N. 102 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2014

Ordinanza del 30 gennaio 2014  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania sul  ricorso  proposto  da  Romeo  Alberghi
s.r.l. contro il Comune di Napoli ed altri. 
 
Paesaggio (Tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio  -
  Deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le  zone
  A e B del territorio comunale, classificate  tali  negli  strumenti
  urbanistici vigenti alla data del 6  settembre  1985  -  Esclusione
  dall'ambito operativo della deroga delle aree urbane riconosciute e
  tutelate come patrimonio UNESCO - Mancata previsione  -  Violazione
  del principio di tutela del paesaggio. 
- Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 2. 
- Costituzione, art. 9. 
(GU n.27 del 25-6-2014 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA 
                          (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  7185  del  2009,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: 
        Romeo Alberghi S.r.l., in persona del  legale  rapp.te  p.t.,
rappresentato e difeso dagli avv. Ileana  Capurro,  Raffaele  Ferola,
Renato Ferola, con domicilio eletto presso Raffaele Ferola in Napoli,
p.zza della Repubblica, 2; 
 
                               Contro 
 
    Comune di Napoli in persona del  Sindaco  p.t.,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  Municipale,  domiciliata  in  Napoli,  piazza
Municipio palazzo San Giacomo; 
    Soprintendenza Per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici ed
Etnoantropologici Per Napoli e Provincia, Ministero Infrastrutture  e
Trasporti,  Ministero  Per  i  Beni   e   Le   Attivita'   Culturali,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura  Distrettuale  dello
Stato, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11; 
    Per l'annullamento, quanto al ricorso principale: 
        della disposizione  dirigenziale  n.  399  del  16.9.2009  di
demolizione relativamente al nono piano ed a parte dell'ottavo piano; 
        nei motivi aggiunti N.1 depositati il  29.1.2010,  notificati
il 28.1.2010: 
        della scheda istruttoria tecnica del 10.7.09  depositata  dal
Comune; 
        nei Motivi aggiunti N. 2 depositati il  9.11.2010  notificati
il 26.10.10: 
        della nota dirig,. 21.7.2010 contenente avviso ex art. 7  per
autotutela delle DIA n. 23/04, n. 212/05, n. 393/2008,  n.  341/2009,
n. 367/2010: 
        delle note avvocatura 11.3.2010 e 17.3.2010; 
        nei motivi aggiunti N. 3 depositati il  9.11.2010  notificati
il 28.10.2010: 
        degli stessi atti ed inoltre dell'art. 124 NTA; 
        nei motivi aggiunti N. 4 depositati il 23.11.2010  notificati
il 13.11.2010: 
        della nota dirigenziale 28.2.2010  avente  ad  oggetto  avvio
dell'autotutela sul condono di cui alla DD 98/2005; 
        delle note 11.3.2010 e 17.3.2010; 
        del PRG del 1972; 
        nei motivi aggiunti N. 5 depositati l'1.3.2011 notificati  in
data 18.2.2011: 
        della nota 21.2.2010 che comunica come (per  le  dia  2005  e
2010) si procede ex art. 33 co. 4 e 6-bis; 
        nei motivi aggiunti N. 6  depositati  il  13.7.11  notificati
l'11.7.11: 
        degli  atti  endoprocedimentali  depositati   da   Comune   e
Soprintendenza nel ricorso RG 2793/11 proposto dal Comune; 
        nei motivi aggiunti n. 7: 
        delle disposizioni  dirigenziali  n.  4  del  19.10.2011  del
dirigente  II  Municipalita'  e  n.  419  in   pari   data   servizio
antiabusivismo aventi ad oggetto annullamento della DIA  n.  212/2005
ed ordine di demolizione per parte degli  abusi,  ed  irrogazione  di
sanzione pecuniaria per parte degli abusi; 
        degli  atti  presupposti,  nota  del  23.9.2011  Dipartimento
pianifica. Urbanistica; 
        della nota dipartimento urbanistica 11.3.2010 e  17.3.2010  e
nota 27.10.2010 della Soprintendenza; 
        dei verbali 12.3.2008 e 8.4.2008 di validazione  del  formato
digitale dei perimetri delle aree vincolate ai sensi  del  D.Lgs.  n.
42/2004 e del conforme certificato di destinazione urbanistica; 
        dell'art. 124 delle NTA della variante generale al PRG; 
        della nota 21.7.2010 del dirigente II  municipalita'  recante
avviso di avvio del procedimento di riesame di una serie  di  denunce
inizio attivita', tra cui la DIA n. 212/2005; 
        della nota II municipalita' 21.10.2010 prot. 2802; 
        della  nota  7.9.2011  del  dipartimento  di   pianificazione
urbanistica e del 28.9.2011 della unita' condono edilizio; 
        Nei motivi aggiunti N. 8 depositati il  20.2.2012  notificati
il 13.2.2012: 
        Della nota 15.12.2011 e  23.4.2010,  attinenti  alla  dia  n.
367/2010 sospesa e poi respinta; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di  Napoli,
della Soprintendenza Per i Beni Architettonici Paesaggistici  Storici
ed  Etnoantropologici  Per  Napoli   e   Provincia,   del   Ministero
Infrastrutture e Trasporti e del Ministero Per i Beni e le  Attivita'
Culturali; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  13  novembre  2013  il
Cons.  Anna  Pappalardo  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    La societa' ricorrente e' proprietaria di  un  immobile  sito  in
Napoli alla via C. Colombo n. 45, precedentemente adibito ad  uffici,
noto come edificio ex Flotta Lauro, ed attualmente denominato  «Hotel
Romeo». 
    All'esito di lavori di consolidamento  strutturale  dell'edificio
suddetto, eseguiti giusta DIA n.  23/2004,  e'  stata  presentata  al
Comune di Napoli ulteriore DIA n.  212/2005  al  fine  di  realizzare
lavori  tesi  al  mutamento  di  destinazione  ad   uso   alberghiero
dell'immobile, DIA che contemplava un intervento di  ristrutturazione
edilizia mediante parziale demolizione e ricostruzione, asseritamente
senza aumento di volume; a tale denuncia erano  allegate  planimetrie
contenenti lo stato di fatto e quello di progetto dell'edificio. 
    Le  opere  sono  state  ultimate  in   data   14.12.2007   giusta
comunicazione di fine lavori  depositata  agli  atti  del  Comune  di
Napoli. 
    In  seguito  le  porzioni  di  immobile  site  all'ottavo   piano
(relativamente allo spazio esterno destinato a palestra) e  del  nono
piano (sala ristorante) sono state  sottoposte  a  sequestro  penale,
essendo  contestata  per  le  stesse  la  mancanza  di  permesso   di
costruire. 
    L'amministrazione comunale ne  ha  conseguentemente  ingiunto  la
demolizione con l'atto gravato nel ricorso principale -  disposizione
dirigenziale n. 399 del 16.9.2009. 
    Assume  parte  ricorrente  che  il  Comune  di   Napoli   avrebbe
supinamente recepito la contestazione del giudice  penale,  adottando
il  provvedimento  di   demolizione   che   ritiene   verificata   la
realizzazione in parte qua di una nuova costruzione. 
    L'ordine di demolizione  e'  stato  sospeso  da  questo  TAR  con
ordinanza cautelare n.  352/2010,  nella  quale  si  e'  rilevata  la
mancata considerazione di quanto assentito con DIA n.  212/2005,  non
annullata dal Comune. 
    A seguito anche di  una  perizia  depositata  dal  consulente  di
ufficio del PM nel  procedimento  penale,  il  Comune  di  Napoli  ha
avviato un procedimento di riesame di  tutte  le  denunce  di  inizio
attivita' in base alle quali sono stati  eseguiti  lavori  edili  per
l'Hotel Romeo; gli elementi indicati nell'avviso di avvio del riesame
sono stati oggetto di controdeduzioni della societa' Romeo  con  nota
del 5.8.2010. 
    Il  Comune  ha  richiesto  integrazioni   documentali   in   data
25.9.2010; 
    Quindi ha: 
        dapprima concluso il riesame della DIA n. 23/2004  disponendo
l'archiviazione del procedimento (in  quanto  in  parte  trattasi  di
lavori di adeguamento antisismico ed in parte le  relative  richieste
sono state rinunciate e trasfuse nella successiva DIA 212/2005); 
        In seguito ha concluso il procedimento di riesame per due DIA
n. 393/2008 e 341/2009 relative a lavori  eseguiti  nell'immobile  di
via  Melisurgo,  15  (traversa  del  Leone),  attinenti  a   porzioni
dell'immobile  site  al  piano  terra  e   seminterrato,   disponendo
l'annullamento delle denunce stesse; 
        Avviato una richiesta di parere alla Soprintendenza  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 33 co. 4 DPR  n.  380/01  per  gli  abusi
contestati; 
        Infine concluso il  procedimento  di  riesame  della  dia  n.
212/2005 giusta le determinazioni del  19.10.2011  con  le  quali  ha
dichiarato  l'inefficacia  della  DIA  sia  in  ragione  del  mancato
rispetto   del   vincolo   paesaggistico   (che    avrebbe    imposto
l'acquisizione del parere della competente  Soprintendenza),  sia  in
ragione di un aumento  volumetrico  non  consentito  dalla  normativa
urbanistica vigente per la zona in esame; ed ha di seguito  diffidato
la societa' alla demolizione delle opere eseguite su parte del  piano
ottavo e sull'intero nono piano, applicando per i restanti  abusi  la
sanzione pecuniaria. 
    Parte ricorrente  insorge  avverso  l'ordine  di  demolizione,  e
successivamente con  motivi  aggiunti,  avverso  tutti  gli  atti  in
epigrafe, lamentando censure di violazione di  legge  ed  eccesso  di
potere. 
    In particolare lamenta: 
        1 - violazione art. 7 legge n. 241/90, istruttoria frettolosa
- si sarebbe ignorata  la  presentazione  della  denuncia  di  inizio
attivita' e non si e' dato modo di dimostrare la  legittimita'  delle
opere,  in  quanto  configurabili  come  atti   di   ristrutturazione
edilizia. Mancata spedizione dell'avviso di avvio del procedimento di
riesame,  necessario  trattandosi  di  esperimento   di   potere   di
autotutela; 
        2 - violazione del DPR n. 380/01: premette la ricorrente  che
l'immobile e' stato edificato giusta  licenza  edilizia  del  1950  e
constava di un seminterrato e undici piani fuori terra,  di  cui  gli
ultimi due arretrati rispetto al filo della facciata,  in  acciaio  e
vetro - inoltre per i piani interni dello stabile nel 1987  e'  stata
presentata domanda di condono edilizio. 
        Con la dia del 13.6.2005  il  Comune  dapprima  disponeva  la
sospensione dei  termini  chiedendo  il  completamento  del  condono;
conseguita la concessione in sanatoria per il pregresso, la parte  ha
atteso i termini per il perfezionamento della DIA ed ha dato inizio e
concluso i lavori, dopo che il Comune in  alcuni  sopralluoghi  aveva
accertato la conformita' di quanto realizzato alla DIA. 
        Il progetto di DIA, si ribadisce, non modificava  le  altezze
dell'edificio e prevedeva una  ristrutturazione  con  spostamento  di
alcuni volumi in diverse allocazioni,  senza  modifiche  a  volume  e
sagoma:   il   concetto   tecnico-giuridico   invocato   sarebbe   la
ristrutturazione leggera di cui all'art. 3 DPR n. 380 - a  differenza
della ristrutturazione pesante che richiede il permesso di costruire. 
        Peraltro  con  successive  modifiche   normative   anche   la
ristrutturazione pesante di cui all'art. 20 DPR n. 380 e' stata  resa
assentibile con DIA alternativa al permesso di costruire. 
        Conclusivamente l'istante invoca la legittimita' del  proprio
operato, in quanto assistito da una denuncia di inizio attivita', per
la quale sono decorsi i termini senza obiezioni, i lavori sono  stati
ultimati, non vi sono abusi, i pretesi aumenti volumetrici  sarebbero
di  entita'  minima  rispetto  al  totale   dell'edificio:   non   si
configurerebbe ne' nuova costruzione, ne' difformita' totale. 
        Al riguardo aggiunge che  le  leggi  reg.  n.  19/2001  e  n.
16/2004 ricomprendono nell'ambito degli  interventi  assentibili  con
DIA sia la ristrutturazione cd. minore, sia  quella  pesante;  ma  la
ristrutturazione cd.  pesante  si  caratterizza  per  un  sostanziale
ampliamento dell'edificio, ovvero per la demolizione e  ricostruzione
- il tutto nella specie insussistente: a tal fine si richiama ad  una
perizia tecnica allegata al ricorso; 
        3 - eccesso di potere  sotto  vari  profili:  gli  incrementi
volumetrici della sala ristorante al nono piano risultano  compensati
dalle  demolizioni  eseguite  aliunde,  quindi  vi   e'   stata   una
traslazione a questo livello  di  altri  volumi;  egualmente  per  la
copertura con tende  amovibili  dello  spazio  terrazzato  adibito  a
palestra. In conseguenza, il piano nono sarebbe totalmente conforme -
realizzando una compensazione con diversa distribuzione. 
        Per la palestra  al  piano  ottavo  precisa  inoltre  che  si
tratterebbe di sistemazione di spazi esterni per esigenze temporanee,
interventi che ai sensi dell'art. 6 co. 1 lett. d) del reg.  edilizio
comunale ed art. 10 delle  NTA  non  sono  rilevanti  in  termini  di
superficie  e  volume.  In  ogni  caso,  si  tratterebbe   di   lieve
difformita'  con  inapplicabilita'  del  regime  sanzionatorio  della
demolizione. 
        4 - violazione art. 37 e ss. DPR n. 380/01 -  Le  difformita'
rispetto alla dia vanno sanzionate con la sanzione pecuniaria  e  non
con la demolizione. 
        Peraltro, anche a volere configurare la ristrutturazione come
pesante, la sanzione demolitoria non sarebbe  eseguibile,  in  quanto
sono stati collocati al livello superiore  al  nono,  sopra  l'ultimo
piano dell'albergo, tutti gli impianti tecnologici e volumi tecnici a
servizio dell'intero albergo, si' che gli stessi perderebbero il loro
appoggio in caso di esecuzione dell'ordine  di  ripristino -  per  le
stesse ragioni non si  potrebbe  acquisire  l'area  di  sedime,  come
indicata nell'ordine di demolizione. 
        5 -  eccesso  di  potere  per  difetto  di  istruttoria  - la
sottoposizione a sequestro  penale  rende  evidente  che  manca  ogni
urgenza di provvedere in ordine alla demolizione. 
    Si e' costituita in giudizio l'amministrazione  comunale  che  ha
ricostruito la vicenda in punto di fatto come segue: 
        Il  12  febbraio  2010,  a  seguito  di  accoglimento   della
sospensiva contro la demolizione, sulla scorta  dell'esistenza  della
dia del 2005, l'avvocatura dell'ente invita il dirigente a contestare
le  difformita'  e  ad  emettere  atto  ricognitivo  negativo   della
formazione  della  DIA  ovvero  ad   annullare   in   autotutela   il
provvedimento  tacito  formatosi.  Infatti  le   DIA   non   potevano
perfezionarsi in assenza del prescritto parere della  Soprintendenza,
non  essendo   stata   attivata   la   procedura   finalizzata   alla
autorizzazione ambientale. 
    Tale motivo ostativo viene rilevato a marzo 2010 dal  sistema  di
pianificazione urbanistica, che nella propria  relazione  precisa  la
inoperativita' della deroga al regime vincolistico  ex  lege  di  cui
all'art. 142, co. 2 d.lgs n. 42/2004, sorgendo l'edificio su aree che
non erano classificate come zona A e B del PRG vigente al 1985. 
    Gli  interventi  eseguiti  dalla  societa'  ricorrente  risultano
assistititi da una serie di denunce di inizio attivita',  di  seguito
elencate, per nessuna delle quali e' stata esperita la  procedura  di
autorizzazione  paesaggistica,  pur  essendo  l'area  di   intervento
sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto ricadente entro i 300 mt
dalla linea di battigia: 
        dia n. 23/2004 per adeguamento antisismico, prevedente alcune
demolizioni e ricostruzione (per le quali vi e' stato  il  successivo
provvedimento di archiviazione comunale); 
        dia n.  212/2005  per  manutenzione  straordinaria  ed  opere
interne, di ristrutturazione per cambio ad uso alberghiero; 
        dia prot. 2225/2008 per piano interrato di via Melisurgo  per
la fusione dei locali al piano terra col piano interrato; 
        dia prot. 2553/2009 per ulteriori lavori nella zona interrata
per mutamento di uso, ovvero area benessere; 
        dia n. 367 del 2010 per lavori  al  piano  8  -  manutenzione
straordinaria per adibirlo a sala  ristorante,  pratica  sospesa  con
dichiarazione di improcedibilita'. 
    L'immobile attualmente ricade in zona A secondo  la  variante  al
PRG approvata nel 2004, ma era al di fuori del perimetro  del  centro
storico del PRG del 1972 ed a tale data si contesta che fosse zona  A
o B. Afferma il  Comune  la  inidoneita'  dei  titoli  edilizi  sopra
elencati alla legittimazione delle opere eseguite, alla stregua delle
seguenti considerazioni: 
        la DIA del 2004 non  e'  assentibile,  in  quanto  era  stata
presentata per immobile in relazione al quale pendeva ancora  pratica
di condono edilizio, all'epoca non ancora  esitata;  inoltre  si  era
rilevato il contrasto con l'art.  3  reg.  edilizio  della  struttura
metallica di 180 mq sul terrazzo per rimpianti tecnici; 
        la Dia del  2005  non  era  assentibile,  in  quanto  non  si
tratterebbe di ristrutturazione a parita' di volume, ma di  creazione
di nuovi volumi con modifica della sagoma dell'edificio in  contrasto
con 1'articolo 124 delle NTA del PRG  -  infatti  il  progettista  ha
considerato i cavedi e luoghi  tecnici  sicuri  dei  volumi  tecnici,
cosi' sottraendoli al calcolo dei volumi e spostandoli al nono  piano
sul ristorante  -  non  sarebbero  volumi  strettamente  necessari  a
contenere  gli  impianti  tecnologici  -  si  contesta   inoltre   la
legittimita' della struttura verandata di 35 mq a  servizio  del  bar
posta al primo piano fuori terra-piano ammezzato - dotato di scala di
collegamento con la pubblica via. 
    Si contesta altresi' al nono piano, oltre la sala ristorante  con
volumetria traslata dai cavedi, una nuova volumetria  di  100  mq  in
luogo di una tenda aggiustabile, mentre e' in alluminio e vetri  -  e
il solaio di copertura di tutto il livello sarebbe stato alzato di 90
cm come contestato in sede di sopralluogo; 
    le dia del 2008 e del 2009 sono improcedibili, in  quanto  da  un
lato il tunnel di collegamento sottostradale con via Melisurgo non e'
sorretto da alcun titolo edilizio, inoltre e' stata abbassata  di  80
cm la quota di calpestio  del  locale  interrato  con  incremento  di
volume (raffronto con la dia del 2005);  il  cambio  di  uso  a  sala
benessere realizza un mutamento di volume  non  consentito  dall'art.
124 della variante generale al PRG e lo scavo e'  stato  eseguito  in
zona archeologica senza informativa della Soprintendenza. 
    Tutte queste considerazioni, unitamente al fatto che si tratta di
interventi   esterni   in   zona   vincolata   senza   autorizzazione
paesaggistica, sono contestate nell'avviso  di  avvio  di  autotutela
delle dia, contestando anche che  si  crea  un  collegamento  tra  le
stesse tale da individuare un intervento di natura complessa, per  il
quale occorre permesso di costruire. 
    In seguito il Comune ha aperto  un  procedimento  di  riesame  in
autotutela delle DIA del 2004, 2005, 2008, 2009, 2010. 
    Avverso  gli  atti  endoprocedimentali,  nonche'  le   successive
determinazioni  dell'amministrazione  comunale,  la   ricorrente   ha
articolato i motivi aggiunti come nell'ordine esposti in premessa,  e
con i quali complessivamente si lamenta: 
        violazione DPR n. 616/77, legge n. 431/85, art.  1423  d.lgs.
n. 142/2004, in relazione al DM n. 1444/68 ed al PRG della citta'  di
Napoli  del   1972,   eccesso   di   potere   sotto   vari   profili:
sussisterebbero i  presupposti  di  fatto  per  applicare  la  deroga
all'assoggettabilita' dei lavori alla  autorizzazione  paesaggistica,
giusta il disposto dell'art. 142, comma 2,  d.  lgs.  n. 42/2004.  Il
PRG, secondo la zonizzazione della tavola di  riferimento  (che  deve
considerarsi la tavola 5  in  quanto  redatta  ai  sensi  del  DM  n.
1444/68) classifica l'area su cui  sorge  l'immobile  della  societa'
Romeo quale zona «B» disciplinata altresi' dall'articolo 2 delle NTA.
Di conseguenza, la inclusione dell'area  in  zona  B  alla  data  del
6.9.1985 rende operativa la deroga al vincolo paesistico ex  lege  di
cui all'art. 142, co. 2, d.  lgs.  n.  42/2004 -  cio'  comporterebbe
anche la piena efficacia del condono a  suo  tempo  conseguito  dalla
dante causa dell'odierna ricorrente giusta disposizione  dirigenziale
n.  98/2005   la   cui   validita'   e'   stata   messa   in   dubbio
dall'amministrazione comunale. 
        Sarebbe illogico e contraddittorio sostenere - come  vorrebbe
la difesa comunale - che l'unica tavola valida di riferimento del PRG
dovrebbe considerarsi la n. 3, richiamata dall'articolo 1 delle  NTA,
trattandosi  di  tavola  recante  suddivisione  del  territorio   per
destinazioni  di  uso.  I  pareri  del  servizio  supporto  giuridico
richiamati nelle gravate determinazioni ipotizzano illogicamente  che
il Ministero avesse a suo tempo approvato solo la tavola 3  del  PRG,
per  cui  la  tavola  5  non  avrebbe  mai   assunto   carattere   di
ufficialita'; tanto sarebbe contraddetto dal  DM  di  approvazione  e
dall'avviso  di  pubblicazione  sul  FAL,  ove  si   fa   riferimento
all'intero volume della cartografia di piano.  La  tavola  3  sarebbe
stata espressamente menzionata in quanto unica ad essere modificata. 
    Il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 3 in data 2  gennaio
2013 ha rilevato che le questioni controverse sulle quali si incentra
la risoluzione della presente controversia sono sostanzialmente due: 
        la  prima,  riguardante  l'esistenza  o  meno   del   vincolo
paesaggistico sull'area in oggetto, o meglio - stante la vigenza  del
vincolo ex lege di cui alla cd. legge Galasso per  essere  l'immobile
situato nella fascia dei 300 mt  dalla  battigia  -  l'esistenza  dei
presupposti per far luogo  a  deroga  del  vincolo  stesso  ai  sensi
dell'art.  142  co.  2  D.  Lgs.   n. 42/2004,   in   ragione   della
qualificazione dell'area negli  strumenti  urbanistici  vigenti  alla
data del 6.9.1985; 
        la seconda, riguardante entita' e  natura  delle  difformita'
edilizie  ritenute  dal  Comune,  che  ha  ravvisato  un  aumento  di
volumetria e di altezza, non considerando secondo l'assunto di  parte
ricorrente ne' la preesistenza  al  nono  piano  della  ex  casa  del
portiere, rilevante sia per l'altezza che per  la  cubatura,  ne'  le
demolizioni  parziali  di  alcuni  volumi  ai  piani  inferiori,  con
compensazione volumetrica di quanto edificato al nono piano. In  tale
ambito, il Comune ha contestato  altresi'  un  ampliamento  del  nono
piano mediante la realizzazione di una veranda in alluminio  e  vetri
di 100 mq, ed un aumento di altezza  di  40  cm  per  tutta  la  sala
ristorante; nonche' uno spostamento verso l'esterno delle  originarie
pareti in ferro e vetri. 
    Al riguardo sono stati disposti incombenti istruttori diretti  ad
acquisizioni documentali, ed  in  seguito  e'  stata  effettuata  una
consulenza tecnica di ufficio, per la  quale  il  CTU  ha  depositato
relazione ed allegati in data 30 settembre 2013. 
    Osserva il Collegio che  riveste  carattere  prioritario  l'esame
degli accertamenti di natura urbanistica compiuti dal  Consulente  di
ufficio, al fine di verificare la vigenza del  vincolo  paesaggistico
in ragione della classificazione urbanistica della zona alla data del
6 settembre 1985. 
    Si  verte  in  proposito  sulla  difforme  classificazione  della
medesima zona operata nella tavola  5  del  PRG,  ove  la  stessa  e'
indicata quale zona B, e nella tavola 3 allegata al PRG,  ove  figura
indicata come zona D2. Al  riguardo  la  difesa  dell'amministrazione
comunale ha  sostenuto  che  la  tavola  5  non  sarebbe  efficace  e
probante,  in  quanto  non  approvata,  si'  che  l'unica  tavola  di
riferimento dell'intero PRG dovrebbe considerarsi la tavola 3. 
    Occorre     affrontare     preliminarmente      la      questione
dell'individuazione delle prescrizioni  di  zona  imposte  dal  piano
regolatore  generale  del  Comune  di  Napoli   rispetto   all'ambito
territoriale in cui sono stati realizzati gli interventi  edilizi  in
oggetto. 
    Il CTU in proposito ha rilevato quanto segue: 
        «In conseguenza delle ingenti  distruzioni  belliche  causate
dal conflitto della  II^  guerra  mondiale,  si  intese  disciplinare
l'opera di ricostruzione che  appariva  urgente  ed  indilazionabile,
adottando appositi piani  (di  ricostruzione)  per  il  recupero  del
patrimonio edilizio pubblico e privato degli abitati danneggiati. 
        Il Piano che ha interessato l'ambito della via Marittima,  in
cui ricade l'immobile poi trasformato in «Hotel Romeo», fu denominato
«Piano di Ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato ed adiacenze». 
    Esso era stato redatto dalla Commissione del Piano Regolatore  di
Napoli ed approvato con D.M.LL.PP. n. 2101 del 27.9.1946. 
    Seguirono diverse varianti. Quella  che  nel  1950  consenti'  la
realizzazione dell'edificio  destinato  a  sede  degli  uffici  della
Flotta Lauro venne  approvata  con  D.M.  n.  3181/3533/3041  del  23
settembre  1949,  all'esito  dei  pareri  favorevoli  del   Consiglio
Superiore Lavori Pubblici resi con i voti del 1° agosto 1949, n. 2149
e 6 settembre 1949, n. 2647. 
    Lo strumento urbanistico generale vigente all'epoca era il  Piano
regolatore del 1935.....». 
    Prosegue il CTU osservando come in seguito  alla  adozione  della
legge  urbanistica  del  1942,  il  Comune  di  Napoli   attivo'   il
procedimento per la redazione del nuovo PRG. 
    Il Consiglio Superiore Lavori Pubblici rese parere favorevole sul
Progetto di piano regolatore, adottato  dal  Consiglio  comunale  con
Deliberazione n. 1 del  12  marzo  1970,  nelle  adunanze  del  17/23
dicembre 1971 e del 21 gennaio 1972, proponendo  modifiche,  stralci,
prescrizioni  e  raccomandazioni  che,  sentito  il  Comune,   furono
recepiti nel Decreto del Ministero  per  i  lavori  pubblici  -  Div.
23^quinquies - n. 1829 del 31 marzo 1972 di approvazione  del  piano.
Con la Deliberazione della Giunta municipale n. 80 dell'8 marzo 1972,
ratificata dal Consiglio comunale con la Deliberazione n.  1  del  10
marzo 1972, furono rese le  controdeduzioni  del  Comune  di  Napoli,
rimesse al Ministero con nota n. 5511 del 13 marzo  1972,  unitamente
agli atti del Progetto di piano (5) costituiti da: 
        a) l'album a stampa contenente la cartografia; 
        b) il volume a stampa delle norme di attuazione; 
        c) il volume a stampa della relazione del progetto del  nuovo
piano regolatore.». 
    Il Progetto di piano regolatore esaminato dal Consiglio Superiore
Lavori Pubblici fu restituito al Comune di Napoli (unitamente al D.M.
1829/72 di approvazione) che lo acquisi' in data 7 giugno 1972 al  n.
139582 del protocollo generale, come attestano le  segnature  apposte
sugli elaborati raccolti nell'atlante, accertate dal CTU. 
    Il consulente da quindi conto degli elementi raccolti al fine  di
affermare la vigenza di entrambe le tavole  (la  n.  3  e  la  n.  5)
allegato al Piano regolatore: 
        «Il progetto del Prg era composto da tre  tipi  di  elaborati
(cartografia, norme di attuazione e relazione), cosi' come  accertato
dal sottoscritto Ctu e come risulta dalla nota prot. 5511/1972 e  dai
seguenti passi tratti dalla Relazione: 
          «Il "progetto del piano regolatore generale" (come l'art. 9
della legge urbanistica definisce il documento elaborato dal  Comune,
che deve essere  successivamente  «presentato»  al  Ministero  per  i
lavori pubblici) consta di tre tipi di elaborati: 
A - la cartografia (raccolta in «atlante», preceduto da un  indice  o
foliario, da un frontespizio per ciascuna tavola e, dove  necessario,
dalla legenda o dalla tavola di unione dei «fogli»); 
B -  le  norme  di  attuazione,  raccolte  in  separato  fascicolo  e
costituite da 25 articoli e 3 tabelle (28 riferite agli  ambiti  e  5
alle aree per concentrazioni  di  attrezzature  a  scala  di  settore
urbano); 
C - la relazione che comprende la presente introduzione, la relazione
tecnica  del  Comitato  per  il  piano  regolatore  e  la   relazione
economico-finanziaria  con  la  previsione  di  massima  delle  spese
occorrenti per  l'acquisizione  delle  aree  e  per  le  sistemazioni
generali necessarie per l'attuazione del piano». 
    A sua volta, la  cartografia  raccolta  nell'atlante  consta  dei
seguenti elaborati grafici: 
        «Tavola 1 (in cinque fogli):  Cartografia  descrittiva  della
situazione esistente sulla base del rilievo  aerofotogrammetrico  del
territorio comunale aggiornato al 28 luglio 1968 (scala 1:10.000). 
        Tavola 2 (in un foglio): Inquadramento dell'area comunale nel
territorio circostante con  la  precisazione  dei  vincoli  derivanti
dagli  strumenti  urbanistici  territoriali  gia'   operanti   (scala
1:100.000). 
        Tavola 3 (in cinque fogli preceduti dalla legenda  recante  i
colori indicativi delle zone e sottozone ed  i  simboli  degli  altri
vincoli di piano): Tavola generale di piano in iscala al 10.000. 
        Tavola 4 (in ventisei fogli preceduti dal quadro di  unione):
Riproduzione in iscala al 4.000 delle soluzioni di piano. 
        Tavola 5 (in cinque fogli):  Classificazione  del  territorio
comunale in zone omogenee ai sensi e per gli effetti dell'art. 2  del
decreto interministeriale 2 aprile 1968 (scala 1:10.000). 
        Tavola 6 (in cinque fogli): Ambiti, settori  urbani  ed  aree
destinate a concentrazioni di servizi  ed  attrezzature  a  scala  di
settore urbano (scala 1:10.000). 
        Tavola  7  (in  cinque   fogli):   Rete   cinematica   (scala
1:10.000).». 
    Aggiunge il Consulente: «La riproduzione del disegno e' a stampa,
derivata  da  un  solo  prototipo,  ad  evitare  il  ripetersi  delle
incredibili vicende del piano del '39,  inficiato  dalle  difformita'
esistenti fra i tre originali del 10.000 e fra il disegno al 10.000 e
quello a scale diverse... 
    Si spiega anche  perche'  la  rappresentazione  della  situazione
attuale sia stata effettuata non tanto in conformita' della circolare
Romita , quanto del decreto  interministeriale  2  aprile  1968,  che
vuole la classificazione  del  territorio  urbano  in  zone  omogenee
(tavola 5) anche se questa classificazione non tiene  conto  soltanto
delle caratteristiche presenti sul territorio, ma considera anche  la
destinazione futura» [cfr. da pag. 107 a 109 relazione - all. 5].  La
Relazione al progetto del Piano di Napoli, dunque, spiega che accanto
alle  zone  ed  aree  di  cui  all'art.7  L.1150/42  (10)  -  in  cui
suddividere il territorio comunale per  definirne  la  disciplina  di
dettaglio - venivano individuate le cosi' dette  "zone  omogenee"  di
cui all'art. 17 L. 765/67 [alias art. 41-quinquies L. 1150/42]. 
    Ed invero,  l'art.  1  delle  Norme  di  Attuazione  fa  espresso
riferimento all'art. 7  L.  1150/42  e,  segnatamente,  alle  zone  e
relative sottozone rappresentate nella Tav.  3,  mediante  differenti
colorazioni e simbologie esplicative, attraverso cui si definisce  la
disciplina urbanistica e l'individuazione  della  destinazione  d'uso
delle aree del territorio comunale. Nei cinque fogli  costituenti  la
Tav. 5, invece, redatta per ottemperare alle disposizioni di  cui  al
D.I. n. 1444/1968, sono, indicate graficamente le «zone  territoriali
omogenee», introdotte  dall'art.  17  L.  765/67  per  consentire  la
verifica  del  rispetto  dei  limiti  e  dei  rapporti   inderogabili
(standard) la cui determinazione  era  stata  demandata  ad  apposito
decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata  in
vigore della citata legge [art. 17, ultimo comma, L. 765/67]. 
    A dette «zone territoriali omogenee» ed alla Tav. 5  fa  espresso
riferimento l'Art. 2 (Zone  Territoriali  Omogenee)  delle  Norme  di
Attuazione. Tale articolo non e' stato interessato da alcuna modifica
in sede di approvazione.». 
    Ed ancora rileva il consulente la specifica ragion d'essere delle
suddivisioni contenute nella tavola n.  5:».  Un  chiaro  riferimento
allo scopo, assolto dalla Tav. 5, di  classificare  la  Citta'  nelle
cosi' dette «zone  omogenee»  di  cui  al  D.I.  2  aprile  1968  per
ottemperare alla disposizione  di  cui  all'art.  17  L.  765/67,  si
rinviene anche al 5° capoverso di pag. 334 della Relazione [cfr. all.
6 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: 
        «In relazione a  quanto  prescritto  nel  nominato  D.M.,  la
citta' va suddivisa nelle cosi' dette zone omogenee. Esse  sono  tali
dal punto di vista secondo il quale per una determinata zona omogenea
vigono determinate prescrizioni quantitative di attrezzature.  Questa
operazione e' stata eseguita nel presente progetto per la citta',  ma
essa fornisce soltanto indicazioni di valori  medi  su  grosse  aree.
Difatti le zone omogenee, quali sono indicate nell'apposita tavola n.
5, hanno forte estensione». 
    Per le finalita', invece, della Tav. 3 (destinata ad indicare  le
zone di cui all'art.7 L. 1150/42) torna utile il punto 5 di pag.  336
della Relazione [cfr. all. 7 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: 
        "La zonizzazione adottata e' riportata nella tavola 3  ed  e'
specificata e regolata dalle norme di attuazione.  Essa  si  articola
secondo i seguenti criteri. Alla base di  ogni  particolare  proposta
sta la considerazione delle finalita' che si vogliono conseguire. 
        Tali finalita' si traducono, per  quanto  si  riferisce  alla
zonizzazione, nella necessita' di indicare la destinazione  d'uso,  e
di procedere, in relazione a questa ed in relazione alle esigenze  di
attrezzature   documentate   dallo   studio   degli   ambiti,    alla
conservazione o alla ristrutturazione,  con  le  possibili  e  spesso
necessarie combinazioni di conservazione - ristrutturazione".». 
    In aggiunta alle considerazioni esposte, il dato di  fatto  della
rilevanza  di  tutti  gli  allegati  ai  fini  della  vigenza   delle
prescrizioni in  essi  contenute,  sta  nel  rilievo  che  tutti  gli
elaborati (relazione, norme di attuazione,  grafici)  recano  le  tre
timbrature del Consiglio Superiore del LL.PP. 
    Quanto alla sigillatura operata per la sola tavola 3, osserva  il
CTU come: «Tali modalita' di  confezionamento  dei  cinque  elaborati
della  Tav.  3  e  della  Legenda,  in  cui  sono  rappresentate   le
zonizzazioni  definite  all'art.  7  L.  1150/42,  suscitano   l'idea
nell'osservatore che si sia  voluto  scongiurare  ogni  tentativo  di
alterazione degli atti per evitare quanto  in  passato  era  accaduto
alle tavole del piano del 1939, fatti ricordati nella  Relazione  del
Prg del 1972... Tali rimedi dovevano riguardare gli elaborati grafici
e la legenda della Tav.  3  che,  in  connessione  con  le  Norme  di
Attuazione,  fissavano  la  disciplina  edilizia  ed  urbanistica  di
ciascuna  delle  zone  e  sottozone  in  cui  era  stato  diviso   il
territorio, ai sensi dell'art. 7 L. 1150/42. Nessun problema, invece,
presentavano sotto tale profilo gli elaborati della  Tav.  5,  atteso
che la stessa era stata predisposta unicamente  per  classificare  il
territorio nelle "zone omogenee" di cui all'art. 17 L. 765/67 per  la
verifica quantitativa degli standard prescritti  dal  D.I.  2  aprile
1968 .». 
    Ed infine: «In relazione al 3° quesito si risponde,  quindi,  che
il calcolo  degli  standard  urbanistici  richiamato  nel  parere  n.
1903/72 del Consiglio Superiore LL.PP., per la  zona  cui  appartiene
l'area di sedime in questione, e' proprio quello che si applica  alla
zona classificata come zona omogenea B) di cui all'art. 2 del D.I.  2
aprile 1968, n. 1444 .». 
    Orbene,  la  Tavola  5  e'  chiaramente   riferita   alle   «zone
territoriali omogenee» di cui all'art. 17 della legge n. 765/67. 
    Sulla scorta delle pregresse  considerazioni,  il  Collegio  puo'
giungere alle seguenti conclusioni in punto di diritto: 
        il Comune, in sede di  pianificazione  generale  del  proprio
territorio, utilizza due strumenti che hanno fini diversi: 
          la divisione in zone del territorio ai  sensi  dell'art.  7
della legge n.  1150/1942,  destinata  a  delineare  il  progetto  di
sviluppo della cita in senso dinamico; 
          la definizione, per zone territoriali omogenee, dei  limiti
e dei rapporti tra edificazione a scopo residenziale e  produttivo  e
spazi pubblici, ai sensi dell'art. 41-quinquies della stessa legge  e
del D.M. n. 1444 del 1968, che acquista rilevanza ai soli fini  della
dotazione degli standard, «senza  peraltro  costituire  vincolo  alle
valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione» (Cons. Stato,
Sez. IV, 25 maggio 1998, n. 869). 
    L'art. 2 del D.M. n. 1444-1968 prevede, in particolare, tre  zone
destinate ad insediamenti residenziali (zona A,  B  e  C),  una  zona
destinata a «nuovi insediamenti per impianti industriali  o  ad  essi
assimilati» (zona D), una zona destinata ad usi  agricoli  (zona  E),
una zona destinata ad attrezzature ed impianti di interesse  generale
(zona F). 
    I parametri per la individuazione  delle  zone  territoriali  non
sono  tra  loro  omogenei:  le  zone  di  tipo  A),  B)  e  C)   sono
caratterizzate  ed  individuate,  infatti,  attraverso  le   qualita'
fisiche  ed  edilizie   del   territorio,   indipendentemente   dalle
destinazioni d'uso del suolo in atto o previste dal piano  in  quella
specifica porzione di terreno; mentre le zone di tipo D),  E)  ed  F)
sono caratterizzate dalle  destinazioni  d'uso  previste  dal  piano,
indipendentemente dalle caratteristiche fisiche  dell'edificazione  e
del territorio. 
    La divisione in zone del territorio comunale puo' non  coincidere
con la individuazione delle zone territoriali omogenee  previste  dal
D.M. n. 1444-1968, sicche' ben puo' verificarsi  (come  nel  caso  in
esame) che in una zona territoriale omogenea sia compresa piu' di una
destinazione di  P.R.G.  e,  nelle  situazioni  di  incertezza  e  di
ambiguita', la individuazione delle zone  omogenee  viene  ad  essere
completamente determinata dalla successiva operazione di  definizione
delle quantita' minime di  aree  per  i  servizi  e  di  vincolo  per
l'edificazione, che si intendono perseguire e porre in atto. 
    Nella fattispecie in esame la zona  interessata  viene  tipizzata
nel P.R.G. come destinata a zona D2 ai sensi dell'art. 7 della  legge
urbanistica;  e  ai  sensi  dell'art.  2  delle  norme  tecniche   di
attuazione del PRG, ha la funzione specifica di zona B ai fini  della
individuazione degli standard urbanistici. 
    Essa ha una precisa localizzazione ed un'autonoma  disciplina  e,
anche  quanto  al  dimensionamento  degli  standard,  e'   nettamente
distinta dalle zone individuate come D, secondo  quanto  diffusamente
accertato dal CTU in base a considerazioni che  Collegio  ritiene  di
condividere, in quanto fondate  su  logici  criteri  di  giudizio  ed
assistite da ampie acquisizioni documentali e riscontri oggettivi. 
    Si da quindi logicamente e giuridicamente conto della coesistenza
di due tavole, la 3 e la 5, redatte a fini diversi: 
        nella tavola 3 la zonizzazione classifica il suolo come D2 ed
e' effettuata ai sensi dell'art. 7 legge  n.  1150/42  (cfr.  art.  1
delle NTA) nella tavola 5 la zonizzazione e' resa ai sensi del DM  n.
1444/68 (cfr. art. 2 delle NTA). 
    Occorre ora effettuare il coordinamento di  tali  tavole  con  la
previsione dell'art. 1, 2 comma, del D.L.  27.6.1985,  n.  312  (c.d.
Galasso), convertito con modificazioni nella legge 8.8.1985, n.  431,
secondo la quale «Il vincolo paesaggistico di cui al precedente comma
non si applica  alle  zone  A),  B)  e  -  limitatamente  alle  parti
ricomprese nei piani pluriennali di attuazione  -  alle  altre  zone,
come  delimitate  negli  strumenti  urbanistici  ai  sensi  del  D.M.
2.4.1968, n. 1444 e, nei Comuni  sprovvisti  di  tali  strumenti,  ai
centri edificati  perimetrati  ai  sensi  dell'art.  18  della  legge
22.10.1971, n. 865». 
    Tale disposizione normativa e' stata di volta in volta riprodotta
nelle successive  versioni  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, sino all'odierna formulazione di cui all'art. 142 co. 2 d.
lgs n. 42/2004. 
    La tavola rilevante a  tal  fine  e'  quella  di  cui  al  n.  5,
contenente la zonizzazione ai fini degli standard,  come  enuncia  il
tenore letterale della disposizione in  esame,  che  ha  inteso  fare
riferimento alla classificazione del territorio comunale ai sensi del
D.M. 2.4.1968, n. 1444. 
    Ne deriva che, a tal fine, nel PRG del Comune di Napoli del  1972
- quello da prendere a riferimento ai sensi della invocata  deroga  -
la zona in esame era classificata come zona  B,  e  -  nella  vigenza
della  citata  disposizione  di  legge  -  dovrebbe  essere  ritenuta
sottratta alla  disciplina  della  autorizzazione  paesaggistica,  ai
sensi della norma derogatoria sopra citata. Pertanto - in parte qua -
l'esercizio dell'autotutela sulla DIA  del  2005  dovrebbe  ritenersi
illegittimo. 
    Tuttavia il Collegio ritiene di sollevare di ufficio la questione
di legittimita' costituzionale della norma derogatoria, per contrasto
con l'art. 9 Costituzione. 
    Invero, l'applicazione della norma di cui all'art. 142 co.  2  d.
lgs. n. 42/2004 e segnatamente  della  deroga  ivi  contenuta,  della
quale sussistono i presupposti fattuali,  condurrebbe  a  conseguenze
contrastanti con i principi costituzionali in materia di  tutela  del
paesaggio. 
    Sulla  rilevanza  della  questione  ai  fini  del  decidere,   e'
sufficiente richiamare la invocata applicazione della deroga, sancita
dalla disposizione di legge della cui costituzionalita'  il  Collegio
dubita ex officio. L'immobile in oggetto ricade nel  perimetro  delle
aree vincolate ex lege ai sensi del cd,. decreto Galasso,  trovandosi
nella fascia di 300 mt  dalla  battigia,  e  quindi  dovrebbe  essere
soggetto al regime di autorizzazione paesaggistica per gli interventi
che comportano modifiche dell'aspetto esteriore dei luoghi. 
    Per lo stesso dovrebbe tuttavia  essere  applicata  la  normativa
derogatoria, trovandosi in  zona  che  alla  data  del  6.9.1985  era
classificata come zona B del vigente strumento urbanistico. 
    In effetti il  legislatore,  con  la  norma  citata,  dopo  avere
indicato le zone vincolate, confermando la previgente  previsione  di
analogo tenore contenuta nella legge n. 485 del 1981, e nel  D.  lgs.
n. 490/99,  al  secondo  comma  ha  contemplato   alcune   eccezioni,
escludendo l'operativita' del vincolo legale per tutte  le  aree  che
alla data del 6-9-1985 (di entrata in vigore della  «legge  Galasso»,
pubblicata nella G.U. del 22-8-1985)  si  trovassero  in  determinate
condizioni. La deroga si riferisce a tre ipotesi: 
        « 2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a),  b),  c),
d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree che alla data del  6
settembre 1985: 
          a) erano delimitate negli strumenti urbanistici,  ai  sensi
del  decreto  ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444,   come   zone
territoriali omogenee A e B; 
          b) erano delimitate negli strumenti  urbanistici  ai  sensi
del  decreto  ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444,   come   zone
territoriali omogenee diverse dalle zone A e  B,  limitatamente  alle
parti di esse  ricomprese  in  piani  pluriennali  di  attuazione,  a
condizione che  le  relative  previsioni  siano  state  concretamente
realizzate; 
          c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano  nei
centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22
ottobre 1971, a 865.» 
    (art. 142 co.  2  nel  testo  come  modificato  dal  d.  lgs.  n.
63/2008.). 
    Al riguardo va ricordato brevemente che  la  legge  n.  765/1967,
introducendo l'art. 41-bis  della  legge  urbanistica  n.  1150/1942,
aveva stabilito  che  tutti  i  comuni,  nella  formazione  di  nuovi
strumenti  urbanistici  o  nella  revisione  di   quelli   esistenti,
dovessero osservare limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti  massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi»  (cd.  standards  urbanistici).  Tali  limiti  e  rapporti
sarebbero stati definiti  per  zone  territoriali  omogenee,  con  un
decreto del  Ministro  per  i  lavori  pubblici,  poi  effettivamente
emanato nel 1968, con il n. 1444. Il decreto in parola,  all'art.  2,
delinea sotto un profilo funzionale sei tipologie di  zone  omogenee,
ognuna individuata con una lettera (da A a F) e caratterizzata da una
distinta destinazione urbanistica e potenzialita' edificatoria.  Cio'
consentiva e consente ai comuni di dare piena applicazione  a  quanto
previsto dall'art. 7 della legge urbanistica all'epoca  vigente,  che
prescriveva che il piano regolatore  generale  suddividesse  in  zone
l'intero territorio comunale,  ognuna  con  la  propria  connotazione
tipologica  e  funzionale,  individuando,  tra   le   altre,   quelle
contraddistinte da particolari caratteristiche storiche,  paesistiche
ed ambientali, per  le  quali  avrebbe  dovuto  anche  individuare  i
relativi vincoli. 
    Tanto precisato, va ricordato che le zone A) vengono definite dal
D.M.  del  1968  come  «le  parti  del  territorio   interessate   da
agglomerati urbani che rivestono carattere storico,  artistico  o  di
particolare pregio ambientale o da porzioni di  essi,  comprese  aree
circostanti, che possono  considerarsi  parte  integrante,  per  tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi»; le zone  B)  sono  invece
quelle porzioni di territorio «totalmente o  parzialmente  edificate,
diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le  zone
in  cui  la  superficie  coperta  degli  edifici  esistenti  non  sia
inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della  zona
e nelle quali la densita' territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq». 
    In questo ambito,  pertanto,  l'art.  142  intende  escludere  in
assoluto l'operativita' della tutela legale  per  tutte  quelle  zone
gia' completamente o fortemente edificate ed  urbanizzate  (zone  B),
rispetto alle quali le  eventuali  valenze  paesaggistiche  risultano
sostanzialmente  gia'  cristallizzate  nonche'  per  quelle  zone  in
relazione  alle  quali  gli  strumenti  urbanistici   avessero   gia'
autonomamente proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilievo
storico, paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo
regime vincolistico (zone A). 
    In sintesi, la ratio della  norma  e'  quella  di  escludere  dal
regime di tutela  il  cd.  territorio  urbano  edificato,  in  quanto
sostanzialmente gia' compromesso dal punto di vista  paesaggistico  e
inespressivo di valori di tal genere. 
    Nella fattispecie all'esame di questo TAR,  tuttavia,  si  e'  in
presenza di un centro edificato del Comune di Napoli  di  eccezionale
pregio paesaggistico e storico, secondo quanto puo'  desumersi  quale
fatto notorio dalla determinazione di  inclusione  dello  stesso  nei
siti tutelati dall'UNESCO. 
    E' invero fatto notorio che il centro storico di Napoli e'  stato
iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1995, con  la
seguente  motivazione:  Napoli  e'  una  delle  citta'  piu'  antiche
d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo preserva  gli  elementi
della sua lunga e importante storia. 
    Sulla  base  del  secondo  e  quarto  criterio  stabilito   dalla
Convenzione degli accordi di Parigi del  1972,  si  e'  ritenuto  che
Napoli merita il riconoscimento di Patrimonio dell'Umanita' per esser
stata fin dall'antichita' il polo  culturale  piu'  importante  della
Magna Grecia,  condizione  di  dominio  politico  che  la  citta'  ha
mantenuto anche nel Medioevo,  ed  ancora  nel  XVI  e  XVII  secolo,
periodo culmine delle arti e  dell'architettura,  in  cui  Napoli  ha
esercitato influenza europea in questo settore. 
    Al riguardo si riportano i citati criteri:  Criterio  II  (1994):
«aver esercitato un'influenza considerevole in un dato periodo  o  in
un'area  culturale  determinata,  sullo  sviluppo  dell'architettura,
delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione
di paesaggi». Criterio IV (1994): «...offrire esempio eminente di  un
tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio  che
illustri un periodo significativo della storia umana». 
    La Convenzione UNESCO  per  la  tutela  del  patrimonio  mondiale
culturale e naturale, adottata nel  1972  dalla  Conferenza  Generale
degli  Stati  Membri  dell'UNESCO  e'  stata  recepita   nel   nostro
ordinamento con Legge nazionale di ratifica n. 184 del 6.4.1977. 
    Scopo della Convenzione e' il riconoscimento condiviso che i beni
culturali  e  naturali  di   valenza   eccezionale,   ovunque   siano
localizzati,  costituiscono  un  patrimonio  universale   dell'intera
comunita' internazionale. Ne consegue  che  gli  Stati  firmatari  la
Convenzione  dovranno  concorrere  «all'identificazione,  protezione,
conservazione e  valorizzazione»  di  questo  patrimonio,  nonche'  a
cooperare e  prestare  assistenza  agli  Stati  che  si  impegnano  a
preservarlo. 
    Si e' dunque giunti, nell'evoluzione della Convenzione UNESCO, ad
un accreditamento esplicito e consapevole del paesaggio come bene  da
preservare e meritevole di tutela, tutela che si rivolge  a  beni  di
«valore universale eccezionale». Secondo quanto definito  negli  atti
della  convenzione:  «Il  valore  universale  eccezionale   significa
un'importanza  culturale  e/o  naturale  talmente   eccezionale   che
trascende le frontiere nazionali e che presenta gli stessi  caratteri
inestimabili sia per le generazioni attuali  che  per  quelle  future
dell'intera umanita'. Per questo motivo la protezione  permanente  di
questo patrimonio riveste la piu'  elevata  importanza  per  l'intera
comunita' internazionale». 
    In proposito gli stati aderenti hanno assunto specifici  impegni,
dettagliati negli artt. 4 e 5 del Trattato.: «Art. 4 - Ciascuno Stato
partecipe della  presente  Convenzione  riconosce  che  l'obbligo  di
garantire     l'identificazione,      protezione,      conservazione,
valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del  patrimonio
culturale e naturale di cui agli articoli 1  e  2,  situato  sul  suo
territorio, gli incombe in prima persona. Esso si sforza di  agire  a
tal  fine  sia  direttamente  con  il  massimo  delle   sue   risorse
disponibili, sia, all'occorrenza, per mezzo dell'assistenza  e  della
cooperazione internazionale di cui potra' beneficiare, segnatamente a
livello finanziario, artistico, scientifico e tecnico.».  «Art.  5  -
Per garantire una protezione e una  conservazione  le  piu'  efficaci
possibili  e  una  valorizzazione  la  piu'  attiva   possibile   del
patrimonio culturale e naturale  situato  sul  loro  territorio,  gli
Stati  partecipi  della  presente   Convenzione,   nelle   condizioni
appropriate ad ogni paese, si sforzano quanto possibile: 
        a. di adottare una politica generale intesa ad assegnare  una
funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a
integrare  la  protezione  di  questo  patrimonio  nei  programmi  di
pianificazione generale; 
        b. di  istituire  sul  loro  territorio,  in  quanto  non  ne
esistano ancora, uno o piu' servizi di  protezione,  conservazione  e
valorizzazione  del  patrimonio  culturale  e  naturale,  dotati   di
personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere  i
compiti che gli incombono;... 
        d.  di  prendere  i  provvedimenti  giuridici,   scientifici,
tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per  l'identificazione,
protezione, conservazione, valorizzazione e  rianimazione  di  questo
patrimonio...». 
    L'immobile  oggetto  del  presente   giudizio   sorge   su   area
ricompresa, in  base  alla  cartografia  allegata  al  riconoscimento
UNESCO, in area di tutela; invero, lo  stesso  si  trova  all'interno
della zona cuscinetto detta «buffer zone area» delimitata in funzione
del valore di Patrimonio dell'Umanita', e della sua tutela,  «secondo
la perimetrazione cartografica rilevabile dal sito internet  comunale
(zona perimetrata in giallo). 
    L'immagine  del  centro  storico  UNESCO  percepita  come  unica,
fruibile soprattutto vantaggiosa per gli arrivi via mare, dalla quale
prospettiva e' riconoscibile la straordinaria valenza paesistica, non
ha tuttavia comportato sinora la imposizione di uno  speciale  regime
vincolistico, non risultando  portati  a  compimento  i  procedimenti
presso  il   Ministero   dei   Beni   culturali   di   riconoscimento
dell'interesse paesaggistico del centro storico  -  Unesco,  previsto
dal Codice per i beni culturali e il paesaggio. 
    In mancanza dell'emanazione del  decreto  ministeriale,  previsto
dal citato Codice, che attesti l'impareggiabile valore  paesaggistico
del centro storico di Napoli, «l'operativita' della deroga al  regime
vincolistico  generale  di  cui  al  decreto  Galasso  conduce   alla
conseguenza paradossale di consentire, nel perimetro dei 300 mt dalla
battigia, ove insistono significative testimonianze della  storia  di
Napoli e del suo paesaggio identitario, trasformazioni del territorio
senza alcuna valutazione di compatibilita' paesaggistica. 
    Tale evenienza contrasta con l'articolo 9 della Costituzione, che
ha fatto assurgere il paesaggio a valore primario  della  Repubblica:
esso colloca il valore del patrimonio paesaggistico -  come  dice  la
giurisprudenza costituzionale - tra i valori «primari» e  «assoluti»:
non  disponibili,  non  esposti  alla  mutevolezza  degli   indirizzi
politici e comunque da preferire nelle scelte amministrative (cfr. C.
Cost. 7.11.2007, n. 367). 
    In questo senso si valorizza la dimensione tecnica del vaglio  di
compatibilita', cioe' della gestione del vincolo, per  assicurare  la
prevalenza del valore «primario e assoluto» del paesaggio, affermando
che il parere obbligatorio  e  vincolante  del  soprintendente  va  a
rimodulare l'«estrema difesa del vincolo». 
    Osserva il Collegio che lo schema  operativo  della  «tutela»  e'
implicitamente   recepito   dal    principio    fondamentale    della
Costituzione, che consente un obiettivo giudizio  tecnico  sul  nuovo
intervento rispetto al valore riconosciuto della preesistenza. Questo
schema e'  percio'  costituzionalmente  necessario  e  puo'  ricevere
deroga  solo  in  ipotesi  tassativamente  previste   e   che   siano
ragionevolmente espressive di  fattispecie  in  cui  si  evidenzi  la
mancanza di valori paesaggistici da tutelare. 
    Cio' che rileva, e che e' essenziale  all'effettivita'  dell'art.
9, e' che  dalla  dichiarazione  derivi  l'obbligo  di  una  motivata
valutazione tecnica di compatibilita' del nuovo intervento progettato
con i valori preesistenti, finalizzata ad evitare  che  sopravvengano
alterazioni  inaccettabili  del  valore  paesaggistico  protetto.  La
sequenzialita' di queste due fasi  identifica  il  nucleo  essenziale
della funzione costituzionale di tutela del paesaggio e ne garantisce
l'effettivita', insieme alla regola essenziale  di  tecnicita'  e  di
concretezza, per cui il giudizio di compatibilita' paesaggistica deve
essere tecnico e proprio del caso concreto. 
    In riferimento al «vincolo», legale o amministrativo,  e  in  sua
«gestione», sono adottati i provvedimenti autorizzatori,  ablatori  e
ripristinatori, che concretano la manifestazione della  funzione  che
si esprime nel giudizio di  «compatibilita'»  rispetto  ai  caratteri
preesistenti e qualificati. 
    Questo  effetto  di  valutazione  in  sede  di  procedimento   di
autorizzazione costituisce il contenuto essenziale del  vincolo,  cui
puo' aggiungersi, in combinato con le «prescrizioni d'uso»  da  piano
paesaggistico o la «specifica disciplina» per il singolo vincolo,  un
effetto sostanziale  di  valutazione  immediata  ed  ex  ante  (nella
fattispecie non operante, trattandosi  di  vincolo  generalizzato  ex
lege). 
    Consegue da quanto esposto che, quale che sia lo strumento da cui
la tutela muove - vincolo amministrativo puntuale, vincolo legale per
categorie,  vincolo  da  piano  pasaggistico  -,  la  valutazione  di
compatibilita' delle innovazioni che vi presiede e' legata  a  questo
carattere di primarieta' del paesaggio e non puo' essere  esclusa  in
via generalizzata, con riferimento alla sola tecnica di  zonizzazione
del territorio da parte dell'amministrazione comunale,  per  di  piu'
trattandosi  di   una   tecnica   di   zonizzazione   fotografata   e
cristallizzata alla data del 6  settembre  1985,  epoca  in  cui  gli
strumenti urbanistici  di  molti  comuni  non  avevano  ancora  preso
coscienza del valore identitario del bene paesaggio. 
    Inoltre  va  rilevato  che  siffatta  deroga  lascia  ancor  piu'
indifese le zone di territorio comunale che all'epoca di  riferimento
erano classificate come zone B, poiche' per  i  centri  storici  (che
coincidono con le zone A)  viene  normalmente  predisposta  specifica
normativa   di   tutela,   volta   alla   forte   limitazione   delle
trasformazioni assentibili del territorio. 
    La giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. n.  66/2012  e
sentenza n. 164 del 2009) sottolinea come le disposizioni in  materia
di vincoli rivestano la qualificazione di «norma  di  grande  riforma
economico-sociale». Tali  disposizioni  sono  ritenute  centrali,  in
quanto « ... proprio laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni
paesaggistici e ne hanno operato  la  relativa  ricognizione,  si  e'
inteso dare "attuazione al disposto del  (citato)  articolo  9  della
Costituzione, poiche' la prima  disciplina  che  esige  il  principio
fondamentale della tutela del paesaggio e'  quella  che  concerne  la
conservazione della morfologia del territorio e dei  suoi  essenziali
contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007).». 
    Il  Collegio,  conclusivamente,  ritenutala   rilevante   e   non
manifestamente  infondata,  solleva  di  ufficio  la   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'articolo  142  co.  2  d.  lgs.  n.
42/2004 in riferimento all'art. 9 della  Costituzione,  laddove,  nel
prevedere la deroga al regime  di  autorizzazione  paesaggistica  per
tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate  negli
strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude  da
tale ambito  operativo  di  deroga  le  aree  urbane  riconosciute  e
tutelate come patrimonio UNESCO. 
    Visto l'art. 23 della l. cost. n. 87/1953; 
    Riservata ogni altra decisione in rito, in merito e  sulle  spese
all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla  quale
va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita'. 
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della  Segreteria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
costituzionale; dispone la notificazione del presente provvedimento -
sempre a cura della Segreteria - alla Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  ed  alle  parti  in  causa,  nonche'  la  comunicazione  ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo  Regionale  della  Campania  (Sezione
Quarta), 
    Visto l'art. 9 della Costituzione, nonche'  l'art.  23  della  l.
11.3.1953, n. 87, riservata ogni  ulteriore  decisione  in  rito,  in
merito e sulle spese; 
    Ritenuta  la  rilevanza  della  questione  e  la  non   manifesta
infondatezza,  solleva  ex  officio  la  questione   d'illegittimita'
costituzionale dell'art. 142 co. 2 d.lgs. n. 42/2004 , in riferimento
all'art. 9 della Costituzione, laddove, nel prevedere  la  deroga  al
regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A  e  B  del
territorio comunale, tali classificate  negli  strumenti  urbanistici
vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito  operativo
di deroga le aree urbane  riconosciute  e  tutelate  come  patrimonio
UNESCO. 
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della  Segreteria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
costituzionale; 
    Ordina la notificazione del presente  provvedimento  -  sempre  a
cura della Segreteria - alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed
alle parti in causa, nonche' la  comunicazione  ai  Presidenti  della
Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
      Cosi' deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni  13
novembre - 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati: 
        Angelo Scafuri, Presidente; 
        Anna Pappalardo, Consigliere Estensore; 
        Fabrizio D'Alessandri: Primo Referendario. 
 
                    Il Presidente: Angelo Scafuri 
 
 
                    L'estensore: Anna Pappalardo