N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2013

Ordinanza dell'8 febbraio 2013  emessa  dal  Tribunale  di  Roma  nel
procedimento civile promosso da De Muto Nadia contro Ministero  della
giustizia. 
 
Lavoro (Rapporto di) - Personale sanitario addetto agli  istituti  di
  prevenzione   e   pena   non   appartenente   ai   ruoli   organici
  dell'amministrazione penitenziaria - Previsione della spettanza  al
  personale predetto di un compenso orario, con  esclusione  di  ogni
  altra  indennita'  o  gratificazione,   e   di   ogni   trattamento
  previdenziale  o  assicurativo  -  Violazione  del   principio   di
  uguaglianza  sotto  il  profilo   della   ragionevolezza   per   il
  trattamento di rapporti di lavoro  subordinato,  come  rapporti  di
  lavoro  autonomo  -  Incidenza  sul  principio  di  adeguatezza   e
  proporzionalita' della  retribuzione  -  Incidenza  sulla  garanzia
  previdenziale e assistenziale. 
- Legge 9 ottobre 1970, n. 740, art. 53, comma quarto. 
- Costituzione, artt. 3, 36 e 38. 
(GU n.28 del 2-7-2014 )
 
                        IL TRIBUNALE DI ROMA 
 
 
                        Sezione terza lavoro 
 
    In persona  del  giudice  dr.  Dario  Conte,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza sciogliendo la riserva assunta all'udienza del  17
gennaio 2013; 
    Letti gli atti e le note depositate nei termini assegnati; 
 
                            O s s e r v a 
 
    Con ricorso depositato il 6 dicembre 2011 De Muto  Nadia  ha  qui
convenuto in giudizio il Ministero della giustizia. 
    Ha esposto (in sintesi,  e  per  quanto  pertiene  alla  presente
ordinanza): di prestare servizio presso la Casa Circondariale «Regina
Coeli» in Roma, in modo del tutto continuativo, mediante  convenzioni
annuali e poi biennali, dal 18 marzo 1991, come  infermiera;  che  il
rapporto e' regolato da convenzioni  di  prestazione  d'opera  libero
professionale ai sensi dell'art.  53  della  legge  n.  740/1970;  di
svolgere mansioni equivalenti, per contenuto professionale, a  quelle
svolte  dagli  infermieri  dipendenti  di  ruolo,   inquadrati   alla
posizione economica B2 secondo il  C.C.N.L.  Ministeri,  e  contratti
integrativi  applicabili  al  Ministero  della   giustizia   ed,   in
particolare,   al    personale    di    ruolo    dell'Amministrazione
penitenziaria;  ha   descritto   analiticamente   le   modalita'   di
prestazione del servizio, evidenziando di essere assoggettata ad  una
condizione pienamente subordinata, anche al di la' di quanto previsto
dall'art. 53  cit.,  in  quanto  soggetta  al  potere  organizzativo,
direttivo, e disciplinare dell'Ammistrazione «committente». 
    Ha quindi dedotto (per quanto pertiene alla presente  ordinanza):
che quello instauratosi ed in corso tra le parti e'  un  rapporto  di
lavoro subordinato; di aver percepito una retribuzione  inferiore  ai
minimi sindacali ed insufficiente ex  Cost.  36,  da  parametrarsi  a
quella degli infermieri di ruolo inquadrati nella posizione economica
B2;  che,  alternativamente,  l'utilizzo  di  lavoro  subordinato  in
difetto delle forme e modalita' prescritte dalla legge  da  titolo  a
risarcimento del danno, ex art. 36 d.lgs. n. 165/2001, in misura pari
alle differenze retributive cui avrebbe avuto  diritto  se  nei  suoi
confronti  si  fosse  instaurato  un  regolare  contratto  di  lavoro
subordinato  a  tempo  indeterminato;  nonche'  della   contribuzione
previdenziale omessa. 
    Ha quindi chiesto  (tra  l'altro,  e  per  quanto  pertiene  alla
presente ordinanza): dichiararsi la natura subordinata del  rapporto;
condannarsi il convenuto, anche a titolo di risarcimento  del  danno,
al pagamento delle differenze retributive maturate dal 1° luglio 1998
all'ottobre 2008; e al pagamento, a titolo di risarcimento del danno,
della contribuzione omessa. 
    Resiste, con memoria difensiva, il Ministero della giustizia, che
ha  chiesto  il  rigetto  delle  domande  attoree,  anche   in   base
all'assunto per cui i poteri esercitati dalla direzione dell'Istituto
sugli  infermieri  «incaricati»  si  atterrebbero  alle  disposizioni
legali che regolano l'istituto. 
    Osserva il giudicante che la Corte Costituzionale, nelle sentenze
n. 121/1993 e n. 115/1994, ha affermato che  non  e'  «consentito  al
legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di  lavoro
subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da
cio' derivi  l'inapplicabilita'  delle  norme  inderogabili  previste
dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie ed ai
diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato». 
    La Corte, nella sentenza n.  121/1993,  ha  anche  richiamato  la
nozione di  rilevanza  costituzionale  di  lavoro  subordinato  quale
formulata in propri precedenti (Cort. Cost. n. 51/1987, n. 5363/1986,
n. 1457/1984 e numerose  altre),  individuandola  nel  fatto  che  il
prestatore di lavoro subordinato si identifica per il fatto di essere
stabilmente inserito nell'organizzazione del  datore  (soggezione  al
potere organizzativo) e di stare sta a disposizione di questi tra una
prestazione  e  l'altra,  per  le  mutevoli  esigenze  del   servizio
(soggezione al potere direttivo/conformativo). 
    In entrambi i precedenti sopra richiamati la  Corte  ha  ritenuto
che la legge applicabile non imponesse necessariamente la sottrazione
della fattispecie lavorativa regolata ad uno  schema  legale  diverso
dal lavoro subordinato; sicche',  in  Cort.  Cost.  n.  121/1993,  ha
dichiarato l'illegittimita' della  sola  disposizione  di  legge  che
negava al lavoratore  il  diritto  al  trattamento  di  quiescenza  e
previdenza, e all'indennita' di licenziamento, anche nel caso in  cui
il rapporto si fosse effettivamente conformato secondo  le  modalita'
proprie della subordinazione; ed  in  Cort.  Cost.  n.  115/1994,  ha
risolto la questione con  una  sentenza  interpretativa  di  rigetto,
giudicando che la disposizione impugnata poteva essere  interpretata,
e quindi andava interpretata, come riferita a contratti  genuinamente
autonomi, sicche', ove il giudice avesse accertato che, al di la  del
«nomen iuris» enunciato e delle pattuizioni stipulate,  il  rapporto,
nella  concreta  applicazione,  avesse  assunto  le   caratteristiche
proprie della subordinazione, tale classificazione dovesse  prevalere
ai fini della applicazione delle regole di tutela  costituzionale  (e
legale attuativa) del lavoro subordinato. 
    Tale il quadro costituzionale, il giudicante osserva  che  l'art.
53  della  legge  n.  740/1970  definisce  un  rapporto  di   guardia
infermieristica negli istituti di prevenzione e pena che, da un lato,
e' regolato, dalla medesima disposizione, in modo  che  appare,  alla
luce delle indicazioni sopra richiamate, ed anche  alla  stregua  dei
canoni  piu'  restrittivi  dell'individuazione  della  condizione  di
subordinazione quali emergenti dalla giurisprudenza di  legittimita',
intrinsecamente  significativo  dell'evocazione  di  un  rapporto  di
lavoro subordinato; dall'altra, regola tale rapporto in modo distinto
e «speciale», rispetto ai rapporti di lavoro subordinato,  rimandando
in modo esclusivo ad un compenso orario, da  stabilirsi  con  decreto
ministeriale   «con   esclusione   di   ogni   altra   indennita'   e
gratificazione e di ogni trattamento previdenziale o assicurativo». 
    Sebbene l'art. 53 non rechi una qualificazione legale espressa di
tale tipo di rapporto, appare evidente che il Legislatore lo  intende
non subordinato, posto che: 
        a) l'espressione  «si  avvale  dell'opera»  reca  una  chiara
indicazione  del  fatto  che  si  tratterebbe  di  un   rapporto   di
prestazione d'opera; 
        b) la rubrica della legge  n.  740/1970  («Ordinamento  delle
categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione
e  pena  non  appartenente  ai  ruoli  organici  dell'amministrazione
penitenziaria») indica di per se' in modo che appare concludente  che
quelli  ivi  regolati  non  sono  considerati  rapporti   di   lavoro
subordinato; 
        c)  la  espressa  negazione  a  tale  personale  di   diritti
garantiti  ai   lavoratori   dalla   Carta   Costituzionale   (ferie,
trattamento previdenziale, per tacer d'altro) non sembra poter essere
ragionevolmente attribuita al Legislatore se non nel  presupposto  si
tratti di rapporti di lavoro autonomo. 
    Nei fatti, risulta, per quanto attiene ai  fatti  di  causa,  che
tali rapporti sono regolati mediante  contratti  di  incarico  libero
professionale di durata, via via rinnovati. 
    La giurisprudenza di legittimita',  seppure  con  riferimento  ad
altre posizioni lavorative pure previste dalla legge n. 740/1940,  ma
del tutto analoghe a quella dei  cd.  infermieri  incaricati  (medici
incaricati ex art. 39) e' consolidata nel senso che trattasi, secondo
la legge, di rapporti di  lavoro  «parasubordinati»,  ossia  autonomi
(Cass. n. 3782/2012, n. 17092/2010, n. 12618/98). 
    Orbene, osserva il  giudicante  che  l'art.  53  della  legge  n.
740/1970 prevede che la categoria di infermieri in esame: 
        «deve prestare la propria opera secondo il turno  predisposto
dal direttore  dell'istituto».  Il  che  implica  che  deve  prestare
obbligatoriamente  servizio  nei   giorni   e   negli   archi   orari
unilateralmente stabiliti  dal  datore  di  lavoro,  ossia  osservare
precisi ed eteroimposti orari di lavoro, e quindi sta a  disposizione
tra una prestazione e l'altra; 
        «(e' tenuto  ...)  ad  osservare  le  prescrizioni  impartite
dall'autorita'  amministrativa   concernenti   l'organizzazione   del
servizio  infermieristico  ...  nonche'  le  relative  modalita'   di
svolgimento non riflettenti questioni di carattere tecnico ... per le
questioni di carattere tecnico e' tenuto ad osservare le prescrizioni
impartite dal personale medico» (ed e' quindi soggetto ad  un  potere
permanente  di  etero  conformazione  sia   quanto   alle   modalita'
organizzative del servizio, sia quanto alle modalita'  di  esecuzione
della prestazione, sia non tecniche che tecniche). 
    Un rapporto avente per legge siffatti obblighi, e'  evidentemente
un  rapporto  che  e'  previsto  per  legge   come   comportante   un
assoggettamento  assai  penetrante  del  lavoratore  al   potere   di
direzione  e  organizzazione  del  datore   di   lavoro,   largamente
travalicante nella subordinazione, e del quale appare in  particolare
impossibile comprendere quale sarebbe ed  in  cosa  consisterebbe  il
carattere di autonomia. 
    Non di meno la legge lo  considera  chiaramente  autonomo,  cosi'
pretendendo di precludere al controllo  della  giurisdizione  il  qui
sollecitato controllo di adeguatezza del compenso  ex  Cost.  36;  ed
assoggettandolo ad una disciplina legale nella quale il complesso dei
diritti dei lavoratori subordinati quali sanciti dagli artt. 36 e  38
della Costituzione (retribuzione adeguata - nella specie invocata  -,
riposo settimanale -  del  quale  la  ricorrente  lamenta  la  almeno
occasionale  mancata  fruizione  -  remunerazione  differenziale  del
lavoro domenicale - pure lamentata come  omessa  dalla  ricorrente  -
tutela previdenziale - la cui omissione forma oggetto, in ricorso, di
pretesa risarcitoria -) si riducono  ad  un  mero  «compenso  orario»
dichiaratamente esclusivo di ogni altra possibile pretesa economica e
previdenziale, risultando cosi', in pratica, del tutto pretermesso. 
    L'art. 53 della legge n. 740/1970, nella parte in  cui  limita  i
diritti del personale  in  esame  ad  un  «compenso  orario»,  appare
altresi' censurabile ex Cost. 3,  posto  che,  non  spiegandosi,  ne'
avendosi modo di comprendere, a quale piu' penetrante  condizione  di
subordinazione   potrebbe   essere    assoggettato    il    personale
infermieristico di ruolo, o assunto con contratto di lavoro  a  tempo
determinato adibito a pari mansioni (il  quale  pure  puo',  e  forse
dovrebbe, essere adibito alle stesse mansioni ex art.  80,  comma  5,
legge n.  354/1975),  il  trattamento  «speciale»  riservato  a  tale
categoria di lavoratori, e preclusivo dei diritti  spettanti  a  tale
altro personale, appare privo di ogni razionale  giustificazione,  se
non quella, incongrua ed inammissibile, di risparmiare sui costi  del
personale. 
    E' appena il caso di aggiungere che a ritenere che  nella  specie
la  legge  non  pretenda  di  negare  in  assoluto  che  i   rapporti
formalmente regolati nel segno dell'art. 53 cit. possano configurarsi
come rapporti di lavoro subordinato, la violazione di Cost. 36  e  38
riuscirebbe vieppiu' evidente, perche' affermare che ai lavoratori in
questione, anche se subordinati,  spetta  un  «compenso  orario,  con
esclusione di ogni altra  indennita'  o  gratificazione,  e  di  ogni
trattamento previdenziale o  assicurativo»  significa  affermare  che
essi, se non fruiscono di ferie,  non  hanno  diritto  all'indennita'
sostitutiva; che se lavorano di domenica non hanno diritto a compenso
aggiuntivo; che se non hanno riposo settimanale non hanno  diritto  a
maggiorazioni; che non hanno diritto al trattamento di fine servizio;
che non  hanno  copertura  previdenziale;  che,  a  pari  mansioni  e
modalita' di utilizzo della loro prestazione,  hanno  diritto  ad  un
trattamento  economico  diverso  -  e,  secondo  l'assunto   attoreo,
deteriore - rispetto al corrispondente  personale  dipendente;  tutte
cose che appaiono in conclamato contrasto con gli artt. 3,  36  e  38
della Costituzione. 
    Prevedere  per  legge  un  tipo   speciale   di   collaborazione,
dettandone il contenuto funzionale in  modo  di  per  se'  indicativo
della condizione di subordinazione, per poi negarne  la  valenza  sul
piano degli effetti retributivi e previdenziali, non sembra  peraltro
aver altra funzione («ratio») che quella di  eludere  le  tutele  del
lavoro subordinato nel suo complesso. In tal  senso  l'art.  53  cit.
appare costituzionalmente illegittimo nel suo complesso. 
    Il giudicate non ritiene  che  nel  caso  di  specie  l'«empasse»
costituzionale  possa  essere  elusa,  puramente   e   semplicemente,
mediante una riqualificazione giudiziale del rapporto, perche',  alla
luce dell'istruttoria svolta, non sembra, allo stato, che i poteri di
organizzazione e direzione datoriale siano nei fatti stati esercitati
con modalita'  significativamente  eccedenti  quanto  previsto  dalla
fattispecie normativa, per il buon motivo che questa  regola  di  per
se' il rapporto in un modo in rapporto al quale e' difficile  persino
immaginare un piu' elevato livello di etero-conformaziane di tempi  e
modi del contenuto delle prestazioni, che ne investe  tempi  (turni),
l'organizzazione (interamente rimessa al datore senza alcun ambito di
autonomia per il prestatore), le modalita' non  tecniche,  e  persino
quelle tecniche. 
    Le  convenzioni  non  paiono  pertanto  punto  discostarsi  dalle
previsioni legali, quando prevedono che il lavoratore «deve attenersi
alle disposizioni della direzione per la corretta organizzazione  del
servizio e per garantire efficienti modalita'  di  svolgimento  dello
stesso»;  «attenersi,  per  i  compiti  di  carattere  tecnico,  alle
prescrizioni impartite dal personale medico»; «osservare con scrupolo
le disposizioni che regolano l'ordine e la disciplina dell'istituto». 
    Le convenzioni, per certi versi, piuttosto, sembrano attenuare la
condizione di subordinazione  quale  prevista  dalla  legge,  ad  es.
laddove prevedono che l'orario sia «concordato con la direzione» (nei
fatti, dall'istruttoria emerge pero' che gli infermieri  danno  delle
mere disponibilita', e poi i turni li fa  la  direzione;  d'altronde,
che il prestatore  debba  rendersi  disponibile  con  continuita'  e'
chiaramente implicato dalle  disposizioni  contrattuali  per  cui  il
prestatore puo' sospendere il servizio  solo  per  tempi  limitati  -
ferie, e per motivi giustificati - malattia,  gravidanza,  puerperio,
ovvero per autorizzazione della direzione; comunque, il tutto,  senza
compenso per i periodi non lavorati). 
    L'art. 53 della legge n. 740/1970 appare pertanto illegittimo nel
suo complesso per violazione degli artt. 3, 36, 38 della Costituzione
nel suo complesso, perche' qualifica come rapporti di lavoro autonomo
rapporti che la  disposizione  stessa  regola  in  modo  di  per  se'
integrante fattispecie di lavoro subordinato, cosi'  sottraendo  tali
rapporti alla disciplina  costituzionale  inderogabile  che  ad  essi
pertiene, nonche', apparentemente, al solo scopo di farlo. 
    In subordino, la censura va rivolta, alla  stregua  dei  medesimi
parametri costituzionali, nei confronti del quarto  compia  dell'art.
53 cit., nella parte in cui prevede che  al  personale  in  questione
spetta (solo) un compenso  orario,  «con  esclusione  di  ogni  altra
indennita' o gratificazione e di  ogni  trattamento  previdenziale  o
assicurativo». 
    La questione appare rilevante, perche'  tutte  le  domande  della
ricorrente postulano trattarsi di un rapporto di  lavoro  subordinato
seppur «irregolare»,  e  tale  possibilita'  di  qualificazione,  nel
rispetto della disciplina legale di  tali  forme  di  collaborazione,
appare chiaramente negata dai Legislatore. 
    Se  il  rapporto  potesse  essere  qualificato  come  di   natura
subordinata, la lavoratrice avrebbe invece diritto  al  controllo  di
adeguatezza del compenso ex Cost.  36;  e/o,  trattandosi  di  lavoro
subordinato   irregolare,   avrebbe   presumibilmente   diritto    al
risarcimento del danno ex art. 36, comma 2, d.lgs. n.  165/2001,  sia
sotto il profilo della  minor  retribuzione  ricevuta  (che  andrebbe
mutuata, ex art. 45, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, dal trattamento del
corrispondente personale di ruolo) sia sotto il  profilo  dell'omessa
contribuzione previdenziale di legge. 
    Per  converso,  la   ritenuta   legittimita'   della   previsione
legislativa per cui ai lavoratori in questione non spetta  altro  che
il compenso orario da essa previsto, e null'altro sia di  retributivo
che di previdenziale, osterebbe a tutte le pretese  della  ricorrente
(almeno quelle  qui  in  esame),  che  nulla  lamenta  riguardo  alla
corrispondenza del trattamento ricevuto alle previsioni dell'art. 53. 
    Le    eccezioni    preliminari    e    pregiudiziali    sollevate
dall'Amministrazione non  appaiono  idonee  ad  evitare  l'esame  nel
merito delle questioni sopra riportate. 
    Il periodo  oggetto  della  rivendicazione  e'  almeno  in  parte
successivo al 1° luglio 1998, e quindi ricade nella giurisdizione del
giudice adito. 
    La sollevata eccezione  di  prescrizione  decennale  del  diritto
all'accertamento della  natura  subordinata  del  rapporto,  a  tutto
concedere, non copre tutto il rapporto in questione, protrattosi  dal
1991 al 2008. 
    La eccepita prescrizione estintiva ex art. 2948 n. 4  c.c.  certo
non copre tutto il rapporto, protrattosi fino al 2008,  tenuto  conto
che il ricorso  e'  stato  notificato  nel  2012.  E'  peraltro  «ius
receptum» che il termine  prescrizionale  non  decorre  in  corso  di
rapporto quando, come nel caso di specie, il  rapporto  non  sia  nei
fatti regolato come di lavoro subordinato, sicche' il lavoratore  non
gode, in concreto,  di  stabilita'  reale  (Cass.  n.  4942/2012,  n.
11644/2004 e innumerevoli conf.). 
    L'eccezione di prescrizione presuntiva  appare  inammissibile  ex
art. 2959 c.c.,  perche'  le  difese  dell'Amministrazione,  volte  a
contestare  l'intrinseca  debenza   delle   somme   richieste,   sono
incompatibili con la tesi per cui le differenze retributive reclamate
siano state pagate od i relativi danni refusi (Cass.  n.  21107/2009,
n. 5910/1999 e numerose conf.). 
    L'azione  risarcitoria  ha  natura  contrattuale  e  pertanto  il
relativo  termine  e'  quello  ordinario  decennale,  e  non   quello
quinquennale di cui all'art. 2947 c.c. 
    Il fatto  che  tra  le  parti  non  possa  ritenersi  validamente
instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ex
art. 36 d.lgs. n. 165/2001 nulla toglie al riconoscimento dei diritti
derivanti dal rapporto di fatto ex art. 2126 c.c. o almeno ai diritti
risarcitori di cui all'art. 36 cit.; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; 
    Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge n.  740/1970,
per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; 
    In subordine, dichiara rilevante, e non manifestamente infondata,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  53,  comma  4,
della legge  n.  740/1970,  nella  parte  in  cui  limita  i  diritti
retributivi  del  personale  regolato  dall'art.  53,  sebbene  debba
ritenersi subordinato, e quand'anche fosse nei fatti subordinato,  ad
un  compenso  annuo,  con  esclusione  di  ogni  altra  indennita'  o
gratificazione,  ed  esclude  ogni   trattamento   previdenziale   ed
assicurativo,  per  contrasto  con  gli  artt.  3,  36  e  38   della
Costituzione; 
    Sospende il giudizio e dispone la  trasmissione  immediata  degli
atti alla Corte costituzionale; 
    Manda  alla  Cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza alle parti ed al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' per la comunicazione della stessa  ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
 
      Roma, addi' 8 febbraio 2013 
 
                       Il giudice: Dario Conte