N. 21 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2014
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 marzo 2014 (della Regione Veneto). Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Commissariamento delle amministrazioni provinciali - Previsione di commissariamenti nei casi di scadenza naturale del mandato, nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali che intervengano in una data compresa tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2014 - Previsione che i commissariamenti gia' avviati e quelli di nuova attivazione cessano al 30 giugno 2014 - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata istituzione o rinnovo di commissariamenti eccezionali basati sulla disciplina di riforma delle Province dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 210/2013 - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione dell'autonomia costituzionale e finanziaria regionale, nonche' dell'autonomia provinciale - Lesione del principio di buon andamento - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 325. - Costituzione, artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Previsione che i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni individuate ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 190 (tra cui rientrano le Regioni, le Province autonome, gli enti locali ed i rispettivi enti strumentali) non possono essere rinnovati, qualora l'Agenzia del demanio, nell'ambito delle proprie competenze, non abbia espresso nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale l'amministrazione locataria puo' avvalersi della facolta' di comunicare il recesso dal contratto - Previsione che l'Agenzia del demanio autorizza il rinnovo dei contratti di locazione nel rispetto dei prezzi di mercato, soltanto a condizione che non sussistano immobili demaniali disponibili - Previsione, altresi', che i contratti stipulati in violazione delle disposizioni del comma presente sono nulli - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Lesione della competenza regionale relativa all'esercizio dei compiti di amministrazione diretta nelle materie di propria competenza - Lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Lesione del diritto di proprieta' pubblica regionale. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 388. - Costituzione, artt. 3, 42, 117, comma quarto, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Previsione di modifiche ai contenuti del patto di stabilita' interno riguardo ai limiti della facolta' di spesa posti in capo alle Regioni, rispetto al parametro di eurocompatibilita', mediante adozione di una tabella contenente i limiti di spesa individuali a valere, per ciascuna Regione a statuto ordinario, per gli anni dal 2014 al 2017 - Previsione del limite massimo di spesa per la Regione Veneto di 1.515 milioni di euro per il 2014 e di 1.485 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017 - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di partecipazione delle Regioni alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e all'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea - Lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501. - Costituzione, artt. 117, comma quarto, 119, comma terzo, e 120. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Previsto ampliamento della capacita' impositiva e fiscale gia' riconosciuta alle Province di Trento e Bolzano dallo Statuto per il Trentino-Alto Adige, in particolare con riferimento all'elisione dei limiti stabiliti dall'art. 5 del d.P.R. n. 670/1972 - Ricorso della Regione Veneto - Violazione del principio di uguaglianza per l'ingiustificato regime di favore della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e Bolzano - Lesione degli obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario, con riferimento alla liberta' di impresa e alla liberta' di concorrenza - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 518. - Costituzione, artt. 3, 11, 23, 117, primo comma, e 120. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2014 - Previsione che gli enti locali possono, con propria motivata deliberazione, escludere dal regime limitativo le assunzioni per le singole aziende speciali ed istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB), fermo restando l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale in materia di assistenza e beneficienza - Lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Lesione dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 557. - Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto.(GU n.19 del 30-4-2014 )
Ricorso proposto dalla REGIONE VENETO (C.F. 80007580279 - P. IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale, dr. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O) autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 162 del 20 febbraio 2014 (all. 1) rappresentato e difeso nel presente giudizio, tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv.to Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K), Coordinatore della Avvocatura della Regione Veneto, e avv. Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15HS01V), del foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma via F. Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax n. 06.3211370, pec: luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); Contro PRESIDENTE CONSIGLIO DEI MINISTRI pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege presso la stessa, in Roma via dei Portoghesi 12, e nei confronti di: REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE, in persona del presidente pro tempore, PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del presidente pro tempore, PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del presidente pro tempore; Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti norme della legge 27 dicembre 2013, n. 147, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)" pubblicata in G.U. n. 302 del 27 dicembre 2013: art. 1, comma 325, per violazione degli artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione; art. 1, comma 388, per violazione degli artt. 3, 42, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione; art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, per violazione degli artt. 117, comma III, 119, comma I, e 120 della Costituzione; art. 1, comma 518, per violazione degli artt. 3, 11, 23, 117, I comma, e 120 della Costituzione; art. 1, comma 557, per violazione degli artt.117, commi III e IV, della Costituzione Fatto e diritto L'approvazione della legge di stabilita' per il 2014, L. 27 dicembre 2013, nella ricorrente formula, presente in questa tipologia di leggi deliberate in scadenza di anno, dell'articolo unico svolto in una molteplicita' di commi ha recato alcune norme che si ritingono in contrasto con l'ordinamento costituzionale nazionale e che si ritengono impugnabili per i seguenti motivi di illegittimita'. 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 325, per violazione degli artt. 5, 97, 114, 117, 118,119 e 120 della Costituzione. 1.1) Il comma 325, dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013 prevede la proroga delle disposizioni di cui all'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, relative al commissariamento delle amministrazioni provinciali, applicabile ai casi di scadenza naturale del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali e che intervengono in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2014. Si ritiene che la norma sia in contrasto con le disposizioni che riconoscono l'autonomia costituzionale all'intero assetto degli enti territoriali, disciplinato dagli artt. 114, 117, 118, 119 e 120, ma anche con il disegno costituzionale che governa le autonomie locali, di cui all'art. 5 e il principio di buon andamento dell'attivita' amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione. Il comma, che ha un evidente carattere transitorio, appare collegato a una situazione extragiuridica rappresentata da una serie di procedimenti legislativi in corso di doppia natura. Da un lato e' all'esame del Parlamento il disegno di legge di riforma costituzionale, approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 5 luglio 2013, per l'abolizione delle Province, e avente per contenuto la modifica di alcuni articoli del c.d. Titolo V della Costituzione. Per altro verso e' stato licenziato dalla Camera dei Deputati il 21 dicembre 2013 il Disegno di legge n. 1542 AC "Disposizioni sulle Citta' metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni", che prevede la trasformazione delle province in ente amministrativo di secondo livello, formato dalla aggregazione dei comuni dove la presidenza e rappresentanza consiliare, sono eletti dai sindaci dei comuni di riferimento. La norma in contestazione si pone come estensione dell'applicazione dell'art. 1, comma 115, della Legge di stabilita' per il 2013 (la legge n. 228/2012) nella parte in cui questa aveva previsto che: "Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale del mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell'incarico di Commissario straordinario delle province nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente, e' nominato un commissario straordinario, ai sensi dell'articolo 141 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 per la provvisoria gestione dell'ente fino al 31 dicembre 2013". Tra le due disposizioni esiste pero' una sostanziale differenza, recata dal sottostante presupposto di fatto. In quanto mentre il comma 325 e' stato approvato con riferimento a delle possibili ipotesi di riforma ancora al vaglio del Parlamento, e per le quali, quindi, non vi e' certezza alcuna circa l'an ed il quomodo, esse saranno approvate, la disposizione del comma 115 era intervenuta in una situazione riferita all'esistenza di norme al tempo cogenti e che avevano disposto in modo diverso circa la formazione degli organi di governo dell'ente provincia, rispetto alle disposizioni di cui alla D. Lgs. 267/2000, contenente la disciplina generale degli enti locali. Il riferimento e' all'art. 23 (commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis) del decreto-legge n. 201/2011 e agli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012, dichiarati costituzionalmente illegittimi con sentenza di codesta Corte n. 220 del 3 luglio 2013. 1.2) La norma censurata contenuta nell'art. 325, appare quindi in evidente contrasto con il dettato costituzionale per un duplice profilo di ragioni. Va in primo luogo osservato che essa impedisce il corretto svolgimento, nelle province gia' commissariate o che andranno a scadere nel primo semestre del 2014, delle funzioni democratiche previste per tutti gli enti locali elettivi, e che trova fondamento e garanzia sia nel principio di sovranita' popolare su cui si fonda l'intero ordinamento, sul principio di riconoscimento dell'autonomia degli enti locali, affermato dall'art. 5 della Costituzione e attuato attraverso il gia' menzionato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Nello specifico occorre puntualmente rilevare come il regime di commissariamento a cui fa riferimento la norma in questione e' quello previsto all'art. 141 del menzionato D. Lgs. 267/2000, norma che prevede che "con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso". Tale configurazione, ancorche' al commissario fossero affidati i poteri, nella loro pienezza esercitati da tutti gli organi ordinari eletti della provincia, e' comunque collegato a una prospettiva temporale incerta e comunque ridotta nel tempo, condizionata dalla supplenza dell'incarico commissariale. Detto incarico non permette, ad esempio, al commissario alcuna attivita' di contenuto programmatorio o pianificatorio, non essendo certa la prospettiva temporale nel quale esso agisce. Conseguentemente, si produce una alterazione del funzionamento dell'ente provincia, che non puo' ritenersi, in una situazione di governo interinale, pienamente efficiente per garantire il corretto adempimento dei propri compiti, sia nella diretta espressione delle proprie competenze, che nelle relazioni di sussidiarieta' con i vari soggetti operanti nell'ambito delle autonomia locali, cosi' come affermate dall'art. 120 della Costituzione. In riferimento al comma 325, l'estensione del regime commissariale, oltre a non trovare una giustificazione plausibile su un presupposto certo e positivo, si riduce ad essere uno strumento rivolto comprimere, in via diretta, il corretto svolgimento dei compiti amministrativi assegnati all'ente provincia ai sensi dell'art. 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, ma in violazione delle stesse disposizioni, ad alterare in via mediata, le competenze degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso i principi di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di funzioni di provenienza regionale, concorrono con la provincia all'esercizio delle funzioni locali. A titolo di esempio si indicano, per l'esperienza veneta, i contenuti della l.r. 23 aprile 2004, n. 11, "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio", che disciplina la pianificazione urbanistica del territorio e che conferisce ampi compiti alla Provincia nella pianificazione del territorio, tra cui l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali. 1.3) Come ulteriore profilo di censura si aggiunga inoltre che, il commissario, ancorche' sia ritenuto organo dell'ente al quale e' preposto, e' nominato da un funzionario dello Stato, il Prefetto. Con la conseguenza che la prevista determinazione dei poteri di incarico e' recata da un atto di governo che, inevitabilmente, per le ragioni anzidette, interviene ingiustificatamente nell'assetto complessivo del funzionamento e delle relazione degli enti locali, in modo idoneo a sottrarre o modificare l'effettivo esercizio delle loro competenze. Il tutto inoltre senza alcuna preventiva e prevista forma di concertazione o di partecipazione, secondo i contenuti dell'art. 120 Cost., su cui ci si dilunghera' in seguito. 1.4) A fronte della ingiustificata proroga del regime di commissariamento delle province, cosi' come disposto dal comma 325, e a fronte del fatto che il commissario agisce comunque in funzione di supplenza dell'attivita' degli organi eletti, con un orizzonte di competenze di fatto limitate e condizionate, occorre anche rappresentare che l'istituto disciplinato dall'art. 141 del D.Lgs. 267/2000 e' stato previsto per dar corso alla funzione di controllo sugli organi e non come strumento alternativo di governo degli enti. La previsione di uno strumento durevole (il commissariamento, ad esempio, della provincia di Belluno risale ad oltre due anni or sono), ma al contempo precario e' quindi da ritenersi anche in contrasto con il principio di buon andamento della funzione pubblica sancito dall'art. 97 della Costituzione. Per le ragioni sopra esposte, sussiste anche da questo punto di vista, un indubbio pregiudizio al completo dispiegamento delle funzioni provinciali e al pieno esercizio dei compiti dell'ente. Pregiudizio rimarcato dall'irragionevolezza dei presupposti e della durata della proroga del regime di governo commissariale delle province, che e' collegata al verificarsi di un evento futuro ed incerto, quale l'approvazione di uno o piu' disegni di legge in materia, oltre che alla mancanza nell'ordinamento di un atto legislativo vigente e cogente che giustifichi la mancata rielezione degli organi ordinari dell'ente provincia. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 388, per violazione degli artt. 3, 42, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione. 2.1) Il comma 388 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, prevede che l'Agenzia del Demanio sia tenuta a formulare un nulla osta preventivo in ordine al rinnovo dei contratti di locazione di immobili stipulati da qualsiasi amministrazione pubblica, all'apparenza inclusa anche quella regionale, con delle disposizioni che violano le attribuzioni soggettivamente intese, in termini non solo di' esercizio di funzioni proprie, ma anche di capacita' di agire iure privatorum, possedute dall'amministrazione regionale, e secondo modalita' procedurali incompatibili con l'autonomia amministrativa e finanziaria regionale, ponendosi cosi' in contrasto con gli artt. 3, 117, comma quarto, 118 e 119 della Costituzione, nonche' con gli artt. 3 e 42 della Costituzione medesima. La norma prevede infatti un doppio ordine di poteri, che offrono argomento per formulare delle identiche censure di costituzionalita' nei confronti di entrambi. Va in primo luogo osservato che il comma in questione dispone che i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni pubbliche, "non possono essere rinnovati, qualora l'Agenzia del demanio, nell'ambito delle proprie competenze, non abbia espresso nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale l'amministrazione locataria puo' avvalersi della facolta' di comunicare il recesso dal contratto". La seguente disposizione invece prevede che "Nell'ambito della propria competenza di monitoraggio, l'Agenzia del demanio autorizza il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell'applicazione di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che non sussistano immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati in violazione delle disposizioni del presente comma sono nulli". In entrambi i casi, sia per quanto riguarda il divieto di rinnovo dei contratti in scadenza, sia per quanto riguarda l'autorizzazione preventiva da parte dell'Agenzia del demanio alla stipula di nuovi contratti, si ritiene che sia stato violato l'art. 117, comma 4, della Costituzione in relazione all'art. 118, nella parte in cui attribuisce alla amministrazione regionale i compiti di amministrazione diretta nelle materie di propria competenza, e all'art. 119, che riconosce espressamente alle regioni la possibilita' di avere sia un proprio patrimonio, che una "autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci". 2.2) L'evidente ratio della norma e quella di poter valorizzare il patrimonio pubblico utilizzandolo in modo corrispondente ai compiti delle varie amministrazioni o enti in modo da evitare il ricorso a spese per canoni di locazione in presenza di immobili fruibili ma non utilizzati. Ma a fronte di questo lodevole impegno, non si possono non trascurare le conseguenze pratiche di una tale disposizione, che, per la sua sommarieta', appare di difficile praticabilita'. Essa infatti sembra essere piuttosto il portato di una disattenzione del legislatore, che l'espressione della sua effettiva volonta'. Va infatti rilevato che il comma 388 segue il precedente comma 387, che a sua volta apporta delle modifiche ai commi 222, 222 bis e 224 della legge 23 dicembre 2009 n. 196, che contemplano delle disposizioni relative al fabbisogno locativo delle "Amministrazioni dello Stato di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse la Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie, anche fiscali" . La circostanza che il riferimento e' alle amministrazioni dello Stato e' peraltro confermato dal tenore dello stesso lungo comma 222. Il quale nel prescrivere le varie attivita' imposte alle amministrazioni, sempre riferimento a quelle dello Stato, chiamandole come "medesime" o con espressioni similari. E, quando si rivolge a quelle che non fanno parte dell'amministrazione dello Stato le individua nominandole distintamente. Lo stesso parametro di identificazione manifesta anche il successivo comma 222 bis. Il quale nel far riferimento alle "Amministrazioni di cui al precedente comma 222", a riguardo dell'ottimizzazione degli spazi ad uso ufficio, nell'ultimo inciso dichiara, demarcando in tal modo e in modo evidente l'autonomia regionale, che "Le presenti disposizioni costituiscono principio a cui le Regioni e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri ordinamenti". Alla luce di questa premessa deve ritenersi, per continuita' di disciplina, che l'inciso contenuto nell'esordio del comma 388, e che espressamente richiama le "amministrazioni individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni", abbia voluto intendere quelle appartenenti allo stato, di cui al comma 222 ,e non quelle individuate con il richiamo all'art. 1, comma 2. 2.3) Detta ultima disposizione porta infatti a dover considerare tutte indistintamente le amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per tra le quali sono espressamente enumerate anche le regioni, perche' la norma di rinvio (l'art. 1, comma 2, della L. 196/2009) non distingue affatto quelle statali dalle altre. E' cosi' evidente la distonia del richiamo dovendosi ritenere che il rinvio operato dal comma 388 debba essere invece riferito alle sole amministrazioni dello Stato. Laddove si dovesse invece intendere che il comma 388 e' rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche, e' necessario evidenziare in via preliminare la decontestualizzazione della disciplina da applicarsi alle regioni rispetto ai commi della L. 196/2009 sopra richiamati. I poteri affidati all'Agenzia del Demanio, per quanto possono essere riferiti alle regioni, rimangono infatti del tutto scollegati da qualsiasi altra attivita', preliminare, connessa e comunque conseguente alle prescrizioni contenute nei commi 222 e seguenti della L. 196/2009, i quali invece, da quella data, sono applicate al fine di conseguire il pieno utilizzo del patrimonio pubblico da parte delle amministrazioni dello Stato. 2.4) Peraltro, nell'alea di questa incertezza interpretativa, comporta l'onere di far luogo allo svolgimento dei seguenti profili di censura di incostituzionalita' del predetto comma 388. Almeno nella parte in cui ricomprende anche le regioni. Questo in riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 4, in relazione all'art. 118, che attribuisce alla amministrazione regionale delle funzioni amministrative dirette nelle materie di propria competenza, e all'art. 119, che riconosce espressamente alle regioni la possibilita' di avere un proprio patrimonio, e una "autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci". Si ritiene di far luogo all'illustrazione della censura prendendo spunto dagli orientamenti provenienti dalla giurisprudenza formata da alcune recenti pronunce della Corte Costituzionale, intervenute su casi analoghi. Il primo richiamo e' alla sentenza n. 376/2003, in quanto si riferisce al compito di coordinamento della finanza pubblica, nel cui ambito puo' essere collocata la norma in questione. Sia perche' approvata nell'ambito della legge di stabilita' per l'anno 2014, sia in quanto, come gia' rilevato da codesta Corte, nella sua sentenza n. 284/2012, le norme relative alla valorizzazione dei beni pubblici, piu' che essere di contenuto"patrimoniale" hanno una funzione di carattere "finanziario". Dando per accettata questa impostazione, nella menzionata sentenza n. 376/2003 la Corte Costituzionale ha ritenuto che, in linea di principio, "non puo' ritenersi preclusa alla legge statale la possibilita', nella materia medesima, di prevedere e disciplinare tali poteri, anche in forza dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. Il carattere "finalistico" dell'azione di coordinamento esige che al livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresi' i poteri puntuali eventualmente necessari perche' la finalita' di coordinamento - che di per se' eccede inevitabilmente, in parte, le possibilita' di intervento dei livelli territoriali sub-statali - possa essere concretamente realizzata". Pur tuttavia ha anche precisato che "i poteri in questione devono essere configurati in modo consono all'esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l'azione di coordinamento non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali si trasformerebbe in attivita' di direzione o in indebito condizionamento dell'attivita' degli enti autonomi". Alla luce di tale impostazione appare del tutto lacunoso il potere di coordinamento in materia di finanza pubblica esercitabile dallo Stato attraverso il comma 388, proprio in ragione della circostanza sopra evidenziata. Ovvero che manca una qualsiasi altra manifestazione di coordinamento preventivo e correlato tale da rendere effettivamente efficaci le due disposizioni illustrate. Ad esempio la interdizione al rinnovo di qualsiasi contratto di locazione senza il previo nulla osta dell'Agenzia del demanio pone la corrispondente esigenza di interloquire con l'Agenzia medesima per il reperimento di spazi alternativi. Attivita' di difficile praticabilita', se si pensa ai tempi intercorrenti tra la disdetta e la risoluzione del contratto, qualora non si abbia gia' la prospettiva di una diversa sistemazione. Si rinvia ulteriormente ai commi 222 e 222 bis, citati, per far rilevare come le disposizioni in esse contenute contengano vari elementi per garantire la sostenibilita' dall'intrapresa finalita' di risparmio e come gli stessi, da tempo abbiano svolto, la funzione di coordinamento. Anche se nei confronti delle sole amministrazioni dello Stato. A fronte di questi i compiti interdittivi affidati ora alla Agenzia del demanio hanno piuttosto il compito di rafforzarne l'efficacia e la cogenza. Ma non di estendere la disciplina coercitiva ad altri soggetti che non hanno previamente adottato gli stessi strumenti operativi. Appare pertanto incongruo, irragionevole e irrazionale, nei termini della giurisprudenza formatasi sull'art. 3 della Costituzione e per le guarentigie concesse anche alla proprieta' pubblica dall'art. 42 della stessa Carta, attribuire all'Agenzia del demanio, un potere di dettaglio a fronte della circostanza, che in materia, l'ordinamento vigente ha assegnato, ex comma 222 bis alle "disposizioni" contenute nello stesso comma e nel comma precedente,il carattere di norme di "principio a cui le Regioni e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri ordinamenti". Manca infatti un elemento normativo o negoziale intermedio che abbia raccordato gli "adeguamenti" effettuati dalle regioni alla disciplina statale, presupposto all'esercizio dei poteri ora affidati all'Agenzia delle Entrate. Non si ha infatti notizia che sia intervenuto nemmeno uno strumento di raccordo istituzionale in questo senso..Ad esempio attraverso una intesa ai sensi dell'art. 9, primo comma lettera c) della L. 281/1997, o che esso sia altrimenti maturato in sede di Conferenza unificata stato regioni, in modo da poter ritenere direttamente introducibile nell'ordinamento regionale il potere ora assegnato alla Agenzia del demanio. L'intesa in materia, conclusa in sede di Conferenza unificata potrebbe infatti costituire una garanzia procedimentale - in se' sufficiente, atteso l'oggetto della disciplina - atta a contrastare l'eventuale assunzione, da parte del decreto medesimo, di contenuti lesivi della autonomia garantita agli enti territoriali: ferma restando, naturalmente, la possibilita' per questi di esperire, nell'ipotesi di lesioni, i rimedi consentiti dall'ordinamento, ivi compreso, se del caso, il conflitto di attribuzioni davanti a questa Corte. 2.5) Riportandosi sempre alla giurisprudenza di codesta Corte si rinviene un diverso profilo di violazione degli art. 117, 118 e 119 della Costituzione per invasione nelle competenze regionali da parte del comma 388. In particolare alla luce della dogmatica formatasi sull'art. 118. Partendo dalla considerazione della rilevanza, precipuamente contingente in questo periodo, dell'interesse pubblico coinvolto rinvenibile nel rispetto del Patto di stabilita' imposto dalla partecipazione dell'Italia alla Comunita' Europea, e ritenendo, quindi, derogabile a favore dello Stato la competenza ad intervenire sul proprio patrimonio da parte delle regioni, anche nelle attivita' in cui queste agiscono jure privatorum, si richiamano i contenuti della sentenza n. 6 del 2004, nella quale codesta ecc.ma Corte aveva ritenuto che una "deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost. puo' essere giustificata solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di finzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita' e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata". In quel giudizio la Corte era pervenuta alle conclusione che l'attribuzione in deroga "deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali". Ma, come rilevato, non si percepiscono, nel testo del comma 388, o altrove, idonee forme di intesa o collaborazione per l'applicazione dello stesso nei confronti delle Regioni. Pertanto si ribadisce anche per questo profilo l'illegittimita' della disposizione impugnata 2.6) Infine, ricordando la piu' recente sentenza 284/2012, che si era occupata, anch'essa del "coordinamento della finanza pubblica", si rileva che questa ecc.ma Corte ha elaborato un ulteriore requisito, secondo il quale i compiti attribuiti allo Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica sono legittimi nella misura in cui: "a) stabiliscano un "limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente" per le Regioni,. b) evitino di prevedere in modo dettagliato le modalita' per il raggiungimento degli obiettivi". L'affermazione richiama quanto era peraltro gia' stato espresso nella sentenza n. 182 del 2011, secondo la quale le disposizioni statali sono subordinate alla condizione che sia consentita l'estrapolazione, dalle singole disposizioni, "di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale". Nel considerare anche questi presupposti non sembra si possa pervenire a un risultato che permetta di ritenere il comma 388 conforme alla Costituzione, almeno nei limiti in cui esso e' da ritenersi applicabile alle regioni. Il ruolo infatti attribuito alla Agenzia del demanio, non configura infatti alcun limite di carattere generale, ma interviene in modo puntuale a limitare in via generale l'autonomia della regione nella sua attivita' di reperimento di spazi necessari alla sua attivita'. La misura infatti appare sproporzionata rispetto al conseguimento degli obiettivi nazionali di coordinamento della finanza pubblica, perche' nella sostanza introducono un potere decisionale, attribuito al nulla osta o alla autorizzazione preventiva dell'Agenzia del demanio, sottraendolo alla regione. Quasi in forma sanzionatoria e senza che vi sia stato il alcun modo la possibilita' di verificare se effettivamente sia stato determinato un obiettivo di finanza pubblica alle regioni anche per l'attivita' locatizia. Senza considerare, come lo si vedra' per l'impugnazione delle norme di cui al punto successivo, che alle regioni sono stati imposti dei limiti all'esercizio della spesa corrente, nella quale e' considerata anche la spesa per l'utilizzo di beni di terzi. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, per violazione degli artt. 117, comma III, 119, comma I, e 120 della Costituzione. 3.1) I commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501 dell'art. 1, della legge in argomento apportano alcune modifiche ai contenuti del patto di stabilita' interno per quanto riguarda i limiti alla facolta' di spesa posti in capo alle regioni, rispetto al parametro definito di eurocompatibilita'. Come noto, il Patto di stabilita' e crescita, introdotto nella nostra legislazione con la legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 28, trae origine dal processo di integrazione economica e monetaria dell'Unione europea e non riguarda soltanto gli Stati nazionali ed i loro equilibri finanziari, ma coinvolge tutto il sistema delle autonomie territoriali, cioe' regioni, province e comuni. Gli obiettivi imposti dalle regole del patto di stabilita' e crescita devono essere condivisi da tutti i soggetti pubblici coinvolti, chiamati a porre in essere comportamenti coerenti al fine del comune raggiungimento di tali obiettivi. Questa condivisione e cooperazione tra Stato, regioni ed autonomie locali comporta la necessita' di programmare la finanza degli enti allo scopo di partecipare alla realizzazione dei complessivi equilibri della finanza pubblica in armonizzazione con le politiche economiche e monetarie pensate a livello europeo. Con riguardo alle norme citate merita, in particolare, di essere posto in evidenza che "il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile, indicato dal comma 496, che va a modificare il contenuto del comma 449 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede che questo limite nelle "regioni a statuto ordinario non puo' essere superiore per l'anno 2013 all'importo di 20.090 milioni di euro, per l'anno 2014 all'importo di 19.390 milioni di euro e per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 all'importo di 19.099 milioni di euro". La disposizione peraltro e' stata integrata rispetto alla versione dello scorso anno dalla disposizione di cui al comma 497, che ha inserito il comma 449 bis dopo il comma 449 della legge 228/2012. Questa ulteriore norma, con illegittima innovazione, approva a sua volta attraverso lo strumento legislativo una tabella contenente limite di spesa individuale a valere, per ciascuna delle Regioni a statuto ordinario, per gli anni dal 2014 al 2017. Ed indica che il limite massimo di spesa per la regione veneto e' di 1.515 milioni di euro per il 2014 e di 1.485 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 - 2017. Determina, cioe' in modo cogente e predeterminato nel tempo, il limite di spesa che le regioni si erano ripartite nell'anno recedente attraverso un accordo in sede di Conferenza unificata stato regioni, recepito in un provvedimento ministeriale attuativo dell'accordo e comunque coerente con le disposizioni di legge al tempo vigenti. 3.2) Prima di rilevarne i profili di illegittimita' costituzionale e' opportuno sottolineare che le nuove disposizioni hanno modificato il precedente assetto che attraverso lo strumento della legge fissava il limite di spesa euro compatibile solo in via cumulativa, assegnando alle regioni a statuto ordinario, nel loro insieme, l'importo da rispettare e demandando a una apposita concertazione, da svolgersi in sede di raccordo istituzionale tra Stato e Regioni, la determinazione dei limiti individuali per ciascun ente sulla base dei comuni parametri predefiniti per legge. Ai sensi dell'art. 20 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98 "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria" il legislatore aveva infatti previsto in via generale che: "A decorrere dall'anno 2012 le modalita' di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, esclusa la componente sanitaria (...) possono essere concordate tra lo Stato e le regioni e le province autonome (...)". Ed aveva cosi' previsto che all'attuazione di detta disposizione fosse dato corso a mezzo dell'emanazione di decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, a seguito di un'intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Per contrappunto va anche rilevato che anche nella legge di stabilita' per il 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228) all'art. 1, comma 449, il legislatore ha fissato in termini generali "Il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile delle regioni a statuto ordinario", ritenendo che il dato complessivo "non puo' essere superiore, per ciascuno degli anni 2013 e 2014, all'importo di 20.090 milioni, e, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, all'importo di 20.040 milioni". Cosi', nel pieno rispetto dei principi costituzionali di leale collaborazione, il legislatore aveva anche previsto, nello stesso comma 449, con una norma tuttora vigente, che "L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al 2016, e' determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno e puo' assorbire quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111". Detta disposizione e' stata peraltro a sua emendata dalla disposizione contenuta nella lett. c), dell'impugnato comma 496, dove le parole "di ciascun anno" sono state sostituite dalla esposizione dell'anno "2013". La novellazione fa quindi venir meno per gli anni a venire, e senza una plausibile ragione, qualsiasi possibilita' per le regioni di rivedere i termini economico finanziari della loro partecipazione al patto interno di stabilita', ameno per quanto riguarda la propria capacita' individuale di spesa. Ed inoltre di non avere autonomia decisoria nel definire la quota individuale di ciascuna essendo stata questa imposta loro per legge fino al 2017. Il rinvio effettuato dal menzionato inciso del comma 449 (L.228/2012) al secondo comma dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, pone poi in ulteriore evidenza i criteri attraverso i quali il legislatore ha inteso determinare i limiti individuali della spesa posti in capo alle Regioni. Limiti che in origine, come si e' visto, erano stati demandati alla determinazione da parte della Conferenza unificata rapporti tra lo Stato e le regioni e "recepiti" con proprio provvedimento del Ministro dell'economia e delle finanze. Ma per effetto della previsione secondo cui il predetto decreto ministeriale avrebbe dovuto "assorbire" i criteri contenuti nel menzionato comma 2, e' opportuno riportare la norma dello stesso comma 2, dell'art. 20, nella sua integrita'. Alla luce di questa disposizione infatti, tutti gli enti locali, "Al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli obiettivi (...) sono ripartiti in due classi, sulla base della valutazione ponderata dei seguenti parametri di virtuosita': a) a decorrere dall'anno 2014, prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilita' interno; c) a decorrere dall'anno 2014, incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonche' all'ampiezza del territorio; la valutazione del predetto parametro tiene conto del suo valore all'inizio della legislatura o consiliatura e delle sue variazioni nel corso delle stesse; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) a decorrere dall'anno 2014, tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) a decorrere dall'anno 2014, rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) a decorrere dall'anno 2014, effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; 1) a decorrere dall'anno 2014, operazione di dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente". Come si vede, almeno cinque dei criteri sopra menzionati entrano in considerazione solo a partire dal 2014 e costituiscono una evidente diversa base di calcolo ai fini della rideterminazione dei limiti della spesa finanziaria. Con la irrazionale conseguenza che, cambiando nel corso del 2014, i limiti individuali di spesa compatibile posti a carico delle regioni negli anni avvenire a mezzo del comma 497, eludono i criteri che si dovranno tenere conto a partire dall'anno corrente. 3.3) A margine di questo rilievo va poi aggiunto, ma in via del tutto in via incidentale, che tutta la normativa inerente al conseguimento degli obiettivi del patto di ha un complemento normativo di contenuto sanzionatorio e, per converso, di carattere premiale. A questo riguardo, il primo comma del menzionato art. 20 del d.l. 98/2011, prevede che: "con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, e le regioni a statuto ordinario, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro per gli affari regionali, di intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono ripartiti in due classi, sulla base della valutazione ponderata (...)" formata secondo dei "parametri di virtuosita'". Cui fa seguito, nel caso di conseguimento di detta virtuosita', ai sensi del terzo comma dell'art. 20 e "fermo restando l'obiettivo del comparto" il riconoscimento del miglioramento dei "propri obiettivi del patto di stabilita' interno per l'importo di cui all'articolo 32, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183". Che per il Veneto e' stato riconosciuto in 122,24 milioni di euro per il 2014. Per converso a detta norma fa riscontro l'art. 7 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che ha invece previsto dei meccanismi sanzionatori in caso di mancato rispetto da parte di Regioni e di enti locali in genere dei limiti posti nell'ambito del patto di stabilita'. In ottemperanza all'originaria versione dell'art. 1, comma 449, della L. 228/2012 lo scorso anno il Ministro dell'economia e delle Finanze ha emanato il decreto 20 febbraio 2013, con il quale ha operato per l'anno 2013 la "Ripartizione tra le Regioni a statuto ordinario dell'obiettivo del patto di stabilita' interno per l'esercizio 2013, espresso in termini di competenza euro compatibile (...)" attestando che "L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna Regione in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al 2016, e' determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno e puo' assorbire quanto previsto dal comma 2 dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111". Il decreto era peraltro stato preceduto dalla deliberazione assunta dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 24 gennaio 2013, che aveva formulato il riparto per ogni singola Regione in modo comprensivo delle riduzioni previste dall'art. 16, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012 e delle risultanze dell'applicazione dell'art. 20, commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, cosi' come confermato dal predetto decreto ministeriale. 3.4) Con riferimento al procedimento di formazione delle norme in contestazione si ritiene inoltre utile rappresentare la circostanza che in data 14 novembre 2013 la "Conferenza Unificata Stato, Regioni ed Enti Locali" aveva espresso il proprio parere sul disegno di legge recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" (legge di stabilita' 2014 - Atto Senato n. 1120) con voto favorevole condizionato all'accoglimento di una serie di emendamenti. (doc. n. 2). Tra i quali l'emendamento n. 16, con il quale espressamente veniva chiesto di sostituire la proposta contenuta all'art. 13, comma 2, del Disegno della legge di stabilita' (Atto Senato n. 1120) che conteneva l'introduzione del comma 449 bis all'art. 1 della L. 228/2012. Mentre invero la versione del Disegno di legge all'esame del Senato gia' conteneva le due disposizioni che sono poi state tradotte nei commi 496 e 497, la formula dell'emendamento sottolineava che "L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione a statuto ordinario in termini di competenza euro compatibile" fosse determinato "per gli esercizi dal 2014 al 2017 a seguito dell'accordo in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze da emanarsi entro il 31 gennaio di ciascun anno" L'emendamento medesimo poi proseguiva proponendo anche un diverso criterio di identificazione del limite di spesa, correlato a una sua piu' congrua determinazione in riferimento a un riparto del limite di spesa procapite, ovvero "in proporzione della popolazione residente in ciascuna regione a statuto ordinario, alla fine del terzultimo anno precedente, secondo i dati ISTAT". Come si ricava dalla relazione all'emendamento, le Regioni si erano in tal modo poste il problema di una riforma dei meccanismi di appropriata determinazione dei limiti del patto di stabilita', ritenendo che in questa prospettiva e' necessario "garantire prioritariamente la piu' equa distribuzione del concorso finanziario di ciascuna regione al mantenimento degli obiettivi di finanza pubblica, sia in termini di competenza finanziaria che di competenza euro compatibile". Cio' posto, e fuori dai contenuti di questa digressione, emerge comunque la circostanza che, per il fatto che tale emendamento non sia stato accolto, determina come il parere sul disegno di legge espresso dalle regioni in sede di Conferenza unificata sia nella sostanza negativo. Nel merito la contestazione proveniente dalle regioni riguarda non solo la determinazione del riparto individuale ex lege, ma anche la circostanza che l'assegnazione degli importi alle varie Regioni sorge dalla volonta' di rimuovere l'irrazionale criterio adottato in precedenza e che porta alla circostanza che il limite di spesa euro compatibile varia da regione a regione in maniera particolarmente sperequata. Prendendo a riferimento il criterio demografico risulta infatti che il limite di spesa per il Veneto e' di 312 euro pro capite e quello della Lombardia di 311. Mentre la media nazionale e' di 348 euro pro capite. Al contrario altre regioni godono di disponibilita' ben piu' ampie, fono al caso dell'Umbria o della Basilicata che godono di una disponibilita' di spesa pro capite di quasi il triplo rispetto alla Regione Veneto. ===================================================================== | Regione | Popolazione | Limite | Rapporto | +================+=================+===================+============+ | Piemonte | 4.357.663 | 1.928.000.000 | 442,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Liguria | 1.567.339 | 714.000.000 | 455,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Abruzzo | 1.306.416 | 673.000.000 | 515,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Calabria | 1.958.418 | 1.022.000.000 | 521,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Umbria | 883.215 | 548.000.000 | 620,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Molise | 313.145 | 261.000.000 | 833,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ | Basilicata | 577.562 | 539.000.000 | 934,00 | +----------------+-----------------+-------------------+------------+ Cosi', ad esempio, si riportano le dimensioni di spesa curo compatibile assegnate con la tabella approvata con il comma 497, in rapporto alla consistenza demografica delle singole regioni piu' beneficiate. Si tratta di limiti di spesa corrente che riguardano regioni piccole, con costi generali piu' alti, o che provengono da situazioni di indebitamento A questo riguardo si ricava dall'esame del verbale della seduta della conferenza unificata del 14 novembre che in quella sede il rappresentante della Regione Veneto, l'assessore al Bilancio, Roberto Ciambetti, abbia espresso "la preoccupazione della regione Veneto in ordine alla tabella di cui all'articolo 13, comma 2, della legge di stabilita', che sara' utilizzata per il riparto del patto di stabilita' tra le Regioni: segnala infatti che vi sono alcuni stanziamenti che, pur transitando nel bilancio della sua Regione, non sono nella disponibilita' della Regione medesima, e che pero' vengono considerate al fine del rispetto dei limiti del patto, e finiscono percio' per rappresentare un serio ostacolo all'attivita' amministrativa". Il riferimento e' alla circostanza che le basi di calcolo utilizzate derivano da dati storici, rilevati attraverso l'impiego della tabella allegata all'art. 19 bis del decreto legge n. 135/2009, disposizione con la quale il legislatore statale, aveva previsto che le Regioni e le Province autonome trasmettessero alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 della legge n. 42 del 2009, i dati relativi agli accertamenti e agli impegni, nonche' agli incassi e ai pagamenti, risultanti dai rendiconti degli esercizi 2006, 2007 e 2008. I dati di riparto approvati per legge si riferivano pertanto a rilevazioni storiche, riferiti a un periodo antecedente alla crisi economica e non pertinenti ai fini della individuazione della capacita' di spesa delle singole regioni, perche' riferiti a frazioni temporali nelle quali non esistevano canoni conformi e cogenti di pareggio di bilancio. 3.5) Alla luce della rappresentata evidenziazione si ritiene di formulare le seguenti censure di incostituzionalita'. a) Violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione in relazione agli art. 117, comma 5, e 119, comma 1 della stessa, nell'adozione dei commi 496 e 497 dell'art. 1 della L. 147/2013. L'insieme delle tre disposizioni costituzionali menzionate prevede, che le (art. 119, primo comma) le "Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea". A sua volta l'art. 120 richiama, nell'ambito degli opportuni raccordi tra enti di rilevanza costituzionale e nel rapporto di sussidiarieta', lo la pratica del principio di leale collaborazione tra gli enti pubblici, che informa un'ampia e variegata gamma di strumenti di raccordo e relazione e forme e moduli procedimentali, idonei a garantire l'esercizio coordinato delle rispettive attribuzioni. Modalita' che si traducono in obblighi di informazione reciproca, consultazioni informali, pareri, intese, conferenze di servizi, convenzioni, accordi di programma. L'art. 117, comma 5, a sua volta prevede che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato (...)". Alla luce di queste disposizioni corre il rilevo che la disposizione del comma 449 dell'art. 1 della L. 228/2012, non costituisce solo una norma di carattere economico appartenente alla legge di finanziaria (o di c.d. stabilita', dalla piu' recente definizione) ma va rilevato come piuttosto essa sia direttamente applicativa del Patto di stabilita' imposto dalla Comunita' europea e recepito disciplinato a mezzo della L. 448/1998 e s.m.i.. Da questa legge proviene il potere di limitazione della facolta' di spesa posto dallo Stato alle singole regioni. Poiche', dunque, le norme che impongono i limiti di spesa provengono dal rispetto dei vincoli di appartenenza all'Unione europea, si pone il problema del rispetto della partecipazione delle singole regioni all'attuazione e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea, come previsto dal menzionato comma 5 dell'art. 117. Coerentemente la versione originaria del comma 449, risalente alla previsione contenuta nella legge 228/2012, aveva stabilito limite complessivo delle possibilita' di spesa delle regioni ed aveva lasciato, nel rispetto delle loro autonomie la facolta' di partecipare alla determinazione dei limiti individuali posti in capo a ciascuna. Tale facolta' era coerente con principi di leale collaborazione e sussidiarieta', espressi nel testo costituzionale e ripresi nella originaria versione dello stesso comma 449, dove e' tuttora previsto che sia la Conferenza unificata a determinare 'l'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza euro compatibile". Essa appare coerente anche con il testo dell'art. 117, comma 5, perche' fa parte della possibilita' dallo stesso prevista in capo alle regioni di partecipare alle decisioni dirette a dare attuazione ed esecuzione agli accordi presi in sede comunitaria dallo stato nazionale. E non stride con la versione novellati del primo comma dell'art.119 Cost., che a sua volta prevede che siano le stesse regioni di concorrere, "ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Al contrario la modifica apportata al comma 449 da parte del comma 496 della L. 147/2013 e l'introduzione della tabella contemplata nel comma 497, che inserisce il comma 449 bis nel testo della legge 228/2012, sono in palese contrasto con questi principi. b) La nuova formulazione dell'art. 119 cosi' come sopra riportata collega i comportamenti di bilancio delle regioni all'obiettivo comune all'intera nazione di collaborare nel comune interesse al raggiungimento degli obiettivi comunitari, ma al contempo esalta la loro posizione di autonomia, che viene sancita dal verbo "concorre". Espressione semantica che non rappresenta affatto un vincolo di subordinazione diretta alle disposizioni del governo nazionale. A fronte di questa impostazione va peraltro anche evidenziato che la formulazione per legge del limite di spesa, sia individuale che cumulativo, non solo non e' avvenuto nell'ambito del processo collaborativo previsto dalle disposizioni Costituzionali e nella originaria versione del comma 449, ma con uno strumento costituzionalmente incompatibile. Secondo quanto previsto dell'art. 9, comma 2, lett. a), punto 1, della L. 28 agosto 1997, n. 281, la Conferenza Unificata il 14 novembre 2014 ha espresso un parere nell'ambito del procedimento rivolto alla approvazione della legge di stabilita'. Per l'attivita' di concorrenza prevista in capo alle regioni e per i contenuti dell'art, 117, comma quinto, si ritiene invece che necessitasse, sulla determinazione dei limiti individuali in capo a ciascuna regione, lo strumento dell'intesa previsto al successivo punto c) del comma 1 dell'art. 9 della L. 281/1997. Questo in quanto la determinazione dei limiti di spesa a carico delle regioni riguardava il concorso di queste all'esercizio - in uno con lo stato centrale - delle rispettive competenze" e lo svolgimento "in collaborazione attivita' di interesse comune". c) Si pone a questo punto l'accento sulla circostanza che codesta ecc.ma Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza anche recente (cfr. sent. 39/2013), ha enucleato una serie di principi, che incidono direttamente sulla fattispecie oggetto del presente giudizio. Tra questi ha evidenziato come nel caso in cui sia prescritta una intesa "in senso forte" tra Stato e Regioni - ad esempio, per l'esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarieta', di funzioni attribuite alla competenza regionale - il mancato raggiungimento dell'accordo non legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di un provvedimento sostitutivo. Essa ha piuttosto ritenuto che tali fattispecie si risolvano in "atti a struttura necessariamente bilaterale", non sostituibili da una determinazione del solo Stato (sentenza n. 383 del 2005). Ed ha altresi' osservato come l'assunzione unilaterale dell'atto impositivo non possa essere prevista come "mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa", con cio' causando un sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione (sentenza n. 179 del 2012). Cosi' come se l'esigenza di garantire il rispetto del patto di stabilita' comunitario pone a un livello unitario e nazionale l'esercizio degli interessi in gioco, non per questo la scelta operata dal legislatore rende legittimo il superamento dei limiti alla potesta' legislativa posta in capo allo Stato e alle regioni, in quanto detto superamento "puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza n. 303 del 2003). Per la rappresentata ragione i commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, dell'art. 1 della L. 147/2013, che hanno imposto limiti all'autonomia regionale nella determinazione dei limiti di spesa euro compatibile appaiono incostituzionali nella loro integrita' perche' in violazione del combinato parametro dettato dagli artt. 119, comma 1, 117, comma 5 e 120 della Costituzione. 3.6) Per altro verso non si puo' non rappresentare che alla luce delle stesse norme di rango costituzionale (per la precisione degli art. 117, commi 3 e 4, 119, comma 1) si e' determinata una indebita limitazione della competenza amministrativa della regione. La quale, per effetto dei commi 496, 497, 498, 500 e 501 ha anche subito una invasione esterna delle proprie competenza essendole stato imposto dallo Stato una riduzione della propria funzione amministrativa, in termini di etero imposizione di un limite di spesa, altrimenti riconosciuta come espressione dell'autonomia costituzionale della regione medesima. 3.7) Un ulteriore motivo di censura, nasce dal riscontro relativo allo scarso coordinamento del testo normativo del comma 449 e dei successivi, in conseguenza dell'applicazione dei commi 496 e seguenti della L. 147/2013. Il nuovo testo coordinato del comma 449, a seguito delle modifiche introdotte dalle lettere a), b) e c) del comma 496 citato, recita nel seguente modo: complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile delle regioni a statuto ordinario, non puo' essere superiore, per l'anno 2013 all'importo di 20.090 milioni di euro, per l'anno 2014 all'importo di 19.390 milioni di euro e per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 all'imposto di 19.099 milioni di euro. L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza eurocompatibile, per l'esercizio 2013, e' determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio 2013 e puo' assorbire quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. In caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze e' comunque emanato entro il 15 febbraio 2013, ripartendo l'obiettivo complessivo in proporzione all'incidenza della spesa espressa in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione, calcolata sulla base dei dati, relativi al 2011, trasmessi ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, e, ove necessario, sulla base delle informazioni trasmesse dalle Regioni attraverso il monitoraggio del patto di stabilita' interno del 2011". (Le sottolineature sono state apposte per evidenziare le parti modificate) Da questa esposizione emerge che la novella ha introdotto, in modo contraddittorio e irragionevole, una doppia disciplina per il governo della stessa attivita', che e' stata diversificate a seconda degli anni di riferimento. Infatti con riferimento al 2013 l'attuale disposizione prevede, per la determinazione del limite della spesa eurocompatibile il conseguimento di un'intesa nell'ambito della Conferenza Unificata Stato - Regioni. Mentre da tale intesa, pare che il legislatore nazionale ha inteso prescindere predeterminando per legge il limite di spesa per gli anni successivi. Ed e' evidente l'irrazionalita' e l'irragionevolezza di una simile disposizione, che a parte la definizione del limite complessivo di spesa per gli anni a venire, non fa altro che descrivere una procedura riferita al 2013. In contrasto con il contenuto dell'art. 11 delle preleggi essa, dunque, ha disciplinato... il passato. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 518, per violazione degli artt. 3, 11, 23, 117, I comma, e 120 della Costituzione. 4.1) Il comma 518 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 29013 n. 147, ha ampliato la capacita' impositiva e fiscale gia' riconosciuta alle province di Trento e Bolzano dallo Statuto per il Trentino Alto-Adige, come ricompreso nel Testo unico approvato con D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, soprattutto con il prevedere l'elisione del riferimento ai limiti stabiliti dall'art. 5 del medesimo D.P.R. che, in un'ottica di unita' e di eguaglianza, sottoponeva comunque la potesta' legislativa regionale in materia di finanza locale, ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato. Il comma sostituisce il precedente articolo 80, relativo alla competenza in materia tributaria della Regione Trentino - Alto Adige, di fatto attribuendole una funzione piena nell'ampio numero di materie di sua competenza. Questo intervento legislativo interviene nel mezzo di un continuo confronto confinario per lo status di grande e generale agevolazione che godono gli operatori economici, soprattutto quelli alberghieri delle province di Trento e Bolzano, rispetto agli operatori veneti e lombardi limitrofi. L'oggetto del disagio attiene al diverso regime agevolazioni sia dirette, attraverso importanti finanziamenti, sia indirette, attraverso un trattamento tributario gia' ampiamente favorevole, goduto dai colleghi trentini ed altoatesini. Con la conseguenza che le diverse opportunita' finanziarie e fiscali incidono profondamente sui fondamentali delle imprese che operano nello stesso settore turistico e in un territorio omogeneo, sovvertendo ogni canone di sana ed effettiva concorrenza. Basti considerare la zona dolomitica dove l'attivita' turistica riveste un ruolo essenziale nell'economia locale e montana. Nella quale, a fronte di un unico bacino territoriale, sono presenti imprese che invece operano muovendo da presupposti economici fortemente disomogenei e diversificati in base alla loro residenza. Tale condizione e' in manifesto contrasto con il diritto comunitario e, in particolare, con quanto affermato dall'art. 16 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, dove si afferma e tutela il riconoscimento della "liberta' d'impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali". Affermazioni di principio, quelle comunitarie, che riguardano anche l'obiettivo di conseguire la coesione sociale ed economica oppure il canone della libera concorrenza (cfr. il Trattato istitutivo della Unione europea - c.d. di Roma, art. 82 che dichiara "incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o piu' imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo". Con cio' indicando tra le pratiche discriminatorie (alinea 2, punto c), l'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando cosi' per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza"). Che sul lago di Garda o nel comprensorio delle Dolomiti sia in atto una alterazione della libera concorrenza per il sostegno che le autonomie locali possono garantire alle loro imprese e' cosa assodata. Basti per tutti il richiamo all'articolo immediatamente precedente a quello dello statuto trentino modificato dal comma 518, qui impugnato, il numero 79, che ha previsto al comma 1, lett. c) l'istituzione di un fondo perequativo a favore dei territori confinanti, e che e' destinato alle politiche di investimento e di coesione sociale, avente per oggetto: "il finanziamento di iniziative e di progetti, relativi anche ai territori confinanti, complessivamente in misura pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia". A fronte di questa situazione, e del tutto asimmetricamente rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, il comma 518 dell'art. 1, della L. 147/2013, concorre a realizzare un ulteriore squilibrio strutturale, che si ritiene, anche in termini di conformita' alla Costituzione, del tutto incompatibile, perche' contrastante con il principio di unitarieta' ed indivisibilita' della Repubblica, di eguaglianza sostanziale nei confronti della legge, sia con i principi, di derivazione comunitaria, enucleati in materia di attrattivita' territoriale e rilevanti nell'ordinamento interno in base a quanto disposto dall'art.117, comma 1, della Costituzione. Il comma in questione, introduce infatti un regime fiscale differenziato, che altera le condizioni economiche e patrimoniali degli operatori economici, e configura una violazione degli artt. 3, 23 ed 11 della Costituzione, in quanto procura una discriminazione economica, ingiustificata su base territoriale che incide sulle liberta' fondamentali riconosciute dall'Unione europea. 4.2) Come detto la disposizione del comma 518, va a modificare il primo comma dell'art. 80 del D,P,R. 670/1972, il Testo unico che contiene lo statuto di specialita' della regione Trentino - Alto Adige, e permette alle due Province autonome non solo di introdurre dei tributi locali al di fuori dall'abito in precedenza circoscritto alle materie di cui all'art. 5 (ordinamento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e ordinamento degli enti di reddito fondiario e di credito agrario, delle Casse di risparmio e delle Casse rurali, nonche' delle aziende di credito a carattere regionale), ma di disciplinare, al comma 2 dell'art. 80, tutti i tributi, tra i quali anche quelli "locali comunali di natura immobiliare istituiti con legge statale, anche in deroga alla medesima legge (!) definendone le modalita' di riscossione" consentendo "agli enti locali di modificare le aliquote e di introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni". Da qui l'interesse e la legittimazione della Regione Veneto alla presentazione del presente motivo di impugnazione, ancorche' la disposizione sia operante al fuori dai propri confini territoriali, in quanto la norma condiziona e altera le proprie politiche per il turismo e la montagna, che sono state gia' ampiamente condizionate dalle situazione storiche di vantaggio economico riconosciuto dallo statuto trentino al turismo locale. Tant'e' che, in attuazione dell'art. 79 del DPR 670/1972, sopra menzionato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato il Decreto 14 gennaio 2011 dal titolo "Modalita' di riparto dei fondi per lo sviluppo dei comuni siti nelle regioni Veneto e Lombardia confinanti con le provincie autonome di Trento e Bolzano", che prevede, come riporta l'art. 1, "Il presente decreto, in attuazione dell'articolo 2, commi 117, 118, 119, 120 e 121, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, di seguito denominata «legge», assicura il concorso delle province autonome di Trento e di Bolzano al conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarieta', attraverso il finanziamento di progetti, di durata anche pluriennale, per la valorizzazione, lo sviluppo economico e sociale, l'integrazione e la coesione dei territori dei comuni appartenenti alle province di regioni a statuto ordinario confinanti rispettivamente con la provincia autonoma di Trento e con la provincia autonoma di Bolzano, con un intervento finanziario da parte di ciascuna di esse determinato nella somma di 40 milioni di euro annui ciascuna". In tale decreto sono ammessa a finanziamento (art. 3) "i comuni della regione Veneto e quelli della regione Lombardia confinanti con la provincia autonoma di Trento o con la provincia autonoma di Bolzano". Con cio' incidendo direttamente sulle competenze regionali venete perche' i finanziamenti sono erogati per progetti (cfr. art. 8) su progetti di competenza della stessa Regione in quanto riguardano ambiti inerenti a: "il sostegno sociale, assistenziale, abitativo o educative; (...) che favoriscano l'occupazione giovanile o l'attivita' imprenditoriale giovanile; che favoriscano il turismo; (...) che garantiscano la crescita complessiva dei territori di confine; (...) lo sviluppo delle zone svantaggiate e delle aree montane (...); che garantiscano la sostenibilita' dei risultati a vantaggio dei cittadini e delle imprese; che valorizzino il territorio e al contempo migliorino il sistema Paese; che dimostrino la coerenza delle azioni degli enti locali con i piani regionali". 4.3) La norma in questione e' percio' da ritenersi in violazione delle norme Costituzionali accennate, perche' lesiva sia dei diritti tutelati dal diritto comunitario, primo tra tutti quello della liberta' di impresa, ma anche quello alla coesione sociale e a tutti i diritti i cui ambiti di intervento sono finanziati a mezzo dell'art. 79 dello statuto trentino a favore delle popolazioni confinanti. E, quindi degli art. 117, primo comma, 23 e 11 della Costituzione. Ma perche', soprattutto attua un processo di c.d. "discriminazione inversa", in contrasto con l'art. 3, secondo comma della Costituzione, dove l'azione ritenuta positiva, ovvero la possibilita' di conseguire un beneficio fiscale, si innesta su una situazione di ampio vantaggio economico, comunque garantito dallo statuto di autonomia trentina e dai relativi trasferimenti finanziari. La norma dunque non avvantaggia i beneficiari piu' di quanto discrimina le popolazione confinanti per i rilevanti ulteriori differenziali economici che saranno causati dal diverso regime fiscale attivabile in Trentino in deroga a quello nazionale, attraverso l'ingiusta previsione contenuta nel secondo comma dell'art. 80 novellato dello statuto trentino. Il tutto con una ricaduta diretta anche sul bilancio regionale veneto che sara' costretto ad intervenire in via perequativa per rimuovere le ulteriori differenze territoriali. Ma ancora, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, si rileva l'irragionevolezza della novella dell'art. 80, che nel preteso interesse di rendere vantaggio a una situazione territoriale garantita normativamente per le sue peculiarita' territoriali e culturali, finisce con il finanziare un fondo che e' rivolto a ridurre gli svantaggi causati da tali opportunita'. Per queste ragioni si ritiene che il comma 518 sia in contrasto con il combinato disposto degli art. 117, primo comma, 23, 11 e 3, secondo comma, della Costituzione. E che sia comunque in contrasto con l'art. 3, commi 1 e 2, della stessa Carta costituzionale. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 557, per violazione degli artt.117, commi III e IV, della Costituzione 5.1) Il comma 557 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)" ha sostituito il comma 2 bis dell'articolo 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito. con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, statuendo in materia di reclutamento del personale delle 'societa' pubbliche', tra l'altro, che "Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di riferimento possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo restando l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale." Tale disposizione di legge risulta violativa della competenza legislativa regionale sotto un duplice connesso profilo. Lede, infatti, al contempo il comma 3 e il comma 4 dell'art. 117 della Costituzione della Repubblica italiana, e, in via mediata, pur anche l'art. 118 della Costituzione, traslando irragionevolmente e in violazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza una competenza amministrativa propria della Regione a favore di enti locali sub-regionali. Quanto al primo profilo d'illegittimita' costituzionale, giova ricordare, in via preliminare, che la disciplina delle ex IPAB rientra nella materia "socio-assistenziale" ovvero della "assistenza e beneficenza" (v., ex multis, Corte Costituzionale n. 195 del 28 aprile 1992). Per cui, a seguito della riforma del Titolo V° della Costituzione della Repubblica italiana, essa deve ritenersi devoluta alla competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni. Nondimeno, l'incidenza della disposizione statale impugnata su un ambito materiale di competenza residuale regionale, quale e' quello concernente le ex IPAB, non esclude, di per se', la legittimita' dell'intervento legislativo e impone, invece, di vagliare in via preliminare la materia di appartenenza della disposizione legislativa sottoposta all'esame della Corte Costituzionale.(Corte cost. n. 237 del 24 luglio 2009) Di fatti, "la giurisprudenza costituzionale ha precisato che, nel caso in cui una normativa interferisca con piu' materie attribuite dalla Costituzione, da un lato, alla potesta' legislativa statale e, dall'altro, a quella concorrente o residuale delle Regioni, occorre preliminarmente individuare l'ambito materiale che possa considerarsi nei singoli casi prevalente. E, qualora non sia individuabile un ambito materiale che presenti tali caratteristiche, la suddetta concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in Costituzione, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, il quale deve, in ogni caso, permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie" (sentenza n. 50 del 2008) 5.2) Nel caso di specie, sulla base di tali parametri di riferimento e alla luce della collocazione geografico-normativa, potrebbe farsi rientrare la disposizione in parola nell'ambito della materia concorrente del "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", come peraltro pare fare la stessa Corte Costituzionale in altra decisione. (n. 161 del 27 giugno 2011) A tale specifico riguardo e' stato, poi, sottolineato che "una disposizione statale di principio, adottata in materia di legislazione concorrente, quale quella del coordinamento della finanza pubblica, puo' incidere su una o piu' materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni" (ex multis, sentenze n. 159 del 2008; n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005). In tal caso, pero', sara' necessario verificare in concreto l'atteggiarsi del rapporto tra la norma statale e la competenza regionale, ossia occorrera' accertare se la prima sia rimasta nei limiti imposti alla normazione di principio. Limiti i quali impongono che si prescrivano esclusivamente criteri ed obiettivi, mentre alla normativa regionale spettera' l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (n. 181 del 2006). Nello specifico Caso della materia del coordinamento della finanza pubblica, perche' risultino rispettati tali limiti, occorre che ricorrano due condizioni: in primo luogo, che le nonne statali si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008, n. 139 del 2009). In proposito e come ulteriore requisito-limite, la Corte ha anche attenuato che la specificita' delle prescrizioni, se di per se' non puo' escludere il carattere di principio di una norma, occorre pero' che "risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione" (sentenza n. 430 del 2007). 5.3) Alla luce di tale ricostruzione di principio, e passando a esaminare il caso di specie, si puo' rilevare in primo luogo che la disposizione statale impugnata non solo e' priva del carattere della generalita' e della teleologia funzionale richieste a una norma che dovrebbe essere mero principio fondamentale di legislazione, ma addirittura costituisce una puntuale e specifica eccezione alla regola generale imposta dalla norma medesima in via generale al fine del contenimento della spesa pubblica. In secondo luogo, manca quel rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione con la normazione di principio e con i fini generali di coordinamento della finanza pubblica sottesi alla stessa, come evidenziato dalla clausola di salvaguardia posta a conclusione della norma, che limita infatti l'operativita' dell'eccezione in parola sulla base del criterio del "raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale". Il che fa propendere per una sostanziale estraneita' di tale disposizione rispetto alla stessa materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica. Ossia la norma in parola, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, sembra addirittura esulare in senso stretto dalla materia del coordinamento della finanza pubblica e invece rientrare a pieno diritto nella materia della "assistenza e beneficenza", la quale pero' e' riservata alla competenza legislativa regionale esclusiva. Con la conseguenza che quest'ultima pare lesa in via diretta per violazione dell'art. 117, comma 4 della Costituzione, introducendo la norma statale una puntuale disciplina in materia sottratta alla propria competenza, e in contrasto con la vigente legislazione regionale e pur anche statale in materia, come di seguito sara' evidenziato. Peraltro, anche qualora si volesse ritenere la disposizione in parola sussumibile nella materia di legislazione concorrente, comunque essa, esorbitando dall'ambito proprio della normazione di principio dovrebbe comunque ritenersi illegittima ex art. 117, comma 3 della Costituzione. 5.4) Che la norma in parola risulti materialmente lesiva della competenza regionale emerge, poi, esaminandone il contenuto, in quanto la stessa attribuisce una competenza gestionale, con evidenti ripercussioni organizzatorie, agli "enti locali di riferimento", anziche' alle Regioni. E cio', pur non avendo lo Stato potesta' per compiere un tale attribuzione, rientrando la relativa materia nella competenza esclusiva regionale. Le c.d. ex IPAB, infatti, sia nella forma della Azienda di servizio di cui al D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 sia nella forma di persona giuridica di diritto privato non possono in nessuna caso essere ricondotte all'ambito potestativo pubblico degli enti locali (si veda a tal riguardo la puntuale ricostruzione fatta dal Consiglio di Stato nella decisione n. 661 del 2009). Peraltro, tali enti sono, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella recente decisione n. 161 del 27 giugno 2012, "enti infraregionali connotati da una gestione di tipo imprenditoriale delle proprie risorse, connotati da una elevata peculiarita'", il che pur permettendo l'applicabilita' delle regole degli enti locali agli stessi, non ne consente l'assimilazione a questi ne' li vedi sottoposti alla potesta' di questi ultimi. Conferma di cio' si ricava dalla stessa legislazione statale che, nel fondamentale D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207, recante "Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza", attribuisce o, rectius, riconosce alle Regioni molteplici competenze in ordine al funzionamento, all'organizzazione, alla disciplina, anche finanziaria e contabile delle ex IPAB. Basti pensare che gli statuti e i regolamenti di organizzazione delle stesse, aventi un ruolo fondamentale in ordine al governo delle Aziende in questione, devono essere inviati alla Regione, che li approva nel termine e con le modalita' previste dalle leggi regionali. Nessuna diretta competenza e' invece prevista per gli enti locali "di riferimento". Con specifico riguardo, poi, al personale l'art. 11 del medesimo decreto legislativo statuisce che "i requisiti e le modalita' di assunzione del personale sono determinati dal menzionato regolamento di organizzazione" e, quindi sono sottoposti all'approvazione regionale. 5.5) Quanto alla legislazione regionale, essa conferma il riconoscimento in capo alla Regione di compiti di programmazione, indirizzo, controllo e vigilanza, che risulterebbero vanificati qualora in modo improprio venisse attribuito agli enti locali un potere gestorio-organizzatorio sulle ex IPAB, in assenza di qualsiasi coordinamento con l'ente regionale sovraordinato (art. 129 legge regionale 13 aprile 2001, n. 11; art. 3 Legge regionale 16 agosto 2007, n. 23) Alla luce di cio', l'attribuzione di una competenza agli enti locali di riferimento in ordine alla possibile deroga al regime limitativo delle assunzioni di personale appare non solo violativa della competenza legislativa regionale ex art. 117, commi 3 e 4 della Costituzione, ma anche lesiva delle prerogative riconosciute alla Regione dall'art. 118 Cost., in particolare per violazione dei canoni di sussidiarieta' e adeguatezza, cosi' come interpretati dalla Corte costituzionale. (decisione n. 6 del 13 gennaio 2004) In un sistema di competenze e funzioni amministrative, come quello delineato dalla legislazione statale e regionale in materia di ex IPAB, tale traslazione di competenza a favore degli enti locali di riferimento appare, infatti, priva sia del richiesto requisito della ragionevolezza che di quello teleologico della migliore tutela dell'interesse pubblico sotteso alla competenza amministrativa sia infine della necessaria consensualita' in ordine all'attribuzione di competenza, sotto forma di previo accordo con le Regioni. Onde superare i plurimi vizi di costituzionalita' evidenziati pare possibile prospettare un'esegesi costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso che la stessa utilizzi il termine "enti locali di riferimento" in modo generico, ossia tale da poter ricomprendere nel suo ambito semantico giuridico le stesse Regioni e da vincolare le determinazioni degli altri enti locali di riferimento ad un assenso da parte della Regione, quale ente competente alla disciplina al controllo e alla vigilanza delle ex IPAB.
P.Q.M. Voglia accogliere le richieste presentate nel ricorso indicato in epigrafe e dichiari l'illegittimita' costituzionale dei commi 325, 388, 496, 497, 498, 499, 500, 501, 518 e 557, dell'art. 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. Si depositano: 1) atto di autorizzazione alle liti; 2) parere della Conferenza unificata Stato Regioni Enti Locali del 14 novembre 2013. Venezia - Roma 24 febbraio 2014. Avv. Zanon - Avv. Manzi