N. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2014
Ordinanza del 17 febbraio 2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Soc. Sky Italia Srl contro Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ed altri. Radiotelevisione e servizi radioelettrici - Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici - Previsione che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non possa eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio e che un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva - Ingiustificato diverso trattamento delle emittenti a pagamento rispetto alle emittenti in chiaro - Incidenza sul principio di liberta' di iniziativa economica privata - Eccesso di delega. - Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, art. 38, comma 5, come sostituito dall'art. 12 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44. - Costituzione, artt. 3, 41 e 76, in relazione agli artt. 2, comma 1, lett. e), e 26 della legge 7 luglio 2009, n. 88.(GU n.27 del 25-6-2014 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione Seconda Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 9422 del 2011, proposto da: Soc. Sky Italia S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Luisa Torchia e Roberto Mastroianni, con domicilio eletto presso Studio Legale Torchia Avv. Luisa e Altri Stp in Roma, via Sannio, 65; Contro Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Nei confronti di Maria Iaccarino; Soc. Reti Televisive Italiane S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Stefano Previti e Giuseppe Rossi, con domicilio eletto presso l'avv. Stefano Previti in Roma, via Cicerone, 60; e con l'intervento di ad opponendum: Ministero dello sviluppo economico, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l'annullamento: della delibera n. 233/11/CSP dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito «Agcom o Autorita'», recante «Ordinanza - ingiunzione alla Societa' SKY S.r.l, (emittente satellitare pagamento Sky Sport 1) per la violazione dell'art. 38, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177», pubblicata sul sito web dell'Autorita' in data 26 settembre 2011 e notificata a Sky Italia s.r.l. in pari data; di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, quand'anche sconosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita' Per Le Garanzie Nelle Comunicazioni e di Soc. Reti Televisive Italiane Spa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2013 dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; La presente controversia trae origine dal procedimento avviato dall'Autorita' per le Garanzie nelle comunicazioni, al fine di accertare la violazione da parte di Sky dell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177/2005, in relazione al superamento dei limiti di affollamento pubblicitario avvenuto in data 5 marzo 2011, nella fascia oraria 21 - 22. In particolare, Sky Sport 1, nelle suddette date e fascia oraria, ha trasmesso 24 spot pubblicitari, per una durata di 10 minuti e 4 secondi, pari ad una percentuale oraria del 16,78% (ridotta al 16,44% mediante la detrazione dei c.d. frames neri). La norma summenzionata, come modificata dal d.lgs. 10 marzo 2010, n. 44 prevede infatti che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento (come la ricorrente), non puo' eccedere «per l'anno 2010 il 16%, per l'anno 2011 il 14%, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12% di una determinata e distinta ora d'orologio; una eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva». Il procedimento, nonostante le argomentazioni difensive spese da Sky, si e' concluso con la sanzione oggetto della presente impugnativa. Essa, evidenzia la ricorrente, costituisce applicazione di una norma inserita nel Capo V del Testo Unico dei Servizi di Media audiovisivi e radiofonici, dall'art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 44/2010, con la quale, per la prima volta, sono stati introdotti tetti orari di affollamento pubblicitario piu' restrittivi di quelli ai quali Sono soggette le emittenti televisive in chiaro. La novella legislativa introdotta con il decreto c.d. «Romani», non troverebbe pero' base alcuna ne' nella legge nazionale di delega, ne', tantomeno, nelle norme comunitarie di riferimento. Infatti il decreto in questione e' stato adottato in attuazione delle delega contenuta nell'art. 26 della legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88), la quale, a sua volta, e' stata conferita al fine di dare attuazione alla direttiva comunitaria 2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi. Tali fonti, pero', non dispongono alcunche' circa i tetti di affollamento pubblicitario da applicarsi nei confronti delle emittenti televisive a pagamento. Cio' premesso, la ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnativa: 1. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Sviamento di potere per illogicita' manifesta e' contraddittorieta'. La societa' ricorrente si duole, in primo luogo, dell'insufficiente approfondimento condotto dall'intimata Autorita', la quale avrebbe omesso di verificare l'effetto restrittivo della norma nazionale applicata e l'effetto discriminatorio a svantaggio delle emittenti a pagamento. Contesta, in particolare, la motivazione offerta da AGCOM la quale ha individuato la ratio della differenziazione operata dal legislatore delegato nell'esigenza di una (particolare) tutela dell'utenza delle seconde. Sky evidenzia pero' che' ne' le norme comunitarie ne' quella nazionali di delega, fanno cenno alcuno ad una differenziazione siffatta. In particolare, la prospettata esigenza di tutela specifica degli utenti delle piattaforme televisive a pagamento, non si rinviene ne' nella citata direttiva 2007/65/CE, ne', a ben vedere, nella giurisprudenza comunitaria citata dall'Autorita' (la sentenza della Corte di Giustizia del 23 ottobre 2003, RTL Television, causa C - 245/01). Pure errato sarebbe il riferimento al fatto che l'abbonato alle emittenti a pagamento versa un corrispettivo in quanto tale circostanza non rende per cio' solo piu' intollerabile l'esposizione al messaggio pubblicitario. Il vero fine della misura sarebbe percio' esclusivamente quello di consolidare e preservare la posizione delle emittenti free, nella raccolta pubblicitaria. 2. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del diritto dell'Unione europea. Violazione del principio della primazia del diritto dell'Unione europea e del conseguente obbligo per le autorita' amministrative di disapplicare le disposizioni del diritto interno in caso di conflitto con una norma del diritto dell'Unione europea dotata di efficacia diretta (trattato UE, art. 4, n. 3). La direttiva del Parlamento e del Consiglio n. 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi (c.d. «direttiva SMAV») ha provveduto a codificare il testo della precedente direttiva 89/552/CEE (c.d. «televisioni senza frontiere»), modificata da ultimo dalla direttiva 2007/65/CE. AGCOM, nel caso di specie, si e' ritenuta incompetente a delibare la conformita' al diritto europeo delle norme nazionali. Tuttavia, sottolinea la ricorrente, l'obbligo di disapplicazione non grava esclusivamente sui giudici nazionali, bensi' su tutte le autorita' dello Stato, sia amministrative che indipendenti. Richiama, al riguardo, il noto caso di cui alla sentenza della Corte di Giustizia del 9 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) contro Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, Causa C - 198/01, in cui la Corte di Giustizia ebbe ad affermare che tra le autorita' nazionali soggette all'obbligo di disapplicazione figura anche l'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Tale obbligo, prosegue Sky, sussiste anche nel caso in cui l'Organo amministrativo sia chiamato a valutare l'idoneita' e proporzionalita' della misura adottata dallo Stato membro in deroga alla regola di diritto dell'Unione. 3. Violazione e falsa applicazione della Direttiva 2010/13/UE del Parlamento e del Consiglio sui servizi di media audiovisivi (artt. 4 e 23). Violazione del principio di uguaglianza. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di motivazione ed illogicita' manifesta. L'art. 23, par. 1, della direttiva in rubrica (la quale ha sostanzialmente confermato la previgente direttiva. 89/552/CEE (c.d. «televisioni senza frontiere»), prevede, a regime, che «la percentuale di spot televisivi e di spot di televendita in una determinata ora d'orologio non deve superare il 20%». Tali disposizioni sono ispirate dalla finalita' di operare un bilanciamento tra il diritto degli operatori di scegliere la propria programmazione nonche' di accesso alla raccolta pubblicitaria quale fonte di finanziamento, e la necessita' di evitare, a tutela dell'utente, un eccesso di pubblicita' commerciale. In alcuna parte di tale direttiva e' possibile rinvenire disposizioni che distinguano le trasmissioni televisive diffuse in chiaro da quelle diffuse a pagamento. Al contrario, i «considerando» n. 8 e n. 80, richiamano i principi di tutela della concorrenza e del pluralismo, di neutralita' tecnologica e di parita' di trattamento. Sia la direttiva in esame che quella precedente, recano disposizioni di «armonizzazione minima» delle regole nazionali in materia di servizi audiovisivi, e prevedono, pertanto, che gli Stati membri possano derogare alle regole comuni richiedendo ai fornitori di servizi di media soggetti alla propria giurisdizione il rispetto di norme piu' particolareggiate o piu' rigorose, nei settori coordinati dalla direttivi. (art. 4, par. 1). E' richiesto, tuttavia, che tali norme siano conformi al diritto dell'Unione. In Italia, come gia' evidenziato, il decreto Romani ha optato per una disciplina differenziata, imponendo alle sole emittenti a pagamento limiti di affollamento pubblicitario sensibilmente piu' ridotti rispetto alle emittenti in chiaro (a regime, sino al 12% orario). Secondo Sky, la direttiva non consente siffatta discriminazione, come dimostrato dal fatto che, nella prassi, gli altri Stati membri, pur prevedendo norme piu' particolareggiate o rigorose di quelle stabilite in sede europea, non hanno tuttavia operato alcuna differenziazione in base alla natura delle emittenti. Al riguardo, non costituirebbe idoneo termine di paragone la disciplina relativa alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, in quanto la stessa mira a preservarne la connotazione non commerciale nonche' la natura dell'attivita' svolta, assimilabile ai servizi di interesse generale (cfr. il Protocollo n. 29 sul Sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato di Lisbona). Nel caso di specie la normativa italiana contrasta poi con il fondamentale principio di eguaglianza, da tempo consolidato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia ed oggi codificato dagli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. L'adozione di una disciplina differenziata rispetto ad emittenti che svolgono la medesima attivita' - ovvero, la diffusione, previo pagamento, di comunicazioni commerciali audiovisive nella forma degli spot televisivi - e che operano nel medesimo mercato della raccolta pubblicitaria televisiva (Sky richiama, al riguardo, un'indagine conoscitiva del settore televisivo condotta dall'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato), si pone in frontale contrasto con tale principio. Quanto poi all'esigenza di tutelare specificamente l'utente della pay tv dal «disvalore dovuto all'interruzione pubblicitaria», nel corso della visione di un programma, per il solo fatto che l'utente stesso ha gia' versato un compenso, la ricorrente evidenzia, in primo luogo, che siffatta analisi economica e' inficiata dalla considerazione che l'abbonamento alla pay tv e', a monte, una libera scelta del consumatore, di talche' una misura protezionistica del genere di quella in esame risulta del tutto sproporzionata ed incide in maniera ingiustificata sulla liberta' di iniziativa economica dei fornitori di servizi di media, italiani e stranieri, soggetti alla giurisdizione italiana. La particolarita' del mercato della raccolta pubblicitaria televisiva consiste nel fatto che corrispettivo versato dagli inserzionisti che acquistano gli spazi televisivi rappresenta allo stesso tempo il corrispettivo per il servizio fornito dalle emittenti. Ed e' la c.d. «audience share» a determinate il prezzo delle inserzioni pubblicitarie. La soggezione degli spettatori alla pubblicita', pertanto, rileva come disutilita' che puo' influire su tale parametro. Al riguardo, pero', la suddetta indagine conoscitiva ha dimostrato che la stessa consegue non gia' alla quantita' di pubblicita' totale trasmissibile ma alle interruzioni in se'. Ad ogni buono conto, Sky evidenza che l'esigenza di tutela del consumatore e' la medesima, sia con riguardo alle emittenti pay che a quelle free (queste ultime, peraltro, aventi un bacino di utenza assai piu' vasto). La medesima sproporzione si apprezza con riguardo alla tutela del pluralismo e della concorrenza, risultandone ingiustificatamente compressa la liberta' di iniziativa e di scelta delle sole pay tv e, per converso, ulteriormente potenziata la posizione sul mercato nazionale della raccolta pubblicitaria di quei soggetti che gia' detengono sul medesimo mercato una posizione dominante anche in ragione dei tetti di affollamento pubblicitario orario piu' bassi imposti al concorrente RAI e che, ora, vengono imposti anche alle emittenti a pagamento. Non esistono, inoltre, precedenti comunitari conformi, giacche' la sentenza invocata dall'Autorita' (23 ottobre 2002, in causa C - 245/01, Rtl Television), non e' pertinente al caso di specie. 4. Violazione degli artt. 49, 56 e 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) in materia di libera prestazione dei servizi, liberta' di stabilimento, liberta' di circolazione di capitali. Premesso che la trasmissione di messaggi pubblicitari, cosi' come l'offerta di spazi pubblicitari ad inserzionisti, rientrano nella nozione di «servizi»; ai sensi dell'art. 56 del TFUE, Sky ricorda come il diritto alla libera prestazione dei servizi puo' essere invocato da un'impresa nei confronti dello Stato membro in cui essa e' stabilita quando i servizi sono forniti a destinatari stabiliti in un altro Stato membro, o, piu' in generale, in tutti i casi in cui un prestatore offra i propri servii nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui esso ha sede. La disciplina in esame ostacola, o, comunque, limita, la vendita di spazi pubblicitari ad inserzionisti stabiliti in altri Stati membri. Si verifica, inoltre, un effetto distorsivo, dovuto al fatto che, per effetto dell'abbassamento dei tetti di affollamento orario, gli inserzionisti e le agenzie di media preferiranno rivolgere i loro investimenti a lungo termine verso emittenti che offrono maggiori opportunita' di visibilita' ed esposizione al pubblico. La misura controversa rende meno appetibile la piattaforma di Sky per i canali editi da soggetti emittenti terzi che vogliano avvalersene, non potendo queste ottenere in Italia, attraverso la vendita di spazi pubblicitari, i medesimi vantaggi economici consentiti in base alla precedente disciplina. Pure violato appare l'art. 49 del TFUE relativo alla liberta' di stabilimento, atteso che la disciplina in esame rende meno attraente l'ingresso di emittenti di altri paesi membri nel mercato televisivo italiano, stante la riduzione delle risorse derivanti dalla vendita degli spazi pubblicitari. Eguale disincentivo sussiste per soggetti che, stabiliti in altri stati membri vogliano investire in una societa' stabilita in Italia che opera nel settore delle trasmissioni a pagamento (art. 63 TFUE). Vero e' che la tutela dei consumatori contro gli eccessi della pubblicita' commerciale, ovvero la finalita' di mantenere una certa qualita' dei programmi costituiscono motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi. Rimane tuttavia da spiegare perche', in base alla normativa italiana, debbano essere maggiormente tutelati gli utenti delle emittenti a pagamento, ove si consideri che l'intera categoria degli utenti/spettatori appare meritevole di uguale tutela e che, comunque, le emittenti free, raggiungono un numero di utenti assai piu' ampio. Le distorsioni indotte dalla misura in esame, per contro, appaiono in grado di pregiudicare il pluralismo e la concorrenza del settore. 5. Violazione dell'art. 11 della Carta Europea dei diritti fondamentali e dell'art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione. La liberta' di informazione e' consacrata anche dalle disposizioni in rubrica. Pertanto, ogni intervento autoritativo che incida sulla liberta' dell'emittente di decidere la sua programmazione, deve essere giustificato dall'esigenza di offrire tutela ad un interesse avente pari dignita'. La disparita' di trattamento determinata dalle misure in esame, realizza, invece, una grave lesione del principio pluralistico. Pure vulnerato appare il c.d. «diritto ad essere informati», in quanto le stesse contribuiscono a consolidare la posizione dominante, sul mercato della raccolta pubblicitaria, del gruppo Mediaset, il quale (secondo dati di ottobre 2011), possiede una quota pari al 56% mentre i concorrenti Rai e Sky detengono rispettivamente quote del 22% e del 4%. Secondo la giurisprudenza della Corte Europea, un eccessivo accumulo di introiti pubblicitari in capo a pochi soggetti puo' provocare una lesione del principio pluralistico (Sky cita, in particolare, la sentenza del 28 giugno 2001 Tierfabriken c. Svizzera, Application n. 24699/94). La Carta Europea dei diritti fondamentali costituisce parametro di legalita' del comportamento del legislatore nazionale ogni qualvolta esso agisca per dare attuazione al diritto dell'Unione. Nel caso in esame, e' stata invece inferta una chiara lesione al principio del pluralismo dell'informazione. Al fine di chiarire la portata delle disposizioni del diritto dell'Unione europea, la ricorrente ha richiesto espressamente che vengano sottoposti alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267 TFUE, i seguenti quesiti pregiudiziali: «Dica la Corte se l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, interpretato alla luce del considerando n. 41 della medesima direttiva, il principio generale di uguaglianza e le regole del Trattato in materia di libera circolazione dei servizi, del diritto di stabilimento e di libera circolazione dei capitali siano da interpretare nel senso che ostano ad una disciplina, quale quella contenuta nell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2005, che nel modificare regole precedenti non discriminatorie impone limiti di affollamento pubblicitario sensibilmente piu' bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli in vigore per le emittenti in chiaro»; «Dica la Corte se l'art. 11 della Carta sui diritti fondamentali dell'Unione Europea, interpretato alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e della giurisprudenza della. Corte europea dei diritti dell'uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell'informazione, osti ad una disciplina, quale contenuta nell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2005, che, pure in presenza di una posizione dominante nel mercato della pubblicita' televisiva e lesiva del pluralismo, detenuta dal principale operatore nell'emittenza televisiva in chiaro, introduce limiti di affollamento pubblicitario piu' bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli applicati alle emittenti in chiaro». 6. In subordine. Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177/2005 per violazione dell'art. 76 della Costituzione. Illegittimita' costituzionale per violazione degli articoli 3, 41, 117 e 21 della Costituzione. Violazione dei principi costituzionali in materia di pluralismo. Nell'ipotesi in cui questo TAR ritenga di non potere procedere alla disapplicazione dell'art. 38, comma 5, del Tusmar e al conseguente annullamento del provvedimento impugnato, Sky chiede di sollevare la questione di costituzionalita' della norma dinanzi alla Corte Costituzionale. 6.1. Sulla violazione dell'art. 76 della. Costituzione in materia di delega legislativa. La delega legislativa che viene in rilievo nel caso di specie e' quella contenuta nella legge comunitaria 2008 (legge n. 88/2009). Per quanto qui rileva, il d.lgs. n. 44/2010 ha sostituito, con l'art. 12, l'art. 38 del Tusmar, recante la disciplina dei limiti di affollamento in pretesa attuazione della direttiva 2007/65/CE sulle attivita' televisive. Secondo Sky il decreto delegato e', in parte qua, afflitto dal vizio di eccesso di delega rispetto all'oggetto e da violazione dei principi e criteri direttivi. I principi e criteri direttivi si rinvengono nella. direttiva da attuare, nonche' nella stessa legge comunitaria, all'art. 2 e 26 (quest'ultimo recante criteri specifici relativi alla disciplina del c.d. product placement). L'art. 2, comma l, lett. e) circoscrive l'oggetto della delega alle modifiche che la direttiva del 2007 ha apportato alla direttiva del 1989 (tanto che il legislatore delegato ha inserito le modifiche nel d.lgs. n. 177/2005, nel quale era stata trasfusa la disciplina di attuazione della direttiva del 1989). La norma delegata di cui verte e', da un lato, non occorrente ai fini dell'attuazione della direttiva, dall'altro eccedente rispetto all'oggetto della delega. In alcuna parte di tali fonti si trova, infatti, alcun riferimento alla possibilita' di differenziare la disciplina dei limiti di affollamento tra emittenti televisive a pagamento e in chiaro. Sky richiama, al riguardo, numerosi precedenti in cui la Corte costituzionale ha chiarito natura, e limiti del potere legislativo delegato. La natura innovativa della norma preclude anche la possibilita' di ricondurla ad una ipotesi di delega di coordinamento. Tali ipotesi sono infatti ammesse dalla giurisprudenza costituzionale solo in via strumentale, quando sia necessario coordinare la normativa previgente con quella introdotta con la legge di delega, mentre resta sicuramente esclusa la possibilita' di introdurre per questa via innovazioni sostanziali alla disciplina. La «revisione», o il «riordino», in quanto possono comportare l'introduzione di innovazioni della preesistente disciplina, esigono la previsione di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere le scelte discrezionali del Governo. 6.2. Sulla violazione dei parametri costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e del diritto di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 della Costituzione. La previsione censurata confligge, altresi', con i parametri in rubrica in quanto discrimina imprese che operano nel medesimo mercato della raccolta pubblicitaria e che finisce, peraltro, per porre su piani diversi, in assenza di alcuna ragionevole motivazione, i rispettivi utenti. Pure vulnerato appare il principio di ragionevolezza, non essendo possibile reperire, all'interno del decreto Romani, ovvero in altra fonte di rango legislativo, una giustificazione logica e razionale della differenziazione operata. Evidente sarebbe, infine, l'incisione del diritto di iniziativa economica delle emittenti a pagamento, le quali subiscono una significativa limitazione della loro capacita' di vendita degli spazi pubblicitari agli inserzionisti interessati, con l'ulteriore effetto distorsivo determinato dall'alterazione della par condicio con le emittenti in chiaro, ora piu' appetibili per gli inserzionisti in ragione delle maggiori opportunita' di visibilita' ed esposizione al pubblico. 6.3. Sulla violazione delle disposizioni costituzionali in materia di pluralismo di cui all'art. 21 della Costituzione, e di tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione. La discriminazione realizzata, in favore delle emittenti free, delle quali viene rafforzata la posizione di dominio sul mercato della raccolta pubblicitaria, rende, per converso, piu' gravosa la permanenza e, comunque, la posizione delle emittenti pay, con conseguente lesione del pluralismo interno, ed esterno, quest'ultimo suscettibile di essere inciso dalla concentrazione delle risorse tecniche ed economiche in capo a pochi soggetti. Il legislatore, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, e' invece tenuto ad impedite la formazione di posizioni dominanti e a favorire l'accesso al sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse. L'alterazione e comunque lo squilibrio dell'assetto concorrenziale del mercato della raccolta pubblicitaria, confligge, infine con le finalita' di tutela della concorrenza affidate, in via esclusiva, al legislatore statale, dall'art. 117, comma 2, lett. e) della Carta costituzionale. Si sono costituiti, per resistere, l'Autorita' per le Garanzie nella Comunicazioni e Reti televisive italiane s.p.a. Tutte le parti hanno presentato documenti e memorie. Con ordinanza collegiale 23 aprile 2012 n. 3639 la Sezione, reputando corretto l'ordine di prospettazione delle questioni articolato dalla ricorrente, la quale ha chiesto, in via principale, la disapplicazione della normativa interna, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ha ricordato che «La norma di cui AGCOM ha fatto pedissequa applicazione, come gia' accennato, e' stata introdotta in attuazione della delega conferita al Governo dall'art. 1 della legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88), ai fini, per quanto qui interessa, dell'attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, recante modifiche alla direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attivita' televisive». Ha altresi' osservato che «La delega contenuta nella legge comunitaria 2009, come d'uso ai fini del recepimento di direttive comunitarie, limita a richiamare i principi contenuti nelle direttive stesse, ulteriormente soggiungendo che "all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive gia' attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata" e che "nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega" (art. 2, comma 1, e lett. e) ed f) dello stesso comma, legge n. 88/2009, cit.).». Pertanto, la Sezione, «al fine di stabilire se la disciplina di cui si verte rientri nel "fuoco" della delega legislativa» ha reputato necessario rimettere alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, le questioni interpretative riportate nella citata ordinanza collegiale. Cio' in quanto «la normativa comunitaria applicabile non ha un contenuto di evidenza tale da non dare adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit». Sospeso dunque il giudizio, la Sezione ha rimesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea le questioni interpretative: 1) «Se l'art. 4 della direttiva 2010/13/UE, il principio generale di eguaglianza e le regole del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario piu' bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro»; 2) «Se l'art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, interpretata alla luce dell'art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell'informazione, ostino alla disciplina contenuta nell'art. 38, comma 5, d.lgs. n. 177/2005 la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario piu' bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenziamento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicita' televisiva». Con sentenza 18 luglio 2013 la Corte di giustizia, dopo aver ricordato che la direttiva 89/552/CEE del Consiglio, del 3 ottobre 1989, la cui versione modificata e' stata codificata dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi, «non ha come obiettivo un'armonizzazione completa delle norme relative ai settori da essa disciplinati, ma stabilisce prescrizioni minime per le trasmissioni aventi la loro origine nell'Unione europea e che devono essere captate nella medesima», conservando gli Stati membri, «per garantire un'integrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori», «la facolta' di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme piu' particolareggiate o piu' rigorose e, in alcuni casi, condizioni differenti nei settori coordinati da tale direttiva, purche' tali norme siano conformi al diritto dell'Unione e, in particolare, ai suoi principi generali» ha affermato che «l'articolo 23, paragrafo 1, della suddetta direttiva, il quale prevede che la percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d'orologio non debba superare il 20%, non esclude che, al di sotto di tale soglia del 20%, gli Stati membri impongano limiti diversi all'affollamento pubblicitario televisivo a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro, sempre che le norme che impongono tali limiti siano conformi al diritto dell'Unione e, in particolare, ai suoi principi generali, tra i quali figura segnatamente il principio della parita' di trattamento, nonche' alle liberta' fondamentali garantite dal Trattato.» Con specifico riferimento ai principi e agli obiettivi delle norme relative all'affollamento pubblicitario televisivo stabilite dalle direttive in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi, la Corte ha rilevato che siffatte norme mirano ad instaurare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli inserzionisti, da un lato, e degli interessi degli aventi diritto, ossia gli autori e i realizzatori, e della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori, dall'altro, osservando che «nel caso di specie...l'equilibrata tutela di tali interessi e' diversa per le emittenti a pagamento rispetto alle emittenti in chiaro.». In sostanza, si afferma nella pronuncia pregiudiziale che «nel ricercare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli interessi dei telespettatori nel settore della pubblicita' televisiva, il legislatore nazionale ha potuto stabilire, senza violare il principio della parita' di trattamento, limiti diversi all'affollamento pubblicitario orario a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro.». Di qui l'avviso, in risposta alla prima questione, per cui «l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di media audiovisivi nonche' il principio della parita' di trattamento e l'articolo 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di massima, ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario piu' bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro, sempre che sia rispettato il principio di proporzionalita', circostanza che dev'essere verificata dal giudice del rinvio.» La seconda questione posta e' stata considerata irricevibile. Sky ha quindi riassunto il giudizio rappresentando il proprio interesse alla prosecuzione della causa, permanendo in particolare la necessita' di analizzare se il c.d. decreto «Romani» sia, nella parte in discussione, costituzionalmente legittimo. Il vaglio del profilo concernente la legittimita' costituzionale della disposizione in forza della quale risulta adottato il provvedimento impugnato e' ovviamente un antecedente logico rispetto ad ogni altra questione pure puntualmente riproposta dalla ricorrente dopo la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia. In particolare, sono riproposti gli argomenti gia' innanzi ricordati e relativi, innanzitutto, alla denunciata non conformita' a Costituzione dell'art. 38 comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177 per violazione dell'art. 76 Cost., sia per eccesso di delega rispetto all'oggetto che per violazione dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dalla legge di delega, altresi' rilevandosi la illegittimita' costituzionale della norma richiamata per violazione dei parametri costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., del diritto di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost., delle disposizioni costituzionali in materia di pluralismo di cui all'art. 21 Cost. e di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, comma 2, lettera e) Cost. Che la questione posta sia rilevante e' fuor di ogni dubbio, atteso che nello stesso provvedimento impugnato si afferma che la decisione e' stata assunta dall'Agcom in applicazione della misura di differenziazione dei limiti di affollamento pubblicitario prevista dall'art. 38 comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Quanto alla non manifesta infondatezza della stessa, occorre muovete dal profilo che appare essere un antecedente logico, peraltro come tale prospettato dalla stessa ricorrente, quello della violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega. L'art. 1 della legge comunitaria 2008, legge 7 luglio 2009 n. 88, delega il Governo «ad adottare, entro la scadenza del termine di recepimento fissato dalle singole direttive, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.» Nell'elenco di cui al citato allegato B e' appunto ricompresa la direttiva «2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attivita' televisive». Il successivo art. 2 della legge n. 88/2009 detta i principi e i criteri direttivi generali della delega, all'uopo stabilendo che «1. Salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui ai capi II e IV, ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali: a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalita' di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi; b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione; c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravita'. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro e' prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entita', tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni. Le somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione, stabilite con i provvedimenti adottati in attuazione della presente legge, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, entro i limiti previsti dalla legislazione vigente, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle amministrazioni competenti all'irrogazione delle stesse; d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attivita' ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonche' alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi gia' assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183; e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive gia' attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega; g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di piu' amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili; h) quando non siano d'ostacolo i diversi termini di recepimento, sono attuate con un unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.». Ma e' l'art. 26 della legge comunitaria 2008 la disposizione che reca in maniera puntuale delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2007/65/CE, in sostanza dettando i criteri specifici appunto relativi a detta direttiva, stabilendo che «1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attivita' televisive, attraverso le opportune modifiche al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il Governo e' tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, anche i seguenti principi e criteri direttivi: a) l'inserimento di prodotti e' ammesso nel rispetto di tutte le condizioni e i divieti previsti dall'art. 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE, come introdotto dalla citata direttiva 2007/65/CE; b) per le violazioni delle condizioni e dei divieti di cui alla lettera a) si applicano le sanzioni previste dall'articolo 51 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicita', sponsorizzazione e televendite, fatto salvo il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, per la cui violazione si applica la sanzione di cui all'articolo 35, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 luglio 2005, n.177.». Grazie al richiamo dell'art. 2 della legge comunitaria ai principi contenuti nelle direttive da attuare, puo' allora essere utile richiamare alcuni considerando della direttiva di cui trattasi. Dispone il 57° considerando che «Date le maggiori possibilita' per gli spettatori di evitare la pubblicita' grazie al ricorso a nuove tecnologie quali i videoregistratori digitali personali ed all'aumento della scelta di canali, non si giustifica piu' il mantenimento di una normativa dettagliata in materia di inserimento di spot pubblicitari a tutela dei telespettatori. La presente direttiva, pur senza prevedere un aumento della quantita' oraria di pubblicita' consentita, dovrebbe lasciare alle emittenti televisive la facolta' di scegliere quando inserirla la' dove cio' non pregiudichi indebitamente l'integrita' dei programmi.». Ancora in tema «pubblicita'», il 58° considerando chiarisce che la «direttiva mira a salvaguardare il carattere specifico della televisione europea, in cui la pubblicita' e' preferibilmente inserita tra un programma e l'altro, e limita, pertanto, le interruzioni autorizzate delle opere cinematografiche e dei film prodotti per la televisione, nonche' le interruzioni di determinate categorie di programmi che necessitano ancora di una protezione particolare.». E cosi' il 59° considerando: «La limitazione che esisteva della quantita' di pubblicita' televisiva giornaliera era in larga misura teorica. Il limite orario e' piu' importante in quanto si applica anche nelle ore di maggiore ascolto. Il limite quotidiano dovrebbe pertanto essere abolito, mentre dovrebbe essere mantenuto il limite orario per spot di televendita e pubblicita' televisiva. Data la maggiore possibilita' di scelta a disposizione dei telespettatori, non appaiono piu' giustificate le limitazioni di tempo imposte ai canali di televendita o pubblicitari. Resta, tuttavia, in vigore il limite del 20% per gli spot televisivi pubblicitari e di televendita per ora d'orologio. La nozione di spot televisivo pubblicitario dovrebbe essere intesa come pubblicita' televisiva, ai sensi dell'articolo 1, lettera i), della direttiva 89/552/CEE come modificata dalla presente direttiva, della durata massima di dodici minuti.» E quindi, al 65° considerando, si rileva che «Conformemente agli obblighi imposti dal trattato agli Stati membri, questi sono responsabili dell'attuazione e dell'applicazione efficace della presente direttiva. Essi sono liberi di scegliere gli strumenti appropriati in funzione delle loro rispettive tradizioni giuridiche e delle strutture istituite, segnatamente la forma dei loro competenti organismi di regolamentazione indipendenti, per poter svolgere il proprio lavoro, nell'attuazione della presente direttiva, in modo imparziale e trasparente. Piu' precisamente, gli strumenti scelti dagli Stati membri dovrebbero contribuire alla promozione del pluralismo dei mezzi di comunicazione.» Il tutto avuto riguardo all'obiettivo stesso della direttiva che, giusta quanto espressamente posto nel 67° considerando, e' da individuare nella «creazione di un'area senza frontiere interne per i servizi di media audiovisivi, assicurando al contempo un elevato livello di protezione di obiettivi di interesse generale, in particolare la tutela dei minori e della dignita' umana, nonche' la promozione dei diritti delle persone con disabilita'...». L'articolato, quindi, della direttiva reca puntuali disposizioni in tema di «pubblicita' televisiva e televendita» senza nulla disporre in punto di differenziazioni nei tetti di affollamento pubblicitario tra emittenti televisive a pagamento ed emittenti televisive in chiaro. Cio' detto, con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 (G.U.R.I. 29 marzo 2010, n. 73), e' stata data attuazione alla direttiva 2007/65/CE esercitando la delega ora ricordata. Per quanto qui interessa, l'art. 12 del citato decreto legislativo ha sostituito l'art. 38 del d.lgs. n. 177/2005, stabilendo i seguenti limiti di affollamento pubblicitario «1. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non puo' eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. 2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non puo' eccedere il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio, un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva[...]; 5. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non puo' eccedere per l'anno 2010 il 16 per cento, per l'anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d'orologio; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...]». In precedenza, era stabilito che «1. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non puo' eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. 2. La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti e dei fornitori di contenuti televisivi in ambito nazionale diversi dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non puo' eccedere il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di ogni ora, un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva [...].». E' agevole rilevare che il nuovo art. 38 del testo unico, mentre lascia invariati i limiti di affollamento pubblicitario da parte della concessionaria del servizio pubblico, nonche' i limiti giornaliero e orario per la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti commerciali in chiaro, stabilisce invece nuovi limiti orari per le emittenti commerciali a pagamento. Ma soprattutto, introduce per la prima volta una differenziazione tra emittenti commerciali in chiaro ed emittenti commerciali a pagamento ai fini che qui interessano. Orbene, ad avviso del Collegio il legislatore delegato non e' stato facoltizzato ad introdurre alcuna modifica ulteriore rispetto a quelle previste dalla stessa direttiva 2007/65/CE. Cio' in quanto l'ambito della delega risulta, in ragione di quanto si e' visto, espressamente circoscritto alle modifiche che la direttiva del 2007 ha apportato alla direttiva del 1989. Tanto e' vero che lo stesso legislatore delegato ha proceduto a mezzo di modifiche apportata al decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, nel quale era stata trasfusa la disciplina di attuazione della direttiva del 1989. Non a caso la stessa legge delega ha posto la regola per cui all'attuazione della direttiva, che modifica precedente direttiva. gia' attuata con legge o decreto legislativo, si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata «se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata» (art. 2 comma 1, lettera e) della legge delega). Di contro, la previsione di limiti piu' bassi a danno delle emittenti. a pagamento e' misura del tutto «innovativa» e soprattutto non giustificata da alcuna previsione ne' da alcuna ratio implicita tanto della direttiva da attuare che della stessa legge delega. Come rileva condivisibilmente la ricorrente, la natura innovativa della norma preclude anche la possibilita' di ricondurla ad una ipotesi di delega di coordinamento. Tali ipotesi sono infatti ammesse dalla giurisprudenza costituzionale solo in via strumentale, quando sia necessario coordinare la normativa previgente con quella introdotta con la legge di delega, mentre resta sicuramente esclusa la possibilita' di introdurre per questa via innovazioni sostanziali alla disciplina. La «revisione», o il «riordino», in quanto possono comportare l'introduzione di innovazioni della preesistente disciplina, esigono comunque la previsione di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere le scelte discrezionali del Governo. Occorre, infatti, ricordare che, come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr., da ultimo, Corte cost. 30 marzo 2012 n. 75), in merito ai rapporti fra legge delega e norma attuativa, «il sindacato di costituzionalita' sulla delega legislativa deve essere svolto attraverso "un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli concernenti, rispettivamente, la norma delegante (al fine di individuarne l'esatto contenuto, nel quadro dei principi e criteri direttivi e del contesto in cui questi si collocano, nonche' delle ragioni e finalita' della medesima) e la norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega» (cfr. anche Corte costituzionale n. 293 del 2010, n. 112 del 2008, n. 341, n. 340 e n. 170 del 2007). L'esame del vizio di eccesso di delega impone che l'interpretazione dei principi e dei criteri direttivi sia effettuata in riferimento alla ratio della legge delega, tenendo conto del contesto normativo in cui sono inseriti e delle finalita' che ispirano complessivamente la delega ed in particolare i principi e i criteri direttivi specifici. In tale processo, in definitiva «i principi posti dal Legislatore delegante costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per l'interpretazione della portata delle stesse» (sentenza n. 96 del 2001). Non disconosce il Collegio l'avviso del Giudice delle leggi secondo cui la delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del Legislatore delegato, che puo' essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge delega (ordinanze n. 213 del 2005 e n. 490 del 2000 e che pertanto, per valutare se il Legislatore abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi - margini di discrezionalita', occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (sentenza n. 199 del 2003). L'art. 76 Cost. non osta, infatti, all'emanazione di norme che rappresentino un ordinario sviluppo e, se del caso, un completamento delle scelte espresse dal Legislatore delegante, poiche' deve escludersi che la funzione del Legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione, linguistica delle previsioni stabilite dal primo; dunque, nell'attuazione della delega e' possibile valutare le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attivita' di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenze n. 199 del 2003, cit., n. 163 del 2000). Il fatto e' che, nella specie, la misura «innovativa» introdotta non e' veicolabile quale operazione di «completamento» ovvero di «riempimento» e dunque, ad avviso del Collegio, non appare consentita al legislatore delegato avuto anche riguardo alla ratio complessiva della delega in uno con il richiamo alla puntualita' dei suoi criteri e principi direttivi. In altri termini, la richiamata disposizione «innovativa» non trova «ancoraggio» alcuno nella legge delega, anzi risultando adottata in violazione dei principi e criteri direttivi della stessa. Il Tribunale dubita dunque della legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005 n, 177, come sostituito dall'art. 12 del decreto legislativo 10 marzo 2010 n. 44 sollevando pertanto la relativa questione dinanzi alla Corte delle leggi. Analoghe conclusioni vanno affermate, con riferimento ovviamente alla medesima disposizione, per quanto concerne altri due specifici profili di illegittimita' costituzionale dedotti dalla ricorrente. E cio' sia con riferimento al denunciato contrasto con l'art. 3 Cost., quanto con la citata disposizione e' introdotta nell'ordinamento una differenziazione ingiustificata tra i tetti orari di affollamento pubblicitario applicabili alle emittenti televisive a pagamento e quelli applicabili alle emittenti televisive in chiaro, attesa in particolare la unicita' del mercato in cui le stesse operano che con riferimento all'art. 41 Cost., incidendo oggettivamente la norma sulla liberta' di iniziativa economica dell'emittente televisiva a pagamento in difetto di una chiara ed inequivoca finalita' sociale atta a giustificare la misura normativa in questione. Non meritano condivisione, invece, gli assunti di parte ricorrente in ordine al ravvisato contrasto anche con l'art. 21 Cost., non essendo compiutamente esplicato come la misura normativa in questione impatti negativamente sul principio di tutela del pluralismo e cosi' pure per il paventato contrasto con l'art. 117 comma 2 lettera e) Cost. che e' disposizione attributiva della competenza esclusiva nella materia di che trattasi al legislatore statale. In definitiva, per le ragioni dianzi esposte, questo Tribunale solleva la questione di legittimita' costituzionale, poiche' rilevante e non manifestamente infondata, dell'art. 38 comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, come modificato dall'art. 12 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 44, in relazione agli artt. 76, 3 e 41 Cost.. Ogni ulteriore decisione, anche sulle spese, e' riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) pronunciando in via interlocutoria sul ricorso di cui in premessa, Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 76, 3 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 5 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dall'art. 12 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, secondo quanto indicato in motivazione. Sospende il giudizio, in attesa della pronuncia della Corte, ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della Segreteria. Cosi' deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 4 dicembre 2013 e 8 gennaio 2014. Il Presidente: Luigi Tosti Il Consigliere estensore: Salvatore Mezzacapo Il Consigliere: Maria Cristina Quiligotti