N. 112 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2014

Ordinanza del 24 marzo  2014  emessa  dal  Tribunale  di  Torino  nel
procedimento penale a carico di M. G.. 
 
Ordinamento giudiziario - Delega legislativa per la  riorganizzazione
  della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al  fine
  di realizzare risparmi  di  spesa  e  incremento  di  efficienza  -
  Conferimento al Governo mediante disposizione inserita nella  legge
  di conversione del decreto-legge  n.  138  del  2011  -  Denunciata
  insussistenza di presupposti di necessita' e urgenza riferibili  al
  riordino della "geografia giudiziaria" - Eterogeneita' della delega
  rispetto all'oggetto e alle finalita' del predetto decreto-legge  -
  Inosservanza  della  procedura  normale  di  esame  in  Commissione
  referente e successiva approvazione in Aula, prevista per i disegni
  di  legge  di  delegazione  legislativa  -   Violazione   dell'iter
  ordinario di formazione legislativa - Illegittimita'  derivata  del
  decreto legislativo n. 155 del 2012. 
- Legge  14  settembre  2011,  n.  148  (che   ha   convertito,   con
  modificazioni, il decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138),  art.  1,
  comma  2;  decreto  legislativo  7  settembre  2012,  n.  155,   in
  particolare, artt. 1, 2, 9 e 11; decreto-legge 13 agosto  2011,  n.
  138 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre  2011,
  n. 148). 
- Costituzione, artt. 70, 72, commi primo e quarto, 76 e 77. 
(GU n.28 del 2-7-2014 )
 
                         TRIBUNALE DI TORINO 
 
 
                     in composizione monocratica 
 
 
                         III sezione penale 
 
    Il  Tribunale  di  Pinerolo  in  composizione  monocratica  nella
persona del giudice del dibattimento Alberto Giannone, letti gli atti
del processo nei confronti di M. G., nato a Pinerolo (Torino), libero
contumace, difensore di fiducia: avv. Monica Bernardoni, del Foro  di
Pinerolo, con ivi studio in via Des Geneys n. 10, imputato del  reato
di cui all'art. 612 cpv. c.p., perche', estraendo un  coltello  dalla
tasca con una lama, fissava A. V. e diceva testualmente  alla  stessa
«Prima o poi te la faccio pagare». 
    Con l'aggravante di aver commesso il fatto  a  mezzo  di  un'arma
impropria alla pubblica udienza del 24 marzo 2014, ore 11,  pronuncia
(dandone lettura alle parti presenti ai sensi dell'art. 23 ult. comma
legge n. 87/1953) la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla
Corte costituzionale (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). 
1. Fatto e svolgimento del processo. 
    L'imputato veniva  tratto  a  giudizio  a  seguito  di  esercizio
dell'azione  penale  da  parte  del   sostituto   procuratore   della
Repubblica presso  il  Tribunale  di  Pinerolo  (a  seguito  di  c.d.
«imputazione coatta» del g.i.p. del Tribunale di Pinerolo),  mediante
citazione diretta a giudizio depositata dal p.m. in data 26  febbraio
2013. 
    Il giudice monocratico del dibattimento di  Pinerolo  (dott.  Del
Colle) fissava l'udienza di prima comparizione al  13  gennaio  2014,
ore 14,30, avanti al Tribunale di Torino - Palazzo  di  giustizia  di
Pinerolo, via Convento di San  Francesco  (sede  provvisoria,  stante
l'attivazione della procedura di utilizzo dei locali ex art. 8 d.lgs.
n.  155/2012,  poi  definita  con  l'ottenimento  dell'autorizzazione
richiesta con d.m. Ministro della giustizia 8 agosto 2013). 
    Il P.M., pertanto, disponeva la citazione  dell'imputato  per  la
data del 13 gennaio 2014, ore 14,30 con provvedimento del  15  maggio
2013. Il tutto veniva regolarmente notificato il 20 maggio 2013 dalla
Procura della Repubblica di Pinerolo. 
    Successivamente, stante i decreti del Presidente del Tribunale di
Torino con i quali si imprimeva un'accelerazione all'accorpamento del
Tribunale di Pinerolo a quello di Torino (nonostante il contenuto del
d.m. Ministro della  giustizia  8  agosto  2013  avesse  previsto  un
utilizzo  dei  locali  dell'ufficio  accorpato,  per  svolgimento  di
processi penali, per ulteriori dieci mesi), veniva ordinato  e  fatto
eseguire  dall'ufficio  accorpante  il   trasferimento   totale   del
personale amministrativo e dei magistrati entro il 31 dicembre  2013,
sicche' le  udienze  da  celebrarsi  da  gennaio  in  poi  avanti  al
Tribunale  di  Torino  -  Ufficio  provvisorio  del  gia'   soppresso
Tribunale di  Pinerolo  dovevano  essere  rinviate  e  rifissate  (in
spregio tra l'altro a qualunque esigenza di economia processuale -  e
anzi con aggravio delle spese di «rinotifica» - e non considerando il
decorrere dei termini di prescrizione). 
    L'udienza relativa al presente processo veniva quindi  rifissata,
ai sensi dell'art.  9  d.lgs.  n.  155/2012,  con  provvedimento  del
Presidente della III sezione penale del Tribunale di  Torino  del  18
dicembre 2013, notificato alle parti il 28 dicembre 2013. 
    Con  tale  provvedimento  (intitolato  «Decreto  di  prosecuzione
dell'udienza»),  l'udienza  dibattimentale  veniva  fissata  pertanto
avanti al Tribunale ordinario di Torino per il 5 marzo  2014,  ore  9
presso l'aula 43, e assegnata allo scrivente giudice del dibattimento
Alberto  Giannone  (stante  anche  l'intervenuto  trasferimento   del
giudice originariamente assegnatario - dott. Del Colle -  all'ufficio
g.i.p.). 
    All'udienza del 5 marzo 2014, il difensore dell'imputato chiedeva
al  giudice  scrivente  di  sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale  della  legge-delega  n.  148/2011  e  del  d.lgs.  n.
155/2012, come da memoria scritta che  il  difensore  contestualmente
depositava. 
    In estrema sintesi, il  difensore  si  duole  del  fatto  che  il
processo -  per  fatto  di  reato  gia'  ricadente  nella  competenza
territoriale del  Tribunale  di  Pinerolo  -  venga  illegittimamente
celebrato  avanti  al  Tribunale  di  Torino.  La  soppressione   del
Tribunale di Pinerolo, la nuova competenza territoriale del Tribunale
di Torino e  lo  spostamento  del  presente  procedimento  avanti  al
Tribunale  di  Torino  derivano  dall'applicazione  del   d.lgs.   n.
155/2012, in particolare degli artt. 2, 9 e 11, normativa a sua volta
discendente dalla legge-delega n. 148/2011 che  ne  costituisce  atto
presupposto: normativa, quella della legge-delega e (per conseguenza)
quella del decreto legislativo delegato  che  (secondo  il  difensore
dell'imputato) sarebbero in contrasto con  la  Costituzione  [e  cio'
alla luce anche di recenti pronunce della Corte costituzionale, ossia
la sent. n. 237 del 2013, l'ordinanza n. 15 del 2014 (che alla  prima
si richiama) e la sent. n. 32 del 2014]. 
    Stante la complessita' della questione (sulla quale  il  p.m.  di
udienza si «rimetteva») - complessita' resa evidente dal deposito  di
una corposa memoria  scritta  e  dalla  necessita'  di  studiare  gli
specifici «precedenti» della Consulta - il giudice  si  riservava  di
decidere e rinviava il processo  all'odierna  udienza  del  24  marzo
2014, ove pronuncia la seguente ordinanza accogliendo parzialmente la
eccezione proposta. 
2. Le disposizioni impugnate. 
    Il giudice scrivente, in parziale  accoglimento  delle  eccezioni
proposte ma  in  ogni  caso  anche  d'ufficio  (stante  la  manifesta
fondatezza  ictu  oculi,  per  come  si  dira'),  ritiene  che  siano
rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale delle disposizioni della legge-delega  n.  148/2011  e
del  decreto  legislativo  n.  155/2012  che  hanno   comportato   la
soppressione - dal  13  settembre  2013  -  degli  uffici  giudiziari
(Tribunale e Procura)  di  Pinerolo,  e  il  loro  accorpamento  agli
omologhi uffici giudiziari di Torino (e  che  impongono  altresi'  la
celebrazione dei processi, dopo  il  13  settembre  2013,  avanti  al
Tribunale di Torino). 
    In  particolare,  ad   avviso   dello   scrivente,   emerge   una
illegittimita' costituzionale «diretta» dell'art. 1,  comma  2  della
legge 14 settembre 2011, n. 148, di  conversione,  con  modificazioni
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, per essere stata emanata la
legge-delega in  violazione  degli  artt.  70,  72,  76  e  77  della
Costituzione;   ed   una   illegittimita'   costituzionale   derivata
dell'intero  d.lgs.  n.  155/2012,  per  violazione  delle   medesime
disposizioni    costituzionali;    illegittimita'    che     riguarda
specificamente gli artt. 1, 2, 9  e  11  del  decreto  legislativo  7
settembre 2012, n. 155, relativamente all'inclusione del Tribunale di
Pinerolo e della Procura della Repubblica di Pinerolo nell'elenco  di
cui alla tabella A) allegata, con conseguente  soppressione  di  tali
uffici  e  loro  accorpamento  al  Tribunale  e  alla  Procura  della
Repubblica  di  Torino  a  far  data  dal  13   settembre   2013,   e
relativamente  all'obbligo  di  fissare  e   celebrare   le   udienze
successive al 13 settembre 2013 avanti al Tribunale di Torino. 
3. La non manifesta infondatezza delle questioni. 
    II decreto-legge n. 138 del 2011, la legge di conversione n.  148
del 2011 e il decreto legislativo n. 155 del 2012. 
    Con legge 14 settembre 2011, n. 148 (in  Gazzetta  Ufficiale,  16
settembre  2011,  n.  216),  e'  stato  convertito  in   legge,   con
modificazioni, il decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,  recante
ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per  lo
sviluppo  ed  e'  stata  conferita  la  «delega  al  Governo  per  la
riorganizzazione della  distribuzione  sul  territorio  degli  uffici
giudiziari». 
    In particolare, l'art. 1 della citata legge ha previsto: 
        1) al primo comma, la  conversione  in  legge  del  d.-l.  n.
138/2011; 
        2) al secondo comma, che  «il  Governo,  anche  ai  fini  del
perseguimento delle finalita' di cui all'art. 9 del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111, e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, uno  o  piu'  decreti
legislativi per riorganizzare la distribuzione sul  territorio  degli
uffici  giudiziari  al  fine  di  realizzare  risparmi  di  spesa   e
incremento di efficienza, con  l'osservanza  di  taluni  "principi  e
criteri  direttivi''»,  che  sono  dettagliatamente  indicati   nelle
lettere da a)  a  q)  del  medesimo  comma  secondo  della  legge  n.
148/2011. 
    I commi successivi prevedono che: 
        3) la riforma realizza il  necessario  coordinamento  con  le
altre disposizioni vigenti; 
        4) gli schemi dei decreti legislativi previsti  dal  comma  2
sono  adottati  su  proposta   del   Ministro   della   giustizia   e
successivamente trasmessi al Consiglio Superiore della Magistratura e
al Parlamento ai  fini  dell'espressione  dei  pareri  da  parte  del
Consiglio e delle Commissioni competenti per materia. I  pareri,  non
vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di
trasmissione, decorso il  quale  i  decreti  sono  emanati  anche  in
mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine venga a scadere nei
trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma
2, o successivamente, la scadenza di  quest'ultimo  e'  prorogata  di
sessanta giorni; 
        5) il Governo, con la procedura indicata nel comma  4,  entro
due anni dalla data di entrata in  vigore  di  ciascuno  dei  decreti
legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma  2  e
nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, puo'  adottare
disposizioni  integrative  e  correttive  dei   decreti   legislativi
medesimi. 
    Il comma 6 dispone, infine, che la legge di conversione entri  in
vigore  dal  giorno  successivo  alla   pubblicazione   in   Gazzetta
Ufficiale. 
    Successivamente,  in  attuazione  della  delega,  e  nel  termine
fissato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.
148 del 2011, sono stati emanati il decreto legislativo  7  settembre
2012, n. 155 (in suppl. ordinario n. 185 alla Gazzetta Ufficiale,  12
settembre  2012,  n.  213),  recante  la  «nuova  organizzazione  dei
Tribunali ordinari e degli uffici del  Pubblico  Ministero,  a  norma
dell'art. 1, comma 2, della  legge  14  settembre  2011,  n.  148»  e
decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (in suppl. ordinario  n.
185 alla Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2012, n. 213),  recante  la
«revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei  Giudici  di
Pace, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.
148». 
A) La legge di conversione n. 148 del 2011 e in particolare l'art. 1,
comma 2 «legge-delega»: violazione artt.  70  e  72,  primo  comma  e
quarto comma Cost. La consegue illegittimita'  della  legge  delegata
ossia del d.lgs. n. 155/2012 (ed in particolare gli artt.  1,  2,  9,
11). 
    L'art. 72, comma 4 della Costituzione dispone  testualmente:  «La
procedura normale di esame e di approvazione diretta della Camera  e'
sempre  adottata  per  i  disegni  di  legge  (...)  di   delegazione
legislativa». La disposizione postula quella dell'art.  72,  comma  1
Cost. che prevede: «Ogni disegno di legge (...) e' esaminato  da  una
commissione e poi dalla Camera che lo approva articolo per articolo e
con votazione finale». 
    In altre parole  -  questo  giudice  e'  costretto  a  richiamare
principi scontati - le norme della  Costituzione  impongono,  per  le
leggi  di  legazione   legislativa,   l'obbligo   di   rispetto   del
procedimento ordinario  di  formazione  della  legge,  con  esame  in
commissione (c.d. sede «referente») e approvazione in aula  «articolo
per articolo e con votazione finale» (in generale v. R. Dickmann,  Il
Parlamento italiano, Napoli, Jovene, 2011, 129). 
    Sul punto appare di pregnante rilievo la Circolare del Presidente
del Senato in data 10  gennaio  1997,  ove  in  tema  di  istruttoria
legislativa nelle commissioni  ha  affermato  che  «l'art.  72  della
Costituzione prevede che ogni disegno di legge sia esaminato  da  una
Commissione prima di esser sottoposto al  vaglio  dell'Assemblea.  La
procedura in sede referente insieme  con  l'attivita'  consultiva  ad
essa collegata costituisce percio' la fase  istruttoria  obbligatoria
del procedimento legislativo. I principi che regolano tale fase  sono
differenziati da quelli propri delle procedure deliberanti, le  quali
sono dirette alla definitiva approvazione del testo  legislativo.  La
fase istruttoria e',  invece,  finalizzata  alla  acquisizione  degli
elementi utili alla decisione e  alla  conseguente  elaborazione  del
testo  per  consentire  la  deliberazione  dell'Assemblea.  In  vista
dell'adempimento di  tale  compito,  l'esame  in  sede  referente  e'
caratterizzato  dalla  flessibilita'  e  dalla   informalita'   della
procedura in contrapposizione con la  rigidita'  propria  delle  fasi
deliberanti». 
    Sul punto autorevole dottrina ha  insegnato  che  «rimane  fermo,
comunque,  che  sarebbe  violata   una   norma   costituzionale   sul
procedimento legislativo se venisse omessa  l'attivita'  preparatoria
sul   procedimento   legislativo»   (cosi'   L.   Elia,   Commissioni
parlamentari, in Enc. Del dir. VII, Milano Giuffre', 1960 pag. 899). 
    Allo scrivente, pare evidente che l'art. 1, comma 2  della  legge
n. 148/2011, laddove e' stata conferita la delega al Governo  per  la
riforma della «geografia giudiziaria»,  ha  clamorosamente  disatteso
tali obblighi costituzionali. 
    Infatti, la delega  al  Governo  per  la  riorganizzazione  della
distribuzione  sul  territorio  degli  uffici  giudiziari  e'   stata
approvata in prima lettura al Senato della Repubblica il 7  settembre
2011, durante l'iter del procedimento di  conversione  in  legge  del
decreto-legge n. 138/2011; il  procedimento  legislativo  si  e'  poi
concluso con la successiva deliberazione della Camera dei Deputati ed
entrambi i passaggi parlamentari sono stati caratterizzati dal  fatto
che il Governo ha posto la questione di fiducia. 
    In particolare, al Senato, il Governo ha presentato l'emendamento
1.900 interamente sostitutivo  dell'articolo  unico  del  disegno  di
legge  n.  2887  ponendovi  la  questione  di  fiducia;   nel   detto
emendamento e' stato stravolto il testo del decreto-legge originario,
e' stato modificato il titolo dell'originario disegno di  legge  e  -
per quel che qui soprattutto rileva - e' stata introdotta  la  delega
al Governo in tema di geografia giudiziaria. 
    Orbene, una semplice lettura  del  resoconto  stenografico  della
seduta d'aula del Senato del 7 settembre 2011 consente  di  censurare
come non conforme al disposto dell'art.  72,  primo  e  quarto  comma
Cost. l'iter legislativo seguito dalla  Camera  de  qua  (v.  doc.  6
produzione difesa). 
    In particolare, dal  resoconto  della  seduta  della  commissione
Bilancio  del  7  settembre  2011,  emerge   inconfutabilmente   come
l'emendamento in questione  sia  stato  presentato  in  Aula  per  la
discussione  senza  previo  passaggio  nella  competente  Commissione
referente (Giustizia), ivi sia stato votato unitamente alla fiducia e
sia stato successivamente trasmesso alla  sola  Commissione  Bilancio
per il parere circa i profili  di  copertura  finanziaria.  Si  legge
infatti nel predetto resoconto come il Presidente  della  Commissione
abbia informato che «durante la discussione in Assemblea del  disegno
di  legge  n.  2887,  recante  ulteriori  misure   urgenti   per   la
stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo,  il  Governo   ha
presentato l'emendamento n. 1.900 sul quale ha posto la questione  di
fiducia. L'emendamento stesso e' stato trasmesso dal  Presidente  del
Senato affinche', in relazione all'art. 81 della Costituzione  e  nel
rispetto delle prerogative costituzionali del Governo la  commissione
bilancio possa informare l'assemblea circa  i  profili  di  copertura
finanziaria». 
    Il procedimento cosi' adottato  -  senza  esame  dell'emendamento
introduttivo della legge-delega  in  Commissione  Giustizia  -  viola
dunque le previsioni dell'art. 72, primo comma Cost. in tema di legge
ordinaria e si risolve  altresi'  in  una  violazione  dell'art.  72,
quarto comma Cost., che impone, come si detto, l'iter ordinario per i
disegni di legge contenenti deleghe al Governo. 
    Una diversa conclusione finirebbe svuotare di contenuto lo stesso
art. 72, quarto comma Cost. consentendo di  aggirare  ad  libitum  la
riserva  di  legge  formale  e  di  fatto   consentendo   un'indebita
sovrapposizione tra delegante e delegato (in dottrina v. A. Manzella,
Il  Parlamento,  Bologna,  il  Mulino,  2003,  353,  G.   Piccirilli,
L'emendamento nel processo di decisione parlamentare,  Padova,  Cedam
2008, 292). 
    Orbene, non si ignora come tale  questione  (unitamente  a  molte
altre: in primis  il  mancato  decongestionamento  del  Tribunale  di
Torino, in violazione di criterio «prioritario» di legge delega;  con
la conseguenza che  il  Tribunale  di  Torino  e'  stato  addirittura
ingolfato di affari, con aumento  di  inefficienza)  sia  stata  gia'
posta all'attenzione della Corte costituzionale, che,  apparentemente
superandola, l'ha dichiarata non fondata  con  sentenza  n.  237  del
2013. 
    Va  peraltro  osservato  che,  dopo  quella  pronuncia,   ne   e'
intervenuta un'altra (sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale)
che dovrebbe imporre una riconsiderazione di tale censura (invece non
accolta dalla sent. n. 237/2013). 
    In tale recentissima ultima pronuncia, infatti, la  stessa  Corte
costituzionale ha infatti censurato (non smentita da altre  pronunce)
anche proprio la medesima fattispecie procedimentale ora considerata,
e  cioe'  quella  relativa  alla  presentazione   in   aula   di   un
maxiemendamento al disegno di legge di conversione  di  decreto-legge
che non consenta alle  commissioni  di  svolgere  in  Senato  l'esame
referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 Cost.:  testualmente
«la presentazione in aula da parte del Governo di un maxi-emendamento
al disegno di legge di conversione non ha consentito alle commissioni
di svolgere in Senato l'esame referente richiesto dall'art. 72 Cost.»
(cfr. doc. 5 produzioni difesa). 
    Sembrerebbe di capire che nella sent.  n.  237/2013  del  Giudice
delle  leggi,  la  Corte   abbia   affermato   in   motivazione   che
nell'approvazione della delega in materia  di  geografia  giudiziaria
sarebbe stato rispettato  il  procedimento  costituzionale  ordinario
imposto per l'approvazione delle leggi-delega. 
    Ma, se cosi' fosse, il passaggio della motivazione della sent. n.
237/2013 conterrebbe un evidente errore. 
    La lettura del resoconto stenografico della seduta n. 600  del  7
settembre 2011 da conto dell'omissione che  si  censura  (v.  doc.  6
produzione difesa), senza ombra di dubbio. 
    La sentenza n. 237/2013 da conto della necessita'  del  passaggio
in commissione referente (e non potrebbe essere  diversamente  stante
il  testo  chiarissimo  dell'art.  72,  commi  1  e  4  Cost.  e  dei
regolamenti propri di ciascuna camera), affermando, in esordio  della
pag. 15 della motivazione (nel testo prodotto dalla difesa e allegato
alla sua memoria: doc. 3), la salvaguardia del requisito. 
    Va  subito  detto  che  stupisce  il  richiamo   ai   regolamenti
parlamentari, sia perche' non confliggono con il  disposto  dell'art.
72 Cost. sia perche' non provano la salvaguardia del requisito. 
    Tuttavia, l'esame della norma del regolamento del Senato (che nel
caso di specie e' il ramo del Parlamento che ci interessa) richiamata
dalla Corte costituzionale nella sent. n. 237/2013 per i  disegni  di
legge di delegazione legislativa e  per  quelli  di  conversione  dei
decreti-legge (art. 35)  semplicemente  esclude  l'assegnazione  alla
sede  redigente  alle  commissioni  permanenti:  rendendo  chiaro  il
divieto analogamente a cio'  che  accade  per  la  sede  deliberante,
ovvero imponendo come previsto dalla nostra Carta fondamentale l'iter
c.d. ordinario ossia quello implicante in passaggio in sede referente
(v. doc. 7 difesa). 
    La Corte costituzionale nel passaggio richiamato rammenta (non si
comprende bene a che titolo)  che  alla  stregua  di  quanto  innanzi
ricordato, anche il  regolamento  della  Camera  dei  deputati  (art.
96-bis)   analogamente   assegna   l'iniziativa   legislativa    alle
commissioni permanenti  competenti  in  sede  referente  (v.  doc.  8
difesa). 
    Ma in ogni caso, resta fermo che nella delega legislativa di  cui
si  tratta  l'assegnazione  alla  commissione  permanente   in   sede
referente e il conseguente esame del disegno di  legge  da  parte  di
questa sono del tutto mancati. 
    La Corte nelle ultime tre righe di pag. 14 e prime due  righe  di
pag. 15 della sent. n. 237/2013 (nel  testo  prodotto  dalla  difesa,
doc. 3) afferma «Nel caso in esame, pertanto  il  rispetto  da  parte
delle   Camere   della   procedura   desumibile   dalla    disciplina
regolamentare relativa  all'approvazione  dei  disegni  di  legge  di
conversione, conduce ad escludere che si sia configurata una  lesione
delle  norme  fissate   dall'art.   72   Cost.,   perche'   risultano
salvaguardati sia l'esame in sede  referente  sia  l'approvazione  in
aula,  come  richiesto  per  i  disegni  di  legge   di   delegazione
legislativa». 
    Ma - va  sottolineato  con  ulteriore  stupore  -  si  tratta  di
affermazione erronea. La Corte, infatti,  non  indica  il  passo  del
resoconto dei lavori parlamentari in cui si dia  atto  del  passaggio
nella commissione referente competente (commissione giustizia). E non
lo indica perche' non puo' indicarlo: semplicemente, il passaggio  in
commissione referente (giustizia) non c'e' mai stato. 
    L'ordinanza della Corte costituzionale n. 15 del 2014,  provocata
da successive ordinanze di rimessione (sempre in  tema  di  revisione
della geografia giudiziaria), tra i quali s'annovera il Tribunale  di
Bassano del  Grappa,  afferma  l'avvenuto  rispetto  della  procedura
ordinaria richiamando ad relationem la sent. n. 237  del  2013  senza
nulla aggiungere. 
    Insomma. Il gia' richiamato resoconto della seduta n. 600  del  7
settembre 2011 Senato della Repubblica (doc. 6  difesa),  mostra  (p.
2/19) come l'emendamento del Governo n. 1.900 interamente sostitutivo
dell'articolo  unico  del  disegno  di  legge  di   conversione   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 fosse stato appena depositato  e
- verificato (su sollecitazione di Morendo - PD)  il  deposito  della
relazione  tecnica  -  subito  dopo  trasmesso  alla  5ª  Commissione
permanente (bilancio)  per  la  verifica  dei  profili  di  copertura
finanziaria, con conseguente  sospensione  di  20  minuti  (!)  della
seduta. Dopo di che, ripresi i lavori  e  preso  atto  della  fiducia
posta,  il  Presidente  del  Senato  organizzava  i  lavori  per   la
discussione e le dichiarazioni di voto. 
    La Corte afferma che il passaggio  in  commissione  referente  e'
stato rispettato, ma, viceversa, il resoconto  dei  lavori  prova  il
contrario. 
    Dove e quando sarebbe stato salvaguardato l'esame in  commissione
referente? 
    Ricapitolando: nel caso dell'art. 1, comma 2 legge  n.  148/2011,
e' mancata del tutto la fase istruttoria prevista dalla  Costituzione
e riservata al Parlamento attraverso l'esame in sede  referente;  con
cio' attentando alle tutele imposte dalla nostra  Carta  fondamentale
nel momento in cui, attraverso la delega legislativa,  il  Parlamento
si  spoglia  della  sua  prerogativa  per  eccellenza   a   vantaggio
dell'esecutivo, sia pur dettando i principi che debbono informare  la
legge delegata, frutto dell'operare del Governo. 
    Tra l'altro, si tratta, all'evidenza, di un vizio procedurale che
si  riverbera  in  gravissimi   aspetti   sostanziali:   diversamente
opinando,   si   legittimerebbe   l'arbitrio   totale   del   Governo
nell'espletamento  della   funzione   legislativa   (ad   esso   solo
eccezionalmente riservata), il quale Governo si farebbe attribuire un
potere assoluto con legge delega frutto di un  emendamento  apportato
all'ultimo  momento  dallo  stesso  governo,  fatto   approvare   con
questione  di  fiducia  in  pochi  minuti  e  sottratto  a  qualsiasi
discussione  parlamentare  (che   dovrebbe   essere   necessariamente
anteriore al conferimento della delega). 
    Questo giudice non puo' prescindere  dai  dati  di  fatto  e  dai
documenti ufficiali  del  Parlamento.  Il  passaggio  in  commissione
referente del disegno di legge-delega in materia di  revisione  delle
circoscrizioni giudiziarie e' stato completamente omesso; sono  stati
palesemente violati i commi 1 e 4 dell'art. 72 Cost.;  cio'  comporta
la   illegittimita'    costituzionale    della    intera    normativa
successivamente approvata in maniera  costituzionalmente  patologica:
dell'art. 1, comma 2 della legge delegante (legge n. 148/2011) e,  in
via consequenziale, dell'intera legge delegata (d.lgs. n. 155/2012). 
    La non manifesta infondatezza di questo  profilo  e'  francamente
solare. 
B) Il decreto-legge n. 138 del 2011 e la legge di conversione n.  148
del 2011 art. 1, comma 2 (legge delega): violazione artt.  70,  76  e
77,   secondo   comma   Cost.   La   illegittimita'    costituzionale
consequenziale del d.lgs. n. 155/2012 (n particolare artt. 1, 2, 9  e
11). 
    Ritiene il giudicante  che  i  principi  costituzionali  relativi
all'esercizio   della   funzione   legislativa   parlamentare,   alla
eccezionale attribuzione della funzione legislativa al Governo  e  ai
presupposti degli atti aventi forza di legge del Governo,  evidenzino
che il decreto-legge n. 138 del 2011 e l'art. 1, comma 2 della  legge
di conversione n. 148 del 2011 si pongano in verosimile contrasto con
gli artt. 70, 76 e 77, secondo comma Cost. 
    Il giudice premette che tale questione viene proposta soprattutto
alla luce di quanto recentemente affermato dalla Corte costituzionale
nella gia' citata sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 successiva alla
sent. n. 237/2013. 
    Le  motivazioni  fondanti   la   declaratoria   di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 77, comma 2 Cost. paiono  qui
esportabili in toto al fine di evidenziare il fondatissimo dubbio  di
illegittimita' costituzionale della legge delega (n. 148/2011) che ha
attribuito il potere di  ridisegnare  la  geografia  giudiziaria  del
Paese. 
    Vanno  prima  sintetizzati  alcuni  principi   codificati   dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    Con  la  sentenza  n.  29  del  1995  e'  stata  riconosciuta  la
possibilita' per la Corte costituzionale di giudicare  sui  vizi  dei
presupposti  del  decreto-legge,  almeno  nei   casi   di   «evidente
mancanza»,  anche  dopo  l'intervento  della  legge  di  conversione.
Secondo tale orientamento, la legge di conversione non ha  «efficacia
sanante» e il difetto dei presupposti della straordinaria  necessita'
ed urgenza (vera e propria  carenza  di  potere)  concreta  un  vizio
formale del procedimento normativo, trasmissibile  dal  decreto-legge
alla legge di conversione. 
    Il predetto orientamento e' stato confermato in numerose sentenze
(v. Corte cost. numeri 341 del 2003; 6, 178, 196, 285, 299 del  2004;
2, 62 e 272 del 2005): si e' andato dunque  consolidando  l'indirizzo
favorevole alla possibilita' del sindacato della Corte costituzionale
nei casi di «evidente mancanza»  dei  presupposti  di  necessita'  ed
urgenza del decreto-legge, anche dopo  l'intervento  della  legge  di
conversione. 
    Sul punto e' poi intervenuta la sentenza n. 171/2007 ove la Corte
statuisce che «il difetto dei requisiti del  "caso  straordinario  di
necessita'   e   d'urgenza''   che   legittimano   l'emanazione   del
decreto-legge, una volta intervenuta la conversione, si traduce in un
vizio in procedendo della relativa legge. Il  suddetto  principio  e'
funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza  la  configurazione
del sistema costituzionale  nel  suo  complesso.  Infatti,  l'opposto
orientamento, secondo cui la legge di conversione sana in ogni caso i
vizi del decreto, comporta l'attribuzione in concreto al  legislatore
ordinario del potere di  alterare  il  riparto  costituzionale  delle
competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione  delle
fonti primarie. Inoltre, in  considerazione  del  fatto  che  in  una
Repubblica parlamentare,  quale  quella  italiana,  il  Governo  deve
godere della fiducia delle Camere e che il decreto-legge comporta una
sua particolare assunzione di responsabilita', si deve concludere che
le disposizioni della legge di  conversione  in  quanto  tali  -  nei
limiti, cioe', in cui non incidano in modo sostanziale sul  contenuto
normativo  delle  disposizioni  del  decreto  -  non  possono  essere
valutate,  sotto  il  profilo  della   legittimita'   costituzionale,
autonomamente da quelle  del  decreto  stesso.  Infatti,  l'immediata
efficacia del decreto-legge condiziona  l'attivita'  del  Parlamento,
che si trova a compiere  le  proprie  valutazioni  e  deliberare  con
riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui
di regola, quale titolare del potere esecutivo,  non  spetta  emanare
disposizioni aventi efficacia  di  legge».  Orientamento  confermato,
sempre dal Giudice delle leggi,  con  la  pronuncia  n.  128/2008  di
conforme contenuto, ed esteso con la sentenza n. 355/2010 anche  agli
emendamenti «aggiunti» in sede di conversione dal Parlamento. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  e'  quindi   assai   rigorosa
nell'accertare l'avvenuto  rispetto  dell'art.  77,  comma  2,  della
Costituzione con particolare riguardo ai presupposti che  nel  nostro
sistema costituzionale  legittimano  la  decretazione  d'urgenza  del
Governo. E' significativo che la legge n. 400 del 1988  all'art.  15,
comma  1,  richieda  all'esecutivo  di  indicare  nel  preambolo   le
«circostanze  straordinarie  di  necessita'   ed   urgenza   che   ne
giustificano l'adozione». 
    Orbene: la lettura della clausola che accompagna  l'adozione  del
decreto-legge n. 138 del 2011 (che testualmente recita: «ritenuta  la
straordinaria necessita' ed urgenza di emanare  disposizioni  per  la
stabilizzazione  finanziaria  e  per  il  contenimento  della   spesa
pubblica al fine di garantire la stabilita' del Paese con riferimento
all'eccezionale situazione di crisi internazionale e di  instabilita'
dei mercati e per rispettare gli impegni assunti in  sede  di  Unione
europea, nonche' di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo  e
la competitivita' del  Paese  e  il  sostegno  dell'occupazione»)  fa
emergere ictu oculi che non si e' dato per nulla conto dell'esistenza
dei presupposti di cui all'art. 77, comma 2 Cost.  rispetto  al  tema
della riforma della geografia giudiziaria, originariamente del  tutto
estraneo nella genesi del provvedimento di urgenza [e  che  e'  stato
introdotto solo successivamente all'approvazione parlamentare  di  un
emendamento  governativo  proposto  in  sede   di   conversione   del
decreto-legge n. 138 del 2011]. 
    E' pertanto,  evidente  il  mancato  rispetto  sostanziale  della
disciplina costituzionale della decretazione d'urgenza.  Infatti  non
e' sufficiente un'indicazione generica di un  qualsiasi  presupposto,
ma vi deve  essere  un  nesso,  un  collegamento  fra  presupposti  e
disciplina  del  decreto-legge.  Diversamente  opinando,  il  Governo
potrebbe giustificare il  ricorso  al  decreto-legge  su  presupposti
generici  e  quindi  non  idonei  a  giustificare   la   legittimita'
costituzionale della disciplina d'urgenza. E' di tutta  evidenza  che
nel momento dell'adozione  del  decreto-legge  n.  138  del  2011  il
preambolo implicitamente rinvia alle competenze  legislative  statali
indicate nell'art. 117 della Costituzione. Gli  ambiti  materiali  in
cui il decreto-legge opera sono coordinamento della finanza  pubblica
(art. 117, comma  3),  o  quelli  indicati  alla  lettere  a)  ed  e)
dell'art. 117, comma 2; non vi e' alcun cenno alla  materia  indicata
alla  lettera  l)  del  suddetto  comma   («giurisdizione   e   norme
processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa»). 
    In  altre  parole:  la  c.d.  «geografia   giudiziaria»   oggetto
dell'emendamento  aggiuntivo  non  e'  minimamente  connessa  con   i
presupposti di necessita' ed urgenza del  decreto-legge  n.  138  del
2011,  salvo  a  voler  ammettere  che   quei   presupposti   possano
legittimare l'approvazione in sede di conversione  di  una  qualsiasi
disposizione solo perche' esiste  una  grave  crisi  finanziaria  che
affligge  il  nostro  Paese.  Con  riferimento,  infatti,  ad   altro
decreto-legge, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che
«il principio salus rei pubblicae suprema lex esto  non  puo'  essere
invocato  al  fine  di  sospendere  le  garanzie  costituzionali   di
autonomia degli enti territoriali stabilite  dalla  Costituzione.  Lo
Stato,   pertanto,   deve    affrontare    l'emergenza    finanziaria
predisponendo   rimedi   che   siano   consentiti    dall'ordinamento
costituzionale» (Corte costituzionale sentenza n. 151 del 2012). 
    In ogni caso la  disciplina  della  «geografia  giudiziaria»  non
riguarda una manovra che si prefigge la  stabilizzazione  finanziaria
ed il contenimento della  spesa  pubblica,  che  paradossalmente  non
ottiene  alcun  risparmio  dalla  paventata  soppressione   di   sedi
giudiziarie e che, al contrario assume nuovi costi  per  traslochi  e
nuova edilizia giudiziaria, oltre ad incrementare disagi e costi  per
i cittadini (non a caso l'allora Ministro della giustizia prof.  avv.
Paola Severino in  piu'  occasioni  ha  ribadito  che  falsamente  si
ascrive il tema della revisione delle  circoscrizioni  alla  spending
review,  perche'  in  realta'  si  tratta  soprattutto  di   guadagno
d'efficienza, a cui si accompagnera' un risparmio). Ne  consegue  che
l'omessa  indicazione  dei  presupposti  di  necessita'  ed   urgenza
determina un  vizio  in  procedendo  della  legge  di  conversione  e
conferma l'assunto dell'illegittimita' delle disposizioni aggiunte in
sede di conversione che sono estranee alla struttura  originaria  del
decreto-legge ed approvate in  dispregio  di  quanto  disposto  dagli
articoli 70, 72 e 77 della Costituzione. 
    Appare,  cosi',   palese,   il   vulnus   inflitto   alla   norma
procedimentale prevista dalla Costituzione che limita l'adozione  del
decreto-legge ai soli casi di straordinaria necessita' ed urgenza (si
badi la delega concerne una riforma di sistema tanto  da  indurre  il
Governo a definirla «riforma strutturale» e a prevedere un  tempo  di
un anno  per  l'emanazione  del  decreto  legislativo  -  tempo  che,
ovviamente, e' stato completamente utilizzato  dall'Esecutivo  e  che
peraltro  pare   difficilmente   compatibile   con   la   natura   di
provvedimento emergenziale straordinario e  urgente)  e  sancisce  la
perdita  di  efficacia  dello  stesso  decreto  in  caso  di  mancata
conversione  parlamentare  entro  i   60   giorni   successivi   alla
pubblicazione. 
    Dire poi che sia straordinaria  e  urgente  una  riforma  che  ha
acquistato efficacia due anni dopo appare clamorosa contraddizione in
termini. 
    Ma vi e' di piu'. 
    La legge-delega al riordino della geografia giudiziaria e'  stata
introdotta  ex  novo  con  un  emendamento  in  sede  di  conversione
dell'originario  decreto-legge,  e  appare  ictu  oculi   del   tutto
eterogenea rispetto al corpo del decreto-legge  convertito,  tale  da
potersi definire una «norma intrusa», ovvero che introduce una  nuova
disciplina (e, propriamente, una delega al Governo a  legiferare  con
successivi decreti legislativi in materia di  riorganizzazione  della
distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio),  evidentemente
estranea all'insieme delle altre disposizioni del  decreto-legge  che
il primo comma dell'art. 1, legge n. 148/2011 provvede a convertire. 
    Sul  punto  specifico  si  e'  recentemente  espressa  la   Corte
costituzionale con la sentenza n. 22 del 16 febbraio 2012. Il giudice
delle leggi ha testualmente affermato: «La semplice immissione di una
disposizione nel corpo di un d.-l. oggettivamente o  teleologicamente
unitario non vale a  trasmettere,  per  cio'  solo,  alla  stessa  il
carattere di urgenza proprio delle  altre  disposizioni,  legate  tra
loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'. Ai sensi del II comma
dell'art. 77 Cost., i presupposti per l'esercizio senza delega  della
potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il  d.-l.  nella
sua interezza, inteso come insieme di disposizioni  omogenee  per  la
materia o per lo scopo. L'inserimento di norme eterogenee all'oggetto
o alla finalita' del decreto, spezza il legame  logico-giuridico  tra
la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza  del  provvedere  ed  i
«provvedimenti provvisori con forza di  legge»,  di  cui  alla  norma
costituzionale citata. Il presupposto  del  «caso»  straordinario  di
necessita' e urgenza inerisce  sempre  e  soltanto  al  provvedimento
inteso come un tutto unitario, atto normativa fornito  di  intrinseca
coerenza, anche se articolato e  differenziato  al  suo  interno.  La
scomposizione atomistica della  condizione  di  validita'  prescritta
dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame  tra
il provvedimento legislativo urgente ed il  «caso»  che  lo  ha  reso
necessario, trasformando il d.-l. in una congerie di norme assemblate
soltanto da mera casualita' temporale ... I cosiddetti decreti «mille
proroghe», che vengono convertiti  in  legge  dalle  Camere,  sebbene
attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono  obbedire
alla ratio unitaria di intervenire  con  urgenza  sulla  scadenza  di
termini  il  cui  decorso  sarebbe  dannoso  per  interessi  ritenuti
rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere  su  situazioni
esistenti -  pur  attinenti  ad  oggetti  e  materie  diversi  -  che
richiedono interventi  regolatori  di  natura  temporale.  Del  tutto
estranea a tali interventi e' la disciplina «a regime» di  materie  o
settori di materie, rispetto alle quali non puo' valere  il  medesimo
presupposto della necessita' temporale e che  possono  quindi  essere
oggetto del normale esercizio del potere di  iniziativa  legislativa,
di cui all'art. 71  Cost.  Ove  le  discipline  estranee  alla  ratio
unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico  del
Governo, profili autonomi di necessita'  e  urgenza,  le  stesse  ben
potrebbero essere contenute in  atti  normativi  urgenti  del  potere
esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'art.
77 Cost. la commistione  e  la  sovrapposizione,  nello  stesso  atto
normativo,  di  oggetti  e  finalita'  eterogenei,  in   ragione   di
presupposti, a loro volta, eterogenei. La necessaria omogeneita'  del
d.-l.,  la  cui   interna   coerenza   va   valutata   in   relazione
all'apprezzamento politico operato  dal  Governo  e  controllato  dal
Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita'  e  urgenza,
deve essere osservata dalla legge  di  conversione  di  un  d.-l.  e'
pienamente recepito dall'art. 96-bis, comma 7 del  regolamento  della
Camera  dei  Deputati,   che   dispone:   «Il   Presidente   dichiara
inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano
strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Pertanto,  e'
costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 2-quater, del d.-l. 29
dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini  previsti  da  disposizioni
legislative e di  interventi  urgenti  in  materia  tributaria  e  di
sostegno alle imprese e alle  famiglie),  convertito  in  legge,  con
modifiche, dall'art. 1, comma 1 della legge 26 febbraio 2011, n.  10,
nella parte in cui introduce i commi 5-quater  e  5-quinquies,  primo
periodo,  nell'art.  5  della  legge  24  febbraio   1992,   n.   225
(Istituzione del Servizio  nazionale  della  protezione  civile),  in
quanto le norme impugnate, inserite nel  corso  del  procedimento  di
conversione del d.-l. n.  225/2010,  sono  del  tutto  estranee  alla
materia e alle finalita' del medesimo». 
    In  definitiva  i  giudici  costituzionali   escludono   che   il
Parlamento  possa   utilizzare   un   procedimento   legislativo   di
conversione in legge  di  un  decreto-legge  per  inserire  contenuti
normativi non aventi gli stessi presupposti di necessita' ed  urgenza
dell'originario provvedimento. 
    Dell'illegittimita' del procedimento de quo si  sono  resi  conto
anche i tecnici della stessa Assemblea legislativa al punto che,  nel
dossier della Camera  dei  Deputati  n.  317  dell'8  settembre  2011
(Elementi  per  la  valutazione   degli   aspetti   di   legittimita'
costituzionale),  e'  stato  precisato  come  il  Comitato   per   la
legislazione abbia costantemente ritenuto che  «l'inserimento  in  un
disegno  di  legge  di  conversione  di  disposizioni  di   carattere
sostanziale, soprattutto  se  recanti  disposizioni  di  delega,  non
appare  corrispondente  ad  un  corretto  utilizzo  dello   specifico
strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge»; e, nel
Parere reso dallo stesso Comitato per la  legislazione  nella  seduta
dell'8 settembre 2011, proprio con riferimento al testo  della  legge
n. 148/2011, era stata avanzata la condizione che «siano soppresse le
disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 - volte a conferire una  delega
al Governo in materia di  riorganizzazione  della  distribuzione  sul
territorio  degli  uffici  giudiziari  -   in   quanto   non   appare
corrispondente ad un  corretto  utilizzo  dello  specifico  strumento
normativo rappresentato dal disegno di legge  di  conversione  di  un
decreto-legge, l'inserimento al suo interno di  una  disposizione  di
carattere sostanziale, in  particolare  se  recante  disposizioni  di
delega, integrandosi in tal caso, come  precisato  in  premessa,  una
violazione del limite di contenuto posto dal  gia'  citato  art.  15,
comma 2, lettera a) della legge n. 400 del 1988». 
    In conclusione, nella fattispecie appare evidente come sia  stato
compiuto un vero  e  proprio  «stravolgimento»  dei  procedimenti  di
produzione  di  atti  aventi   forza   di   legge,   indicati   nella
Costituzione, che qui sono «invertiti» e «piegati»  per  giustificare
esigenze certamente diverse da quelle di straordinaria necessita'  ed
urgenza che invece  sono  le  sole  che  legittimano  il  ricorso  al
decreto-legge. 
    Appare cosi' palese la violazione, da parte del decreto-legge  n.
138/2011 e della legge di conversione n. 148/2011, degli artt. 70, 76
e 77 Cost. attraverso  l'utilizzo  di  un  procedimento  parlamentare
particolare  (la  conversione  in  legge   del   decreto-legge)   per
raggiungere finalita' prive di qualsiasi riferimento all'urgenza  del
provvedere che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il  procedimento
legislativo ordinario ponderato, visto anche il carattere di  riforma
di  sistema  che  connota  il  provvedimento  de  quo,  inerente   la
riorganizzazione degli uffici giudiziari del Paese. 
    Tra l'altro, l'illegittimita' della procedura adottata  nel  caso
di  specie  e'  stata  piu'  volte  censurata  dai  Presidenti  della
Repubblica. Ultima in  ordine  cronologico  la  lettera  inviata  nel
febbraio 2011 dal Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere  e
al  Presidente  del  Consiglio,  nella  quale   il   «Garante   della
Costituzione» ha assunto una posizione netta circa l'approvazione  di
leggi di conversione che riscrivono i decreti-legge: «molte di queste
disposizioni  aggiunte  in  sede   di   conversione   sono   estranee
all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee  e
di  assai  dubbia  coerenza  con  i  principi  e   le   norme   della
Costituzione. E' appena il caso  di  ricordare  che  questo  modo  di
procedere, come ho avuto modo in diverse occasioni  di  far  presente
fin dall'inizio del  settennato  ai  Presidenti  delle  Camere  e  ai
Governi che si  sono  succeduti  a  partire  dal  2006,  si  pone  in
contrasto con i principi sanciti dall'art. 77  della  Costituzione  e
dall'art. 15, comma 3 della legge di attuazione costituzionale n. 400
del 1988 recepiti dalle stesse norme  dei  regolamenti  parlamentari.
L'inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente  attinenti
ai loro  contenuti,  eterogenee  e  spesso  prive  dei  requisiti  di
straordinarieta' necessita' e urgenza,  elude  il  vaglio  preventivo
spettante al Presidente della Repubblica in sede  di  emanazione  dei
decreti-legge. Inoltre l'eterogeneita' e l'ampiezza delle materie non
consentono a tutte le  commissioni  competenti  di  svolgere  l'esame
referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 della costituzione e
costringono la discussione da parte di entrambe le camere nel termine
tassativo di 60 giorni. Si aggiunga che  il  frequente  ricorso  alla
posizione della questione di fiducia realizza una  ulteriore  pesante
compressione del ruolo del Parlamento». 
    Da ultimo, il  divieto  di  emendamenti  eterogenei  rispetto  al
contenuto proprio ed originario di un decreto-legge (e  il  carattere
supremo di tale principio) sono stati ribaditi dalla sent. n. 32/2014
della Corte costituzionale: «Ben si comprende come  il  rispetto  del
requisito della omogeneita' e  della  interrelazione  funzionale  tra
disposizione del decreto-legge e quello della legge di conversione ex
art. 77, secondo comma  Cost.  sia  di  fondamentale  importanza  per
mantenere entro la cornice costituzionale  i  rapporti  istituzionali
tra  Governo,  Parlamento,  e  Presidente  della   Repubblica   nello
svolgimento della funzione legislativa». 
    La legge-delega non  poteva  pertanto  essere  approvata  con  un
emendamento non connotato dai requisiti di straordinarieta' e urgenza
e in ogni  caso  del  tutto  eterogeneo  rispetto  al  contenuto  del
decreto-legge. 
    Alla luce di quanto  sopra  esposto,  appare  evidente  a  questo
giudice  il   contrasto   della   legge   delega   n.   148/2011   e,
conseguentemente,  del  decreto  legislativo  n.  155/2012   con   le
richiamate norme della Carta Costituzionale, che prevedono  i  limiti
della eccezionale potesta' legislativa del governo rispetto a  quella
ordinaria del Parlamento (artt. 70, 76 e 77). 
4) Rilevanza delle questioni. 
    Le questioni sollevate appaiono rilevanti nel giudizio a quo, dal
momento che le stesse investono  la  normativa  dalla  quale  dipende
l'individuazione del giudice (Tribunale di Torino ovvero Tribunale di
Pinerolo) avanti al quale deve essere celebrato  il  processo  penale
nei confronti dell'imputato. 
    In particolare lo scrivente - come risulta anche dal «decreto  di
prosecuzione  dell'udienza  presso  il  Tribunale  di   Torino»   del
Presidente di Sezione del Tribunale di Torino  in  data  18  dicembre
2013 - deve fare applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n.  155/2012  in
combinato disposto con l'art. 1 in  relazione  alla  tabella  A)  per
celebrare avanti al Tribunale di Torino  un  processo  per  fatto  di
reato gia' di competenza territoriale del  (soppresso)  Tribunale  di
Pinerolo; secondo l'art. 9, infatti,  le  udienze  successive  al  13
settembre 2013 devono tenersi avanti  al  nuovo  giudice  competente,
nello specifico, il Tribunale di Torino, risultando il  Tribunale  di
Pinerolo, a tale data, soppresso in  base  all'art.  1;  se,  invece,
qualora le disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012  e  della
legge delega n. 148/2011 (sulla base della quale e' stato adottato il
decreto legislativo n. 155/2012) non  fossero  riconosciute  conformi
alla  Costituzione,  l'udienza  dovrebbe  essere   celebrata   avanti
all'illegittimamente  soppresso  (per  effetto   delle   disposizioni
impugnate) Tribunale di Pinerolo. 
    Le questioni di costituzionalita' sollevate, pertanto, si pongono
in  rapporto  di  pregiudizialita'  rispetto  all'individuazione  del
giudice chiamato a definire l'attuale processo penale  e  davanti  al
quale il processo deve essere celebrato e proseguito. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale del d.-l.  n.  138/2011  e  dell'art.  1,
comma  2  della  legge  n.  148/2011  recanti  la  conversione,   con
modifiche, del decreto-legge  n.  138/2011,  nonche'  del  d.lgs.  n.
155/2012 (in specie artt. 1, 2, 9 e 11), per contrasto con gli  artt.
70, 72, comma 1 e 4, 76 e 77 della Costituzione, nei termini  di  cui
in motivazione; 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Ordina la trasmissione della presente ordinanza e degli atti  del
processo alla Corte costituzionale; 
    Manda alla Cancelleria per la notifica della  presente  ordinanza
alle parti e alla Presidenza del Consiglio  dei  ministri  e  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
 
      Torino, 24 marzo 2014 
 
                    Il giudice: Alberto Giannone