N. 21 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2014

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 marzo 2014 (della Regione Veneto). 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Legge  di  stabilita'  2014  -
  Commissariamento delle amministrazioni provinciali - Previsione  di
  commissariamenti nei casi di scadenza naturale del mandato, nonche'
  di cessazione anticipata degli organi provinciali che  intervengano
  in una data compresa tra il 1°  gennaio  e  il  30  giugno  2014  -
  Previsione che i commissariamenti gia' avviati e  quelli  di  nuova
  attivazione cessano al 30  giugno  2014  -  Ricorso  della  Regione
  Veneto -  Denunciata  istituzione  o  rinnovo  di  commissariamenti
  eccezionali basati  sulla  disciplina  di  riforma  delle  Province
  dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della  Corte
  costituzionale n. 210/2013 - Lesione  del  principio  di  autonomia
  degli enti locali - Violazione del principio  di  ragionevolezza  -
  Lesione  dell'autonomia  costituzionale  e  finanziaria  regionale,
  nonche' dell'autonomia provinciale - Lesione del principio di  buon
  andamento - Lesione del principio di leale collaborazione. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 325. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Legge  di  stabilita'  2014  -
  Previsione che i contratti di locazione di immobili stipulati dalle
  amministrazioni individuate ai sensi dell'art. 1,  comma  2,  della
  legge 31 dicembre 2009, n. 190 (tra cui rientrano  le  Regioni,  le
  Province  autonome,  gli  enti  locali   ed   i   rispettivi   enti
  strumentali) non possono essere rinnovati,  qualora  l'Agenzia  del
  demanio, nell'ambito delle proprie competenze, non  abbia  espresso
  nulla  osta  sessanta  giorni  prima  della  data  entro  la  quale
  l'amministrazione  locataria  puo'  avvalersi  della  facolta'   di
  comunicare il recesso dal contratto - Previsione che l'Agenzia  del
  demanio  autorizza  il  rinnovo  dei  contratti  di  locazione  nel
  rispetto dei prezzi di  mercato,  soltanto  a  condizione  che  non
  sussistano immobili demaniali disponibili -  Previsione,  altresi',
  che i contratti stipulati  in  violazione  delle  disposizioni  del
  comma  presente  sono  nulli  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -
  Denunciata   violazione   del   principio   di   uguaglianza    per
  irragionevolezza -  Lesione  della  competenza  regionale  relativa
  all'esercizio dei compiti di amministrazione diretta nelle  materie
  di  propria  competenza  -   Lesione   dell'autonomia   finanziaria
  regionale - Lesione del diritto di proprieta' pubblica regionale. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 388. 
- Costituzione, artt. 3, 42, 117, comma quarto, 118 e 119. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Legge  di  stabilita'  2014  -
  Previsione di  modifiche  ai  contenuti  del  patto  di  stabilita'
  interno riguardo ai limiti della facolta' di spesa  posti  in  capo
  alle Regioni, rispetto al parametro di eurocompatibilita', mediante
  adozione di una tabella contenente i limiti di spesa individuali  a
  valere, per ciascuna Regione a statuto ordinario, per gli anni  dal
  2014 al 2017 - Previsione  del  limite  massimo  di  spesa  per  la
  Regione Veneto di 1.515 milioni di euro per  il  2014  e  di  1.485
  milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017 -  Ricorso
  della Regione Veneto  -  Denunciata  violazione  del  principio  di
  partecipazione delle Regioni alle decisioni dirette alla formazione
  degli atti normativi  comunitari  e  all'attuazione  ed  esecuzione
  degli accordi internazionali e degli  atti  dell'Unione  europea  -
  Lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale   -   Lesione   del
  principio di leale collaborazione. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi 496, 497,  498,  499,
  500 e 501. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, 119, comma terzo, e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Legge  di  stabilita'  2014  -
  Previsto ampliamento della  capacita'  impositiva  e  fiscale  gia'
  riconosciuta alle Province di Trento e Bolzano dallo Statuto per il
  Trentino-Alto Adige, in particolare  con  riferimento  all'elisione
  dei limiti stabiliti dall'art. 5 del d.P.R. n. 670/1972  -  Ricorso
  della Regione Veneto - Violazione del principio di uguaglianza  per
  l'ingiustificato regime di favore della Regione Trentino-Alto Adige
  e delle Province autonome di  Trento  e  Bolzano  -  Lesione  degli
  obblighi internazionali  derivanti  dal  diritto  comunitario,  con
  riferimento alla liberta' di impresa e alla liberta' di concorrenza
  - Lesione del principio di leale collaborazione. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 518. 
- Costituzione, artt. 3, 11, 23, 117, primo comma, e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Legge  di  stabilita'  2014  -
  Previsione che  gli  enti  locali  possono,  con  propria  motivata
  deliberazione, escludere dal regime limitativo le assunzioni per le
  singole aziende speciali  ed  istituzioni  che  gestiscono  servizi
  socio-assistenziali ed  educativi,  scolastici  e  per  l'infanzia,
  culturali e alla persona (ex IPAB),  fermo  restando  l'obbligo  di
  garantire il raggiungimento  degli  obiettivi  di  risparmio  e  di
  contenimento della spesa  di  personale  -  Ricorso  della  Regione
  Veneto - Denunciata violazione della sfera di competenza  regionale
  in materia di assistenza e beneficienza  -  Lesione  dell'autonomia
  finanziaria regionale - Lesione dei principi di  sussidiarieta'  ed
  adeguatezza. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 557. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. 
(GU n.19 del 30-4-2014 )
    Ricorso proposto dalla REGIONE VENETO (C.F. 80007580279 - P.  IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta  regionale,  dr.
Luca Zaia (C.F.  ZAILCU68C27C957O)  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 162 del 20 febbraio 2014 (all. 1) rappresentato e
difeso   nel   presente   giudizio,   tanto   congiuntamente   quanto
disgiuntamente,  come  da  mandato  a  margine  del  presente   atto,
dall'avv.to Ezio Zanon (C.F.  ZNNZEI57L07B563K),  Coordinatore  della
Avvocatura  della  Regione  Veneto,  e   avv.   Luigi   Manzi   (C.F.
MNZLGU34E15HS01V), del foro di Roma, con domicilio eletto  presso  lo
studio del secondo, in Roma via F. Confalonieri, n. 5 (per  eventuali
comunicazioni:        fax         n.         06.3211370,         pec:
luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro   PRESIDENTE   CONSIGLIO   DEI   MINISTRI   pro   tempore,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  con
domicilio ex lege presso la stessa, in Roma via dei Portoghesi 12, 
    e nei confronti di: 
        REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE, in persona  del  presidente  pro
tempore, 
        PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del  presidente  pro
tempore, 
        PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del presidente  pro
tempore; 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
seguenti norme della legge 27 dicembre 2013,  n.  147,  "Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita' 2014)" pubblicata in G.U. n. 302 del 27 dicembre
2013: 
        art. 1, comma 325, per violazione degli  artt.  5,  97,  114,
117, 118, 119 e 120 della Costituzione; 
        art. 1, comma 388, per violazione degli artt. 3, 42, 117,  IV
comma, 118 e 119 della Costituzione; 
        art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501,  per  violazione
degli artt. 117, comma III, 119, comma I, e 120 della Costituzione; 
        art. 1, comma 518, per violazione degli artt. 3, 11, 23, 117,
I comma, e 120 della Costituzione; 
        art. 1, comma 557, per violazione degli artt.117, commi III e
IV, della Costituzione 
 
                           Fatto e diritto 
 
    L'approvazione della legge di  stabilita'  per  il  2014,  L.  27
dicembre 2013, nella ricorrente formula, presente in questa tipologia
di leggi deliberate in scadenza di anno, dell'articolo  unico  svolto
in una molteplicita' di commi ha recato alcune norme che si ritingono
in contrasto con l'ordinamento  costituzionale  nazionale  e  che  si
ritengono impugnabili per i seguenti motivi di illegittimita'. 
    1) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  325,  per
violazione  degli  artt.  5,  97,  114,  117,  118,119  e  120  della
Costituzione. 
    1.1) Il comma 325, dell'art.  1  della  legge  27  dicembre  2013
prevede la proroga delle disposizioni di cui all'art. 1,  comma  115,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228,  relative  al  commissariamento
delle amministrazioni provinciali, applicabile ai  casi  di  scadenza
naturale del mandato nonche' di cessazione  anticipata  degli  organi
provinciali e che intervengono in una data compresa tra il 1  gennaio
e il 30 giugno 2014. 
    Si ritiene che la norma sia in contrasto con le disposizioni  che
riconoscono l'autonomia costituzionale all'intero assetto degli  enti
territoriali, disciplinato dagli artt. 114, 117, 118, 119 e  120,  ma
anche con il disegno costituzionale che governa le autonomie  locali,
di cui all'art. 5 e il principio  di  buon  andamento  dell'attivita'
amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione. 
    Il comma,  che  ha  un  evidente  carattere  transitorio,  appare
collegato a una situazione extragiuridica rappresentata da una  serie
di procedimenti legislativi in corso di doppia natura. 
    Da un lato e' all'esame del Parlamento il  disegno  di  legge  di
riforma costituzionale, approvato dalla Presidenza del Consiglio  dei
Ministri il 5 luglio 2013, per l'abolizione delle Province, e  avente
per contenuto la modifica di alcuni articoli del c.d. Titolo V  della
Costituzione. 
    Per altro verso e' stato licenziato dalla Camera dei Deputati  il
21 dicembre 2013 il Disegno di legge n. 1542 AC  "Disposizioni  sulle
Citta' metropolitane, sulle  Province,  sulle  unioni  e  fusioni  di
Comuni",  che  prevede  la  trasformazione  delle  province  in  ente
amministrativo di secondo livello,  formato  dalla  aggregazione  dei
comuni dove la presidenza e rappresentanza  consiliare,  sono  eletti
dai sindaci dei comuni di riferimento. 
    La   norma   in   contestazione   si   pone    come    estensione
dell'applicazione dell'art. 1, comma 115, della Legge  di  stabilita'
per il 2013 (la legge n. 228/2012) nella parte in  cui  questa  aveva
previsto che: "Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre
2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la  scadenza  naturale  del
mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell'incarico
di Commissario straordinario delle province nominato ai  sensi  delle
vigenti  disposizioni   di   cui   al   testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267, o in altri casi  di  cessazione  anticipata  del
mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente,
e' nominato un commissario straordinario, ai sensi dell'articolo  141
del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del  2000
per la provvisoria gestione dell'ente fino al 31 dicembre 2013". 
    Tra le due disposizioni esiste pero' una sostanziale  differenza,
recata dal sottostante presupposto di  fatto.  In  quanto  mentre  il
comma 325 e'  stato  approvato  con  riferimento  a  delle  possibili
ipotesi di riforma ancora al vaglio del Parlamento, e per  le  quali,
quindi, non vi e' certezza alcuna circa  l'an  ed  il  quomodo,  esse
saranno approvate, la disposizione del comma 115 era  intervenuta  in
una situazione riferita all'esistenza di norme al tempo cogenti e che
avevano disposto in modo diverso circa la formazione degli organi  di
governo dell'ente provincia, rispetto alle disposizioni di  cui  alla
D. Lgs.  267/2000,  contenente  la  disciplina  generale  degli  enti
locali. 
    Il riferimento e' all'art. 23 (commi 14, 15, 16, 17, 18, 19,  20,
20-bis) del decreto-legge n. 201/2011  e  agli  artt.  17  e  18  del
decreto-legge n. 95/2012, dichiarati  costituzionalmente  illegittimi
con sentenza di codesta Corte n. 220 del 3 luglio 2013. 
    1.2) La norma censurata contenuta nell'art. 325, appare quindi in
evidente contrasto con  il  dettato  costituzionale  per  un  duplice
profilo di ragioni. 
    Va in primo  luogo  osservato  che  essa  impedisce  il  corretto
svolgimento, nelle province  gia'  commissariate  o  che  andranno  a
scadere nel primo semestre  del  2014,  delle  funzioni  democratiche
previste per tutti gli enti locali elettivi, e che trova fondamento e
garanzia sia nel principio di sovranita' popolare  su  cui  si  fonda
l'intero ordinamento, sul principio di riconoscimento  dell'autonomia
degli enti locali, affermato dall'art. 5 della Costituzione e attuato
attraverso il gia' menzionato decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.
267. 
    Nello specifico occorre puntualmente rilevare come il  regime  di
commissariamento a cui fa riferimento la norma in questione e' quello
previsto all'art. 141 del menzionato  D.  Lgs.  267/2000,  norma  che
prevede che "con il decreto di scioglimento si provvede  alla  nomina
di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli  con  il
decreto stesso". 
    Tale configurazione, ancorche' al commissario fossero affidati  i
poteri, nella loro pienezza esercitati da tutti gli  organi  ordinari
eletti della provincia,  e'  comunque  collegato  a  una  prospettiva
temporale incerta e comunque ridotta nel  tempo,  condizionata  dalla
supplenza dell'incarico commissariale. 
    Detto incarico non permette, ad esempio,  al  commissario  alcuna
attivita' di contenuto programmatorio o pianificatorio,  non  essendo
certa la prospettiva temporale nel quale esso agisce. 
    Conseguentemente, si produce una  alterazione  del  funzionamento
dell'ente provincia, che non puo' ritenersi,  in  una  situazione  di
governo interinale, pienamente efficiente per garantire  il  corretto
adempimento dei propri compiti, sia nella diretta  espressione  delle
proprie competenze, che nelle relazioni di sussidiarieta' con i  vari
soggetti operanti nell'ambito  delle  autonomia  locali,  cosi'  come
affermate dall'art. 120 della Costituzione. 
    In  riferimento   al   comma   325,   l'estensione   del   regime
commissariale, oltre a non trovare una giustificazione plausibile  su
un presupposto certo e positivo, si riduce ad  essere  uno  strumento
rivolto comprimere, in  via  diretta,  il  corretto  svolgimento  dei
compiti  amministrativi  assegnati  all'ente   provincia   ai   sensi
dell'art. 114,  117,  118,  119  e  120  della  Costituzione,  ma  in
violazione delle stesse disposizioni, ad alterare in via mediata,  le
competenze degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso i
principi di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di
funzioni  di  provenienza  regionale,  concorrono  con  la  provincia
all'esercizio delle funzioni locali. 
    A titolo di esempio  si  indicano,  per  l'esperienza  veneta,  i
contenuti della l.r. 23 aprile 2004, n. 11, "Norme per il governo del
territorio  e  in  materia   di   paesaggio",   che   disciplina   la
pianificazione urbanistica  del  territorio  e  che  conferisce  ampi
compiti alla Provincia nella pianificazione del territorio,  tra  cui
l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali. 
    1.3) Come ulteriore profilo di censura si aggiunga  inoltre  che,
il commissario, ancorche' sia ritenuto organo dell'ente al  quale  e'
preposto, e' nominato da un funzionario dello Stato, il Prefetto. Con
la conseguenza che la prevista determinazione dei poteri di  incarico
e' recata da un atto di governo che, inevitabilmente, per le  ragioni
anzidette, interviene  ingiustificatamente  nell'assetto  complessivo
del funzionamento e delle relazione degli enti locali, in modo idoneo
a sottrarre o modificare l'effettivo esercizio delle loro competenze. 
    Il tutto inoltre senza alcuna  preventiva  e  prevista  forma  di
concertazione o di partecipazione, secondo i contenuti dell'art.  120
Cost., su cui ci si dilunghera' in seguito. 
    1.4)  A  fronte  della  ingiustificata  proroga  del  regime   di
commissariamento delle province, cosi' come disposto dal comma 325, e
a fronte del fatto che il commissario agisce comunque in funzione  di
supplenza dell'attivita' degli organi eletti,  con  un  orizzonte  di
competenze  di  fatto  limitate   e   condizionate,   occorre   anche
rappresentare che l'istituto disciplinato dall'art.  141  del  D.Lgs.
267/2000 e' stato previsto per dar corso alla funzione  di  controllo
sugli organi e non come strumento alternativo di governo degli enti. 
    La previsione di uno strumento durevole (il commissariamento,  ad
esempio, della provincia di Belluno  risale  ad  oltre  due  anni  or
sono), ma al contempo  precario  e'  quindi  da  ritenersi  anche  in
contrasto con il principio di buon andamento della funzione  pubblica
sancito  dall'art.  97  della  Costituzione.  Per  le  ragioni  sopra
esposte, sussiste  anche  da  questo  punto  di  vista,  un  indubbio
pregiudizio al completo dispiegamento delle funzioni provinciali e al
pieno esercizio dei compiti dell'ente. 
    Pregiudizio rimarcato  dall'irragionevolezza  dei  presupposti  e
della durata della proroga del regime di governo commissariale  delle
province, che e' collegata al verificarsi  di  un  evento  futuro  ed
incerto, quale l'approvazione di uno  o  piu'  disegni  di  legge  in
materia,  oltre  che  alla  mancanza  nell'ordinamento  di  un   atto
legislativo vigente e cogente che giustifichi la  mancata  rielezione
degli organi ordinari dell'ente provincia. 
    2) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  388,  per
violazione degli artt.  3,  42,  117,  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione. 
    2.1) Il comma 388 dell'art. 1 della legge 27  dicembre  2013,  n.
147, prevede che l'Agenzia del Demanio  sia  tenuta  a  formulare  un
nulla osta preventivo in ordine al rinnovo dei contratti di locazione
di  immobili  stipulati  da   qualsiasi   amministrazione   pubblica,
all'apparenza inclusa anche quella regionale, con delle  disposizioni
che violano le attribuzioni soggettivamente intese,  in  termini  non
solo di' esercizio di funzioni proprie,  ma  anche  di  capacita'  di
agire iure privatorum, possedute  dall'amministrazione  regionale,  e
secondo   modalita'   procedurali   incompatibili   con   l'autonomia
amministrativa e finanziaria regionale, ponendosi cosi' in  contrasto
con gli artt. 3, 117, comma quarto, 118  e  119  della  Costituzione,
nonche' con gli artt. 3 e 42 della Costituzione medesima. 
    La norma prevede infatti un doppio ordine di poteri, che  offrono
argomento per formulare delle identiche censure di  costituzionalita'
nei confronti di entrambi. 
    Va in primo luogo osservato che il comma in questione dispone che
i contratti di locazione di immobili stipulati dalle  amministrazioni
pubbliche, "non  possono  essere  rinnovati,  qualora  l'Agenzia  del
demanio, nell'ambito delle proprie  competenze,  non  abbia  espresso
nulla  osta  sessanta  giorni  prima  della  data  entro   la   quale
l'amministrazione  locataria  puo'  avvalersi   della   facolta'   di
comunicare il recesso dal contratto". 
    La seguente disposizione invece prevede  che  "Nell'ambito  della
propria competenza di monitoraggio, l'Agenzia del  demanio  autorizza
il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell'applicazione
di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che  non  sussistano
immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati  in  violazione
delle disposizioni del presente comma sono nulli". 
    In entrambi i casi, sia per quanto riguarda il divieto di rinnovo
dei contratti in scadenza, sia per quanto  riguarda  l'autorizzazione
preventiva da parte dell'Agenzia del demanio alla  stipula  di  nuovi
contratti, si ritiene che sia stato  violato  l'art.  117,  comma  4,
della Costituzione in relazione all'art.  118,  nella  parte  in  cui
attribuisce   alla   amministrazione   regionale   i    compiti    di
amministrazione  diretta  nelle  materie  di  propria  competenza,  e
all'art.  119,  che   riconosce   espressamente   alle   regioni   la
possibilita' di avere sia un proprio patrimonio, che  una  "autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto  dell'equilibrio  dei
relativi bilanci". 
    2.2) L'evidente ratio della norma e quella di  poter  valorizzare
il  patrimonio  pubblico  utilizzandolo  in  modo  corrispondente  ai
compiti delle varie amministrazioni o enti  in  modo  da  evitare  il
ricorso a spese per canoni  di  locazione  in  presenza  di  immobili
fruibili ma non utilizzati. 
    Ma a fronte di  questo  lodevole  impegno,  non  si  possono  non
trascurare le conseguenze pratiche di una tale disposizione, che, per
la sua sommarieta', appare di difficile praticabilita'. 
    Essa  infatti  sembra  essere  piuttosto  il   portato   di   una
disattenzione del legislatore, che l'espressione della sua  effettiva
volonta'. 
    Va infatti rilevato che il comma 388 segue  il  precedente  comma
387, che a sua volta apporta delle modifiche ai commi 222, 222 bis  e
224 della legge 23  dicembre  2009  n.  196,  che  contemplano  delle
disposizioni relative al fabbisogno locativo  delle  "Amministrazioni
dello Stato di cui all'articolo 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni,  incluse  la
Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie, anche fiscali" . 
    La circostanza che il riferimento e' alle  amministrazioni  dello
Stato e' peraltro confermato dal tenore dello stesso lungo comma 222.
Il  quale  nel  prescrivere   le   varie   attivita'   imposte   alle
amministrazioni, sempre riferimento a quelle dello Stato, chiamandole
come "medesime" o con espressioni similari. E, quando  si  rivolge  a
quelle che  non  fanno  parte  dell'amministrazione  dello  Stato  le
individua nominandole distintamente. 
    Lo  stesso  parametro  di  identificazione  manifesta  anche   il
successivo  comma  222  bis.  Il  quale  nel  far  riferimento   alle
"Amministrazioni  di  cui  al  precedente  comma  222",  a   riguardo
dell'ottimizzazione degli spazi ad uso  ufficio,  nell'ultimo  inciso
dichiara, demarcando in tal  modo  e  in  modo  evidente  l'autonomia
regionale, che "Le presenti disposizioni  costituiscono  principio  a
cui le  Regioni  e  gli  Enti  locali,  negli  ambiti  di  rispettiva
competenza, adeguano i propri ordinamenti". 
    Alla luce di questa premessa deve ritenersi, per  continuita'  di
disciplina, che l'inciso contenuto nell'esordio del comma 388, e  che
espressamente  richiama  le  "amministrazioni  individuate  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre  2009,  n.  196,  e
successive modificazioni", abbia voluto intendere quelle appartenenti
allo stato, di cui al comma 222 ,e  non  quelle  individuate  con  il
richiamo all'art. 1, comma 2. 
    2.3) Detta ultima disposizione porta infatti a dover  considerare
tutte indistintamente le  amministrazioni  indicate  all'articolo  1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  per  tra  le
quali sono espressamente enumerate anche le regioni, perche' la norma
di rinvio (l'art. 1,  comma  2,  della  L.  196/2009)  non  distingue
affatto quelle statali dalle altre. 
    E' cosi' evidente la distonia del richiamo dovendosi ritenere che
il rinvio operato dal comma 388 debba  essere  invece  riferito  alle
sole amministrazioni dello Stato. Laddove si dovesse invece intendere
che il comma 388 e' rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche,  e'
necessario evidenziare in via  preliminare  la  decontestualizzazione
della disciplina da applicarsi alle regioni rispetto ai  commi  della
L. 196/2009 sopra richiamati. 
    I poteri affidati all'Agenzia del  Demanio,  per  quanto  possono
essere riferiti alle regioni, rimangono infatti del tutto  scollegati
da  qualsiasi  altra  attivita',  preliminare,  connessa  e  comunque
conseguente alle prescrizioni contenute  nei  commi  222  e  seguenti
della L. 196/2009, i quali invece, da quella data, sono applicate  al
fine di conseguire il pieno utilizzo del patrimonio pubblico da parte
delle amministrazioni dello Stato. 
    2.4) Peraltro, nell'alea  di  questa  incertezza  interpretativa,
comporta l'onere di far luogo allo svolgimento dei  seguenti  profili
di censura di incostituzionalita'  del  predetto  comma  388.  Almeno
nella  parte  in  cui  ricomprende  anche  le  regioni.   Questo   in
riferimento alla violazione dell'art.  117,  comma  4,  in  relazione
all'art. 118, che attribuisce alla  amministrazione  regionale  delle
funzioni amministrative dirette nelle materie di propria  competenza,
e  all'art.  119,  che  riconosce  espressamente  alle   regioni   la
possibilita'  di  avere  un  proprio  patrimonio,  e  una  "autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto  dell'equilibrio  dei
relativi bilanci". 
    Si ritiene di far luogo all'illustrazione della censura prendendo
spunto dagli orientamenti provenienti dalla giurisprudenza formata da
alcune recenti pronunce della Corte  Costituzionale,  intervenute  su
casi analoghi. 
    Il primo richiamo e' alla sentenza  n.  376/2003,  in  quanto  si
riferisce al compito di coordinamento della finanza pubblica, nel cui
ambito puo' essere collocata  la  norma  in  questione.  Sia  perche'
approvata nell'ambito della legge di stabilita' per l'anno 2014,  sia
in quanto, come gia' rilevato da codesta Corte, nella sua sentenza n.
284/2012, le norme relative alla valorizzazione  dei  beni  pubblici,
piu' che essere di  contenuto"patrimoniale"  hanno  una  funzione  di
carattere "finanziario". 
    Dando  per  accettata  questa  impostazione,   nella   menzionata
sentenza n. 376/2003 la Corte  Costituzionale  ha  ritenuto  che,  in
linea di principio, "non puo' ritenersi preclusa alla  legge  statale
la possibilita', nella materia medesima, di prevedere e  disciplinare
tali poteri,  anche  in  forza  dell'art.  118,  primo  comma,  della
Costituzione. Il carattere "finalistico" dell'azione di coordinamento
esige che al livello  centrale  si  possano  collocare  non  solo  la
determinazione delle norme fondamentali che reggono  la  materia,  ma
altresi'  i  poteri  puntuali  eventualmente  necessari  perche'   la
finalita' di coordinamento - che di per se'  eccede  inevitabilmente,
in parte, le possibilita'  di  intervento  dei  livelli  territoriali
sub-statali - possa essere concretamente realizzata". 
    Pur tuttavia ha anche precisato che "i poteri in questione devono
essere  configurati  in  modo  consono  all'esistenza  di  sfere   di
autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui  l'azione  di
coordinamento non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali  si
trasformerebbe   in   attivita'   di   direzione   o   in    indebito
condizionamento dell'attivita' degli enti autonomi". 
    Alla luce di tale  impostazione  appare  del  tutto  lacunoso  il
potere di coordinamento in materia di finanza  pubblica  esercitabile
dallo Stato  attraverso  il  comma  388,  proprio  in  ragione  della
circostanza sopra evidenziata. Ovvero che manca una  qualsiasi  altra
manifestazione  di  coordinamento  preventivo  e  correlato  tale  da
rendere effettivamente efficaci le due disposizioni illustrate. 
    Ad esempio la interdizione al rinnovo di qualsiasi  contratto  di
locazione senza il previo nulla osta dell'Agenzia del demanio pone la
corrispondente esigenza di interloquire con l'Agenzia medesima per il
reperimento   di   spazi   alternativi.   Attivita'   di    difficile
praticabilita', se si pensa ai tempi intercorrenti tra la disdetta  e
la  risoluzione  del  contratto,  qualora  non  si  abbia   gia'   la
prospettiva di una diversa sistemazione. 
    Si rinvia ulteriormente ai commi 222 e 222 bis, citati,  per  far
rilevare come le  disposizioni  in  esse  contenute  contengano  vari
elementi per garantire la sostenibilita' dall'intrapresa finalita' di
risparmio e come gli stessi, da tempo abbiano svolto, la funzione  di
coordinamento. Anche se  nei  confronti  delle  sole  amministrazioni
dello Stato. 
    A fronte di questi  i  compiti  interdittivi  affidati  ora  alla
Agenzia  del  demanio  hanno  piuttosto  il  compito  di  rafforzarne
l'efficacia  e  la  cogenza.  Ma  non  di  estendere  la   disciplina
coercitiva ad altri soggetti che non hanno previamente  adottato  gli
stessi strumenti operativi. 
    Appare  pertanto  incongruo,  irragionevole  e  irrazionale,  nei
termini della giurisprudenza formatasi sull'art. 3 della Costituzione
e  per  le  guarentigie  concesse  anche  alla  proprieta'   pubblica
dall'art. 42 della stessa Carta, attribuire all'Agenzia del  demanio,
un potere di dettaglio a fronte della circostanza,  che  in  materia,
l'ordinamento  vigente  ha  assegnato,  ex   comma   222   bis   alle
"disposizioni" contenute nello stesso comma e nel comma precedente,il
carattere di norme di "principio a cui le Regioni e gli Enti  locali,
negli  ambiti   di   rispettiva   competenza,   adeguano   i   propri
ordinamenti". 
    Manca infatti un elemento normativo o  negoziale  intermedio  che
abbia raccordato gli  "adeguamenti"  effettuati  dalle  regioni  alla
disciplina statale, presupposto all'esercizio dei poteri ora affidati
all'Agenzia delle Entrate. 
    Non si  ha  infatti  notizia  che  sia  intervenuto  nemmeno  uno
strumento di  raccordo  istituzionale  in  questo  senso..Ad  esempio
attraverso una intesa ai sensi dell'art. 9, primo  comma  lettera  c)
della L. 281/1997, o che esso sia  altrimenti  maturato  in  sede  di
Conferenza  unificata  stato  regioni,  in  modo  da  poter  ritenere
direttamente introducibile nell'ordinamento regionale il  potere  ora
assegnato alla Agenzia del demanio. 
    L'intesa in materia, conclusa in  sede  di  Conferenza  unificata
potrebbe infatti costituire una  garanzia  procedimentale  -  in  se'
sufficiente, atteso l'oggetto della disciplina - atta  a  contrastare
l'eventuale assunzione, da parte del decreto medesimo,  di  contenuti
lesivi  della  autonomia  garantita  agli  enti  territoriali:  ferma
restando, naturalmente,  la  possibilita'  per  questi  di  esperire,
nell'ipotesi di lesioni, i rimedi  consentiti  dall'ordinamento,  ivi
compreso, se del caso, il conflitto di attribuzioni davanti a  questa
Corte. 
    2.5) Riportandosi sempre alla giurisprudenza di codesta Corte  si
rinviene un diverso profilo di violazione degli art. 117, 118  e  119
della Costituzione per invasione nelle competenze regionali da  parte
del comma 388. In particolare alla  luce  della  dogmatica  formatasi
sull'art. 118. 
    Partendo  dalla  considerazione  della  rilevanza,  precipuamente
contingente in  questo  periodo,  dell'interesse  pubblico  coinvolto
rinvenibile nel  rispetto  del  Patto  di  stabilita'  imposto  dalla
partecipazione  dell'Italia  alla  Comunita'  Europea,  e  ritenendo,
quindi, derogabile a favore dello Stato la competenza ad  intervenire
sul proprio patrimonio da parte delle regioni, anche nelle  attivita'
in cui queste agiscono jure privatorum,  si  richiamano  i  contenuti
della sentenza n. 6 del 2004, nella quale codesta ecc.ma Corte  aveva
ritenuto che una "deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost.  puo'
essere giustificata solo se la  valutazione  dell'interesse  pubblico
sottostante all'assunzione di finzioni regionali da parte dello Stato
sia proporzionata,  non  risulti  affetta  da  irragionevolezza  alla
stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita' e  sia  oggetto
di un accordo stipulato con la Regione interessata". 
    In quel giudizio la Corte  era  pervenuta  alle  conclusione  che
l'attribuzione in  deroga  "deve  risultare  adottata  a  seguito  di
procedure che assicurino la partecipazione  dei  livelli  di  governo
coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione  o,  comunque,
deve prevedere adeguati meccanismi di  cooperazione  per  l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo  agli  organi
centrali". 
    Ma, come rilevato, non si percepiscono, nel testo del comma  388,
o altrove, idonee forme di intesa o collaborazione per l'applicazione
dello stesso nei confronti delle Regioni. Pertanto si ribadisce anche
per questo profilo l'illegittimita' della disposizione impugnata 
    2.6) Infine, ricordando la piu' recente sentenza 284/2012, che si
era occupata, anch'essa del "coordinamento della  finanza  pubblica",
si  rileva  che  questa  ecc.ma  Corte  ha  elaborato  un   ulteriore
requisito, secondo il quale i compiti attribuiti allo Stato  ai  fini
del coordinamento della finanza pubblica sono legittimi nella  misura
in cui:  "a)  stabiliscano  un  "limite  complessivo,  anche  se  non
generale, della spesa  corrente"  per  le  Regioni,.  b)  evitino  di
prevedere in modo dettagliato  le  modalita'  per  il  raggiungimento
degli obiettivi". 
    L'affermazione richiama quanto era peraltro gia'  stato  espresso
nella sentenza n. 182 del 2011,  secondo  la  quale  le  disposizioni
statali  sono  subordinate  alla  condizione   che   sia   consentita
l'estrapolazione, dalle singole disposizioni, "di principi rispettosi
di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale". 
    Nel considerare anche questi  presupposti  non  sembra  si  possa
pervenire a un risultato  che  permetta  di  ritenere  il  comma  388
conforme alla Costituzione, almeno nei  limiti  in  cui  esso  e'  da
ritenersi applicabile alle regioni. Il ruolo infatti attribuito  alla
Agenzia del demanio, non configura infatti alcun limite di  carattere
generale, ma interviene in modo puntuale a limitare in  via  generale
l'autonomia della regione nella sua attivita' di reperimento di spazi
necessari alla sua attivita'. 
    La misura infatti appare sproporzionata rispetto al conseguimento
degli obiettivi nazionali di coordinamento  della  finanza  pubblica,
perche' nella sostanza introducono un potere decisionale,  attribuito
al nulla osta  o  alla  autorizzazione  preventiva  dell'Agenzia  del
demanio, sottraendolo alla regione. Quasi in  forma  sanzionatoria  e
senza che vi sia stato il alcun modo la possibilita' di verificare se
effettivamente sia stato determinato un obiettivo di finanza pubblica
alle regioni anche per l'attivita' locatizia. 
    Senza considerare, come lo si  vedra'  per  l'impugnazione  delle
norme di cui al punto successivo, che alle regioni sono stati imposti
dei  limiti  all'esercizio  della  spesa  corrente,  nella  quale  e'
considerata anche la spesa per l'utilizzo di beni di terzi. 
    3) Illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  commi  496,  497,
498, 499, 500 e 501, per violazione degli artt. 117, comma III,  119,
comma I, e 120 della Costituzione. 
    3.1) I commi 496, 497, 498, 499, 500 e  501  dell'art.  1,  della
legge in argomento apportano alcune modifiche ai contenuti del  patto
di stabilita' interno per quanto riguarda i limiti alla  facolta'  di
spesa posti in capo alle regioni, rispetto al parametro  definito  di
eurocompatibilita'. 
    Come noto, il Patto di stabilita' e  crescita,  introdotto  nella
nostra legislazione con la legge 23 dicembre 1998, n. 448,  art.  28,
trae origine dal  processo  di  integrazione  economica  e  monetaria
dell'Unione europea e non riguarda soltanto gli Stati nazionali ed  i
loro equilibri  finanziari,  ma  coinvolge  tutto  il  sistema  delle
autonomie territoriali, cioe' regioni, province e comuni. 
    Gli obiettivi imposti dalle regole  del  patto  di  stabilita'  e
crescita  devono  essere  condivisi  da  tutti  i  soggetti  pubblici
coinvolti, chiamati a porre in essere comportamenti coerenti al  fine
del comune raggiungimento di tali obiettivi.  Questa  condivisione  e
cooperazione tra Stato,  regioni  ed  autonomie  locali  comporta  la
necessita' di  programmare  la  finanza  degli  enti  allo  scopo  di
partecipare  alla  realizzazione  dei  complessivi  equilibri   della
finanza pubblica in armonizzazione  con  le  politiche  economiche  e
monetarie pensate a livello europeo. 
    Con riguardo alle norme citate merita, in particolare, di  essere
posto in evidenza che "il complesso delle spese finali in termini  di
competenza  eurocompatibile,  indicato  dal  comma  496,  che  va   a
modificare il contenuto del comma 449 dell'articolo 1 della legge  24
dicembre 2012, n. 228, prevede che questo  limite  nelle  "regioni  a
statuto  ordinario  non  puo'  essere  superiore  per   l'anno   2013
all'importo di 20.090 milioni di euro, per l'anno 2014 all'importo di
19.390 milioni di euro e per ciascuno degli anni 2015,  2016  e  2017
all'importo di 19.099 milioni di euro". 
    La  disposizione  peraltro  e'  stata  integrata  rispetto   alla
versione dello scorso anno dalla disposizione di cui  al  comma  497,
che ha inserito il comma 449  bis  dopo  il  comma  449  della  legge
228/2012. 
    Questa ulteriore norma, con illegittima  innovazione,  approva  a
sua volta attraverso lo strumento legislativo una tabella  contenente
limite di spesa individuale a valere, per ciascuna  delle  Regioni  a
statuto ordinario, per gli anni dal 2014 al 2017. Ed  indica  che  il
limite massimo di spesa per la regione veneto e' di 1.515 milioni  di
euro per il 2014 e di 1.485 milioni di euro per ciascuno  degli  anni
2015 - 2017. 
    Determina, cioe' in modo cogente e predeterminato nel  tempo,  il
limite di spesa che le regioni si erano ripartite nell'anno recedente
attraverso un accordo in sede di Conferenza unificata stato  regioni,
recepito in un provvedimento ministeriale  attuativo  dell'accordo  e
comunque coerente con le disposizioni di legge al tempo vigenti. 
    3.2)   Prima   di   rilevarne   i   profili   di   illegittimita'
costituzionale e' opportuno sottolineare che  le  nuove  disposizioni
hanno modificato il precedente assetto che  attraverso  lo  strumento
della legge fissava il limite di spesa euro compatibile solo  in  via
cumulativa, assegnando alle regioni a  statuto  ordinario,  nel  loro
insieme,  l'importo  da  rispettare  e  demandando  a  una   apposita
concertazione, da svolgersi in sede  di  raccordo  istituzionale  tra
Stato e Regioni, la determinazione dei limiti individuali per ciascun
ente sulla base dei comuni parametri predefiniti per legge. 
    Ai sensi dell'art. 20 del decreto  legge  6  luglio  2011  n.  98
"Disposizioni  urgenti  per  la   stabilizzazione   finanziaria"   il
legislatore aveva infatti previsto in via generale che: "A  decorrere
dall'anno 2012 le modalita'  di  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza  pubblica  delle  singole  regioni,  esclusa  la   componente
sanitaria (...) possono essere concordate tra lo Stato e le regioni e
le province autonome (...)". 
    Ed aveva cosi' previsto che all'attuazione di detta  disposizione
fosse dato corso a mezzo  dell'emanazione  di  decreti  del  Ministro
dell'economia e delle finanze, a seguito di  un'intesa  raggiunta  in
sede di Conferenza  Unificata  di  cui  all'articolo  8  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 
    Per contrappunto va anche  rilevato  che  anche  nella  legge  di
stabilita' per il 2013 (L. 24 dicembre  2012,  n.  228)  all'art.  1,
comma  449,  il  legislatore  ha  fissato  in  termini  generali  "Il
complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile
delle regioni a statuto ordinario", ritenendo che il dato complessivo
"non puo' essere superiore, per ciascuno  degli  anni  2013  e  2014,
all'importo di 20.090 milioni, e, per  ciascuno  degli  anni  2015  e
2016, all'importo di 20.040 milioni". 
    Cosi', nel pieno rispetto dei principi  costituzionali  di  leale
collaborazione, il legislatore aveva  anche  previsto,  nello  stesso
comma  449,  con  una  norma  tuttora   vigente,   che   "L'ammontare
dell'obiettivo  di  ciascuna  regione  in   termini   di   competenza
eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al  2016,  e'  determinato
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del
Ministero dell'economia e  delle  finanze  entro  il  31  gennaio  di
ciascun  anno  e  puo'  assorbire  quanto  previsto   dal   comma   2
dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111". 
    Detta  disposizione  e'  stata  peraltro  a  sua  emendata  dalla
disposizione contenuta nella lett. c), dell'impugnato comma 496, dove
le parole "di ciascun anno" sono state sostituite  dalla  esposizione
dell'anno "2013". 
    La novellazione fa quindi venir meno per gli  anni  a  venire,  e
senza una plausibile ragione, qualsiasi possibilita' per  le  regioni
di rivedere i termini economico finanziari della loro  partecipazione
al patto interno di stabilita', ameno per quanto riguarda la  propria
capacita' individuale di spesa. Ed inoltre  di  non  avere  autonomia
decisoria nel definire la quota individuale di ciascuna essendo stata
questa imposta loro per legge fino al 2017. 
    Il  rinvio  effettuato  dal  menzionato  inciso  del  comma   449
(L.228/2012) al secondo comma dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, pone poi in ulteriore evidenza i  criteri  attraverso  i
quali il legislatore ha inteso determinare i limiti individuali della
spesa posti in capo alle Regioni. 
    Limiti che in origine, come si e' visto,  erano  stati  demandati
alla determinazione da parte della Conferenza unificata rapporti  tra
lo Stato e le regioni e  "recepiti"  con  proprio  provvedimento  del
Ministro dell'economia e delle finanze. 
    Ma per effetto della previsione secondo cui il  predetto  decreto
ministeriale avrebbe  dovuto  "assorbire"  i  criteri  contenuti  nel
menzionato comma 2, e' opportuno  riportare  la  norma  dello  stesso
comma 2, dell'art. 20, nella sua integrita'. 
    Alla luce di questa disposizione infatti, tutti gli enti  locali,
"Al  fine  di  distribuire  il  concorso  alla  realizzazione   degli
obiettivi (...) sono  ripartiti  in  due  classi,  sulla  base  della
valutazione ponderata dei seguenti parametri  di  virtuosita':  a)  a
decorrere   dall'anno   2014,   prioritaria   considerazione    della
convergenza tra spesa storica  e  costi  e  fabbisogni  standard;  b)
rispetto del patto di stabilita' interno; c)  a  decorrere  dall'anno
2014, incidenza  della  spesa  del  personale  sulla  spesa  corrente
dell'ente in relazione al numero  dei  dipendenti  in  rapporto  alla
popolazione  residente,  alle  funzioni   svolte   anche   attraverso
esternalizzazioni nonche' all'ampiezza del territorio; la valutazione
del predetto parametro tiene conto del suo  valore  all'inizio  della
legislatura o consiliatura e delle sue  variazioni  nel  corso  delle
stesse; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f)
a decorrere dall'anno 2014, tasso di copertura dei costi dei  servizi
a domanda individuale per gli enti locali; g) a  decorrere  dall'anno
2014,   rapporto   tra   gli   introiti   derivanti    dall'effettiva
partecipazione all'azione  di  contrasto  all'evasione  fiscale  e  i
tributi erariali, per le regioni;  h)  a  decorrere  dall'anno  2014,
effettiva partecipazione degli enti locali  all'azione  di  contrasto
all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate  di  parte  corrente
riscosse e accertate; 1) a decorrere dall'anno  2014,  operazione  di
dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa
vigente". 
    Come si vede, almeno cinque dei criteri sopra menzionati  entrano
in considerazione  solo  a  partire  dal  2014  e  costituiscono  una
evidente diversa base di calcolo ai fini della  rideterminazione  dei
limiti della spesa finanziaria. 
    Con la irrazionale conseguenza che, cambiando nel corso del 2014,
i limiti individuali  di  spesa  compatibile  posti  a  carico  delle
regioni negli anni avvenire a mezzo del comma 497, eludono i  criteri
che si dovranno tenere conto a partire dall'anno corrente. 
    3.3) A margine di questo rilievo va poi aggiunto, ma in  via  del
tutto  in  via  incidentale,  che  tutta  la  normativa  inerente  al
conseguimento  degli  obiettivi  del  patto  di  ha  un   complemento
normativo di contenuto sanzionatorio e, per  converso,  di  carattere
premiale. 
    A questo riguardo, il primo comma del menzionato art. 20 del d.l.
98/2011, prevede che:  "con  decreto  del  Ministro  dell'interno  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con
la Conferenza Stato-citta'  ed  autonomie  locali,  e  le  regioni  a
statuto ordinario, con decreto del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze di concerto con il Ministro  per  gli  affari  regionali,  di
intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono ripartiti in due classi,
sulla base della valutazione ponderata  (...)"  formata  secondo  dei
"parametri di virtuosita'". 
    Cui fa seguito, nel caso di conseguimento di  detta  virtuosita',
ai sensi del terzo comma dell'art. 20 e "fermo  restando  l'obiettivo
del  comparto"  il  riconoscimento  del  miglioramento  dei   "propri
obiettivi del patto  di  stabilita'  interno  per  l'importo  di  cui
all'articolo 32, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183".  Che
per il Veneto e' stato riconosciuto in 122,24 milioni di euro per  il
2014. 
    Per converso a detta norma fa riscontro l'art.  7  del  D.Lgs.  6
settembre 2011,  n.  149,  che  ha  invece  previsto  dei  meccanismi
sanzionatori in caso di mancato rispetto da parte  di  Regioni  e  di
enti locali in genere dei  limiti  posti  nell'ambito  del  patto  di
stabilita'. 
    In ottemperanza all'originaria versione dell'art. 1,  comma  449,
della L. 228/2012 lo scorso anno il Ministro  dell'economia  e  delle
Finanze ha emanato il decreto 20  febbraio  2013,  con  il  quale  ha
operato per l'anno 2013 la "Ripartizione tra  le  Regioni  a  statuto
ordinario  dell'obiettivo  del  patto  di  stabilita'   interno   per
l'esercizio 2013, espresso in termini di competenza euro  compatibile
(...)" attestando che "L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna Regione
in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi  dal  2013
al 2016, e' determinato dalla Conferenza permanente  per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, recepito con decreto del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno e puo'  assorbire  quanto
previsto dal comma 2 dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111". 
    Il decreto  era  peraltro  stato  preceduto  dalla  deliberazione
assunta dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta  del  24  gennaio
2013, che aveva formulato il riparto per ogni singola Regione in modo
comprensivo delle riduzioni  previste  dall'art.  16,  comma  2,  del
decreto-legge n. 95 del 2012  e  delle  risultanze  dell'applicazione
dell'art. 20, commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98,
cosi' come confermato dal predetto  decreto  ministeriale.  3.4)  Con
riferimento  al   procedimento   di   formazione   delle   norme   in
contestazione si ritiene inoltre utile rappresentare  la  circostanza
che in data 14 novembre 2013 la "Conferenza Unificata Stato,  Regioni
ed Enti Locali" aveva espresso il proprio parere sul disegno di legge
recante "Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato" (legge di stabilita' 2014 - Atto  Senato  n.
1120) con voto favorevole condizionato all'accoglimento di una  serie
di emendamenti. (doc. n. 2). 
    Tra i quali l'emendamento  n.  16,  con  il  quale  espressamente
veniva chiesto di sostituire la proposta contenuta all'art. 13, comma
2, del Disegno della legge di stabilita' (Atto Senato  n.  1120)  che
conteneva l'introduzione del  comma  449  bis  all'art.  1  della  L.
228/2012. 
    Mentre invero la versione del  Disegno  di  legge  all'esame  del
Senato gia' conteneva le due disposizioni che sono poi state tradotte
nei commi 496 e 497, la  formula  dell'emendamento  sottolineava  che
"L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione a  statuto  ordinario
in termini di competenza euro compatibile" fosse determinato "per gli
esercizi  dal  2014  al  2017  a  seguito  dell'accordo  in  sede  di
conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e  Bolzano,  con  decreto  del  Ministero
dell'Economia e delle Finanze da emanarsi  entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno" 
    L'emendamento medesimo poi proseguiva proponendo anche un diverso
criterio di identificazione del limite di spesa, correlato a una  sua
piu' congrua determinazione in riferimento a un riparto del limite di
spesa 
    procapite, ovvero "in proporzione della popolazione residente  in
ciascuna regione a statuto ordinario, alla fine del  terzultimo  anno
precedente, secondo i dati ISTAT". 
    Come si ricava dalla relazione  all'emendamento,  le  Regioni  si
erano in tal modo poste il problema di una riforma dei meccanismi  di
appropriata  determinazione  dei  limiti  del  patto  di  stabilita',
ritenendo  che  in  questa  prospettiva  e'   necessario   "garantire
prioritariamente la piu' equa distribuzione del concorso  finanziario
di ciascuna  regione  al  mantenimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica, sia in termini di competenza finanziaria che di  competenza
euro compatibile". 
    Cio' posto, e fuori dai contenuti di questa  digressione,  emerge
comunque la circostanza che, per il fatto che  tale  emendamento  non
sia stato accolto, determina come il  parere  sul  disegno  di  legge
espresso dalle regioni in sede  di  Conferenza  unificata  sia  nella
sostanza negativo. 
    Nel merito la contestazione proveniente  dalle  regioni  riguarda
non solo la determinazione del riparto individuale ex lege, ma  anche
la circostanza che l'assegnazione degli importi  alle  varie  Regioni
sorge dalla volonta' di rimuovere l'irrazionale criterio adottato  in
precedenza e che porta alla circostanza che il limite di  spesa  euro
compatibile varia da regione a  regione  in  maniera  particolarmente
sperequata. 
    Prendendo a riferimento il criterio demografico  risulta  infatti
che il limite di spesa per il Veneto e' di  312  euro  pro  capite  e
quello della Lombardia di 311. Mentre la media nazionale  e'  di  348
euro pro capite. 
    Al contrario altre regioni  godono  di  disponibilita'  ben  piu'
ampie, fono al caso dell'Umbria o della Basilicata che godono di  una
disponibilita' di spesa pro capite di quasi il triplo  rispetto  alla
Regione Veneto. 
      
 
=====================================================================
|    Regione     |   Popolazione   |      Limite       |  Rapporto  |
+================+=================+===================+============+
|    Piemonte    |    4.357.663    |   1.928.000.000   |   442,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|    Liguria     |    1.567.339    |    714.000.000    |   455,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|    Abruzzo     |    1.306.416    |    673.000.000    |   515,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|    Calabria    |    1.958.418    |   1.022.000.000   |   521,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|     Umbria     |     883.215     |    548.000.000    |   620,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|     Molise     |     313.145     |    261.000.000    |   833,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
|   Basilicata   |     577.562     |    539.000.000    |   934,00   |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
 
    Cosi', ad esempio, si  riportano  le  dimensioni  di  spesa  curo
compatibile assegnate con la tabella approvata con il comma  497,  in
rapporto alla consistenza  demografica  delle  singole  regioni  piu'
beneficiate. 
    Si tratta di limiti di  spesa  corrente  che  riguardano  regioni
piccole, con costi generali piu' alti, o che provengono da situazioni
di indebitamento 
    A questo riguardo si ricava dall'esame del verbale  della  seduta
della conferenza unificata del 14 novembre  che  in  quella  sede  il
rappresentante della Regione Veneto, l'assessore al Bilancio, Roberto
Ciambetti, abbia espresso "la preoccupazione della regione Veneto  in
ordine alla tabella di cui all'articolo 13, comma 2, della  legge  di
stabilita',  che  sara'  utilizzata  per  il  riparto  del  patto  di
stabilita' tra  le  Regioni:  segnala  infatti  che  vi  sono  alcuni
stanziamenti che, pur transitando nel bilancio della sua Regione, non
sono nella disponibilita' della Regione medesima, e che pero' vengono
considerate al fine del rispetto dei limiti del  patto,  e  finiscono
percio'   per   rappresentare   un   serio   ostacolo   all'attivita'
amministrativa". 
    Il riferimento  e'  alla  circostanza  che  le  basi  di  calcolo
utilizzate derivano da dati storici,  rilevati  attraverso  l'impiego
della tabella allegata all'art. 19 bis del decreto legge n. 135/2009,
disposizione con la quale il legislatore statale, aveva previsto  che
le Regioni e le Province  autonome  trasmettessero  alla  Commissione
tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo  fiscale  di  cui
all'articolo 4 della legge n. 42  del  2009,  i  dati  relativi  agli
accertamenti e agli impegni, nonche' agli  incassi  e  ai  pagamenti,
risultanti dai rendiconti degli esercizi 2006, 2007 e 2008. 
    I dati di riparto approvati per legge si  riferivano  pertanto  a
rilevazioni storiche, riferiti a un periodo  antecedente  alla  crisi
economica  e  non  pertinenti  ai  fini  della  individuazione  della
capacita' di spesa delle singole regioni, perche' riferiti a frazioni
temporali nelle quali non esistevano canoni  conformi  e  cogenti  di
pareggio di bilancio. 
    3.5) Alla luce della rappresentata evidenziazione si  ritiene  di
formulare le seguenti censure di incostituzionalita'. 
    a) Violazione  del  principio  di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Costituzione in relazione agli art. 117, comma  5,
e 119, comma 1 della  stessa,  nell'adozione  dei  commi  496  e  497
dell'art. 1 della L. 147/2013. 
    L'insieme  delle  tre  disposizioni   costituzionali   menzionate
prevede, che le (art. 119, primo comma) le "Regioni  hanno  autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto  dell'equilibrio  dei
relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici  e  finanziari   derivanti   dall'ordinamento   dell'Unione
europea". 
    A sua volta l'art.  120  richiama,  nell'ambito  degli  opportuni
raccordi tra enti di  rilevanza  costituzionale  e  nel  rapporto  di
sussidiarieta', lo la pratica del principio di  leale  collaborazione
tra gli enti pubblici, che informa  un'ampia  e  variegata  gamma  di
strumenti di raccordo e relazione e forme  e  moduli  procedimentali,
idonei  a   garantire   l'esercizio   coordinato   delle   rispettive
attribuzioni. Modalita' che si traducono in obblighi di  informazione
reciproca, consultazioni informali,  pareri,  intese,  conferenze  di
servizi, convenzioni, accordi di programma. 
    L'art. 117, comma 5, a sua volta prevede che  "le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e  di  Bolzano,  nelle  materie  di  loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione  degli
atti   normativi   comunitari   e   provvedono    all'attuazione    e
all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti  dell'Unione
europea, nel rispetto delle norme di  procedura  stabilite  da  legge
dello Stato (...)". 
    Alla  luce  di  queste  disposizioni  corre  il  rilevo  che   la
disposizione del  comma  449  dell'art.  1  della  L.  228/2012,  non
costituisce solo una norma di carattere economico  appartenente  alla
legge di finanziaria  (o  di  c.d.  stabilita',  dalla  piu'  recente
definizione) ma va rilevato  come  piuttosto  essa  sia  direttamente
applicativa del Patto di stabilita' imposto dalla Comunita' europea e
recepito disciplinato a mezzo della L. 448/1998 e s.m.i.. 
    Da questa legge proviene il potere di limitazione della  facolta'
di spesa posto dallo Stato alle singole regioni. 
    Poiche', dunque,  le  norme  che  impongono  i  limiti  di  spesa
provengono  dal  rispetto  dei  vincoli  di  appartenenza  all'Unione
europea, si pone il problema del rispetto della partecipazione  delle
singole  regioni   all'attuazione   e   all'esecuzione   degli   atti
dell'Unione europea, come previsto dal menzionato comma  5  dell'art.
117. Coerentemente la versione originaria del  comma  449,  risalente
alla previsione  contenuta  nella  legge  228/2012,  aveva  stabilito
limite complessivo delle possibilita' di spesa delle regioni ed aveva
lasciato,  nel  rispetto  delle  loro  autonomie   la   facolta'   di
partecipare alla determinazione dei limiti individuali posti in  capo
a ciascuna. 
    Tale facolta' era coerente con principi di leale collaborazione e
sussidiarieta', espressi nel testo  costituzionale  e  ripresi  nella
originaria versione dello stesso comma 449, dove e' tuttora  previsto
che  sia  la  Conferenza   unificata   a   determinare   'l'ammontare
dell'obiettivo di ciascuna regione  in  termini  di  competenza  euro
compatibile". 
    Essa appare coerente anche con il testo dell'art. 117,  comma  5,
perche' fa parte della possibilita' dallo  stesso  prevista  in  capo
alle regioni di partecipare alle decisioni dirette a dare  attuazione
ed esecuzione agli accordi presi  in  sede  comunitaria  dallo  stato
nazionale. E non stride con la versione  novellati  del  primo  comma
dell'art.119 Cost., che a sua  volta  prevede  che  siano  le  stesse
regioni  di  concorrere,  "ad  assicurare  l'osservanza  dei  vincoli
economici  e  finanziari   derivanti   dall'ordinamento   dell'Unione
europea. 
    Al contrario la modifica apportata al  comma  449  da  parte  del
comma  496  della  L.  147/2013  e   l'introduzione   della   tabella
contemplata nel comma 497, che inserisce il comma 449 bis  nel  testo
della legge 228/2012, sono in palese contrasto con questi principi. 
    b) La nuova formulazione dell'art. 119 cosi' come sopra riportata
collega i  comportamenti  di  bilancio  delle  regioni  all'obiettivo
comune all'intera nazione di  collaborare  nel  comune  interesse  al
raggiungimento degli obiettivi comunitari, ma al contempo  esalta  la
loro posizione di autonomia, che viene sancita dal verbo "concorre". 
    Espressione semantica che non rappresenta affatto un  vincolo  di
subordinazione diretta alle disposizioni del governo nazionale. 
    A fronte di questa impostazione va peraltro anche evidenziato che
la formulazione per legge del limite di spesa,  sia  individuale  che
cumulativo,  non  solo  non  e'  avvenuto  nell'ambito  del  processo
collaborativo previsto  dalle  disposizioni  Costituzionali  e  nella
originaria  versione  del   comma   449,   ma   con   uno   strumento
costituzionalmente incompatibile. 
    Secondo quanto previsto dell'art. 9, comma 2, lett. a), punto  1,
della L. 28 agosto 1997,  n.  281,  la  Conferenza  Unificata  il  14
novembre 2014 ha espresso  un  parere  nell'ambito  del  procedimento
rivolto alla approvazione della legge di stabilita'. 
    Per l'attivita' di concorrenza prevista in capo  alle  regioni  e
per i contenuti dell'art, 117, comma quinto, si  ritiene  invece  che
necessitasse, sulla determinazione dei limiti individuali in  capo  a
ciascuna regione, lo strumento  dell'intesa  previsto  al  successivo
punto c) del comma 1 dell'art. 9 della L. 281/1997. Questo in  quanto
la  determinazione  dei  limiti  di  spesa  a  carico  delle  regioni
riguardava il concorso di queste all'esercizio - in uno con lo  stato
centrale  -  delle  rispettive  competenze"  e  lo  svolgimento   "in
collaborazione attivita' di interesse comune". 
    c) Si pone a questo punto l'accento sulla circostanza che codesta
ecc.ma Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza  anche  recente
(cfr. sent.  39/2013),  ha  enucleato  una  serie  di  principi,  che
incidono  direttamente  sulla  fattispecie   oggetto   del   presente
giudizio. 
    Tra questi ha evidenziato come nel caso in cui sia prescritta una
intesa "in senso forte"  tra  Stato  e  Regioni  -  ad  esempio,  per
l'esercizio  unitario  statale,  in  applicazione  del  principio  di
sussidiarieta', di funzioni attribuite alla competenza regionale - il
mancato  raggiungimento  dell'accordo  non  legittima,  di  per  se',
l'assunzione unilaterale di un  provvedimento  sostitutivo.  Essa  ha
piuttosto ritenuto che tali  fattispecie  si  risolvano  in  "atti  a
struttura  necessariamente  bilaterale",  non  sostituibili  da   una
determinazione del solo Stato (sentenza n. 383 del 2005). 
    Ed ha altresi' osservato come l'assunzione unilaterale  dell'atto
impositivo  non  possa  essere  prevista   come   "mera   conseguenza
automatica del mancato raggiungimento dell'intesa", con cio' causando
un sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita
alla Regione (sentenza n. 179 del 2012). 
    Cosi' come se l'esigenza di garantire il rispetto  del  patto  di
stabilita'  comunitario  pone  a  un  livello  unitario  e  nazionale
l'esercizio degli interessi  in  gioco,  non  per  questo  la  scelta
operata dal legislatore rende legittimo  il  superamento  dei  limiti
alla potesta' legislativa posta in capo allo Stato e alle regioni, in
quanto detto superamento "puo'  aspirare  a  superare  il  vaglio  di
legittimita' costituzionale solo in presenza di  una  disciplina  che
prefiguri un iter in cui assumano  il  dovuto  risalto  le  attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza  n.
303 del 2003). 
    Per la rappresentata ragione i commi 496, 497, 498,  499,  500  e
501,  dell'art.  1  della  L.  147/2013,  che  hanno  imposto  limiti
all'autonomia regionale nella determinazione dei limiti di spesa euro
compatibile appaiono incostituzionali nella loro  integrita'  perche'
in violazione del combinato parametro dettato dagli artt. 119,  comma
1, 117, comma 5 e 120 della Costituzione. 
    3.6) Per altro verso non si puo' non rappresentare che alla  luce
delle stesse norme di rango costituzionale (per la  precisione  degli
art. 117, commi 3 e 4, 119, comma 1) si e' determinata  una  indebita
limitazione della competenza amministrativa della regione. La  quale,
per effetto dei commi 496, 497, 498, 500 e 501 ha  anche  subito  una
invasione esterna delle proprie competenza  essendole  stato  imposto
dallo Stato una riduzione della propria funzione  amministrativa,  in
termini di etero  imposizione  di  un  limite  di  spesa,  altrimenti
riconosciuta come  espressione  dell'autonomia  costituzionale  della
regione medesima. 
    3.7) Un ulteriore motivo di censura, nasce dal riscontro relativo
allo scarso coordinamento del testo normativo del  comma  449  e  dei
successivi, in conseguenza dell'applicazione dei commi 496 e seguenti
della L. 147/2013. 
    Il  nuovo  testo  coordinato  del  comma  449,  a  seguito  delle
modifiche introdotte dalle lettere a), b) e c) del comma 496  citato,
recita nel seguente modo: complesso delle spese finali in termini  di
competenza eurocompatibile delle regioni  a  statuto  ordinario,  non
puo' essere superiore, per l'anno 2013 all'importo di 20.090  milioni
di euro, per l'anno 2014 all'importo di 19.390 milioni di euro e  per
ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 all'imposto di  19.099  milioni
di euro. L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di
competenza eurocompatibile,  per  l'esercizio  2013,  e'  determinato
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del
Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31  gennaio  2013  e
puo' assorbire quanto previsto  dal  comma  2  dell'articolo  20  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. In caso di mancata  deliberazione
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero
dell'economia e  delle  finanze  e'  comunque  emanato  entro  il  15
febbraio 2013,  ripartendo  l'obiettivo  complessivo  in  proporzione
all'incidenza  della  spesa  espressa  in   termini   di   competenza
eurocompatibile di ciascuna regione, calcolata sulla base  dei  dati,
relativi al 2011, trasmessi ai sensi dell'articolo 19-bis,  comma  1,
del  decreto-legge  25  settembre  2009,  n.  135,  convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  20  novembre  2009,  n.  166,  e,   ove
necessario, sulla base delle  informazioni  trasmesse  dalle  Regioni
attraverso il monitoraggio del patto di stabilita' interno del 2011".
(Le sottolineature  sono  state  apposte  per  evidenziare  le  parti
modificate) 
    Da questa esposizione emerge che la  novella  ha  introdotto,  in
modo contraddittorio e irragionevole, una doppia  disciplina  per  il
governo della stessa attivita', che e' stata diversificate a  seconda
degli anni di riferimento. 
    Infatti con riferimento al 2013 l'attuale  disposizione  prevede,
per la determinazione  del  limite  della  spesa  eurocompatibile  il
conseguimento di un'intesa  nell'ambito  della  Conferenza  Unificata
Stato - Regioni. Mentre da  tale  intesa,  pare  che  il  legislatore
nazionale ha inteso prescindere predeterminando per legge  il  limite
di spesa per gli anni successivi. 
    Ed e'  evidente  l'irrazionalita'  e  l'irragionevolezza  di  una
simile  disposizione,  che  a  parte  la   definizione   del   limite
complessivo di spesa  per  gli  anni  a  venire,  non  fa  altro  che
descrivere una procedura  riferita  al  2013.  In  contrasto  con  il
contenuto   dell'art.   11   delle   preleggi   essa,   dunque,    ha
disciplinato... il passato. 
    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 518, per
violazione degli  artt.  3,  11,  23,  117,  I  comma,  e  120  della
Costituzione. 
    4.1) Il comma 518 dell'articolo 1 della legge 27  dicembre  29013
n.  147,  ha  ampliato  la  capacita'  impositiva  e   fiscale   gia'
riconosciuta alle province di Trento e Bolzano dallo Statuto  per  il
Trentino Alto-Adige, come ricompreso nel Testo  unico  approvato  con
D.P.R.  31  agosto  1972,  n.  670,  soprattutto  con  il   prevedere
l'elisione del  riferimento  ai  limiti  stabiliti  dall'art.  5  del
medesimo D.P.R.  che,  in  un'ottica  di  unita'  e  di  eguaglianza,
sottoponeva comunque la potesta' legislativa regionale in materia  di
finanza locale, ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato. 
    Il comma sostituisce il precedente  articolo  80,  relativo  alla
competenza in materia tributaria della Regione Trentino - Alto Adige,
di fatto  attribuendole  una  funzione  piena  nell'ampio  numero  di
materie di sua competenza. 
    Questo intervento legislativo interviene nel mezzo di un continuo
confronto confinario per lo status di grande e generale  agevolazione
che godono gli operatori economici,  soprattutto  quelli  alberghieri
delle province di Trento e Bolzano, rispetto agli operatori veneti  e
lombardi limitrofi. 
    L'oggetto del disagio attiene al diverso regime agevolazioni  sia
dirette,  attraverso   importanti   finanziamenti,   sia   indirette,
attraverso un  trattamento  tributario  gia'  ampiamente  favorevole,
goduto dai colleghi trentini ed altoatesini. Con la  conseguenza  che
le diverse opportunita' finanziarie e fiscali incidono  profondamente
sui fondamentali delle  imprese  che  operano  nello  stesso  settore
turistico e in un territorio omogeneo,  sovvertendo  ogni  canone  di
sana ed effettiva concorrenza. 
    Basti considerare la zona dolomitica dove  l'attivita'  turistica
riveste un ruolo essenziale nell'economia  locale  e  montana.  Nella
quale, a fronte  di  un  unico  bacino  territoriale,  sono  presenti
imprese  che  invece  operano  muovendo  da   presupposti   economici
fortemente disomogenei e diversificati in base alla loro residenza. 
    Tale  condizione  e'  in  manifesto  contrasto  con  il   diritto
comunitario e, in particolare,  con  quanto  affermato  dall'art.  16
della Carta dei diritti fondamentali della Unione  europea,  dove  si
afferma  e  tutela  il  riconoscimento  della  "liberta'   d'impresa,
conformemente al diritto comunitario e  alle  legislazioni  e  prassi
nazionali". 
    Affermazioni di principio,  quelle  comunitarie,  che  riguardano
anche l'obiettivo di conseguire  la  coesione  sociale  ed  economica
oppure  il  canone  della  libera  concorrenza  (cfr.   il   Trattato
istitutivo della Unione europea - c.d. di Roma, art. 82 che  dichiara
"incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura  in  cui
possa essere  pregiudizievole  al  commercio  tra  Stati  membri,  lo
sfruttamento abusivo da parte di una o piu' imprese di una  posizione
dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale  di  questo".
Con cio' indicando tra le pratiche discriminatorie (alinea  2,  punto
c), l'applicare nei rapporti commerciali  con  gli  altri  contraenti
condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando  cosi'
per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza"). 
    Che sul lago di Garda o nel comprensorio delle  Dolomiti  sia  in
atto una alterazione della libera concorrenza per il sostegno che  le
autonomie  locali  possono  garantire  alle  loro  imprese  e'   cosa
assodata. Basti per tutti  il  richiamo  all'articolo  immediatamente
precedente a quello dello statuto trentino modificato dal comma  518,
qui impugnato, il numero 79, che ha previsto al  comma  1,  lett.  c)
l'istituzione  di  un  fondo  perequativo  a  favore  dei   territori
confinanti, e che e' destinato alle politiche di  investimento  e  di
coesione sociale, avente per oggetto: "il finanziamento di iniziative
e   di   progetti,   relativi   anche   ai   territori    confinanti,
complessivamente in misura  pari  a  100  milioni  di  euro  annui  a
decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia". 
    A fronte di  questa  situazione,  e  del  tutto  asimmetricamente
rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, il comma 518 dell'art.  1,
della L. 147/2013, concorre  a  realizzare  un  ulteriore  squilibrio
strutturale, che si ritiene, anche in  termini  di  conformita'  alla
Costituzione, del tutto incompatibile, perche'  contrastante  con  il
principio di unitarieta'  ed  indivisibilita'  della  Repubblica,  di
eguaglianza  sostanziale  nei  confronti  della  legge,  sia  con   i
principi,  di  derivazione  comunitaria,  enucleati  in  materia   di
attrattivita' territoriale e rilevanti  nell'ordinamento  interno  in
base a quanto disposto dall'art.117, comma 1, della Costituzione. 
    Il comma  in  questione,  introduce  infatti  un  regime  fiscale
differenziato, che altera le  condizioni  economiche  e  patrimoniali
degli operatori economici, e configura una violazione degli artt.  3,
23 ed 11 della Costituzione, in quanto  procura  una  discriminazione
economica, ingiustificata  su  base  territoriale  che  incide  sulle
liberta' fondamentali riconosciute dall'Unione europea. 
    4.2) Come detto la disposizione del comma 518, va a modificare il
primo comma dell'art. 80 del D,P,R.  670/1972,  il  Testo  unico  che
contiene lo statuto di specialita'  della  regione  Trentino  -  Alto
Adige, e permette alle due Province autonome non solo  di  introdurre
dei tributi locali al di fuori dall'abito in precedenza  circoscritto
alle  materie  di  cui  all'art.  5  (ordinamento  delle  istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza e  ordinamento  degli  enti  di
reddito fondiario e di credito agrario, delle Casse  di  risparmio  e
delle Casse rurali, nonche' delle  aziende  di  credito  a  carattere
regionale), ma di disciplinare, al comma  2  dell'art.  80,  tutti  i
tributi,  tra  i  quali  anche  quelli  "locali  comunali  di  natura
immobiliare  istituiti  con  legge  statale,  anche  in  deroga  alla
medesima  legge  (!)  definendone  le   modalita'   di   riscossione"
consentendo  "agli  enti  locali  di  modificare  le  aliquote  e  di
introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni". 
    Da qui l'interesse e la legittimazione della Regione Veneto  alla
presentazione del  presente  motivo  di  impugnazione,  ancorche'  la
disposizione sia operante al fuori dai propri  confini  territoriali,
in quanto la norma condiziona e altera le proprie  politiche  per  il
turismo e la montagna, che sono state  gia'  ampiamente  condizionate
dalle situazione storiche di vantaggio economico  riconosciuto  dallo
statuto trentino al turismo locale. 
    Tant'e' che, in attuazione dell'art. 79 del DPR  670/1972,  sopra
menzionato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri  ha  emanato  il
Decreto 14 gennaio 2011 dal titolo "Modalita' di  riparto  dei  fondi
per lo sviluppo dei comuni siti  nelle  regioni  Veneto  e  Lombardia
confinanti con le  provincie  autonome  di  Trento  e  Bolzano",  che
prevede, come riporta l'art. 1, "Il presente decreto,  in  attuazione
dell'articolo 2, commi 117, 118, 119,  120  e  121,  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191, di seguito  denominata  «legge»,  assicura  il
concorso  delle  province  autonome  di  Trento  e  di   Bolzano   al
conseguimento  degli  obiettivi  di  perequazione   e   solidarieta',
attraverso il finanziamento di progetti, di durata anche pluriennale,
per   la   valorizzazione,   lo   sviluppo   economico   e   sociale,
l'integrazione e la coesione dei territori  dei  comuni  appartenenti
alle   province   di   regioni   a   statuto   ordinario   confinanti
rispettivamente  con  la  provincia  autonoma  di  Trento  e  con  la
provincia autonoma di Bolzano, con un intervento finanziario da parte
di ciascuna di esse determinato nella somma di  40  milioni  di  euro
annui ciascuna". 
    In tale decreto sono ammessa a finanziamento (art. 3)  "i  comuni
della regione Veneto e quelli della regione Lombardia confinanti  con
la provincia autonoma di  Trento  o  con  la  provincia  autonoma  di
Bolzano". 
    Con cio' incidendo direttamente sulle competenze regionali venete
perche' i finanziamenti sono erogati per progetti (cfr.  art.  8)  su
progetti di competenza della  stessa  Regione  in  quanto  riguardano
ambiti inerenti a: "il sostegno sociale, assistenziale,  abitativo  o
educative;  (...)   che   favoriscano   l'occupazione   giovanile   o
l'attivita' imprenditoriale giovanile; che  favoriscano  il  turismo;
(...) che garantiscano  la  crescita  complessiva  dei  territori  di
confine; (...) lo sviluppo  delle  zone  svantaggiate  e  delle  aree
montane (...); che garantiscano la  sostenibilita'  dei  risultati  a
vantaggio  dei  cittadini  e  delle  imprese;  che   valorizzino   il
territorio e al contempo migliorino il sistema Paese; che  dimostrino
la coerenza delle azioni degli enti locali con i piani regionali". 
    4.3) La norma in questione e' percio' da ritenersi in  violazione
delle norme Costituzionali accennate, perche' lesiva sia dei  diritti
tutelati dal  diritto  comunitario,  primo  tra  tutti  quello  della
liberta' di impresa, ma anche quello alla coesione sociale e a  tutti
i diritti  i  cui  ambiti  di  intervento  sono  finanziati  a  mezzo
dell'art. 79  dello  statuto  trentino  a  favore  delle  popolazioni
confinanti. E, quindi degli art. 117, primo  comma,  23  e  11  della
Costituzione. 
    Ma   perche',   soprattutto   attua   un   processo    di    c.d.
"discriminazione inversa", in contrasto con l'art. 3,  secondo  comma
della  Costituzione,  dove  l'azione  ritenuta  positiva,  ovvero  la
possibilita' di conseguire un beneficio fiscale, si  innesta  su  una
situazione di ampio vantaggio  economico,  comunque  garantito  dallo
statuto  di  autonomia  trentina   e   dai   relativi   trasferimenti
finanziari. La norma dunque non avvantaggia  i  beneficiari  piu'  di
quanto discrimina le popolazione confinanti per i rilevanti ulteriori
differenziali  economici  che  saranno  causati  dal  diverso  regime
fiscale  attivabile  in  Trentino  in  deroga  a  quello   nazionale,
attraverso  l'ingiusta  previsione  contenuta   nel   secondo   comma
dell'art. 80 novellato dello statuto trentino. 
    Il tutto con una ricaduta diretta anche  sul  bilancio  regionale
veneto che sara' costretto ad  intervenire  in  via  perequativa  per
rimuovere le ulteriori differenze territoriali. 
    Ma ancora, con riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  si
rileva l'irragionevolezza della novella dell'art. 80, che nel preteso
interesse  di  rendere  vantaggio  a  una   situazione   territoriale
garantita normativamente  per  le  sue  peculiarita'  territoriali  e
culturali, finisce con il  finanziare  un  fondo  che  e'  rivolto  a
ridurre gli svantaggi causati da tali opportunita'. 
    Per queste ragioni si ritiene che il comma 518 sia  in  contrasto
con il combinato disposto degli art. 117, primo comma, 23,  11  e  3,
secondo comma, della Costituzione. 
    E che sia comunque in contrasto con l'art. 3, commi 1 e 2,  della
stessa Carta costituzionale. 
    5) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 557, per
violazione degli artt.117, commi III e IV, della Costituzione 
    5.1) Il comma 557 della legge 27 dicembre 2013, n.  147,  recante
"Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2014)" ha sostituito il comma 2  bis
dell'articolo  18  del  decreto-legge  25  giugno   2008,   n.   112,
convertito. con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
statuendo in materia di reclutamento del  personale  delle  'societa'
pubbliche',  tra  l'altro,  che  "Fermo  restando   quanto   previsto
dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti  locali  di
riferimento possono escludere, con  propria  motivata  deliberazione,
dal regime limitativo le  assunzioni  di  personale  per  le  singole
aziende   speciali   e    istituzioni    che    gestiscono    servizi
socio-assistenziali  ed  educativi,  scolastici  e  per   l'infanzia,
culturali e alla persona (ex IPAB)  e  le  farmacie,  fermo  restando
l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio
e di contenimento della spesa di personale." 
    Tale disposizione di legge  risulta  violativa  della  competenza
legislativa  regionale  sotto  un  duplice  connesso  profilo.  Lede,
infatti, al contempo il comma 3 e il  comma  4  dell'art.  117  della
Costituzione della Repubblica italiana, e, in via mediata, pur  anche
l'art. 118  della  Costituzione,  traslando  irragionevolmente  e  in
violazione  dei  principi  di  sussidiarieta'   e   adeguatezza   una
competenza amministrativa propria della  Regione  a  favore  di  enti
locali sub-regionali. 
    Quanto al primo profilo  d'illegittimita'  costituzionale,  giova
ricordare, in via  preliminare,  che  la  disciplina  delle  ex  IPAB
rientra nella materia "socio-assistenziale" ovvero della  "assistenza
e beneficenza" (v., ex multis, Corte Costituzionale  n.  195  del  28
aprile 1992). Per cui, a seguito della riforma del  Titolo  V°  della
Costituzione della Repubblica italiana, essa deve ritenersi  devoluta
alla competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni. 
    Nondimeno, l'incidenza della disposizione statale impugnata su un
ambito materiale di competenza residuale regionale, quale  e'  quello
concernente le ex IPAB, non esclude,  di  per  se',  la  legittimita'
dell'intervento legislativo e impone,  invece,  di  vagliare  in  via
preliminare la materia di appartenenza della disposizione legislativa
sottoposta all'esame della Corte Costituzionale.(Corte cost.  n.  237
del 24 luglio 2009) 
    Di fatti, "la giurisprudenza costituzionale ha precisato che, nel
caso in cui una normativa interferisca con  piu'  materie  attribuite
dalla Costituzione, da un lato, alla potesta' legislativa statale  e,
dall'altro, a quella concorrente o residuale delle  Regioni,  occorre
preliminarmente individuare l'ambito materiale che possa considerarsi
nei singoli casi prevalente. E,  qualora  non  sia  individuabile  un
ambito materiale  che  presenti  tali  caratteristiche,  la  suddetta
concorrenza di competenze,  in  assenza  di  criteri  contemplati  in
Costituzione,  giustifica  l'applicazione  del  principio  di   leale
collaborazione, il quale deve,  in  ogni  caso,  permeare  di  se'  i
rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie" (sentenza  n.  50
del 2008) 
    5.2) Nel  caso  di  specie,  sulla  base  di  tali  parametri  di
riferimento e  alla  luce  della  collocazione  geografico-normativa,
potrebbe farsi rientrare la disposizione in parola nell'ambito  della
materia concorrente del "coordinamento della finanza pubblica  e  del
sistema  tributario",  come  peraltro  pare  fare  la  stessa   Corte
Costituzionale in altra decisione. (n. 161 del 27 giugno 2011) 
    A tale specifico riguardo e' stato, poi,  sottolineato  che  "una
disposizione  statale  di   principio,   adottata   in   materia   di
legislazione  concorrente,  quale  quella  del  coordinamento   della
finanza pubblica, puo' incidere su una o piu' materie  di  competenza
regionale, anche di tipo  residuale,  e  determinare  una,  sia  pure
parziale, compressione degli spazi entro cui possono  esercitarsi  le
competenze legislative e amministrative delle  Regioni"  (ex  multis,
sentenze n. 159 del 2008; n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005). 
    In tal caso,  pero',  sara'  necessario  verificare  in  concreto
l'atteggiarsi del rapporto tra  la  norma  statale  e  la  competenza
regionale, ossia occorrera' accertare se la  prima  sia  rimasta  nei
limiti imposti alla normazione di principio. Limiti i quali impongono
che si prescrivano esclusivamente criteri ed obiettivi,  mentre  alla
normativa  regionale  spettera'  l'individuazione   degli   strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (n.  181  del
2006). 
    Nello  specifico  Caso  della  materia  del  coordinamento  della
finanza pubblica, perche' risultino rispettati tali  limiti,  occorre
che ricorrano due condizioni: in primo luogo, che le nonne statali si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel
senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non
generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano
in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei
suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del  2008,  n.  139  del
2009). 
    In proposito e come ulteriore requisito-limite, la Corte ha anche
attenuato che la specificita' delle prescrizioni, se di per  se'  non
puo' escludere il carattere di principio di una norma, occorre  pero'
che "risulti legata al principio stesso da un  evidente  rapporto  di
coessenzialita' e di necessaria integrazione" (sentenza  n.  430  del
2007). 
    5.3) Alla luce di tale ricostruzione di principio, e  passando  a
esaminare il caso di specie, si puo' rilevare in primo luogo  che  la
disposizione statale impugnata non solo e' priva del carattere  della
generalita' e della teleologia funzionale richieste a una  norma  che
dovrebbe essere  mero  principio  fondamentale  di  legislazione,  ma
addirittura costituisce  una  puntuale  e  specifica  eccezione  alla
regola generale imposta dalla norma medesima in via generale al  fine
del contenimento della spesa pubblica. 
    In secondo luogo, manca quel rapporto  di  coessenzialita'  e  di
necessaria integrazione con la normazione di principio e con  i  fini
generali di coordinamento della finanza pubblica sottesi alla stessa,
come evidenziato dalla clausola di salvaguardia posta  a  conclusione
della norma, che  limita  infatti  l'operativita'  dell'eccezione  in
parola sulla base del criterio del "raggiungimento degli obiettivi di
risparmio e di contenimento della spesa  di  personale".  Il  che  fa
propendere per  una  sostanziale  estraneita'  di  tale  disposizione
rispetto alla stessa  materia  concorrente  del  coordinamento  della
finanza pubblica. 
    Ossia la norma in parola, per  il  suo  carattere  eccezionale  e
derogatorio,  sembra  addirittura  esulare  in  senso  stretto  dalla
materia del coordinamento della finanza pubblica e invece rientrare a
pieno diritto nella materia  della  "assistenza  e  beneficenza",  la
quale  pero'  e'  riservata  alla  competenza  legislativa  regionale
esclusiva. Con la conseguenza  che  quest'ultima  pare  lesa  in  via
diretta per violazione dell'art. 117,  comma  4  della  Costituzione,
introducendo la norma statale  una  puntuale  disciplina  in  materia
sottratta alla propria competenza, e  in  contrasto  con  la  vigente
legislazione regionale e  pur  anche  statale  in  materia,  come  di
seguito sara' evidenziato. 
    Peraltro, anche qualora si volesse ritenere  la  disposizione  in
parola  sussumibile  nella  materia  di   legislazione   concorrente,
comunque essa, esorbitando dall'ambito proprio  della  normazione  di
principio dovrebbe comunque ritenersi illegittima ex art. 117,  comma
3 della Costituzione. 
    5.4) Che la norma in parola risulti  materialmente  lesiva  della
competenza regionale  emerge,  poi,  esaminandone  il  contenuto,  in
quanto la stessa attribuisce una competenza gestionale, con  evidenti
ripercussioni organizzatorie,  agli  "enti  locali  di  riferimento",
anziche' alle Regioni. E cio', pur non avendo lo Stato  potesta'  per
compiere un tale attribuzione, rientrando la relativa  materia  nella
competenza esclusiva regionale. 
    Le c.d. ex IPAB,  infatti,  sia  nella  forma  della  Azienda  di
servizio di cui al D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 sia nella  forma  di
persona giuridica di diritto privato  non  possono  in  nessuna  caso
essere ricondotte all'ambito potestativo pubblico degli  enti  locali
(si veda a tal riguardo la puntuale ricostruzione fatta dal Consiglio
di Stato nella decisione n. 661 del 2009). 
    Peraltro, tali  enti  sono,  come  rilevato  dalla  stessa  Corte
Costituzionale nella recente decisione n. 161  del  27  giugno  2012,
"enti   infraregionali   connotati   da   una   gestione   di    tipo
imprenditoriale delle  proprie  risorse,  connotati  da  una  elevata
peculiarita'", il che pur permettendo l'applicabilita'  delle  regole
degli enti locali agli stessi,  non  ne  consente  l'assimilazione  a
questi ne' li vedi sottoposti alla potesta' di questi ultimi. 
    Conferma di cio' si ricava dalla stessa legislazione statale che,
nel fondamentale D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207, recante "Riordino del
sistema delle istituzioni pubbliche  di  assistenza  e  beneficenza",
attribuisce o, rectius, riconosce alle Regioni molteplici  competenze
in ordine  al  funzionamento,  all'organizzazione,  alla  disciplina,
anche finanziaria e contabile delle ex IPAB. Basti  pensare  che  gli
statuti e i regolamenti di organizzazione  delle  stesse,  aventi  un
ruolo fondamentale in ordine al governo delle Aziende  in  questione,
devono essere inviati alla Regione, che li approva nel termine e  con
le  modalita'  previste  dalle  leggi  regionali.   Nessuna   diretta
competenza e' invece prevista per gli enti locali "di riferimento". 
    Con specifico riguardo, poi, al personale l'art. 11 del  medesimo
decreto legislativo statuisce che "i  requisiti  e  le  modalita'  di
assunzione del personale sono determinati dal menzionato  regolamento
di  organizzazione"  e,  quindi  sono   sottoposti   all'approvazione
regionale. 
    5.5)  Quanto  alla  legislazione  regionale,  essa  conferma   il
riconoscimento in capo alla Regione  di  compiti  di  programmazione,
indirizzo,  controllo  e  vigilanza,  che  risulterebbero  vanificati
qualora in modo improprio venisse  attribuito  agli  enti  locali  un
potere gestorio-organizzatorio sulle ex IPAB, in assenza di qualsiasi
coordinamento con l'ente  regionale  sovraordinato  (art.  129  legge
regionale 13 aprile 2001, n. 11; art. 3  Legge  regionale  16  agosto
2007, n. 23) 
    Alla luce di cio', l'attribuzione di  una  competenza  agli  enti
locali di riferimento in  ordine  alla  possibile  deroga  al  regime
limitativo delle assunzioni di personale appare  non  solo  violativa
della competenza legislativa regionale ex art. 117, commi 3 e 4 della
Costituzione, ma anche lesiva  delle  prerogative  riconosciute  alla
Regione dall'art. 118 Cost., in particolare per violazione dei canoni
di sussidiarieta' e adeguatezza, cosi' come interpretati dalla  Corte
costituzionale. (decisione n. 6 del 13 gennaio 2004) 
    In un sistema  di  competenze  e  funzioni  amministrative,  come
quello delineato dalla legislazione statale e regionale in materia di
ex IPAB, tale traslazione di competenza a favore degli enti locali di
riferimento appare, infatti, priva sia del richiesto requisito  della
ragionevolezza  che  di  quello  teleologico  della  migliore  tutela
dell'interesse pubblico sotteso alla  competenza  amministrativa  sia
infine della necessaria consensualita' in ordine all'attribuzione  di
competenza, sotto forma di previo accordo con le Regioni. 
    Onde superare i plurimi  vizi  di  costituzionalita'  evidenziati
pare possibile prospettare  un'esegesi  costituzionalmente  orientata
della norma impugnata, nel senso che la stessa  utilizzi  il  termine
"enti locali di riferimento" in modo generico, ossia  tale  da  poter
ricomprendere nel suo ambito semantico giuridico le stesse Regioni  e
da vincolare le determinazioni degli altri enti locali di riferimento
ad un assenso da parte della  Regione,  quale  ente  competente  alla
disciplina al controllo e alla vigilanza delle ex IPAB. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia accogliere le richieste presentate nel ricorso indicato in
epigrafe e dichiari l'illegittimita' costituzionale  dei  commi  325,
388, 496, 497, 498, 499, 500, 501, 518  e  557,  dell'art.  1,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147. 
    Si depositano: 
        1) atto di autorizzazione alle liti; 
        2) parere  della  Conferenza  unificata  Stato  Regioni  Enti
Locali del 14 novembre 2013. 
          Venezia - Roma 24 febbraio 2014. 
 
                       Avv. Zanon - Avv. Manzi