N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 maggio 2014
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato il 9 maggio 2014 (del Tribunale di Monza).. Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa a carico del senatore Raffaele Iannuzzi per le opinioni da questi espresse nei confronti del magistrato Luca Tescaroli - Deliberazione di insindacabilita' del Senato della Repubblica in data 21 dicembre 2012 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato del Tribunale di Monza, Sezione penale - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio dell'attivita' parlamentare. - Deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2012. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.28 del 2-7-2014 )
CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO Il giudice del Tribunale dl Monza (gia' tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio), sezione penale, in composizione monocratica, dott. Alessandro Rossato, letti gli atti del procedimento in epigrafe a carico di Iannuzzi Raffaele, nato a Grottolella, il 20 febbraio 1928, imputato del reato p. e p. dall'art. 595, 3° comma e 13, legge n. 48/1947 perche', quale autore dell'articolo dal titolo «Quell'esperto gestito come un pentito - Ma i pubblici ministeri non si scusano», apparso sul quotidiano Il Giornale il 29 luglio 2007, offendeva la reputazione del dott. Luca Tescaroli, all'epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta, affermando: «Non si sono pentiti nemmeno i pm che a Caltanissetta hanno inquisito per anni Berlusconi e Dell'Utri per strage, quali presunti mandanti occulti della strage di Capaci e della strage di via D'Amelio,... Non si e' pentito il pm Luca Tescaroli, distaccato anche lui da Firenze a Caltanissetta, e che ha scritto nella sua requisitoria per il processo della strage di Capaci, e ne ha fatto poi un libro, che quella di Cangemi, piu' che una "intuizione" era stata una "deduzione logica": visto che il presunto "pizzo" versato dalla Fininvest alla mafia non era tanto un pizzo per proteggere le antenne della TV, ma era un modo di finanziare Cosa Nostra: visto che Riina diceva, e Cangemi l'aveva sentito con le proprie orecchie, che ormai "aveva 'nte manu" Berlusconi e Dell'Utri e che per aiutarli a prendere il potere bisognava fare le stragi; visto che prima della strage Riina aveva incontrato "due persone importanti", evidentemente queste persone non potevano che essere Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. E dunque "possiamo affermare con assoluta certezza che il disegno criminale nel suo complesso, e la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in particolare, si e' mosso correlativamente al procedere di trattative volte a incidere sui poteri politici e istituzionali, e sull'azione degli stessi, per ottenere vantaggi per gli adepti dell'accolita". Tutto cio' consente di inquadrare "le ipotesi di trattative coltivate e le ipotesi degli attentati programmati ed eseguiti nell'azione volta a creare le condizioni per l'affermazione di una nuova formazione politica". Forza Italia, dunque, si e' affermata e ha vinto perche' Berlusconi e Dell'Utri hanno convinto Riina a fare le stragi e a dare cosi' il colpo di grazia alla prima Repubblica»; affermando, tra l'altro, falsamente: «Tescaroli e' stato cosi' convinto delle sue tesi che si rifiuto' di firmare l'archiviazione del procedimento per strage contro Berlusconi e Dell'Utri e lascio' Caltanissetta per tornarsene sul continente», e ancora: «Niente paura: nel quindicesimo anniversario della strage di via D'Amelio a Caltanissetta hanno deciso di riaprire le indagine sui "servizi segreti deviati" e sui "mandanti occulti". Chi sa che cio' che non e' riuscito ai pm di Palermo contro Berlusconi e Dell'Utri per il riciclaggio e ai pm "distaccati" a Caltanissetta contro Berlusconi e Dell'Utri la prima volta per le stragi, non riesca questa volta. In fondo, nessuno dei pm che ci avevano provato si e' ancora pentito. Fatto aggravato dall'attribuzione di fatti determinati». In Paderno Dugnano, il 29 luglio 2007 L'ipotesi di reato Il quotidiano Il Giornale, nell'edizione del 29 luglio 2007, ha pubblicato un articolo dal titolo «Quell'esperto gestito come un pentito - Ma i pubblici ministeri non si scusano», con sopratitolo «Le sentenze di Iannuzzi», a firma Lino Iannuzzi. L'articolo e' diviso in tre parti: nella prima si richiama la vicenda di un consulente tecnico incaricato nel 1999 dalla Procura della Repubblica di Palermo di esaminare i bilanci della spa Fininvest che - ad avviso dell'articolista - era stato «arruolato e gestito dagli inquirenti di Palermo come un qualunque pentito, ha fatto e ha detto e ha riferito cio' che loro volevano che facesse e che dicesse e che riferisse». L'articolista ricorda che quel consulente tecnico, il «pentito qualunque (...) ritratta e si giustifica e si scusa. E firma un atto di transazione». Di fronte a cio' i pubblici ministeri di Palermo avevano continuato ad utilizzare il lavoro del consulente tecnico in altri processi contro Marcello Dell'Utri e non si erano pentiti. Nella seconda parte dell'articolo il giornalista scrive che non si erano pentiti neppure i pubblici ministeri che a Caltanissetta e a Palermo avevano inquisito Berlusconi e Dell'Utri, ne' altri pubblici ministeri che distaccati a Caltanissetta avevano sostanzialmente addebitato e Berlusconi e Dell'Utri di essere i mandanti occulti delle stragi in cui erano morti i magistrati Falcone e Borsellino,sulla scorta di un'«intuizione» di un pentito, Cangemi Salvatore. In questo contesto si svolgono le affermazioni del giornalista nella terza parte dell'articolo, che si riproducono. «Non si e' pentito il pm Luca Tescaroli, distaccato anche lui da Firenze a Caltanissetta, e che ha scritto nella sua requisitoria per il processo della strage di Capaci, e ne ha fatto poi un libro, che quella di Cangemi, piu' che una "intuizione," era stata una "deduzione logica": visto che il presunto "pizzo" versato dalla Fininvest alla mafia non era tanto un pizzo per proteggere le antenne della TV, ma era un modo di finanziare Cosa Nostra; visto che Riina diceva, e Cangemi l'aveva sentito con le proprie orecchie, che ormai "aveva 'nte manu" Berlusconi e Dell'Utri e che per aiutarli a prendere il potere bisognava fare le stragi; visto che prima della strage Riina aveva incontrato "due persone importanti", evidentemente queste persone non potevano che essere Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. E dunque "possiamo affermare con assoluta certezza che il disegno criminale nel suo complesso, e la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in particolare, si e' mosso correlativamente al procedere di trattative volte a incidere sui poteri politici e istituzionali, e sull'azione degli stessi, per ottenere vantaggi per gli adepti dell'accolita". Tutto cio' consente di inquadrare "le ipotesi di trattative coltivate e le ipotesi degli attentati programmati ed eseguiti nell'azione volta a creare le condizioni per l'affermazione di una nuova formazione politica". Forza Italia, dunque, si e' affermata e ha vinto perche' Berlusconi e Dell'Utri hanno convinto Riina a fare le stragi e a dare cosi' il colpo di grazia alla prima Repubblica. Tescaroli e' stato cosi' convinto delle sue tesi che si rifiuto' di firmare l'archiviazione del procedimento per strage contro Berlusconi e Dell'Utri e lascio' Caltanissetta per tornarsene sul continente. Niente paura: nel quindicesimo anniversario della strage di via D'Amelio a Caltanissetta hanno deciso di riaprire le indagine sui "servizi segreti deviati" e sui "mandanti occulti". Chi sa che cio' che non e' riuscito ai pm di Palermo contro Berlusconi e Dell'Utri per il riciclaggio e ai pm "distaccati" a Caltanissetta contro Berlusconi e Dell'Utri la prima volta per le stragi, non riesca questa volta. In fondo, nessuno dei pm che ci avevano provato si e' ancora pentito». Letto l'articolo il dott. Luca Tescaroli si e' ritenuto diffamato dalle affermazioni del giornalista ed ha presentato querela. Il querelante ravvisa il carattere diffamatorio dell'articolo, per la parte che lo riguarda, innanzitutto nel richiamo al suo mancato «pentimento», ed in secondo luogo nell'oggettiva falsita' dell'affermazione secondo cui egli si sarebbe rifiutato di firmare la richiesta di archiviazione nel procedimento per strage contro Berlusconi e Dell'Utri, avendo sostenuto che le stragi degli anni 1992-1993 furono compiute perche' Berlusconi e Dell'Utri avevano convinto Riina a commettere quelle stragi per favorire l'affermazione politica di Forza Italia. Gli sviluppi processuali Alla conclusione delle indagini preliminari, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio di Raffaele (noto anche come Lino) Iannuzzi e del direttore del quotidiano in carica al momento della pubblicazione dell'articolo, per i reati previsti dagli articoli 595, c.p., 13, legge n. 48/1948, il primo, e dall'art. 57 c.p., il secondo. Instauratosi il procedimento davanti al giudice per le indagini preliminari, con la costituzione di parte civile del dott. Tescaroli, la difesa dell'imputato aveva gia' nel corso dell'udienza preliminare tenutasi il 1° ottobre 2010 depositato documentazione comprovante la funzione parlamentare svolta dallo Iannuzzi all'epoca dei fatti e posto la questione dell'insindacabilita' delle opinioni espresse e della conseguente necessita' di dichiarare l'improcedibilita' nei confronti dell'imputato. Il giudice dell'udienza preliminare, rigettata l'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente sollevata, aveva disposto il rinvio a giudizio dello Iannuzzi e del coimputato. Nel corso dell'udienza dibattimentale del 10 maggio 2012 (all'epoca presso la sezione distaccata di Desio del tribunale di Monza, soppressa a decorrere dal 13 settembre 2013) davanti all'odierno ricorrente, la difesa dell'imputato ha nuovamente richiesto il proscioglimento ed in subordine la trasmissione degli atti al Senato della Repubblica, secondo i dettami dell'art. 68 della Costituzione, chiedendo che le posizioni dei due imputati rimanessero unite. Risultava documentalmente provato, ed era incontestato, che Raffaele Iannuzzi nel corso della XV legislatura, era stato membro del Senato della Repubblica, dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008, e quindi nel periodo in cui e' stato pubblicato l'articolo di cui si discute (29 luglio 2007). Per questa ragione, nel corso della successiva udienza del 29 giugno 2012, e' stata accolta la richiesta della difesa; e' stata disposta la sospensione del processo nei confronti del solo imputato Iannuzzi secondo la previsione dell'art. 3 della legge n. 140/2003, con immediata trasmissione degli atti al Senato della Repubblica per le determinazioni di competenza. E' stata invece separata la posizione del coimputato, osservandosi che l'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione non integra una causa di giustificazione estendibile al concorrente (nel caso in esame il direttore pro tempore del quotidiano), ma costituisce una causa soggettiva di esclusione della punibilita' (cosi' Cass. pen., sez. 5, 5 marzo 2010, n. 13198, massima n. 246903). La delibera del Senato Il Senato della Repubblica, con deliberazione assembleare in data 21 dicembre 2012 (Senato della Repubblica, XVI legislatura, 858 seduta, doc. IV ter, n. 29, pagg. 92, 93) su conforme proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, ha dichiarato «l'insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, delle opinioni espresse dal sig. Raffaele Iannuzzi, senatore all'epoca dei fatti» (Senato della Repubblica, XVI legislatura, doc. IV-ter, n. 29-A). La prospettazione della giunta - fatta propria dall'assemblea - e' stata riassunta nelle seguenti proposizioni. «La giurisprudenza costituzionale in tema di insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione a partire dalle sentenze n. 10 e n. 11, si e' orientata nel senso di ritenere che la prerogativa in questione trova pacificamente applicazione nel caso di opinioni espresse dal parlamentare nel corso del lavori della Camera di appartenenza e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi tra le funzioni svolte dalla Camera medesima, o ancora in atti, anche individuali costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea e che, peraltro, l'ambito di applicazione della prerogativa medesima si estende anche alle dichiarazioni rese extra moenia che possono essere classificate come divulgative all'esterno di attivita' parlamentari ove sussista una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni gia' espresse, nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche. Eppure [prosegue il testo della giunta], in altre controversie aventi ad oggetto l'insindacabilita' delle opinioni espresse extra moenia nell'esercizio delle funzioni parlamentari, la difesa del Senato ha sottolineato l'importanza di rifuggire da "una definizione stringente del concetto di nesso funzionale, preferendo verificarne la ricorrenza caso per caso", "poiche' e' caratteristica tipica dell'attivita' di bilanciamento l'intrinseca dinamicita', ovvero la capacita' di adattare i termini della ponderazione alle modificazioni sociali, culturali, e politiche eventualmente implicate". La difesa del Senato ha auspicato un "salto interpretativo" della giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il nesso funzionale "in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione". Cio', "alla luce dell'evoluzione che ha subito la figura del politico-giornalista, e piu' in generale l'attivita' politica tout court", per la quale l'attivita' di giornalista andrebbe stimata "come parte della piu' ampia attivita' di politico ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale". In questo senso, deporrebbe anche l'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che, nel dichiarare applicabile l'art. 68 della Costituzione ad ogni attivita' di denuncia politica connessa alla funzione parlamentare avrebbe recepito l'esigenza di adeguare la garanzia dell'insindacabilita' alle nuove caratteristiche assunte nello svolgimento di attivita' politica». Osservazioni alla delibera parlamentare La giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza 15 dicembre 1988, n. 1150, si e' consolidata nel senso di affermare che compete alla Camera di appartenenza, nel caso in esame al Senato della Repubblica, il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro con la conseguenza di precludere all'autorita' giudiziaria un'affermazione di responsabilita' nel caso in cui la condotta debba essere qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari. Tale effetto preclusivo pero', afferma la Corte, e' subordinato al corretto esercizio del potere e lo strumento per verificare la correttezza di tale esercizio e' stato individuato nel conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. Nel dirimere in precedenza altre ipotesi di conflitto di attribuzioni, la Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 10 dell'11-17 gennaio 2000, ha tracciato le linee fondamentali per definire i rispettivi ambiti di attribuzione tra potere politico-parlamentare e potere giudiziario. Si legge nella sentenza (presidente Vassalli, relatore Onida): «Questa Corte ha gia' piu' volte sottolineato che la prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attivita' politica, ma solo quelle legate da "nesso funzionale" con le attivita' svolte "nella qualita'" di membro delle Camere (sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 329 e n. 417 del 1999). Si tratta ora di precisare, rispetto alla precedente giurisprudenza della Corte ed anche in vista di esigenze di certezza, quando ricorra tale nesso funzionale. E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea. Invece l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. La linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica. Ne' si puo' accettare, senza vanificare tale delimitazione, una definizione della "funzione" del parlamentare cosi' generica da ricomprendervi l'attivita' politica che egli svolga in qualsiasi sede, e nella quale la sua qualita' di membro delle Camere sia irrilevante. Nel linguaggio e nel sistema della Costituzione, le "funzioni" riferite agli organi non indicano generiche finalita', ma riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti: e questo vale anche per la funzione parlamentare, ancorche' essa si connoti per il suo carattere non "specializzato" (cfr. sentenze n. 148 del 1983; n. 375 del 1997). Discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima della immunita' che copre le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che siano oggettivamente ad essa estranee. Sarebbe, oltre tutto, contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare - che di per se' l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, e dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale carattere e valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita' parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere. In questo senso va precisato il significato del "nesso funzionale" che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare. Non cioe' come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenza, in pari data, n. 11 del 2000). Nel caso affrontato dalla Corte si trattava di dichiarazioni rese dal deputato a due agenzie giornalistiche, evidentemente al di fuori dell'esercizio di funzioni parlamentari. Precisa la Corte: «la considerazione dell'intento politico e non diffamatorio delle dichiarazioni, e della collocazione del tema trattato al centro del dibattito politico e parlamentare - (nel caso sottoposto alla Corte si trattava di due argomenti addotti dalla Giunta della Camera a fondamento della dichiarazione di insindacabilita', in quanto le questione oggetto delle dichiarazioni del parlamentare nel caso esaminato aveva costituito l'argomento di alcune interrogazioni parlamentari) - resta estranea all'oggetto del presente giudizio, attenendo piuttosto alla verifica della compatibilita' della opinione espressa con i limiti del diritto di critica politica. La Corte pero' osserva che «per quanto si e' detto sopra, non basta il mero collegamento di argomento con atti di sindacato ispettivo; tanto meno basta il richiamo, alla manifestazione di dissenso del deputato, espressa in Senato dove egli assisteva alla seduta (si trattava di un processo intentato a carico di un senatore e della relativa richiesta di autorizzazione a procedere, sottoposta in quella circostanza al Senato). Le dichiarazioni potrebbero dunque essere coperte dalla immunita' solo in quanto risultassero sostanzialmente riproduttive di un'opinione espressa in sede parlamentare. Infatti l'opinione espressa nell'esercizio della funzione non e' protetta da immunita' solo nell'occasione specifica in cui viene manifestata nell'ambito parlamentare, ricadendo al di fuori della sfera della prerogativa se venga riprodotta in sede diversa. L'immunita' riguarda non gia' solo l'occasione specifica in cui le opinioni sono manifestate nell'ambito parlamentare, ma il contenuto storico di esse, anche quando ne sia realizzata la diffusione pubblica, in ogni sede e con ogni mezzo. La pubblicita', infatti, e anzi la naturale destinazione, per cosi' dire, alla collettivita' dei rappresentati, che caratterizza normalmente le attivita' e gli atti del Parlamento, proprio per assicurarne la funzione di sede massima della libera dialettica politica, comporta che l'immunita' si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l'opinione venga riprodotta al di fuori dell'ambito parlamentare. Ma l'immunita' e' limitata a quel contenuto storico: e dunque, nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e' necessario, per ritenere che sussista l'insindacabilita', che si riscontri la identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede "esterna". Cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti. Si deve dunque concludere che le dichiarazioni [del parlamentare] per la parte priva di sostanziale corrispondenza con il contenuto degli atti ispettivi [citati nella sentenza], non possono ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e dunque coperte dall'immunita' ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; in relazione a tale parte, dunque, va annullata la deliberazione di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati» (sent., Corte Cost., cit.). Nel caso che l'odierno ricorrente sottopone all'esame della Corte, non risulta che il senatore Iannuzzi abbia mai specificamente fatto oggetto di propria funzione parlamentare l'attivita' svolta dal dott. Tescaroli, cosi' da avere esaminato, criticato, censurato in quella sede l'esercizio delle funzioni svolte dal magistrato, ne' vale il richiamo alla generica attivita' critica svolta dal senatore Iannuzzi nei confronti dell'operato della magistratura, in particolare di quella inquirente. Sul punto e' sufficiente richiamare la giurisprudenza della stessa Corte secondo la quale il mero riferimento all'attivita' parlamentare o comunque all'inerenza a temi di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento, quali ad esempio la lotta alla criminalita', o alla gestione dei collaboratori di giustizia, per i quali il senatore Iannuzzi aveva presentato il 19 febbraio 2004 quale primo firmatario, la proposta di istituire una Commissione d'inchiesta), entro cui le dichiarazioni si possano collocare, non vale in se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione di specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall'insindacabilita', a garanzia delle prerogative delle Camere e non di un «privilegio personale [...] conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare»: sentenza n. 120 del 2004), ma un'ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione (sentenze n. 302, n. 166 e n. 152 del 2007) (cosi', Corte Cost., sent. n. 330 del 30 luglio 2008, Pres. Bile, rel. Saulle). La linea fondamentale tracciata dalla sentenza n. 10 del 2000 e dalla coeva sentenza n. 11, e' stata ribadita dalla Corte anche dopo l'entrata in vigore della legge 20 giugno 2003, n. 140 ((Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), in sede di dichiarazione di infondatezza ed inammissibilita' (sent. n. 120 del 7-16 aprile 2004, pres. Zagrebelsky, rel. Mezzanotte e Capotosti). La Corte, ponendosi il problema «di definire una volta per tutte ed in modo esaustivo l'ambito precettivo dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, ossia il contenuto della prerogativa parlamentare in esso prevista, che segna i confini oltre i quali la giurisdizione non puo' spingersi» afferma che «l'art. 68 contiene principi che presiedono alla garanzia delle attribuzioni delle Camere e dell'autorita' giudiziaria contro reciproche interferenze e, al contempo, sono preordinati alla tutela di beni costituzionali potenzialmente confliggenti, i quali, per coesistere, debbono essere di volta in volta contemperati per essere resi tra loro compatibili: da un lato l'autonomia delle funzioni parlamentari come area di liberta' politica delle assemblee rappresentative; dall'altro la legalita' e l'insieme dei valori costituzionali che in essa si puntualizzano (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, eguale tutela giurisdizionale e diritto di agire e di difendersi in giudizio, ecc.) (cfr. sentenza n. 379 del 1996). Un'esigenza di questo tipo e' avvertita anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, come dimostrano, in particolare, le decisioni 30 gennaio 2003 sui ricorsi n. 40877/98 e n. 45649/99, secondo le quali l'assenza di un chiaro legame tra l'opinione espressa e l'esercizio di funzioni parlamentari postula una interpretazione stretta della proporzionalita' esistente tra il fine perseguito ed i mezzi impiegati, specialmente nei casi in cui, sulla base della natura asseritamente politica della dichiarazione contestata, venga negato il diritto del soggetto leso di agire in giudizio. Peraltro la Corte riconosce che «e' vana la pretesa di cristallizzare una regola di composizione del conflitto tra principi costituzionali che assumono configurazioni di volta in volta diverse e richiedono soluzioni non riducibili nei rigidi limiti di uno schema preliminare di giudizio. Tuttavia, «se si ha riferimento all'art. 68 nella sua inequivoca testualita' si trae pianamente la vera costante di tutte le decisioni di merito sui conflitti: non qualsiasi opinione espressa dai membri delle Camere e' sottratta alla responsabilita' giuridica, ma soltanto le opinioni espresse "nell'esercizio delle funzioni". Nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare. Per tale ragione l'itinerario della giurisprudenza della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del c.d. "nesso funzionale", che solo consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare». Conclude, quindi, la Corte che «le attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica» che l'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140, riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, «non rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti "tipizzati", debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari. E' appunto questo "nesso" il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi. Cosi' intesa la disposizione [dell'art. 3, legge n. 140/2003] si sottrae ai vizi di legittimita' addebitati: essa, come gia' osservato, non elimina affatto il nesso funzionale e non stabilisce che ogni espressione dei membri delle Camere, in ragione del rapporto rappresentativo che li lega agli elettori, sia per cio' solo assistita dalla garanzia dell'immunita'. E' pertanto nella dimensione funzionale che le dichiarazioni in questione possono considerarsi insindacabili: "garanzia e funzione sono inscindibilmente legate fra loro da un nesso che, reciprocamente, le definisce e giustifica" (sentenza n. 219 del 2003). Ne', d'altra parte, ai fini dell'insindacabilita', la prospettata necessita' della connessione tra attivita' di critica o di denuncia politica e atti di funzione parlamentare puo' essere inficiata dalla precisazione che tali attivita' possano essere state espletate "anche fuori del Parlamento". Tale precisazione, infatti, nulla aggiunge a quanto ormai e' acquisito al patrimonio giurisprudenziale di questa Corte, che non ha mai limitato la garanzia alla sede parlamentare, giacche' il criterio di delimitazione dell'ambito della prerogativa non e' quello della "localizzazione" dell'atto, ma piuttosto, come gia' detto, quello funzionale, cioe' riferibile in astratto ai lavori parlamentari (cfr. sentenza n. 509 del 2002). Solo a queste condizioni l'opinione cosi' manifestata e cosi' qualificata puo' essere considerata insindacabile anche quando dia luogo a forme di divulgazione e riproduzione al di fuori dell'ambito delle attivita' parlamentari (cfr. sentenze n. 10, n. 11 e n. 320 del 2000)». Alle linee fondamentali tracciate dalla Corte costituzionale, la cui interpretazione e' ormai consolidata tanto da poter essere definita «diritto vivente», si sono ispirate le pronunce della Corte di Cassazione in materia, che si richiamano. «L'immunita' parlamentare ex art. 68, comma primo, Cost., cosi' come quella riconosciuta ai consiglieri regionali in virtu' dell'art. 122, comma quarto, Cost. e' limitata alle opinioni espresse e agli atti che presentino un chiaro nesso con il concreto esercizio delle funzioni anche se svolte in forme non tipiche o "extra moenia", purche' identificabili come espressione dell'esercizio funzionale, a tanto non essendo sufficiente ne' la comunanza di argomenti, ne' un mero contesto politico cui possano riferirsi. (v. Corte cost., sent. n. 410 del 2008)». (Cass. Pen., Sez. 5, Sent. n. 22716 del 4 maggio 2010 Ud. (dep. 14 giugno 2010) Rv. 247968). «In tema di immunita' parlamentare, sussiste il nesso funzionale tra esternazioni e attivita' parlamentare - che giustifica la delibera di insindacabilita' della Camera dei deputati e correlativamente esclude la proposizione del conflitto di attribuzione da parte del giudice di merito - qualora dette esternazioni, ancorche' pronunciate nel corso di una trasmissione televisiva, si inscrivano in un contesto comprensivo di precedenti e numerosi interventi svolti dentro e fuori le aule parlamentari e siano caratterizzate, non gia' da una semplice comunanza con argomenti genericamente trattati in sede parlamentare e semplicemente riconducibili al medesimo contesto politico ma, al contrario, da una sostanziale corrispondenza con gli interventi espletati nell'esercizio concreto della funzione parlamentare.». (Cass. pen., Sez. 5, Sent. n. 12450 del 23 febbraio 2005 Ud. (dep. 4 aprile 2005 ) Rv. 231691). «In tema di immunita' parlamentare, l'art. 3, comma primo, della legge 20 giugno 2003, n. 140 - che innova la disciplina applicativa dell'art. 68 della Costituzione - esplicita, ma non amplia il contenuto della tutela accordata al parlamentare, limitata alle opinioni espresse o agli atti compiuti, che presentino un chiaro nesso funzionale con il concreto esercizio delle funzioni parlamentari, pur se svolte in forme non tipiche o "extra moenia". (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione del giudice di merito nella parte in cui ha individuato un collegamento funzionale fra le grevi espressioni indirizzate da un deputato ad un uomo politico - non tanto in tale sua veste, ma come persona anche in rapporto all'ambito familiare - e l'attivita' di parlamentare nell'ambito di un comizio per le elezioni amministrative, non tipicamente riconducibile all'ambito regolamentare). La Corte, recependo i principi enunciati dalla Consulta con la sentenza n. 120/2004, ha sottolineato che la prerogativa dell'insindacabilita' "non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera qualita' di parlamentare" e che solo il "nesso funzionale ... consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare")». (Cass. pen., Sez. 1, Sent. n. 1600 del 2 dicembre 2004 Ud. (dep. 20 gennaio 2005) Rv. 230779). «In tema di diffamazione addebitata a soggetto investito di mandato parlamentare, deve escludersi che le prerogative connesse a tale mandato, con particolare riguardo a quella dell'insindacabilita' delle opinioni stabilita dall'art. 68 Cost., possano estendersi fino a coprire le affermazioni rese nel corso di interviste giornalistiche, atteso che, anche a voler ritenere l'esercizio del mandato parlamentare non circoscritto al solo ambito materiale istituzionalmente preposto allo svolgimento delle relative funzioni, la sfera delle guarentigie non puo' comunque riguardare l'attribuzione di fatti particolari, lesivi dell'onorabilita' di terzi, al di fuori di qualsivoglia nesso pertinenziale con l'esercizio delle ordinarie attribuzioni ordinamentali.». (Cass. pen., Sez. 5, Sent. n. 29880 del 17 giugno 2002 Ud. (dep. 20 agosto 2002 ) Rv. 222340). Sulla scorta delle coordinate tracciate dalle Corti ritiene l'odierno ricorrente che la delibera del Senato della Repubblica nella seduta del 21 dicembre 2012 sia in contrasto con i canoni interpretativi sopra richiamati, considerato che tale delibera non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra il contenuto dell'articolo oggetto della querela e le opinioni espresse dal Senatore Iannuzzi in specifici atti parlamentari (si richiamano, sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 20/2008, la sentenza della medesima Corte, n. 330/2008 e le ulteriori n. 135/2008, n. 171/2008, n. 419/2008), non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche ed un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici. La delibera, peraltro, non indica alcun atto tipico svolto dal Senatore con il quale effettuare il necessario collegamento tra attivita' parlamentare e divulgazione extra moenia delle proprie opinioni. Nel contempo l'assemblea mostra di ben conoscere i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha posto al riconoscimento del nesso funzionale tra attivita' parlamentare e sua manifestazione esterna, nel momento in cui auspica un «salto interpretativo» della giurisprudenza costituzionale «volto a ritenere sussistente il nesso funzionale in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione. Cio' alla luce dell'evoluzione che ha subito la figura del politico-giornalista e piu' in generale l'attivita' politica tout court», per la quale l'attivita' di giornalista andrebbe stimata «come parte della piu' ampia attivita' [...] di politico ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale». Tale auspicato salto interpretativo, che dovrebbe effettuare anche il giudice di merito, in una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, non sembra possibile alla luce della giurisprudenza costituzionale costante e riaffermata dalla sentenza n. 120/2004 sopra richiamata. In primo luogo, infatti, l'operazione ermeneutica dovrebbe ignorare la mancanza di qualsiasi atto svolto dal senatore nell'esercizio della funzione parlamentare. In secondo luogo presuppone un'evoluzione della figura del politico-giornalista che non si ravvisa, ne' nella realta' effettuale, ne' nell'evoluzione normativa. Al contrario, la legge sulla stampa (legge 8 febbraio 1948, n. 47) prevede che «quando il direttore sia investito di mandato parlamentare, deve essere nominato un vice direttore, che assume la qualita' di responsabile» (art. 3, comma 4, legge cit.). Cio' sta a significare che il nostro ordinamento distingue nettamente le due figure del parlamentare e del giornalista. Peraltro, aderendo a questa prospettiva, si creerebbe una disparita' tra il parlamentare-giornalista e le altre figure professionali di parlamentare (medico, notaio, scrittore, critico letterario, avvocato, ed altre). Proprio decidendo su un altro conflitto di attribuzioni che riguardava il Senatore Iannuzzi la medesima Corte costituzionale ha escluso la possibilita' di tale salto interpretativo. «Al fine di verificare la sussistenza del cosiddetto "nesso funzionale", alla quale e' subordinata la prerogativa dell'insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, questa Corte e' chiamata ad accertare se le affermazioni oggetto del procedimento penale a carico del senatore si ricolleghino ad attivita' proprie del parlamentare e a discernere le opinioni riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare (tra le molte, sentenze n. 65 del 2007, n. 246 del 2004, n. 11 e n. 10 del 2000). Non puo' pertanto essere condivisa la tesi sviluppata dalla difesa del Senato della Repubblica, per la quale il "mandato elettorale si esplica in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino" tramite i "mezzi di informazione", in particolare esercitando l'attivita' di giornalista. Questa Corte, al contrario, ribadisce la piena sindacabilita' di dichiarazioni che non costituiscono la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni e, quindi, il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall'insindacabilita'), ma che rappresentano una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenze n. 96 del 2007 e n. 260 del 2006). L'operativita' di tale principio non e' suscettibile di essere condizionata in relazione alla attivita' giornalistica, ove i limiti costituzionalmente ammissibili all'esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica debbono essere oggettivamente definiti e non possono invece dipendere dallo status di colui che li esercita. Ne' possono essere tratti argomenti contrari, dall'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), poiche' gia' con la sentenza n. 120 del 2004 questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale di tale norma, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 68, primo comma, e 117 della Costituzione, escludendo che essa abbia ampliato l'ambito dell'immunita' garantita ai parlamentari dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, quale risultava dalla propria giurisprudenza (si veda anche la sentenza n. 347 del 2004)». (Cosi', Corte costituzionale, sentenza 18 aprile 2007, n. 151, Pres. Bile. red. De Siervo). Un ulteriore motivo per sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, e' costituito dal richiamo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di accesso alla giustizia nelle ipotesi di conflitto con l'immunita' parlamentare. La Corte europea, decidendo sull'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e chiamata a pronunciarsi in materia di immunita' parlamentare ai sensi dell'art. 68 della Costituzione italiana: A) riconosce la peculiarita' e l'indispensabilita' della funzione parlamentare e l'esigenza di assicurare la piena liberta' di espressione ai membri del Parlamento: («La Cour rappelle que, precieuse pour chacun, la liberte' d'expression l'est tout particulierement pour un elu du peuple; il represente les electeurs, signale leurs preoccupations et defend leurs interêts. Dans une democratie, le Parlement ou les organes comparables sont des tribunes indispensables au debat politique. Une ingerence dans la liberte' d'expression exercee dans le cadre de ces organes ne saurait donc se justifier que par des motifs imperieux (Jerusalem c. Autriche, n. 26958/95, §§ 36 et 40, CEDH 2001 II)2»); B) ma richiede una proporzionalita' tra il sacrificio richiesto al singolo cittadino nell'accesso alla tutela dei propri diritti e la tutela della liberta' d'espressione riconosciuta ai membri del Parlamento: («On ne peut des lors, de façon generale, considerer l'immunite' parlementaire comme une restriction disproportionnee au droit d'acces a' un tribunal tel que le consacre l'article 6 § 1. De même que ce droit est inherent a' la garantie d'un proces equitable assuree par cet article, de même certaines restrictions a' l'acces doivent être tenues pour lui être inherentes; on en trouve un exemple dans les limitations generalement admises par les Etats contractants comme relevant de la doctrine de l'immunite' parlementaire (voir A. c. Royaume-Uni, et, mutatis mutandis, Al-Adsani c. Royaume-Uni [GC], n. 35763/97, § 56, CEDH 2001-XI)»; C) ritiene compatibile con la Convenzione un'immunita' che copra le dichiarazioni fatte nel corso dei dibattiti parlamentari, all'interno delle Camere legislative: («A cet egard, il convient de rappeler que la Cour a estime' compatible avec la Convention une immunite' qui couvrait les declarations faites au cours des debats parlementaires au sein des chambres legislatives et tendait a' la protection des interêts du Parlement dans son ensemble, par opposition a' ceux de ses membres pris individuellement (voir A. c. Royaume-Uni»); D) ma richiede l'esistenza di un legame evidente tra l'attivita' parlamentare stricto sensu e le manifestazioni esterne delle opinioni del parlamentare: («De l'avis de la Cour, l'absence d'un lien evident avec une activite' parlementaire appelle une interpretation etroite de la notion de proportionnalite' entre le but vise' et les moyens employes. Il en est particulierement ainsi lorsque les restrictions au droit d'acces decoulent d'une deliberation d'un organe politique. Conclure autrement equivaudrait a' restreindre d'une maniere incompatible avec l'article 6 § 1 de la Convention le droit d'acces a' un tribunal des particuliers chaque fois que les propos attaques en justice ont ete' emis par un membre du Parlement»); E) la Corte europea ravvisa il rispetto del criterio di proporzionalita' nelle decisioni della Corte costituzionale italiana che affermano il principio della necessita' di un nesso funzionale inscindibile tra attivita' parlamentare e sue manifestazioni esterne: («il convient de noter que la jurisprudence de la Cour constitutionnelle a connu sur ce point une certaine evolution, et qu'a' present la haute juridiction italienne estime illegitime que l'immunite' soit etendue a' des propos n'ayant pas de correspondance substantielle avec des actes parlementaires prealables dont le representant concerne' pourrait passer pour s'être fait l'echo»). Tali principi - riaffermati nel corso degli anni, nelle sentenze 3 giugno 2004 (De Jorio contro Italia); 6 dicembre 2005 (Ielo contro Italia); 20 aprile 2006 (Patrono, Cascini, Stefanelli contro Italia); 24 febbraio 2009, Cofferati e CGIL contro Italia; 24 maggio 2011 (Onorato contro Italia) - sono stati originariamente enunciati nell'anno 2003 in due decisioni, citate nella sentenza della Corte costituzionale n. 120/2004 (Cour europeenne des droits de l'homme, Premiere Section, affaire Cordova c. Italie (n. 1) (Requête n. 40877/98), Arrêt, 30 janvier 2003. Cour europeenne des droits de l'homme, Premiere Section, Affaire Cordova c. Italie (n. 2), (Requête n. 45649/99), arrêt, 30 janvier 2003), delle quali assume particolare rilievo la seconda, poiche' la Corte era chiamata a decidere con riguardo ad espressioni manifestate da un parlamentare nei confronti di un Procuratore della Repubblica, a critica del suo operato, nel corso di una riunione elettorale; in questa seconda decisione la Corte aveva affermato che le espressioni in esame, pronunciate al di fuori di una Camera legislativa, si iscrivevano nel quadro di una disputa personale e non potevano impedire l'accesso alla giustizia per il solo motivo che la disputa potesse essere di natura politica o legata all'attivita' politica. («La Cour releve toutefois en l'occurrence que, prononcees au cours d'une reunion electorale et donc en dehors d'une chambre legislative, les declarations litigieuses de M. (...) n'etaient pas liees a' l'exercice de fonctions parlementaires stricto sensu, paraissant plutôt s'inscrire dans le cadre d'une querelle entre particuliers. Or, dans un tel cas, on ne saurait justifier un deni d'acces a' la justice par le seul motif que la querelle pourrait être de nature politique ou liee a' une activite' politique»). Anche questi principi possono considerarsi ius receptum ed accompagnandosi alle decisioni della Corte costituzionale portano a ritenere che nello specifico caso in esame si renda necessaria una pronuncia della Corte in merito alle attribuzioni del Senato della Repubblica sull'insindacabilita' delle espressioni usate nei confronti del querelante nell'articolo richiamato. Ad avviso dell'odierno ricorrente, infatti, la delibera dell'assemblea appare in contrasto con i canoni interpretativi sopra enunciati, poiche' non indica alcun elemento concreto da cui poter desumere un collegamento sostanziale tra i contenuti dell'articolo oggetto della querela ed opinioni gia' espresse dal senatore in specifici atti parlamentari, tipizzati o meno, non essendo sufficiente una mera comunanza di argomenti e di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza di atti pubblici. Ove si accedesse all'interpretazione dell'assemblea l'istituto previsto dalla norma costituzionale si trasformerebbe in un'esenzione da responsabilita' unicamente legata alla funzione parlamentare e in un privilegio personale, con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate da un parlamentare sarebbero sempre sottratte alla verifica giurisdizionale, impedendo in tal modo l'accesso personale alla giustizia. La condotta addebitabile, secondo la prospettazione del querelante, al senatore Iannuzzi, nel caso specifico nella veste di giornalista, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari e non presenta sul piano oggettivo alcun legame con atti parlamentari, ancorche' qualificati un un'ampia accezione, e deve ritenersi soggetta al controllo di legalita' riservato alla funzione giurisdizionale. Le opinioni manifestate dal senatore Iannuzzi sono quindi estranee al nesso funzionale indicato dalla Corte costituzionale e non si possono considerare ricomprese nell'esercizio delle funzioni parlamentari, con la conseguenza che riguardo ad esse non e' invocabile l'immunita' prevista dall'art. 68, primo comma della Carta costituzionale, ne' e' possibile riguardo ad esse quel «salto interpretativo» auspicato dall'assemblea. Nel caso in esame si rende quindi necessario sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato Al conflitto e' da ritenere ammissibile sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo. Sotto il profilo soggettivo il giudice ricorrente e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali, in merito alla lamentata illiceita' penale della condotta addebitata all'imputato e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione». Sotto il profilo oggettivo, si impone la necessita' di verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'immunita' prevista dall'art. 68, primo comma della Costituzione e - in caso di accertamento negativo - di verificare la lesione della sfera di attribuzioni giurisdizionali da parte del Senato della Repubblica attraverso la delibera sopra indicata. Il presente conflitto si presenta processualmente rilevante, poiche' allo stato, sulla scorta delle prospettazioni del querelante, non si ravvisa la possibilita' di un proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione della Repubblica italiana, 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Solleva Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale e chiede che la Corte costituzionale: 1) dichiari ammissibile il presente conflitto adottando ogni conseguente provvedimento; 2) dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione sulla condotta attribuita al senatore Raffaele Iannuzzi, oggetto di contestazione nel presente giudizio, in quanto estranea alla previsione dell'art. 68, comma 1, Cost.; 3) annulli la relativa deliberazione del Senato della Repubblica in data 21 dicembre 2012 (Senato della Repubblica, XVI legislatura, 858° seduta, doc. IV ter, n. 29). Ordina L'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e Sospende Il procedimento in corso fino alla pronuncia della Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza, in particolare per la notifica del presente provvedimento ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, al Presidente del Consiglio dei ministri, all'imputato e ai suoi difensori, alla parte civile costituita e al suo difensore. Monza, 4 novembre 2013. Il giudice: Alessandro Rossato Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 53/2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - 1ª serie speciale - n. 14 del 26 marzo 2014.