N. 170 SENTENZA 11 giugno 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di  sesso  -
  Effetti sul matrimonio preesistente. 
- Legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di
  attribuzione di sesso), artt. 2 e 4. 
-   
(GU n.26 del 18-6-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  2  e  4
della  legge  14  aprile  1982,  n.  164   (Norme   in   materia   di
rettificazione di attribuzione di sesso),  promosso  dalla  Corte  di
cassazione nel  procedimento  vertente  tra  B.  A.  ed  altra  e  il
Ministero dell'interno ed altri con  ordinanza  del  6  giugno  2013,
iscritta al n. 214 del registro ordinanze  2013  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  42,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2013. 
    Visti l'atto di costituzione di B. A. ed altra, nonche' gli  atti
di intervento della Avvocatura per i diritti LGBTI e  del  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  giugno  2014  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi l'avvocato Giovanni Genova per l'Avvocatura per  i  diritti
LGBTI, Francesco Bilotta per B.A. ed altra e gli avvocati dello Stato
Attilio Barbieri e Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio promosso da una coppia  sposata  per
ottenere la cancellazione  della  annotazione  di  «cessazione  degli
effetti del vincolo civile del [loro] matrimonio», che l'ufficiale di
stato  civile  aveva  apposta  in  calce  all'atto   di   matrimonio,
contestualmente  all'annotazione,  su  ordine  del  Tribunale,  della
rettifica (da "maschile" a "femminile")  del  sesso  del  marito,  la
Corte di cassazione -  adita  in  sede  di  impugnazione  avverso  il
decreto della Corte di Appello  di  Bologna  che,  in  riforma  della
statuizione di primo grado, aveva respinto la domanda dei  ricorrenti
- ha sollevato con l'ordinanza in epigrafe, questione di legittimita'
costituzionale: 
    1) «dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 [Norme in materia  di
rettificazione  di  attribuzione  di   sesso],   nella   formulazione
anteriore all'abrogazione intervenuta per effetto  dell'art.  36  del
d.lgs. n. 150 del  2011  [Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69], nella  parte  in  cui  dispone  che  la
sentenza  di  rettificazione  di  attribuzione   di   sesso   provoca
l'automatica  cessazione  degli  effetti  civili   conseguenti   alla
trascrizione del matrimonio celebrato con  rito  religioso  senza  la
necessita'  di  una  domanda  e  di  una  pronuncia  giudiziale,  con
riferimento ai parametri costituzionali degli artt. 2 e 29 Cost.,  e,
in qualita' di norme interposte,  ai  sensi  degli  artt.  10,  primo
comma, e 117 Cost., degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea  dei
Diritti dell'Uomo con riguardo ad entrambi i coniugi»; 
    2) «degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982 con riferimento al
parametro costituzionale dell'art.  24  Cost.,  nella  parte  in  cui
prevedono  la  notificazione  del  ricorso  per   rettificazione   di
attribuzione  di  sesso  all'altro  coniuge,  senza   riconoscere   a
quest'ultimo il diritto di  opporsi  allo  scioglimento  del  vincolo
coniugale nel giudizio in questione, ne' di  esercitare  il  medesimo
potere in altro  giudizio,  essendo  esclusa  la  necessita'  di  una
pronuncia giudiziale dalla produzione ex lege dell'effetto  solutorio
in virtu' del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione
di attribuzione di sesso»; 
    3) «degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del  1982  con  riferimento
all'art. 24 Cost., negli stessi termini di cui sub 2),  con  riguardo
al coniuge che ha  ottenuto  la  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso»; 
    4) «dell'art. 4 della l. n.  164  del  1982  con  riferimento  al
parametro costituzionale  dell'art.  3  Cost.,  per  l'ingiustificata
disparita'  di  regime  giuridico  tra  l'ipotesi   di   scioglimento
automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale previsto da  tale
norma in relazione all'art. 3, quarto comma, lettera g) della  l.  n.
898 del 1970 e successive modificazioni e le altre  ipotesi  indicate
in detto art. 3, sub. 1, lettera a, b, c) e sub 2 lettera d).». 
    1.1.-  Nel  motivare  la  rilevanza  della  questione,  la  Corte
rimettente ha ritenuto, in premessa, che l'Ufficiale di stato  civile
abbia nella specie correttamente operato in presenza  della  suddetta
sentenza di rettificazione di sesso ed  in  applicazione  del  citato
art. 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, che testualmente, appunto,
dispone che «la sentenza di rettificazione di attribuzione  di  sesso
[...] provoca lo scioglimento del matrimonio celebrato  con  il  rito
religioso». 
    1.2.- Ha escluso poi quella Corte che la successiva legge 6 marzo
1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di
matrimonio) - che,  con  l'aggiunta  di  una  lettera  g)  nel  corpo
dell'art. 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei  casi
di scioglimento del matrimonio), ha inserito l'ipotesi del  giudicato
sulla rettificazione tra i casi in cui lo  scioglimento  del  vincolo
«puo' essere domandato da uno dei coniugi» - possa  condurre  ad  una
interpretazione adeguatrice della  normativa  impugnata,  nel  senso,
auspicato dai ricorrenti,  della  esclusione  dell'automatismo  dello
scioglimento del matrimonio in conseguenza del mutamento di sesso  di
uno dei coniugi. 
    La soluzione del divorzio "imposto" alla  coppia  che  sia  stata
"interessata"  dalla  rettificazione  di  sesso  di  uno   dei   suoi
componenti rifletterebbe, infatti, il limite, «privo di  ambiguita'»,
che il  legislatore  del  1982  ha  inteso  porre  all'esercizio  del
«diritto  all'identita'  di  genere   del   soggetto   che   desidera
rettificare il sesso che gli e' stato attribuito dalla nascita»,  con
la riconosciuta presenza de «l'interesse statuale a non modificare  i
modelli familiari» (id est: il modello eterosessuale del matrimonio). 
    E, poiche' rispetto al sistema di tali modelli la legge n. 74 del
1987  non  ha  operato  alcuna  modificazione,  l'introduzione  della
lettera g) nel novellato art. 3 della legge n. 898 del 1970 non altra
spiegazione puo' avere, secondo la Corte rimettente, che quella della
estensione del  rito  camerale  (da  quella  legge  individuato  come
modello processuale piu' spedito ed efficiente in materia  divorzile)
anche alle «controversie consequenziali (relative a  figli  minori  o
patrimoniali) allo scioglimento [pur sempre] automatico dal vincolo»,
come effetto della sentenza di rettificazione del sesso  di  uno  dei
coniugi. 
    1.3.- La Corte rimettente conclude, pertanto, che la  scelta  del
legislatore del 1982 - non modificata dalla legge n. 74  del  1987  e
pienamente confermata  dalla  novella  introdotta  con  l'art.  31del
d.lgs. n. 150  del  2011  -  «risulta  univocamente  quella  di  aver
introdotto una fattispecie di divorzio  "imposto"  ex  lege  che  non
richiede,  al  fine  di  produrre  i  suoi  effetti,  una   pronuncia
giudiziale ad hoc, salva la necessita' della  tutela  giurisdizionale
limitatamente alle decisioni relative ai figli minori». 
    Ma e', appunto, tale soluzione ad essere, ad avviso della  stessa
Corte rimettente, di dubbia compatibilita' con il sistema dei diritti
garantiti dagli  evocati  parametri  costituzionali  ed  europei.  Ne
deriverebbe,   infatti,   il   contrasto:   con   il    diritto    ad
autodeterminarsi nelle scelte relative alla identita'  personale,  di
cui la sfera  sessuale  esprime  un  carattere  costitutivo;  con  il
diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazionale,
quando essa assuma i caratteri della stabilita' e continuita'  propri
del   vincolo   coniugale;   con   il   diritto    a    non    essere
ingiustificatamente discriminati rispetto a  tutte  le  altre  coppie
coniugate, alle quali e' riconosciuta la possibilita'  di  scelta  in
ordine al divorzio e con il diritto dell'altro coniuge  di  scegliere
se continuare la relazione coniugale. 
    Dal che il quesito  sulla  «adeguatezza  del  sacrificio  imposto
all'esercizio di tali diritti dall'imperativita'  dello  scioglimento
del vincolo per entrambi i coniugi». 
    2.- Si sono costituiti  in  questo  giudizio  il  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
Generale dello Stato - che ha insistito, in  via  pregiudiziale,  per
l'inammissibilita' delle sollevate questioni e, in linea subordinata,
per la loro infondatezza - nonche', con un'unica memoria, entrambi  i
ricorrenti  per  cassazione,  la   cui   difesa   ha   concluso   per
l'accoglimento delle questioni e per la declaratoria consequenziale -
ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale)  -
dell'incostituzionalita' dell'art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del
2011. 
    3.-  E'  intervenuta  nel  presente  giudizio   di   legittimita'
costituzionale  anche  l'Avvocatura  per  i  diritti  LGBTI,  che  ha
invocato - anch'essa - l'accoglimento delle formulate questioni. 
    4.- Le difese dello Stato e dei ricorrenti hanno anche depositato
memorie ad ulteriore illustrazione dei rispettivi assunti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Chiamata a decidere sulla questione, al centro  del  giudizio
principale, relativa agli «effetti della pronuncia di  rettificazione
di sesso su un matrimonio preesistente,  regolarmente  contratto  dal
soggetto che ha inteso esercitare il diritto a cambiare identita'  di
genere in corso di vincolo,  nell'ipotesi  in  cui  ne'  il  medesimo
soggetto ne' il coniuge abbiano intenzione di sciogliere il  rapporto
coniugale», la  Corte  di  cassazione  dubita  che  la  soluzione  al
riguardo imposta dall'art. 4 della  legge  14  aprile  1982,  n.  164
(Norme in materia di rettificazione di attribuzione  di  sesso),  non
modificata dall'art. 7 della successiva legge  6  marzo  1987  n.  74
(Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio)
e poi confermata dall'art. 31 del  decreto  legislativo  1  settembre
2011, n. 150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di  procedura
civile in materia di riduzione  e  semplificazione  dei  procedimenti
civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno
2009, n.  69),  non  applicabile  in  causa  ratione  temporis  -  la
soluzione, cioe', di collegare alla  sentenza  di  rettificazione  di
sesso del coniuge l'effetto automatico di scioglimento del matrimonio
- realizzi un bilanciamento adeguato tra l'interesse  dello  Stato  a
mantenere  fermo  il  modello  eterosessuale  del  matrimonio  ed   i
contrapposti diritti maturati dai  due  coniugi  nel  contesto  della
precedente vita di coppia. 
    Il cosiddetto "divorzio imposto"  -  introdotto  dalla  normativa
censurata (l'art. 4 ed il connesso art. 2  della  legge  n.  164  del
1982) - sconterebbe, infatti, ad avviso della  Corte  rimettente,  un
deficit di tutela, risolventesi  nel  sacrificio  indiscriminato,  in
assenza di strumenti compensativi, «del diritto  di  autodeterminarsi
nelle scelte  relative  all'identita'  personale,  di  cui  la  sfera
sessuale  esprime  un  carattere  costitutivo;   del   diritto   alla
conservazione della preesistente dimensione relazionale, quando  essa
assuma i caratteri della stabilita' e continuita' propri del  vincolo
coniugale; del diritto a non essere ingiustificatamente  discriminati
rispetto  a  tutte  le  altre  coppie  coniugate,   alle   quali   e'
riconosciuta la possibilita' di scelta in  ordine  al  divorzio;  del
diritto dell'altro coniuge di scegliere se  continuare  la  relazione
coniugale». 
    Da qui, in particolare, il denunciato contrasto  dell'art.  4  e,
per quanto rileva, dell'art. 2 della legge n. 164 del  1982  con  gli
artt. 2, 3 e 29 Cost., e con gli  artt.  8  e  12  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, evocati  come  norme
interposte agli effetti della ulteriore violazione  degli  artt.  10,
primo comma, e 117, primo comma, Cost. e la prospettazione del vulnus
che si assume arrecato dagli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del  1982
all'art. 24 Cost. 
    2.-  Con  diffuse   argomentazioni   adesive   alla   motivazione
dell'ordinanza  di  rinvio,  la  difesa  dei  ricorrenti  ha  chiesto
dichiararsi l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2 e  4  della
legge n. 164 del 1982 e, in via consequenziale, ex art. 27, legge  n.
87 del 1953, dell'art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del 2011. 
    3.- Nel pervenire ad opposta conclusione di non fondatezza, sotto
ogni profilo, della questione in esame, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha richiamato, invece, in premessa, la  non  superabilita'  del
"paradigma  eterosessuale"  del  matrimonio,  ribadito  anche   dalla
sentenza di questa  Corte  n.  138  del  2010,  e  ne  ha  tratto  il
corollario che, in Italia,  il  matrimonio  gia'  celebrato  tra  due
persone eterosessuali, una  delle  quali  modifichi  in  costanza  di
rapporto, senza  opposizione  dell'altra,  la  propria  identita'  di
genere  venga,  per  cio'  stesso,  a  caducarsi   per   "inesistenza
acquisita". 
    Con l'ulteriore conseguenza - ad avviso, sempre di detta difesa -
che «cio' a cui puo' aspirare il coniuge che cambia sesso in costanza
di matrimonio e'  che,  con  il  consenso  del  proprio  compagno  (o
compagna) di vita, l'ordinamento riconosca il permanere  del  vincolo
di comunanza affettiva con una adeguata e diversa tutela,  che  serva
per l'appunto a non comprimere eccessivamente l'esercizio del diritto
inviolabile  all'autodeterminazione  sessuale,  ma  non  aspirare   a
conservare un istituto non piu' esistente». 
    4.- In  via  preliminare,  deve  essere  confermata  l'ordinanza,
adottata nel corso dell'udienza pubblica ed  allegata  alla  presente
sentenza, con la quale e' stato dichiarato inammissibile l'intervento
dell'Avvocatura per i diritti LGBTI. 
    5.- La  questione  e'  fondata,  nei  termini  e  limiti  di  cui
appresso. 
    5.1.-La   situazione   (sul   piano    fattuale    innegabilmente
infrequente, ma che, nella vicenda al centro del giudizio principale,
si  e'  comunque  verificata)  di  due  coniugi  che,  nonostante  la
rettificazione dell'attribuzione di sesso ottenuta da  uno  di  essi,
intendano  non  interrompere  la  loro  vita  di  coppia,  si   pone,
evidentemente, fuori dal modello del matrimonio - che, con  il  venir
meno del requisito,  per  il  nostro  ordinamento  essenziale,  della
eterosessualita', non puo' proseguire come tale - ma non  e'  neppure
semplicisticamente equiparabile  ad  una  unione  di  soggetti  dello
stesso sesso, poiche'  cio'  equivarrebbe  a  cancellare,  sul  piano
giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto  quella  coppia  ha
maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale,
che,  seppur   non   piu'   declinabili   all'interno   del   modello
matrimoniale,  non  sono,  per  cio'  solo,   tutti   necessariamente
sacrificabili. 
    5.2.- Il parametro costituzionale di riferimento per una corretta
valutazione della peculiare fattispecie in esame -  in  relazione  ai
prospettati   quesiti   sulla    legittimita'    della    disciplina,
correttamente individuata dalla Corte di cassazione negli artt. 2 e 4
della Legge n. 164 del 1982, che la risolvono in termini di  divorzio
automatico - non e' dunque quello dell'art. 29 Cost. invocato in  via
principale dallo  stesso  collegio  rimettente,  poiche',  come  gia'
sottolineato da questa Corte, la nozione  di  matrimonio  presupposta
dal Costituente (cui conferisce tutela il citato art.  29  Cost.)  e'
quella stessa definita dal codice civile del 1942, che «stabiliva  (e
tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone  di  sesso
diverso» (sentenza n. 138 del 2010). 
    Il che comporta che anche a colui (o colei) che cambia il proprio
sesso non resta impedito di formare una  famiglia,  contraendo  nuovo
matrimonio con persona di sesso diverso da  quello  da  lui  (o  lei)
acquisito per rettifica. 
    5.3.- Non pertinente e' anche il riferimento agli  artt.  8  (sul
diritto al rispetto della  vita  familiare)  e  12  (sul  diritto  di
sposarsi e formare una famiglia) della CEDU, come interpretati  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo (H. contro Finlandia -  decisione
del 13 novembre 2012; Schalk and Kopf contro Austria - decisione  del
22 novembre 2010), invocati come norme  interposte,  ai  sensi  della
denunciata violazione degli artt.  10,  primo  comma,  e  117,  primo
comma, Cost. E cio' perche', in assenza di un  consenso  tra  i  vari
Stati nazionali sul tema delle unioni omosessuali, la Corte EDU,  sul
presupposto  del  margine  di  apprezzamento  conseguentemente   loro
riconosciuto, afferma  essere  riservate  alla  discrezionalita'  del
legislatore nazionale le eventuali forme di tutela per le  coppie  di
soggetti appartenenti al medesimo sesso. 
    La stessa  sentenza  della  Corte  EDU  Schalk  and  Kopf  contro
Austria, citata nell'ordinanza di rimessione, nel ritenere  possibile
una interpretazione estensiva dell'art. 12 della CEDU nel senso della
riferibilita' del diritto di contrarre matrimonio anche  alle  coppie
omosessuali,   chiarisce   come   non   derivi   da   una    siffatta
interpretazione una norma impositiva, di una tale estensione, per gli
Stati membri. 
    5.4.- Neppure sussiste, nei termini della sua prospettazione,  il
contrasto della normativa denunciata con i precetti di cui agli artt.
24 e 3 Cost. 
    Quanto al primo parametro, perche' non essendo, per quanto detto,
configurabile un  diritto  della  coppia  non  piu'  eterosessuale  a
rimanere unita nel vincolo del matrimonio, non ne e', di conseguenza,
ipotizzabile alcun vulnus sul piano della difesa. 
    E quanto al parametro dell'art. 3 Cost.,  poiche'  la  diversita'
della peculiare fattispecie di scioglimento a causa di mutamento  del
sesso di uno dei coniugi rispetto alle altre  cause  di  scioglimento
del matrimonio ne giustifica la differente disciplina. 
    5.5.- Pertinente, e' invece, il riferimento al precetto dell'art.
2 Cost. 
    Al riguardo questa Corte ha gia' avuto modo di  affermare,  nella
richiamata sentenza n. 138 del 2010, che nella nozione di "formazione
sociale" - nel quadro della quale  l'art.  2  Cost.  dispone  che  la
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  -
«e' da annoverare anche l'unione  omosessuale,  intesa  come  stabile
convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il  diritto
fondamentale  di  vivere  liberamente  una  condizione   di   coppia,
ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla  legge
- il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». 
    In quella  stessa  sentenza  e'  stato,  pero',  anche  precisato
doversi «escludere [...] che l'aspirazione a  tale  riconoscimento  -
che necessariamente postula una  disciplina  di  carattere  generale,
finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia -
possa essere realizzata soltanto attraverso una  equiparazione  delle
unioni omosessuali al matrimonio», come confermato, del resto,  dalla
diversita'  delle  scelte  operate  dai  Paesi   che   finora   hanno
riconosciuto le unioni suddette. 
    Dal  che  la  conclusione,  per  un   verso,   che   «nell'ambito
applicativo dell'art. 2 Cost., spetta al  Parlamento,  nell'esercizio
della sua piena discrezionalita', individuare le forme di garanzia  e
di riconoscimento per le unioni suddette», e, per  altro  verso,  che
resta, pero',  comunque,  «riservata  alla  Corte  costituzionale  la
possibilita' di intervenire a tutela di specifiche  situazioni»,  nel
quadro di un controllo di ragionevolezza della rispettiva disciplina. 
    5.6.- Sulla linea dei principi enunciati nella riferita sentenza,
e' innegabile che la condizione dei coniugi che intendano  proseguire
nella loro vita  di  coppia,  pur  dopo  la  modifica  dei  caratteri
sessuali di uno di essi, con conseguente  rettificazione  anagrafica,
sia riconducibile a quella categoria  di  situazioni  "specifiche"  e
"particolari" di coppie dello stesso sesso, con riguardo  alle  quali
ricorrono i presupposti per un intervento  di  questa  Corte  per  il
profilo, appunto, di un controllo di adeguatezza  e  proporzionalita'
della disciplina adottata dal legislatore. 
    La  fattispecie  peculiare  che  viene  qui   in   considerazione
coinvolge, infatti,  da  un  lato,  l'interesse  dello  Stato  a  non
modificare  il  modello  eterosessuale  del  matrimonio  (e   a   non
consentirne, quindi,  la  prosecuzione,  una  volta  venuto  meno  il
requisito essenziale  della  diversita'  di  sesso  dei  coniugi)  e,
dall'altro  lato,  l'interesse  della  coppia,  attraversata  da  una
vicenda di rettificazione di sesso, a che l'esercizio della  liberta'
di scelta  compiuta  dall'un  coniuge  con  il  consenso  dell'altro,
relativamente  ad  un  tal  significativo  aspetto  della   identita'
personale, non  sia  eccessivamente  penalizzato  con  il  sacrificio
integrale della dimensione giuridica del preesistente  rapporto,  che
essa vorrebbe, viceversa, mantenere in essere (in tal ultimo senso si
sono indirizzate le pronunce della Corte costituzionale  austriaca  -
VerfG 8 giugno 2006, n. 17849 - e della Corte costituzionale  tedesca
BVerfG, 1, Senato, ord. 27 maggio 2008, BvL 10/05) . 
    La normativa - della cui legittimita' dubita la Corte  rimettente
- risolve un  tale  contrasto  di  interessi  in  termini  di  tutela
esclusiva di quello statuale alla  non  modificazione  dei  caratteri
fondamentali dell'istituto del matrimonio, restando  chiusa  ad  ogni
qualsiasi,  pur  possibile,  forma  di  suo  bilanciamento  con   gli
interessi della coppia, non piu' eterosessuale, ma  che,  in  ragione
del pregresso vissuto nel contesto di un regolare matrimonio, reclama
di essere, comunque, tutelata come «forma  di  comunita'»,  connotata
dalla «stabile convivenza tra due persone», «idonea  a  consentire  e
favorire il libero sviluppo della persona nella  vita  di  relazione»
(sentenza n. 138 del 2010). 
    Sta in cio', dunque, la ragione del vulnus che, per il profilo in
esame, le disposizioni  sottoposte  al  vaglio  di  costituzionalita'
arrecano al precetto dell'art. 2 Cost. 
    Tuttavia, non  ne  e'  possibile  la  reductio  ad  legitimitatem
mediante una pronuncia  manipolativa,  che  sostituisca  il  divorzio
automatico con un divorzio a domanda,  poiche'  cio'  equivarrebbe  a
rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra  soggetti
del medesimo sesso, in contrasto con l'art. 29 Cost.  Sara',  quindi,
compito del legislatore introdurre una forma alternativa  (e  diversa
dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare  il  passaggio
da uno stato di massima protezione giuridica ad  una  condizione,  su
tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore
e' chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la
rilevata condizione di illegittimita' della disciplina in  esame  per
il profilo dell'attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in
essa coinvolti. 
    5.7.- Va, pertanto, dichiarata - in accoglimento, per  quanto  di
ragione, delle sollevate questioni - l'illegittimita'  costituzionale
degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982 n. 164, con  riferimento
all'art. 2 Cost., nella parte in cui non prevedono che la sentenza di
rettificazione dell'attribuzione di sesso di  uno  dei  coniugi,  che
comporta lo scioglimento  del  matrimonio,  consenta,  comunque,  ove
entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un  rapporto  di  coppia
giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che
tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima,  la
cui disciplina rimane demandata alla discrezionalita' di  scelta  del
legislatore. 
    5.8.- Negli stessi termini, la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953,  n.
87, va estesa all'art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del  2011,  che
ha sostituito  l'art.  4  della  legge  n.  164  del  1982,  abrogato
dall'art. 36 del medesimo  d.lgs.,  ma  che  ne  ripete,  con  minima
ininfluente variante lessicale, identicamente il contenuto. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli  artt.  2  e  4
della  legge  14  aprile  1982,  n.  164   (Norme   in   materia   di
rettificazione di attribuzione di sesso),  nella  parte  in  cui  non
prevedono che la  sentenza  di  rettificazione  dell'attribuzione  di
sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del  matrimonio
o la cessazione degli effetti civili  conseguenti  alla  trascrizione
del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi  lo  richiedano,  di
mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente  regolato  con
altra forma di convivenza  registrata,  che  tuteli  adeguatamente  i
diritti ed obblighi  della  coppia  medesima,  con  le  modalita'  da
statuirsi dal legislatore; 
    2)   dichiara,   in    via    consequenziale,    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 31, comma  6,  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n.  150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui non prevede  che  la
sentenza di rettificazione dell'attribuzione  di  sesso  di  uno  dei
coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione
degli effetti civili conseguenti  alla  trascrizione  del  matrimonio
celebrato con rito religioso, consenta,  comunque,  ove  entrambi  lo
richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente
regolato con altra forma  di  convivenza  registrata,  che  tuteli  i
diritti ed obblighi  della  coppia  medesima,  con  le  modalita'  da
statuirsi dal legislatore. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
                      Ordinanza emessa all'udienza del 10 giugno 2014 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale, introdotto con ordinanza della Prima  sezione  civile
della Corte di cassazione, depositato il 6 giugno 2013  (n.  214  del
registro ordinanze 2013). 
    Rilevato che in tale giudizio e' intervenuta l'Avvocatura  per  i
diritti LGBTI (Associazione nazionale di promozione sociale  iscritta
a n. 116, sezione F, del registro delle APS presso  la  Provincia  di
Bergamo), in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., con
atto depositato il 4 novembre 2013; 
    che detta Associazione non e' stata parte nel giudizio a quo; 
    che la costante giurisprudenza di questa  Corte  (tra  le  tante,
cfr. le ordinanze allegate alle sentenze n. 237 e n. 82 del 2013,  n.
272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001)  e'
nel  senso  che  la  partecipazione  al  giudizio   di   legittimita'
costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del  giudizio  a
quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,  nel  caso
di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4
delle  norme  integrative  per   i   giudizi   dinanzi   alla   Corte
costituzionale); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare  -  senza  venire  in
contrasto   con   il   carattere   incidentale   del   giudizio    di
costituzionalita' - soltanto a favore di  soggetti  terzi  che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura; 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente  non  deve  derivare,  come  per  tutte  le  altre
situazioni  sostanziali  governate  dalla  legge  denunciata,   dalla
pronuncia della Corte sulla legittimita' costituzionale  della  legge
stessa, ma  dall'immediato  effetto  che  la  pronuncia  della  Corte
produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo; 
    che pertanto - essendo l'Avvocatura per i diritti LGBTI  titolare
non gia' di un interesse direttamente riconducibile  all'oggetto  del
giudizio principale, sibbene di un mero indiretto, e  piu'  generale,
interesse, connesso al suo scopo statutario, a diffondere la  cultura
e il rispetto dei  diritti  delle  persone  omosessuali,  bisessuali,
transessuali e intersessuali - il suo intervento, in questo giudizio,
deve essere dichiarato inammissibile. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile l'intervento dell'Avvocatura per i diritti
LGBTI. 
 
                  F.to: Sabino Cassese, Presidente