Campobasso,  sarebbe
infine violato l'art. 111 Cost. perche',  nel  caso  in  cui  debbano
essere impugnati, entro lo stesso termine,  piu'  provvedimenti,  per
l'impugnazione   di   alcuni   soltanto   dei   quali   deve   essere
preliminarmente presentato il reclamo, «non sembra dubbio  che  [...]
la evidente complicazione processuale,  dovuta  alla  diversita'  del
termine  per  la  costituzione  in  giudizio  del   ricorrente,   con
conseguente rischio di  inammissibilita'  del  ricorso,  indurra'  il
contribuente  a   presentare   distinti   ricorsi   con   conseguente
vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla  presentazione
[di un] ricorso cumulativo». 
    1.4.- Ad  avviso  della  Commissione  tributaria  provinciale  di
Benevento (r.o. n. 153 del 2013), infine, l'art. 17-bis del d.lgs. n.
546 del  1992,  violerebbe:  a)  l'art.  3  Cost.  in  quanto:  a.1.)
riferendosi  alle  sole  controversie  di  valore  non  superiore   a
ventimila euro, «impedirebbe: 1.  sia  la  riunione  di  controversie
aventi il medesimo oggetto ed inerenti soggetti cointeressati; 2. sia
un'unica discussione»; a.2.) nel caso in cui il reclamo venga accolto
o  la  mediazione  vada  a  buon  fine,  le  spese  del  procedimento
introdotto dal reclamo resterebbero a carico del contribuente, mentre
l'amministrazione finanziaria beneficia di un risparmio per via della
mancata instaurazione della fase contenziosa;  a.3.)  i  contribuenti
che  sono  parti  di  controversie  con   enti   impositori   diversi
dall'Agenzia delle entrate «si troverebbero ad avere [...] una  serie
di garanzie maggiori ed un iter processuale piu'  spedito,  anche  in
ordine alla richiesta di eventuali sospensive degli atti  impugnati»;
b) l'art. 24 Cost., perche', comprime la  possibilita'  di  agire  in
giudizio per la tutela  dei  propri  diritti  e  interessi  legittimi
subordinandola all'esperimento  di  una  previa  fase  amministrativa
imposta a pena di inammissibilita' del  ricorso,  «in  contrasto  con
l'inviolabilita' del diritto di difesa»; c) l'art. 111 Cost. perche':
c.1.)  in  relazione  al  principio  della  ragionevole  durata   del
processo,  «rischia,  mancando  un   necessario   coordinamento   con
l'istituto dell'accertamento con adesione, di dilatare eccessivamente
i tempi di introduzione del giudizio  tributario»;  c.2.)  sempre  in
relazione al principio  della  ragionevole  durata  del  processo,  i
«tempi [di definizione delle controversie] appaiono [...] non congrui
[...] in riferimento  all'immediata  esecutivita',  decorsi  sessanta
giorni dalla notifica, sia degli avvisi  di  accertamento  che  delle
cartelle di pagamento, rimanendo comunque  precluso  al  contribuente
l'accesso all'istituto  della  sospensiva  di  cui  all'art.  47  del
decreto legislativo numero 546 del 1992»; c.3.) in contrasto  con  il
principio della terzieta' dell'organo al quale deve essere  conferito
il compito di decidere il reclamo e di mediatore,  attribuisce  detti
compiti a una  delle  parti  della  controversia;  d)  non  precisati
parametri, «per l'assenza di un obbligo in tale senso e della  giusta
terzieta' del mediatore rispetto  alle  parti  coinvolte  nell'ambito
della normativa comunitaria». 
    2.- In considerazione  della  coincidenza  dell'oggetto  e  della
parziale coincidenza delle  censure  prospettate  dai  rimettenti,  i
giudizi devono essere riuniti per essere  congiuntamente  trattati  e
decisi. 
    3.-   Prima   di   esaminare   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate, occorre rilevare che, successivamente  alle
ordinanze di rimessione, l'impugnato art. 17-bis del  d.lgs.  n.  546
del 1992 e' stato modificato dall'art.  1,  comma  611,  lettera  a),
della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di  stabilita'
2014), il quale ha sostituito il comma 2, inserito due nuovi  periodi
tra gli originari primo e secondo periodo del comma 8, sostituito con
un nuovo periodo gli originari terzo e quarto periodo del comma  9  e
inserito un nuovo comma 9-bis. 
    Il menzionato ius superveniens, in particolare, ha modificato  la
disciplina  del  testo  originario  dell'art.  17-bis  nel  senso  di
prevedere: a) il nuovo comma 2, che: «La presentazione del reclamo e'
condizione di procedibilita' del ricorso. In  caso  di  deposito  del
ricorso prima del decorso del termine di novanta  giorni  di  cui  al
comma 9, l'Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione  in
giudizio,  puo'  eccepire  l'improcedibilita'  del   ricorso   e   il
presidente, se rileva l'improcedibilita', rinvia la  trattazione  per
consentire la mediazione»; b)  i  nuovi  periodi  del  comma  8  (gli
attuali secondo e terzo), che: «L'esito del procedimento rileva anche
per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile
e' riconducibile a quella delle  imposte  sui  redditi.  Sulle  somme
dovute a titolo di contributi previdenziali e  assistenziali  non  si
applicano sanzioni e interessi»; c) il  nuovo  periodo  del  comma  9
(l'attuale terzo), che «Ai fini del computo del  termine  di  novanta
giorni, si applicano le disposizioni sui termini processuali»; d)  il
nuovo comma 9-bis, che «La riscossione e  il  pagamento  delle  somme
dovute in base all'atto oggetto di reclamo  sono  sospesi  fino  alla
data dalla quale decorre il termine di  cui  all'articolo  22,  fermo
restando che in assenza  di  mediazione  sono  dovuti  gli  interessi
previsti dalle singole leggi d'imposta. La sospensione non si applica
nel caso di improcedibilita' di cui al comma 2». 
    Tali  modificazioni  dell'impugnato  art.  17-bis  non   possono,
peraltro,  avere  alcuna  influenza  sui   giudizi   principali.   In
proposito, va rilevato che la lettera b) del comma  611  dell'art.  1
della legge n. 147 del 2013 ha previsto che «Le modifiche di cui alla
lettera  a)  si  applicano  agli  atti  notificati  a  decorrere  dal
sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore  della  presente
legge» (cioe' - essendo detta legge entrata in vigore il  1°  gennaio
2014 - agli atti  notificati  a  decorrere  dal  2  marzo  2014).  Ne
consegue che l'indicato ius novum non  si  applica  alle  fattispecie
oggetto dei giudizi a quibus, le quali continuano a  essere  regolate
dal testo originario dell'art.  17-bis.  Deve  quindi  escludersi  la
necessita' di restituire gli atti  ai  giudici  rimettenti  affinche'
valutino la perdurante rilevanza - certamente  non  venuta  meno  per
effetto delle indicate sopravvenienze normative - e la non  manifesta
infondatezza delle questioni. 
    Per altro verso, le modificazioni introdotte dall'art.  1,  comma
611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, non sono tali da potere
indurre questa Corte a estendere le questioni  sollevate  anche  alla
nuova  formulazione  dell'art.  17-bis.  In  proposito,  quanto  alle
modifiche apportate ai commi 8 e 9, e' sufficiente osservare che esse
regolano fattispecie  estranee  a  quelle  disciplinate  dalle  norme
oggetto delle censure avanzate dai rimettenti. Quanto alle  modifiche
consistite nella sostituzione del  comma  2  e  nell'inserimento  del
nuovo comma 9-bis, esse incidono,  invece,  sulle  norme  oggetto  di
alcune delle  questioni  di  legittimita'  sollevate  dai  giudici  a
quibus. Il nuovo comma 2 dell'art.  17-bis  prevede  infatti  che  la
presentazione del reclamo non e' piu', come nel testo previgente, una
condizione  di  ammissibilita'  del   ricorso,   la   cui   omissione
determinava la perdita del diritto di proporre l'azione in giudizio -
previsione che,  come  si  e'  visto,  e'  censurata  da  alcuni  dei
rimettenti - ma costituisce una condizione  di  procedibilita'  dello
stesso; inoltre, l'improcedibilita' del ricorso depositato prima  del
decorso del termine  di  novanta  giorni  previsto  dal  comma  9  e'
rilevabile solo su eccezione dell'Agenzia delle entrate  in  sede  di
rituale costituzione in giudizio.  Il  nuovo  comma  9-bis  dell'art.
17-bis, d'altro canto, col prevedere la sospensione della riscossione
e dell'obbligo di pagamento  delle  somme  dovute  in  base  all'atto
oggetto di reclamo in pendenza della relativa procedura, incide sulle
questioni con le quali alcuni dei rimettenti, come pure si e'  visto,
hanno lamentato la mancanza, nell'originario art. 17-bis, durante  la
stessa procedura, di una  tutela  cautelare  giurisdizionale,  pur  a
fronte della possibilita' di esecuzione - ora esclusa - delle pretese
impositive risultanti dagli atti oggetto  di  reclamo.  Poiche',  pur
restando impregiudicata ogni valutazione in ordine alla  legittimita'
del menzionato ius superveniens, esso appare  chiaramente  diretto  a
elidere o, comunque, ad attenuare, gli indicati  profili  di  censura
prospettati nelle ordinanze di rimessione, deve  escludersi  che  gli
stessi possano essere trasferiti  anche  sul  nuovo  testo  dell'art.
17-bis. 
    Per le ragioni indicate, lo scrutinio di questa  Corte  avra'  ad
oggetto l'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992  esclusivamente  nel
suo testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso  apportate
dalla lettera a) del comma 611 dell'art. 1 della  legge  n.  147  del
2013. 
    4.-  Si   deve   ora   procedere   all'esame   dei   profili   di
inammissibilita'  di  alcune  questioni  sollevate  con  le   singole
ordinanze di rimessione. 
    4.1.- Con riguardo alle  questioni  sollevate  dalla  Commissione
tributaria provinciale di Campobasso con l'ordinanza iscritta al r.o.
n. 147 del 2013, l'Avvocatura generale dello Stato, dopo avere  fatto
presente che, successivamente a  tale  ordinanza  di  rimessione,  la
cartella di pagamento impugnata nel  processo  principale  era  stata
annullata in via di autotutela, ha chiesto a questa Corte di valutare
«la persistenza o meno di un interesse alla pronuncia». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In proposito, e' sufficiente richiamare  l'art.  18  delle  norme
integrative per i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  il
quale, stabilendo che «La sospensione, l'interruzione e  l'estinzione
del processo principale non producono effetti  sul  giudizio  davanti
alla Corte costituzionale», esclude che  l'eventuale  estinzione  del
processo pendente davanti  alla  Commissione  tributaria  provinciale
rimettente per cessazione della  materia  del  contendere  a  seguito
dell'annullamento dell'impugnata cartella di pagamento (art.  46  del
d.lgs.  n.  546  del  1992)  possa  avere  effetti  sul  giudizio  di
legittimita' costituzionale. 
    4.2.-   L'Avvocatura   generale   dello   Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate   dalla   Commissione
tributaria provinciale di Benevento con l'ordinanza iscritta al  r.o.
n. 153 del 2013 per la «mancata indicazione degli elementi  necessari
per valutare la  rilevanza  della  questione  (non  vengono  indicati
nemmeno gli importi in contestazione, da cui dipende l'applicabilita'
o meno della disposizione censurata)». 
    L'eccezione e' fondata. 
    La  Commissione  tributaria   provinciale   di   Benevento,   nel
descrivere la controversia sottoposta al suo esame, ha,  in  effetti,
omesso di indicarne il valore. Tale circostanza non consente a questa
Corte di verificare se detta lite rientri tra  quelle  per  le  quali
l'impugnato art.  17-bis  impone  la  preliminare  presentazione  del
reclamo e,  quindi,  di  effettuare  il  necessario  controllo  sulla
rilevanza delle questioni di legittimita' di tale articolo  sollevate
dal rimettente. 
    Ne' la rilevata omissione  potrebbe  essere  superata  attraverso
l'esame del fascicolo del giudizio principale, stante il principio di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione. 
    Le questioni sollevate dalla Commissione  tributaria  provinciale
di Benevento con l'ordinanza di cui al r.o. n. 153 del  2013  devono,
percio', essere dichiarate inammissibili. 
    4.3.- La difesa dello Stato ha eccepito l'inammissibilita'  anche
delle questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di
Ravenna con l'ordinanza iscritta al r.o. n. 270 del  2013  «sotto  il
profilo   della   corretta   ricostruzione   dei   fatti   di   causa
nell'ordinanza, che sembra essere identica alla  questione  parallela
(n. 271/2013 r.o.), nonostante i ricorrenti siano diversi». 
    Anche tale eccezione e' fondata. 
    La Commissione tributaria provinciale di Ravenna,  nell'ordinanza
iscritta al r.o. n. 270 del 2013, anziche' descrivere la  fattispecie
oggetto del  giudizio  sottoposto  al  suo  esame,  ha,  per  errore,
riprodotto  la  stessa  descrizione  della  fattispecie  che   figura
nell'ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013. Che, a fronte di due
ordinanze che presentano un'identica descrizione  della  fattispecie,
l'errore riguardi l'ordinanza iscritta al r.o. n. 270 del 2013 e  non
l'ordinanza iscritta al r.o. n. 271 del 2013 risulta chiaramente  dal
raffronto tra detta descrizione della fattispecie e  il  frontespizio
dei due atti. Infatti, mentre i ricorrenti e gli atti  impugnati  che
figurano nel frontespizio dell'ordinanza di cui al r.o.  n.  271  del
2013  corrispondono  a  quelli  indicati  nella   descrizione   della
fattispecie, nel frontespizio dell'ordinanza di cui al  r.o.  n.  270
del 2013 sono indicati un ricorrente e atti impugnati che nulla hanno
a che fare con tale descrizione. 
    L'indicato  errore  del  rimettente  si  traduce   nella   totale
omissione  della   descrizione   della   fattispecie   effettivamente
sottoposta al suo esame e, di  conseguenza,  nell'impossibilita'  per
questa Corte di effettuare il necessario  controllo  sulla  rilevanza
delle questioni dallo stesso sollevate. 
    Anche  in  questo   caso,   il   principio   di   autosufficienza
dell'ordinanza di rimessione esclude che la menzionata carenza  possa
essere  superata  attraverso  l'esame  del  fascicolo  del   giudizio
principale. 
    Le questioni sollevate dalla Commissione  tributaria  provinciale
di Ravenna con l'ordinanza di cui al r.o. n. 270  del  2013,  devono,
percio', essere dichiarate inammissibili. 
    4.4.- Anche le questioni  sollevate  dalla  medesima  Commissione
tributaria provinciale di Ravenna con l'ordinanza iscritta al r.o. n.
271  del  2013  sono  inammissibili  per  carenti  descrizione  della
fattispecie e motivazione sulla rilevanza. 
    Quanto  al  primo  aspetto,  va  osservato  che  la   Commissione
tributaria rimettente, nel descrivere la  fattispecie  sottoposta  al
suo esame, non specifica ne' se i ricorrenti avessero  presentato  il
reclamo previsto dal censurato art. 17-bis - con la  conseguenza  che
resta ignoto se si sia svolta la conseguente procedura amministrativa
e se sia stato esperito un tentativo di mediazione - ne' se, in  caso
affermativo, con  la  domanda  di  tutela  cautelare  giurisdizionale
proposta (alla quale, peraltro, il giudice a quo fa riferimento  solo
nel frontespizio dell'ordinanza di rimessione), i ricorrenti avessero
chiesto che l'esecuzione degli  atti  impugnati  fosse  sospesa  gia'
durante la pendenza di  detta  procedura  amministrativa  (cio'  che,
secondo   la   Commissione    rimettente,    la    norma    impugnata
illegittimamente   precluderebbe),   oppure   solo   dopo   la   loro
costituzione in giudizio (quando l'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992
certamente consente di chiedere la sospensione dell'atto impugnato). 
    A fronte di tali carenze  della  descrizione  della  fattispecie,
l'ordinanza di rimessione e' priva  di  qualsiasi  motivazione  sulla
rilevanza delle questioni  sollevate,  limitandosi  ad  affermare,  a
proposito di tale requisito  di  ammissibilita'  delle  stesse,  come
l'art. 17-bis «presenti profili di illegittimita' costituzionale  che
si riflettono direttamente sull'esito del ricorso in esame». 
    Per tali ragioni, anche le questioni sollevate dalla  Commissione
tributaria provinciale di Ravenna con l'ordinanza iscritta al r.o. n.
271 del 2013 devono essere dichiarate inammissibili. 
    5.- Si puo' ora passare all'esame delle questioni  sollevate  con
le ordinanze iscritte al r.o. n. 68, n. 146 e n. 147 del 2013. A tale
fine, le censure prospettate devono essere  raggruppate  in  base  al
loro oggetto, costituito dai  vari  significati  normativi  dell'art.
17-bis del d.lgs. n. 546  del  1992  che  le  rimettenti  Commissioni
tributarie  provinciali  ritengono  in  contrasto  con  i   parametri
costituzionali invocati. 
    6.- Un primo gruppo di questioni - sollevate, in riferimento agli
artt.  3  (in   relazione   ai   principi   di   uguaglianza   e   di
ragionevolezza), 24 (in relazione sia al diritto di agire in giudizio
che al diritto di difesa) e  113  Cost.  (in  relazione  al  divieto,
previsto dal secondo comma di tale articolo, di  limitare  la  tutela
giurisdizionale avverso gli atti della pubblica  amministrazione  per
determinate  categorie  di  atti),   dalla   Commissione   tributaria
provinciale di Campobasso con le identiche ordinanze iscritte al r.o.
n. 146 e n. 147 del 2013 - ha a oggetto, da un lato, in via generale,
l'imposizione, a chi intenda proporre  ricorso  avverso  atti  emessi
dall'Agenzia delle entrate e di  valore  non  superiore  a  ventimila
euro,  dell'obbligo  del  preliminare  reclamo,  con  la  conseguente
preclusione, per il contribuente,  della  possibilita'  di  agire  in
giudizio durante il tempo previsto per lo svolgimento della procedura
amministrativa introdotta con tale atto; dall'altro lato, e  piu'  in
particolare,   la   previsione   secondo   cui   l'omissione    della
presentazione del reclamo comporta l'inammissibilita' del ricorso. 
    6.1.- Con riguardo al differimento della possibilita' di accedere
al  giudice   tributario   determinato   dall'obbligatorieta'   della
procedura  di  reclamo,  la  Commissione  tributaria  provinciale  di
Campobasso prospetta anzitutto la violazione degli  artt.  3  e  113,
secondo comma, Cost.,  deducendo  che  l'esistenza,  nell'ordinamento
tributario,  di  «altri   preventivi   istituti   deflattivi   (quali
l'autotutela,    l'obbligo    del     preventivo     contraddittorio,
l'accertamento con adesione)» escluderebbe la sussistenza  di  quelle
«esigenze di ordine generale  e  superiori  finalita'  di  giustizia»
idonee a giustificare, in base  alla  giurisprudenza  costituzionale,
detto  differimento  e  renderebbe  il  reclamo  «solo  un  rilevante
aggravio del procedimento». 
    6.2.- Tali censure - con le quali,  in  effetti,  la  Commissione
rimettente contesta anche, sia  pure  implicitamente,  la  violazione
dell'art. 24 Cost. - non sono fondate. 
    In proposito, va premesso che la  consolidata  giurisprudenza  di
questa Corte esclude che  la  garanzia  costituzionale  della  tutela
giurisdizionale   implichi   necessariamente   una    relazione    di
immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell'interesse  legittimo)
e tale tutela (sentenze n. 154 e n. 82 del 1992, n. 130 del 1970,  n.
64  del  1964),  essendo  consentito  al   legislatore   di   imporre
l'adempimento di oneri - in particolare, il previo esperimento di  un
rimedio  amministrativo  -  che,  condizionando   la   proponibilita'
dell'azione, ne comportino il differimento, purche' gli stessi  siano
giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori  finalita'
di giustizia (sentenze n. 132, n. 81 e n. 62 del  1998,  n.  233  del
1996, n. 56 del 1995, n. 255 del 1994, n. 406 del 1993,  n.  154  del
1992; in termini simili, sentenze n. 403 del 2007, n. 251  del  2003,
n. 276 del 2000, n. 113 del 1997, n. 82 del 1992, n. 130 del 1970). 
    E' questo il caso del reclamo e  della  mediazione  tributari,  i
quali, col favorire la definizione delle controversie (che  rientrino
nel menzionato ambito di applicazione dei due  istituti)  nella  fase
pregiurisdizionale introdotta con il reclamo,  tendono  a  soddisfare
l'interesse  generale  sotto  un  duplice  aspetto:   da   un   lato,
assicurando un piu' pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e
ai  costi  della  procedura  giurisdizionale)  soddisfacimento  delle
situazioni sostanziali oggetto di dette controversie,  con  vantaggio
sia  per  il  contribuente  che  per  l'amministrazione  finanziaria;
dall'altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le
commissioni   tributarie   e,   conseguentemente,   assicurando    il
contenimento dei tempi e un piu'  attento  esame  di  quelli  residui
(che, nell'ambito di quelli promossi nei confronti dell'Agenzia delle
entrate, comportano le piu' rilevanti conseguenze finanziarie per  le
parti). 
    Contrariamente a quanto sostenuto  dalla  Commissione  tributaria
provinciale  di  Campobasso,  la  concorrenza  di  «altri  preventivi
istituti deflattivi (quali  l'autotutela,  l'obbligo  del  preventivo
contraddittorio, l'accertamento con adesione)» non esclude ne',  come
e' ovvio, l'astratta  adeguatezza  del  reclamo  e  della  mediazione
tributari al soddisfacimento dell'indicato interesse generale, ne' la
concreta idoneita' e utilita' di tali istituti  al  conseguimento  di
detto   fine.   Al   riguardo,   e'   sufficiente   osservare    come
l'obbligatorieta' della procedura introdotta dal  reclamo  (a  fronte
della facoltativita' delle istanze di autotutela  e  di  accertamento
con adesione) e la previsione della  mediazione  quale  strumento  di
composizione delle controversie legato  alla  valutazione,  da  parte
dell'Agenzia  delle  entrate,  anche  dell'economicita'   dell'azione
amministrativa - oltre che  dell'eventuale  incertezza  (in  diritto)
delle questioni controverse e del grado di sostenibilita' (in  fatto)
della pretesa - conferiscano al reclamo e alla  mediazione  tributari
una   particolare   effettivita'   sul   piano   del   piu'    pronto
soddisfacimento delle situazioni sostanziali e della  deflazione  del
carico di lavoro della giurisdizione tributaria. Deve quindi  negarsi
anche che il  reclamo  costituisca  -  come  invece  sostenuto  dalla
Commissione  rimettente   -   «solo   un   rilevante   aggravio   del
procedimento». 
    6.3.- Sempre a  proposito  del  rinvio  dell'accesso  al  giudice
tributario   determinato   dall'obbligatorieta'   del   reclamo,   la
Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha dedotto  che  gli
artt. 3 e 113 Cost. sarebbero violati anche sotto il diverso  profilo
che detto differimento della tutela giurisdizionale e'  imposto  solo
ai  contribuenti  che  sono  parti  di  controversie  che   rientrano
nell'ambito di applicazione dell'impugnato art. 17-bis e non, quindi,
a tutti gli altri contribuenti (in particolare,  a  quelli  che  sono
parti di controversie relative ad  atti  emessi  da  enti  impositori
diversi dall'Agenzia delle entrate o di controversie relative ad atti
emessi da tale Agenzia ma di valore superiore a ventimila euro). 
    Neppure tali censure sono fondate. 
    Va in proposito  osservato  che,  delle  controversie  instaurate
davanti alle commissioni tributarie provinciali, quelle nei confronti
dell'Agenzia delle entrate  costituiscono,  notoriamente,  la  grande
maggioranza e che, nell'ambito di queste ?  come  confermano  i  dati
(relativi all'anno 2010) riportati nella Relazione  tecnica  allegata
al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011  (A.S.  n.
2814)  ?  quelle  di  valore   non   superiore   a   ventimila   euro
rappresentano, a loro  volta,  la  maggioranza  sul  piano  numerico,
mentre corrispondono, sul piano del valore, ad una percentuale  assai
ridotta del valore  complessivo  delle  controversie  instaurate  nei
confronti di detta Agenzia.  Alla  stregua  di  tali  elementi,  deve
ritenersi che il legislatore abbia  perseguito  l'indicato  interesse
generale  a  deflazionare   il   contenzioso   tributario   in   modo
ragionevole,  prevedendo  il  rinvio  dell'accesso  al  giudice   con
riguardo alle liti (quelle nei confronti dell'Agenzia delle  entrate)
che rappresentano  il  numero  piu'  consistente  delle  controversie
tributarie e, al contempo, a quelle di esse che comportano le  minori
conseguenze finanziarie sia per  la  parte  privata  sia  per  quella
pubblica. La scelta del legislatore, in quanto congrua rispetto  alla
ratio dell'intervento normativo, e' percio'  frutto  di  un  corretto
esercizio della discrezionalita' legislativa,  non  censurabile  ne',
come si e' visto, sul piano del diritto alla tutela  giurisdizionale,
ne'  sul  piano  del  rispetto  dei  principi  di  uguaglianza  e  di
ragionevolezza. 
    La previsione dell'obbligo della  preliminare  presentazione  del
reclamo non viola, pertanto, nessuno degli invocati parametri. 
    6.4.- La Commissione  tributaria  provinciale  di  Campobasso  ha
impugnato anche la specifica previsione secondo cui l'omissione della
presentazione del reclamo comporta  l'inammissibilita'  del  ricorso,
lamentando che la stessa sacrificherebbe  eccessivamente  il  diritto
alla tutela giurisdizionale garantito dall'art. 24  Cost.  in  quanto
comporta la perdita del diritto di agire in giudizio. 
    La questione - che investe esclusivamente il  comma  2  dell'art.
17-bis (dove  e'  stabilita  la  sanzione  dell'inammissibilita'  del
ricorso  per  la  mancata  presentazione  del  reclamo,  nonche'   la
rilevabilita' d'ufficio di tale  inammissibilita'  in  ogni  stato  e
grado del giudizio) - e' fondata. 
    La giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare -  come  si  e'
visto al punto 6.2. -  la  legittimita'  di  forme  di  accesso  alla
giurisdizione condizionate al  previo  adempimento  di  oneri  quando
questi siano finalizzati al perseguimento di interessi  generali,  ha
tuttavia precisato che, anche la' dove ricorra tale  circostanza,  il
legislatore  «e'  sempre  tenuto  ad  osservare  il  limite   imposto
dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente
difficoltosa»  (sentenza  n.  154  del  1992;  in  termini  analoghi,
sentenze n. 360 del 1994, n. 406 del 1993, n. 530  del  1989),  «deve
contenere l'onere nella misura meno gravosa possibile»  (sentenze  n.
233  del  1996  e  n.  56  del  1995),  deve  operare   un   «congruo
bilanciamento» tra l'esigenza di assicurare la tutela dei  diritti  e
le altre  esigenze  che  il  differimento  dell'accesso  alla  stessa
intende perseguire (sentenza n. 113 del 1997). 
    In linea  con  tale  prospettiva,  questa  Corte  ha  piu'  volte
dichiarato l'illegittimita', per violazione dell'art.  24  Cost.,  di
disposizioni che comminavano la sanzione della decadenza  dall'azione
giudiziaria in conseguenza del mancato previo esperimento  di  rimedi
di carattere amministrativo (sentenze n. 296 del  2008,  n.  360  del
1994, n. 406 e n. 40 del 1993, n. 15 del 1991, n. 93 del 1979). 
    Coerentemente con tali precedenti, deve quindi affermarsi che  la
previsione, di cui al censurato comma 2 dell'art. 17-bis  del  d.lgs.
n. 546 del 1992 - secondo cui  l'omissione  della  presentazione  del
reclamo da parte del contribuente  determina  l'inammissibilita'  del
ricorso (rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del  giudizio)  -
comportando la perdita del diritto di agire in  giudizio  e,  quindi,
l'esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in  contrasto  con
l'art. 24 Cost. 
    Il comma 2 dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992,  nel  suo
testo originario, anteriore alla sostituzione dello  stesso  a  opera
dell'art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge n. 147 del
2013,   deve,   percio',   essere    dichiarato    costituzionalmente
illegittimo. 
    Vale appena precisare che, con riguardo ai rapporti non  esauriti
ai quali sarebbe ancora applicabile il censurato  comma  2  dell'art.
17-bis nel suo testo originario, per effetto della presente decisione
dichiarativa di illegittimita' costituzionale, l'eventuale  omissione
della  previa  presentazione  del   reclamo   rimarrebbe   priva   di
conseguenze giuridiche. 
    Resta, ovviamente, estranea  all'oggetto  del  presente  giudizio
ogni valutazione in ordine alla legittimita' costituzionale del comma
2 dell'art. 17-bis nel testo attualmente vigente. 
    7.- Un secondo gruppo di  questioni,  sollevate,  in  riferimento
agli artt. 3, 24 e 25 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale
di Perugia (r.o. n. 68 del 2013), ha ad oggetto la  disciplina  della
mediazione dettata dall'art. 17-bis e, in particolare,  da  un  lato,
l'asserita  obbligatorieta'  della  stessa,  dall'altro,  la  mancata
previsione di un mediatore estraneo alle parti. 
    7.1.- Con riguardo al primo profilo,  la  Commissione  tributaria
rimettente  deduce,  in  particolare,  che  l'impugnato  art.  17-bis
configura la mediazione, sia che la relativa proposta  sia  contenuta
nel reclamo sia che venga formulata d'ufficio, come, «di fatto, [...]
obbligatoria  e  come  tale,  in  materia  civile,  gia'   dichiarata
incostituzionale, anche se per diversa ragione (eccesso di  delega)»,
da questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2012. 
    Le questioni sono inammissibili. 
    La rimettente  Commissione  tributaria  provinciale,  dopo  avere
motivato le proprie  doglianze  esclusivamente  facendo  rinvio  alla
sentenza n. 272 del 2012 - con la quale questa Corte  ha  dichiarato,
tra  l'altro,  l'illegittimita'  della  disposizione  che   prevedeva
l'obbligatorieta' della mediazione per  la  conciliazione  di  alcune
controversie civili e commerciali  (art.  5,  comma  1,  del  decreto
legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante «Attuazione dell'articolo 60
della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,  in  materia  di  mediazione
finalizzata  alla   conciliazione   delle   controversie   civili   e
commerciali) - aggiunge che  tale  illegittimita'  costituzionale  fu
dichiarata «per  diversa  ragione  (eccesso  di  delega)»,  cioe'  in
riferimento a parametri diversi (gli artt. 76 e 77 Cost.)  da  quelli
da essa invocati. In tale  modo,  e'  lo  stesso  giudice  a  quo  ad
affermare che le argomentazioni da lui spese (tramite il rinvio  alla
menzionata sentenza di  questa  Corte)  a  sostegno  delle  questioni
sollevate non sono conferenti rispetto ai parametri invocati. Da cio'
l'inammissibilita' delle questioni medesime. 
    7.2.-  Quanto  al  secondo  dei  profili   sopra   indicati,   la
Commissione tributaria provinciale di Perugia lamenta  specificamente
che, in contrasto con  l'art.  3,  lettera  a),  della  direttiva  n.
2008/52/CE - che, col prevedere  che  il  «procedimento  [in  cui  la
mediazione consiste] puo' essere avviato dalle  parti,  suggerito  od
ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno
Stato membro», evidenzia che «l'organo della mediazione  deve  essere
estraneo alle parti» - l'art. 17-bis  del  d.lgs.  n.  546  del  1992
affiderebbe il ruolo di mediatore, «in sostanza», a una  delle  parti
della controversia (la Direzione provinciale o la Direzione regionale
che ha emanato l'atto oggetto del reclamo). 
    Le questioni non sono fondate. 
    Va anzitutto precisato che la mediazione  disciplinata  dall'art.
17-bis, sia che venga proposta nel reclamo (comma 7)  sia  che  venga
proposta d'ufficio (comma 8), si svolge solo tra  il  contribuente  e
l'Agenzia delle entrate, cioe' tra le parti del  rapporto  d'imposta,
senza  l'intervento  di  alcun  terzo   nel   ruolo   di   mediatore.
L'attribuzione del compito di valutare la proposta di mediazione  del
contribuente o di formularne una di ufficio a  «strutture  diverse  e
autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti  reclamabili»,
secondo quanto previsto dai commi 5 e 8 dell'art.  17-bis,  non  vale
infatti a escludere che si tratti pur sempre dello stesso soggetto  -
l'Agenzia delle entrate, appunto - che ha emanato l'atto. 
    Tale mancanza di un soggetto  terzo  che,  come  avviene  per  la
mediazione delle controversie civili e commerciali  disciplinata  dal
d.lgs. n. 28 del 2010 (art. 1, comma 1, lettere a  e  b),  svolga  la
mediazione, se comporta l'impossibilita' di ricondurre la  mediazione
tributaria al modello di quella civilistica -  e  induce  a  dubitare
della stessa  riconducibilita'  dell'istituto  all'ambito  mediatorio
propriamente inteso -  non  determina,  tuttavia,  alcuna  violazione
degli invocati parametri costituzionali. 
    In primo luogo, non e' conferente il richiamo alla  direttiva  n.
2008/52/CE sul  quale  la  Commissione  tributaria  rimettente  basa,
pressoche'  esclusivamente,  le  proprie  argomentazioni.  Tale  atto
comunitario,    infatti,    si    applica     «nelle     controversie
transfrontaliere, in materia civile e  commerciale»,  con  l'espressa
esclusione della «materia fiscale, doganale e  amministrativa»  (art.
1, comma 2), cioe' proprio della materia che viene qui in rilievo. 
    Piu' in generale,  va  osservato  che  la  mediazione  tributaria
introdotta  dall'impugnato  art.  17-bis  costituisce  una  forma  di
composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull'intesa
raggiunta, fuori e prima del  processo,  dalle  stesse  parti  (senza
l'ausilio di terzi), che agiscono, quindi, su un  piano  di  parita'.
Deve  dunque  escludersi  che  un  tale   procedimento   conciliativo
preprocessuale, il cui esito positivo e' rimesso  anche  al  consenso
dello stesso contribuente, possa violare il suo diritto di  difesa  o
il principio di ragionevolezza o, tanto meno, il diritto a non essere
distolto dal giudice naturale precostituito per legge. 
    8.-  Con  un'ulteriore  questione,  la   Commissione   tributaria
provinciale di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del 2013) deduce  che
l'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 violerebbe l'art.  24  Cost.
anche in quanto impone al contribuente di  rendere  note  le  proprie
«prospettazioni difensive» gia' in sede di reclamo e non gli consente
di modificarle nel caso  in  cui,  esaurita  la  fase  amministrativa
introdotta con  tale  atto,  intenda  adire  il  giudice  tributario,
nonostante nella suddetta fase  il  «provvedimento  [sia]  ancora  da
valutare». 
    8.1.-   L'Avvocatura   generale   dello   Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  della   questione   per   «omesso   esame   della
rilevanza», in quanto la  Commissione  rimettente  «non  ha  indicato
quale effetto potrebbe avere nel giudizio a quo una  decisione  della
Corte che accogliesse il profilo  dedotto;  in  particolare,  sarebbe
stato necessario  precisare  se  il  contribuente  avesse  notificato
eventuali motivi aggiunti, da ritenersi inammissibili in  quanto  non
dedotti nell'originario reclamo». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Da  un  canto,  infatti,  essa  postula  che,  nella  fattispecie
sottoposta al giudizio della Commissione  rimettente,  il  ricorrente
abbia presentato, in via preliminare, il reclamo, il che, invece, non
e' avvenuto (tanto che, per tale ragione, l'Agenzia delle entrate  ha
eccepito l'inammissibilita' del ricorso). 
    D'altro canto, la rilevanza della questione in esame va affermata
in ragione del fatto che la Commissione  tributaria  rimettente  deve
decidere sull'eccezione di  inammissibilita'  del  ricorso  sollevata
dall'Agenzia delle  entrate  con  riguardo  all'inadempimento  di  un
obbligo, quello di presentare il reclamo, della cui costituzionalita'
dubita proprio in quanto in tale atto dovrebbero essere  indicate  le
«prospettazioni  difensive»  del  contribuente  (che  sarebbe   cosi'
costretto a renderle note prima dell'instaurazione del processo e che
non potrebbe poi modificarle in sede di costituzione in giudizio). 
    8.2.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Premesso che,  anche  per  le  controversie  estranee  all'ambito
applicativo  dell'art.  17-bis  -  per  le  quali  e'   prevista   la
proposizione del ricorso  direttamente  alla  commissione  tributaria
provinciale, senza  l'obbligo  della  presentazione  preliminare  del
reclamo  -  il  ricorrente  deve,   entro   sessanta   giorni   dalla
notificazione dell'atto impugnato (art. 21, comma 1,  del  d.lgs.  n.
546 del 1992), proporre il ricorso stesso e  indicare  in  esso,  tra
l'altro, i «motivi» e l'«oggetto della domanda» (art.  18,  comma  2,
lettere d ed e, del d.lgs. n. 546 del 1992), il  fatto  che,  per  le
controversie alle quali e' invece  applicabile  l'art.  17-bis,  tali
«motivi» e «oggetto della domanda» debbano essere  resi  noti  quando
«il  provvedimento   [e']   ancora   da   valutare»   e   non   siano
successivamente modificabili non determina alcun pregiudizio  per  il
diritto di difesa del contribuente. Infatti: a) nel caso  in  cui  il
reclamo venga accolto o la mediazione conclusa, il  contribuente  non
avra' interesse ad adire la commissione tributaria; b)  nei  casi  in
cui, invece, decorra il termine dilatorio  di  novanta  giorni  dalla
presentazione del reclamo senza  che  sia  notificato  l'accoglimento
dello stesso o sia conclusa la mediazione o lo stesso reclamo  venga,
in tutto o in  parte,  respinto  (e  il  contribuente,  naturalmente,
decida di  adire  l'autorita'  giudiziaria),  il  processo  avra'  ad
oggetto lo stesso originario provvedimento amministrativo  (nel  caso
di  accoglimento  parziale  del  reclamo,  solo  ridotto  nella   sua
portata), cioe' un atto nei confronti  del  quale  il  ricorrente  ha
potuto, nel consueto termine di sessanta giorni, proporre le  proprie
le «prospettazioni difensive». 
    D'altro canto, proprio in ragione del  fatto  che  i  motivi  del
ricorso sono gia' contenuti nel reclamo e  non  sono  successivamente
modificabili - salva, naturalmente, l'integrazione  «resa  necessaria
dal deposito di documenti non conosciuti a opera delle altre parti  o
per ordine della commissione» (art. 24, comma 2, del  d.lgs.  n.  546
del 1992) - deve escludersi che l'amministrazione  finanziaria  possa
avanzare una pretesa  che,  ancorche'  inferiore  rispetto  a  quella
iniziale, sia diversamente motivata o fondata su  nuovi  presupposti.
Tale   interpretazione   costituzionalmente   adeguata   dei   poteri
dell'amministrazione   finanziaria   esclude,   evidentemente,    che
l'indicata  impossibilita'  di  modificare  i  motivi  di   doglianza
contenuti  nel  reclamo  possa  ledere  il  diritto  di  difesa   del
ricorrente. 
    9.- Le Commissioni tributarie provinciali di Perugia (r.o. n.  68
del 2013) e di Campobasso (r.o. n. 146 e n. 147 del  2013)  lamentano
ancora che, in contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 Cost.,  l'impugnato
art. 17-bis, consentendo la costituzione in giudizio dei contribuenti
solo dopo l'esaurimento della procedura amministrativa introdotta con
il reclamo (comma 9, secondo  periodo),  precluderebbe  agli  stessi,
durante tale fase amministrativa, la tutela cautelare giurisdizionale
e,  in  particolare,  la  possibilita'  di  chiedere  la  sospensione
dell'esecuzione dell'atto ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. n. 546 del
1992,  nonostante  lo  stesso  possa  essere  dotato   di   immediata
esecutivita'. 
    Le questioni sono inammissibili per difetto di rilevanza. 
    In proposito, va osservato che i ricorrenti nei giudizi a  quibus
non hanno presentato il reclamo previsto dal censurato art. 17-bis ma
hanno  proposto  direttamente  ricorso  alle  rimettenti  Commissioni
tributarie provinciali, con la conseguenza che, nelle fattispecie  ad
esse sottoposte, e' mancata del tutto la fase amministrativa che solo
la presentazione del reclamo avrebbe potuto introdurre. Ne deriva che
i giudici a quibus non devono fare applicazione della norma censurata
che  (in  assunto)  precluderebbe  l'accesso  alla  tutela  cautelare
giurisdizionale in una fase,  quella  amministrativa  introdotta  dal
reclamo, che nella specie, come si e' detto, non si e' svolta. 
    10.- La Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n.
146 e n. 147 del 2013) lamenta poi, in riferimento agli artt.  3  (in
relazione  sia  al  principio  di  uguaglianza  che   a   quello   di
ragionevolezza) e  24  Cost.  (la'  dove  garantisce  il  diritto  di
difesa), che, nel caso in cui  l'Agenzia  delle  entrate  accolga  il
reclamo (e annulli, percio', l'atto  che  ne  e'  oggetto  in  quanto
illegittimo o infondato), l'art. 17-bis  non  prevede  alcun  ristoro
delle spese che il contribuente ha sostenuto per la presentazione del
reclamo e lo svolgimento della successiva procedura amministrativa. 
    Anche tali questioni sono inammissibili per difetto di rilevanza. 
    Infatti, poiche', come si  e'  gia'  ricordato  al  punto  9.,  i
ricorrenti nei giudizi a quibus non hanno presentato reclamo  (ed  e'
quindi mancata anche la fase amministrativa che  ad  esso  consegue),
essi non hanno neppure sostenuto i relativi oneri. Ne consegue che  i
giudici a quibus non devono fare applicazione della  norma,  da  essi
censurata, che, nel caso di accoglimento del reclamo, escluderebbe il
ristoro delle spese sostenute per la presentazione  di  tale  istanza
amministrativa (e per la fase dalla stessa introdotta). 
    11.- La Commissione tributaria provinciale di Campobasso (r.o. n.
146 e n. 147 del 2013) deduce ancora che l'art. 17-bis del d.lgs.  n.
546 del  1992  lederebbe  il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo di cui all'art. 111, «I comma ultima parte» (recte:  secondo
comma, ultimo periodo),  Cost.,  in  quanto,  nel  caso  in  cui  sia
formulata istanza di accertamento con adesione, al periodo di novanta
giorni  di  sospensione  dei  termini  per  l'impugnazione  dell'atto
previsto dall'art. 6 del d.lgs.  n.  218  del  1997  -  cui  potrebbe
sommarsi la sospensione di quarantacinque giorni nel periodo  feriale
- si aggiungerebbe il termine di  sessanta  giorni  previsto  per  la
presentazione del reclamo e,  «in  caso  di  silenzio  dell'A.F.  sul
reclamo», l'ulteriore periodo di novanta giorni,  per  un  totale  di
duecentottantacinque giorni,  con  la  conseguenza  che  il  processo
tributario potrebbe essere instaurato solo dopo il  decorso  di  tale
tempo, sicche' non sarebbe «in alcun modo possibile ritenere che  con
l'introduzione  dell'istituto  del  reclamo  il   legislatore   abbia
rispettato il principio posto dall'art. 111 della Costituzione». 
    L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito  l'inammissibilita'
della questione in quanto  «Nessuna  motivazione  si  rinviene  [...]
nell'ordinanza in ordine alla rilevanza della questione nel  giudizio
a quo». 
    L'eccezione e' fondata. 
    Dalle ordinanze di rimessione  non  risulta  infatti  ne'  che  i
ricorrenti abbiano formulato istanza di accertamento con adesione ne'
che abbiano giustificato l'omissione del reclamo con l'argomento che,
avendo formulato detta istanza, la presentazione del reclamo  avrebbe
comportato una durata del processo non ragionevole. 
    12.- Secondo la Commissione tributaria provinciale di  Campobasso
(r.o. n. 146 e n. 147  del  2013),  l'articolo  impugnato  violerebbe
l'art. 111 Cost. anche  perche',  nel  caso  in  cui  debbano  essere
impugnati, entro lo  stesso  termine,  piu'  provvedimenti  tra  loro
connessi, per l'impugnazione di alcuni soltanto dei quali deve essere
preliminarmente presentato il reclamo, «non sembra dubbio  che  [...]
la evidente complicazione processuale,  dovuta  alla  diversita'  del
termine  per  la  costituzione  in  giudizio  del   ricorrente,   con
conseguente rischio di  inammissibilita'  del  ricorso,  indurra'  il
contribuente  a   presentare   distinti   ricorsi   con   conseguente
vanificazione dei benefici processuali derivanti dalla  presentazione
[di un] ricorso cumulativo». 
    L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito  l'inammissibilita'
della questione in quanto «del tutto ipotetica». 
    L'eccezione e' fondata. 
    Infatti, da un lato, l'affermazione della Commissione  tributaria
rimettente secondo cui il ricorrente,  nell'ipotesi  indicata,  sara'
indotto a presentare distinti ricorsi («indurra'  il  contribuente  a
presentare distinti ricorsi») costituisce una mera  congettura  dello
stesso giudice a quo; dall'altro, dalle ordinanze di  rimessione  non
risulta  che  i  ricorrenti  intendessero   presentare   un   ricorso
cumulativo  e  che  abbiano  omesso  di  farlo   in   ragione   della
«complicazione processuale» che cio' avrebbe comportato. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17-bis,
comma  2,  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
nel testo originario, anteriore alla  sostituzione  dello  stesso  ad
opera dell'art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della  legge  27
dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2014); 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge  n.  147  del  2013,  sollevate
dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 111 Cost., e ad altri non precisati parametri, con
l'ordinanza iscritta al  registro  ordinanze  n.  153  del  2013,  in
epigrafe  indicata,  dalla  Commissione  tributaria  provinciale   di
Ravenna, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con le ordinanze
iscritte al r.o. n. 270 e n. 271  del  2013,  in  epigrafe  indicate,
nonche' dalla Commissione tributaria provinciale  di  Campobasso,  in
riferimento all'art. 111, secondo comma,  ultimo  periodo,  Cost.,  e
all'art. 111 Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147
del 2013, in epigrafe indicate; 
    3)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui prevede la  mediazione  come,  «di  fatto,  [...]  obbligatoria»,
sollevate dalla Commissione tributaria  provinciale  di  Perugia,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con l'ordinanza iscritta  al
r.o. n. 68 del 2013, in epigrafe indicata; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui precluderebbe ai contribuenti la tutela cautelare giurisdizionale
durante  la  procedura  amministrativa  introdotta  con  il  reclamo,
sollevate dalle Commissioni tributarie provinciali di  Perugia  e  di
Campobasso, in riferimento agli artt.  3,  24  e  25  Cost.,  con  le
ordinanze, rispettivamente, iscritte al r.o. n. 68 del 2013 e n.  146
e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate; 
    5)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui, nel caso di accoglimento del reclamo,  non  prevede  il  ristoro
delle spese sostenute dal contribuente  per  la  presentazione  dello
stesso   e   per   lo   svolgimento   della   successiva    procedura
amministrativa, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di
Campobasso, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le  ordinanze
iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate; 
    6)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui prevede l'obbligo, per chi intende proporre ricorso avverso  atti
emessi dall'Agenzia  delle  entrate  e  di  valore  non  superiore  a
ventimila euro,  di  presentare  preliminarmente  reclamo,  sollevate
dalla  Commissione   tributaria   provinciale   di   Campobasso,   in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., con le  ordinanze  iscritte
al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in epigrafe indicate; 
    7)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui non prevede che la mediazione sia svolta da un  terzo,  sollevate
dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia,  in  riferimento
agli artt. 3, 24 e 25 Cost., con l'ordinanza iscritta al r.o.  n.  68
del 2013, in epigrafe indicata; 
    8)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo
originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate  dall'art.
1, comma 611, lettera a), della legge n. 147 del 2013, nella parte in
cui impone  al  contribuente  di  indicare  nel  reclamo  le  proprie
«prospettazioni  difensive»  e  non  gli  consente   di   modificarle
nell'eventuale  successivo  giudizio,  sollevate  dalla   Commissione
tributaria provinciale di  Campobasso,  in  riferimento  all'art.  24
Cost., con le ordinanze iscritte al r.o. n. 146 e n. 147 del 2013, in
epigrafe indicate. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI