N. 112 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2014
Ordinanza del 24 marzo 2014 emessa dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di M. G.. Ordinamento giudiziario - Delega legislativa per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza - Conferimento al Governo mediante disposizione inserita nella legge di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011 - Denunciata insussistenza di presupposti di necessita' e urgenza riferibili al riordino della "geografia giudiziaria" - Eterogeneita' della delega rispetto all'oggetto e alle finalita' del predetto decreto-legge - Inosservanza della procedura normale di esame in Commissione referente e successiva approvazione in Aula, prevista per i disegni di legge di delegazione legislativa - Violazione dell'iter ordinario di formazione legislativa - Illegittimita' derivata del decreto legislativo n. 155 del 2012. - Legge 14 settembre 2011, n. 148 (che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138), art. 1, comma 2; decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, in particolare, artt. 1, 2, 9 e 11; decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148). - Costituzione, artt. 70, 72, commi primo e quarto, 76 e 77.(GU n.28 del 2-7-2014 )
TRIBUNALE DI TORINO in composizione monocratica III sezione penale Il Tribunale di Pinerolo in composizione monocratica nella persona del giudice del dibattimento Alberto Giannone, letti gli atti del processo nei confronti di M. G., nato a Pinerolo (Torino), libero contumace, difensore di fiducia: avv. Monica Bernardoni, del Foro di Pinerolo, con ivi studio in via Des Geneys n. 10, imputato del reato di cui all'art. 612 cpv. c.p., perche', estraendo un coltello dalla tasca con una lama, fissava A. V. e diceva testualmente alla stessa «Prima o poi te la faccio pagare». Con l'aggravante di aver commesso il fatto a mezzo di un'arma impropria alla pubblica udienza del 24 marzo 2014, ore 11, pronuncia (dandone lettura alle parti presenti ai sensi dell'art. 23 ult. comma legge n. 87/1953) la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). 1. Fatto e svolgimento del processo. L'imputato veniva tratto a giudizio a seguito di esercizio dell'azione penale da parte del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pinerolo (a seguito di c.d. «imputazione coatta» del g.i.p. del Tribunale di Pinerolo), mediante citazione diretta a giudizio depositata dal p.m. in data 26 febbraio 2013. Il giudice monocratico del dibattimento di Pinerolo (dott. Del Colle) fissava l'udienza di prima comparizione al 13 gennaio 2014, ore 14,30, avanti al Tribunale di Torino - Palazzo di giustizia di Pinerolo, via Convento di San Francesco (sede provvisoria, stante l'attivazione della procedura di utilizzo dei locali ex art. 8 d.lgs. n. 155/2012, poi definita con l'ottenimento dell'autorizzazione richiesta con d.m. Ministro della giustizia 8 agosto 2013). Il P.M., pertanto, disponeva la citazione dell'imputato per la data del 13 gennaio 2014, ore 14,30 con provvedimento del 15 maggio 2013. Il tutto veniva regolarmente notificato il 20 maggio 2013 dalla Procura della Repubblica di Pinerolo. Successivamente, stante i decreti del Presidente del Tribunale di Torino con i quali si imprimeva un'accelerazione all'accorpamento del Tribunale di Pinerolo a quello di Torino (nonostante il contenuto del d.m. Ministro della giustizia 8 agosto 2013 avesse previsto un utilizzo dei locali dell'ufficio accorpato, per svolgimento di processi penali, per ulteriori dieci mesi), veniva ordinato e fatto eseguire dall'ufficio accorpante il trasferimento totale del personale amministrativo e dei magistrati entro il 31 dicembre 2013, sicche' le udienze da celebrarsi da gennaio in poi avanti al Tribunale di Torino - Ufficio provvisorio del gia' soppresso Tribunale di Pinerolo dovevano essere rinviate e rifissate (in spregio tra l'altro a qualunque esigenza di economia processuale - e anzi con aggravio delle spese di «rinotifica» - e non considerando il decorrere dei termini di prescrizione). L'udienza relativa al presente processo veniva quindi rifissata, ai sensi dell'art. 9 d.lgs. n. 155/2012, con provvedimento del Presidente della III sezione penale del Tribunale di Torino del 18 dicembre 2013, notificato alle parti il 28 dicembre 2013. Con tale provvedimento (intitolato «Decreto di prosecuzione dell'udienza»), l'udienza dibattimentale veniva fissata pertanto avanti al Tribunale ordinario di Torino per il 5 marzo 2014, ore 9 presso l'aula 43, e assegnata allo scrivente giudice del dibattimento Alberto Giannone (stante anche l'intervenuto trasferimento del giudice originariamente assegnatario - dott. Del Colle - all'ufficio g.i.p.). All'udienza del 5 marzo 2014, il difensore dell'imputato chiedeva al giudice scrivente di sollevare questione di legittimita' costituzionale della legge-delega n. 148/2011 e del d.lgs. n. 155/2012, come da memoria scritta che il difensore contestualmente depositava. In estrema sintesi, il difensore si duole del fatto che il processo - per fatto di reato gia' ricadente nella competenza territoriale del Tribunale di Pinerolo - venga illegittimamente celebrato avanti al Tribunale di Torino. La soppressione del Tribunale di Pinerolo, la nuova competenza territoriale del Tribunale di Torino e lo spostamento del presente procedimento avanti al Tribunale di Torino derivano dall'applicazione del d.lgs. n. 155/2012, in particolare degli artt. 2, 9 e 11, normativa a sua volta discendente dalla legge-delega n. 148/2011 che ne costituisce atto presupposto: normativa, quella della legge-delega e (per conseguenza) quella del decreto legislativo delegato che (secondo il difensore dell'imputato) sarebbero in contrasto con la Costituzione [e cio' alla luce anche di recenti pronunce della Corte costituzionale, ossia la sent. n. 237 del 2013, l'ordinanza n. 15 del 2014 (che alla prima si richiama) e la sent. n. 32 del 2014]. Stante la complessita' della questione (sulla quale il p.m. di udienza si «rimetteva») - complessita' resa evidente dal deposito di una corposa memoria scritta e dalla necessita' di studiare gli specifici «precedenti» della Consulta - il giudice si riservava di decidere e rinviava il processo all'odierna udienza del 24 marzo 2014, ove pronuncia la seguente ordinanza accogliendo parzialmente la eccezione proposta. 2. Le disposizioni impugnate. Il giudice scrivente, in parziale accoglimento delle eccezioni proposte ma in ogni caso anche d'ufficio (stante la manifesta fondatezza ictu oculi, per come si dira'), ritiene che siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni della legge-delega n. 148/2011 e del decreto legislativo n. 155/2012 che hanno comportato la soppressione - dal 13 settembre 2013 - degli uffici giudiziari (Tribunale e Procura) di Pinerolo, e il loro accorpamento agli omologhi uffici giudiziari di Torino (e che impongono altresi' la celebrazione dei processi, dopo il 13 settembre 2013, avanti al Tribunale di Torino). In particolare, ad avviso dello scrivente, emerge una illegittimita' costituzionale «diretta» dell'art. 1, comma 2 della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione, con modificazioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, per essere stata emanata la legge-delega in violazione degli artt. 70, 72, 76 e 77 della Costituzione; ed una illegittimita' costituzionale derivata dell'intero d.lgs. n. 155/2012, per violazione delle medesime disposizioni costituzionali; illegittimita' che riguarda specificamente gli artt. 1, 2, 9 e 11 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, relativamente all'inclusione del Tribunale di Pinerolo e della Procura della Repubblica di Pinerolo nell'elenco di cui alla tabella A) allegata, con conseguente soppressione di tali uffici e loro accorpamento al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino a far data dal 13 settembre 2013, e relativamente all'obbligo di fissare e celebrare le udienze successive al 13 settembre 2013 avanti al Tribunale di Torino. 3. La non manifesta infondatezza delle questioni. II decreto-legge n. 138 del 2011, la legge di conversione n. 148 del 2011 e il decreto legislativo n. 155 del 2012. Con legge 14 settembre 2011, n. 148 (in Gazzetta Ufficiale, 16 settembre 2011, n. 216), e' stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo ed e' stata conferita la «delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari». In particolare, l'art. 1 della citata legge ha previsto: 1) al primo comma, la conversione in legge del d.-l. n. 138/2011; 2) al secondo comma, che «il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalita' di cui all'art. 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l'osservanza di taluni "principi e criteri direttivi''», che sono dettagliatamente indicati nelle lettere da a) a q) del medesimo comma secondo della legge n. 148/2011. I commi successivi prevedono che: 3) la riforma realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti; 4) gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma 2 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio Superiore della Magistratura e al Parlamento ai fini dell'espressione dei pareri da parte del Consiglio e delle Commissioni competenti per materia. I pareri, non vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 2, o successivamente, la scadenza di quest'ultimo e' prorogata di sessanta giorni; 5) il Governo, con la procedura indicata nel comma 4, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 2 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, puo' adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi. Il comma 6 dispone, infine, che la legge di conversione entri in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Successivamente, in attuazione della delega, e nel termine fissato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 148 del 2011, sono stati emanati il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (in suppl. ordinario n. 185 alla Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2012, n. 213), recante la «nuova organizzazione dei Tribunali ordinari e degli uffici del Pubblico Ministero, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» e decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (in suppl. ordinario n. 185 alla Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2012, n. 213), recante la «revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148». A) La legge di conversione n. 148 del 2011 e in particolare l'art. 1, comma 2 «legge-delega»: violazione artt. 70 e 72, primo comma e quarto comma Cost. La consegue illegittimita' della legge delegata ossia del d.lgs. n. 155/2012 (ed in particolare gli artt. 1, 2, 9, 11). L'art. 72, comma 4 della Costituzione dispone testualmente: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta della Camera e' sempre adottata per i disegni di legge (...) di delegazione legislativa». La disposizione postula quella dell'art. 72, comma 1 Cost. che prevede: «Ogni disegno di legge (...) e' esaminato da una commissione e poi dalla Camera che lo approva articolo per articolo e con votazione finale». In altre parole - questo giudice e' costretto a richiamare principi scontati - le norme della Costituzione impongono, per le leggi di legazione legislativa, l'obbligo di rispetto del procedimento ordinario di formazione della legge, con esame in commissione (c.d. sede «referente») e approvazione in aula «articolo per articolo e con votazione finale» (in generale v. R. Dickmann, Il Parlamento italiano, Napoli, Jovene, 2011, 129). Sul punto appare di pregnante rilievo la Circolare del Presidente del Senato in data 10 gennaio 1997, ove in tema di istruttoria legislativa nelle commissioni ha affermato che «l'art. 72 della Costituzione prevede che ogni disegno di legge sia esaminato da una Commissione prima di esser sottoposto al vaglio dell'Assemblea. La procedura in sede referente insieme con l'attivita' consultiva ad essa collegata costituisce percio' la fase istruttoria obbligatoria del procedimento legislativo. I principi che regolano tale fase sono differenziati da quelli propri delle procedure deliberanti, le quali sono dirette alla definitiva approvazione del testo legislativo. La fase istruttoria e', invece, finalizzata alla acquisizione degli elementi utili alla decisione e alla conseguente elaborazione del testo per consentire la deliberazione dell'Assemblea. In vista dell'adempimento di tale compito, l'esame in sede referente e' caratterizzato dalla flessibilita' e dalla informalita' della procedura in contrapposizione con la rigidita' propria delle fasi deliberanti». Sul punto autorevole dottrina ha insegnato che «rimane fermo, comunque, che sarebbe violata una norma costituzionale sul procedimento legislativo se venisse omessa l'attivita' preparatoria sul procedimento legislativo» (cosi' L. Elia, Commissioni parlamentari, in Enc. Del dir. VII, Milano Giuffre', 1960 pag. 899). Allo scrivente, pare evidente che l'art. 1, comma 2 della legge n. 148/2011, laddove e' stata conferita la delega al Governo per la riforma della «geografia giudiziaria», ha clamorosamente disatteso tali obblighi costituzionali. Infatti, la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e' stata approvata in prima lettura al Senato della Repubblica il 7 settembre 2011, durante l'iter del procedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 138/2011; il procedimento legislativo si e' poi concluso con la successiva deliberazione della Camera dei Deputati ed entrambi i passaggi parlamentari sono stati caratterizzati dal fatto che il Governo ha posto la questione di fiducia. In particolare, al Senato, il Governo ha presentato l'emendamento 1.900 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 2887 ponendovi la questione di fiducia; nel detto emendamento e' stato stravolto il testo del decreto-legge originario, e' stato modificato il titolo dell'originario disegno di legge e - per quel che qui soprattutto rileva - e' stata introdotta la delega al Governo in tema di geografia giudiziaria. Orbene, una semplice lettura del resoconto stenografico della seduta d'aula del Senato del 7 settembre 2011 consente di censurare come non conforme al disposto dell'art. 72, primo e quarto comma Cost. l'iter legislativo seguito dalla Camera de qua (v. doc. 6 produzione difesa). In particolare, dal resoconto della seduta della commissione Bilancio del 7 settembre 2011, emerge inconfutabilmente come l'emendamento in questione sia stato presentato in Aula per la discussione senza previo passaggio nella competente Commissione referente (Giustizia), ivi sia stato votato unitamente alla fiducia e sia stato successivamente trasmesso alla sola Commissione Bilancio per il parere circa i profili di copertura finanziaria. Si legge infatti nel predetto resoconto come il Presidente della Commissione abbia informato che «durante la discussione in Assemblea del disegno di legge n. 2887, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il Governo ha presentato l'emendamento n. 1.900 sul quale ha posto la questione di fiducia. L'emendamento stesso e' stato trasmesso dal Presidente del Senato affinche', in relazione all'art. 81 della Costituzione e nel rispetto delle prerogative costituzionali del Governo la commissione bilancio possa informare l'assemblea circa i profili di copertura finanziaria». Il procedimento cosi' adottato - senza esame dell'emendamento introduttivo della legge-delega in Commissione Giustizia - viola dunque le previsioni dell'art. 72, primo comma Cost. in tema di legge ordinaria e si risolve altresi' in una violazione dell'art. 72, quarto comma Cost., che impone, come si detto, l'iter ordinario per i disegni di legge contenenti deleghe al Governo. Una diversa conclusione finirebbe svuotare di contenuto lo stesso art. 72, quarto comma Cost. consentendo di aggirare ad libitum la riserva di legge formale e di fatto consentendo un'indebita sovrapposizione tra delegante e delegato (in dottrina v. A. Manzella, Il Parlamento, Bologna, il Mulino, 2003, 353, G. Piccirilli, L'emendamento nel processo di decisione parlamentare, Padova, Cedam 2008, 292). Orbene, non si ignora come tale questione (unitamente a molte altre: in primis il mancato decongestionamento del Tribunale di Torino, in violazione di criterio «prioritario» di legge delega; con la conseguenza che il Tribunale di Torino e' stato addirittura ingolfato di affari, con aumento di inefficienza) sia stata gia' posta all'attenzione della Corte costituzionale, che, apparentemente superandola, l'ha dichiarata non fondata con sentenza n. 237 del 2013. Va peraltro osservato che, dopo quella pronuncia, ne e' intervenuta un'altra (sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale) che dovrebbe imporre una riconsiderazione di tale censura (invece non accolta dalla sent. n. 237/2013). In tale recentissima ultima pronuncia, infatti, la stessa Corte costituzionale ha infatti censurato (non smentita da altre pronunce) anche proprio la medesima fattispecie procedimentale ora considerata, e cioe' quella relativa alla presentazione in aula di un maxiemendamento al disegno di legge di conversione di decreto-legge che non consenta alle commissioni di svolgere in Senato l'esame referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 Cost.: testualmente «la presentazione in aula da parte del Governo di un maxi-emendamento al disegno di legge di conversione non ha consentito alle commissioni di svolgere in Senato l'esame referente richiesto dall'art. 72 Cost.» (cfr. doc. 5 produzioni difesa). Sembrerebbe di capire che nella sent. n. 237/2013 del Giudice delle leggi, la Corte abbia affermato in motivazione che nell'approvazione della delega in materia di geografia giudiziaria sarebbe stato rispettato il procedimento costituzionale ordinario imposto per l'approvazione delle leggi-delega. Ma, se cosi' fosse, il passaggio della motivazione della sent. n. 237/2013 conterrebbe un evidente errore. La lettura del resoconto stenografico della seduta n. 600 del 7 settembre 2011 da conto dell'omissione che si censura (v. doc. 6 produzione difesa), senza ombra di dubbio. La sentenza n. 237/2013 da conto della necessita' del passaggio in commissione referente (e non potrebbe essere diversamente stante il testo chiarissimo dell'art. 72, commi 1 e 4 Cost. e dei regolamenti propri di ciascuna camera), affermando, in esordio della pag. 15 della motivazione (nel testo prodotto dalla difesa e allegato alla sua memoria: doc. 3), la salvaguardia del requisito. Va subito detto che stupisce il richiamo ai regolamenti parlamentari, sia perche' non confliggono con il disposto dell'art. 72 Cost. sia perche' non provano la salvaguardia del requisito. Tuttavia, l'esame della norma del regolamento del Senato (che nel caso di specie e' il ramo del Parlamento che ci interessa) richiamata dalla Corte costituzionale nella sent. n. 237/2013 per i disegni di legge di delegazione legislativa e per quelli di conversione dei decreti-legge (art. 35) semplicemente esclude l'assegnazione alla sede redigente alle commissioni permanenti: rendendo chiaro il divieto analogamente a cio' che accade per la sede deliberante, ovvero imponendo come previsto dalla nostra Carta fondamentale l'iter c.d. ordinario ossia quello implicante in passaggio in sede referente (v. doc. 7 difesa). La Corte costituzionale nel passaggio richiamato rammenta (non si comprende bene a che titolo) che alla stregua di quanto innanzi ricordato, anche il regolamento della Camera dei deputati (art. 96-bis) analogamente assegna l'iniziativa legislativa alle commissioni permanenti competenti in sede referente (v. doc. 8 difesa). Ma in ogni caso, resta fermo che nella delega legislativa di cui si tratta l'assegnazione alla commissione permanente in sede referente e il conseguente esame del disegno di legge da parte di questa sono del tutto mancati. La Corte nelle ultime tre righe di pag. 14 e prime due righe di pag. 15 della sent. n. 237/2013 (nel testo prodotto dalla difesa, doc. 3) afferma «Nel caso in esame, pertanto il rispetto da parte delle Camere della procedura desumibile dalla disciplina regolamentare relativa all'approvazione dei disegni di legge di conversione, conduce ad escludere che si sia configurata una lesione delle norme fissate dall'art. 72 Cost., perche' risultano salvaguardati sia l'esame in sede referente sia l'approvazione in aula, come richiesto per i disegni di legge di delegazione legislativa». Ma - va sottolineato con ulteriore stupore - si tratta di affermazione erronea. La Corte, infatti, non indica il passo del resoconto dei lavori parlamentari in cui si dia atto del passaggio nella commissione referente competente (commissione giustizia). E non lo indica perche' non puo' indicarlo: semplicemente, il passaggio in commissione referente (giustizia) non c'e' mai stato. L'ordinanza della Corte costituzionale n. 15 del 2014, provocata da successive ordinanze di rimessione (sempre in tema di revisione della geografia giudiziaria), tra i quali s'annovera il Tribunale di Bassano del Grappa, afferma l'avvenuto rispetto della procedura ordinaria richiamando ad relationem la sent. n. 237 del 2013 senza nulla aggiungere. Insomma. Il gia' richiamato resoconto della seduta n. 600 del 7 settembre 2011 Senato della Repubblica (doc. 6 difesa), mostra (p. 2/19) come l'emendamento del Governo n. 1.900 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 fosse stato appena depositato e - verificato (su sollecitazione di Morendo - PD) il deposito della relazione tecnica - subito dopo trasmesso alla 5ª Commissione permanente (bilancio) per la verifica dei profili di copertura finanziaria, con conseguente sospensione di 20 minuti (!) della seduta. Dopo di che, ripresi i lavori e preso atto della fiducia posta, il Presidente del Senato organizzava i lavori per la discussione e le dichiarazioni di voto. La Corte afferma che il passaggio in commissione referente e' stato rispettato, ma, viceversa, il resoconto dei lavori prova il contrario. Dove e quando sarebbe stato salvaguardato l'esame in commissione referente? Ricapitolando: nel caso dell'art. 1, comma 2 legge n. 148/2011, e' mancata del tutto la fase istruttoria prevista dalla Costituzione e riservata al Parlamento attraverso l'esame in sede referente; con cio' attentando alle tutele imposte dalla nostra Carta fondamentale nel momento in cui, attraverso la delega legislativa, il Parlamento si spoglia della sua prerogativa per eccellenza a vantaggio dell'esecutivo, sia pur dettando i principi che debbono informare la legge delegata, frutto dell'operare del Governo. Tra l'altro, si tratta, all'evidenza, di un vizio procedurale che si riverbera in gravissimi aspetti sostanziali: diversamente opinando, si legittimerebbe l'arbitrio totale del Governo nell'espletamento della funzione legislativa (ad esso solo eccezionalmente riservata), il quale Governo si farebbe attribuire un potere assoluto con legge delega frutto di un emendamento apportato all'ultimo momento dallo stesso governo, fatto approvare con questione di fiducia in pochi minuti e sottratto a qualsiasi discussione parlamentare (che dovrebbe essere necessariamente anteriore al conferimento della delega). Questo giudice non puo' prescindere dai dati di fatto e dai documenti ufficiali del Parlamento. Il passaggio in commissione referente del disegno di legge-delega in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e' stato completamente omesso; sono stati palesemente violati i commi 1 e 4 dell'art. 72 Cost.; cio' comporta la illegittimita' costituzionale della intera normativa successivamente approvata in maniera costituzionalmente patologica: dell'art. 1, comma 2 della legge delegante (legge n. 148/2011) e, in via consequenziale, dell'intera legge delegata (d.lgs. n. 155/2012). La non manifesta infondatezza di questo profilo e' francamente solare. B) Il decreto-legge n. 138 del 2011 e la legge di conversione n. 148 del 2011 art. 1, comma 2 (legge delega): violazione artt. 70, 76 e 77, secondo comma Cost. La illegittimita' costituzionale consequenziale del d.lgs. n. 155/2012 (n particolare artt. 1, 2, 9 e 11). Ritiene il giudicante che i principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione legislativa parlamentare, alla eccezionale attribuzione della funzione legislativa al Governo e ai presupposti degli atti aventi forza di legge del Governo, evidenzino che il decreto-legge n. 138 del 2011 e l'art. 1, comma 2 della legge di conversione n. 148 del 2011 si pongano in verosimile contrasto con gli artt. 70, 76 e 77, secondo comma Cost. Il giudice premette che tale questione viene proposta soprattutto alla luce di quanto recentemente affermato dalla Corte costituzionale nella gia' citata sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 successiva alla sent. n. 237/2013. Le motivazioni fondanti la declaratoria di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 77, comma 2 Cost. paiono qui esportabili in toto al fine di evidenziare il fondatissimo dubbio di illegittimita' costituzionale della legge delega (n. 148/2011) che ha attribuito il potere di ridisegnare la geografia giudiziaria del Paese. Vanno prima sintetizzati alcuni principi codificati dalla giurisprudenza costituzionale. Con la sentenza n. 29 del 1995 e' stata riconosciuta la possibilita' per la Corte costituzionale di giudicare sui vizi dei presupposti del decreto-legge, almeno nei casi di «evidente mancanza», anche dopo l'intervento della legge di conversione. Secondo tale orientamento, la legge di conversione non ha «efficacia sanante» e il difetto dei presupposti della straordinaria necessita' ed urgenza (vera e propria carenza di potere) concreta un vizio formale del procedimento normativo, trasmissibile dal decreto-legge alla legge di conversione. Il predetto orientamento e' stato confermato in numerose sentenze (v. Corte cost. numeri 341 del 2003; 6, 178, 196, 285, 299 del 2004; 2, 62 e 272 del 2005): si e' andato dunque consolidando l'indirizzo favorevole alla possibilita' del sindacato della Corte costituzionale nei casi di «evidente mancanza» dei presupposti di necessita' ed urgenza del decreto-legge, anche dopo l'intervento della legge di conversione. Sul punto e' poi intervenuta la sentenza n. 171/2007 ove la Corte statuisce che «il difetto dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e d'urgenza'' che legittimano l'emanazione del decreto-legge, una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge. Il suddetto principio e' funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso. Infatti, l'opposto orientamento, secondo cui la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, comporta l'attribuzione in concreto al legislatore ordinario del potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie. Inoltre, in considerazione del fatto che in una Repubblica parlamentare, quale quella italiana, il Governo deve godere della fiducia delle Camere e che il decreto-legge comporta una sua particolare assunzione di responsabilita', si deve concludere che le disposizioni della legge di conversione in quanto tali - nei limiti, cioe', in cui non incidano in modo sostanziale sul contenuto normativo delle disposizioni del decreto - non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, autonomamente da quelle del decreto stesso. Infatti, l'immediata efficacia del decreto-legge condiziona l'attivita' del Parlamento, che si trova a compiere le proprie valutazioni e deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo, non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge». Orientamento confermato, sempre dal Giudice delle leggi, con la pronuncia n. 128/2008 di conforme contenuto, ed esteso con la sentenza n. 355/2010 anche agli emendamenti «aggiunti» in sede di conversione dal Parlamento. La giurisprudenza costituzionale e' quindi assai rigorosa nell'accertare l'avvenuto rispetto dell'art. 77, comma 2, della Costituzione con particolare riguardo ai presupposti che nel nostro sistema costituzionale legittimano la decretazione d'urgenza del Governo. E' significativo che la legge n. 400 del 1988 all'art. 15, comma 1, richieda all'esecutivo di indicare nel preambolo le «circostanze straordinarie di necessita' ed urgenza che ne giustificano l'adozione». Orbene: la lettura della clausola che accompagna l'adozione del decreto-legge n. 138 del 2011 (che testualmente recita: «ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica al fine di garantire la stabilita' del Paese con riferimento all'eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilita' dei mercati e per rispettare gli impegni assunti in sede di Unione europea, nonche' di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo e la competitivita' del Paese e il sostegno dell'occupazione») fa emergere ictu oculi che non si e' dato per nulla conto dell'esistenza dei presupposti di cui all'art. 77, comma 2 Cost. rispetto al tema della riforma della geografia giudiziaria, originariamente del tutto estraneo nella genesi del provvedimento di urgenza [e che e' stato introdotto solo successivamente all'approvazione parlamentare di un emendamento governativo proposto in sede di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011]. E' pertanto, evidente il mancato rispetto sostanziale della disciplina costituzionale della decretazione d'urgenza. Infatti non e' sufficiente un'indicazione generica di un qualsiasi presupposto, ma vi deve essere un nesso, un collegamento fra presupposti e disciplina del decreto-legge. Diversamente opinando, il Governo potrebbe giustificare il ricorso al decreto-legge su presupposti generici e quindi non idonei a giustificare la legittimita' costituzionale della disciplina d'urgenza. E' di tutta evidenza che nel momento dell'adozione del decreto-legge n. 138 del 2011 il preambolo implicitamente rinvia alle competenze legislative statali indicate nell'art. 117 della Costituzione. Gli ambiti materiali in cui il decreto-legge opera sono coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma 3), o quelli indicati alla lettere a) ed e) dell'art. 117, comma 2; non vi e' alcun cenno alla materia indicata alla lettera l) del suddetto comma («giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa»). In altre parole: la c.d. «geografia giudiziaria» oggetto dell'emendamento aggiuntivo non e' minimamente connessa con i presupposti di necessita' ed urgenza del decreto-legge n. 138 del 2011, salvo a voler ammettere che quei presupposti possano legittimare l'approvazione in sede di conversione di una qualsiasi disposizione solo perche' esiste una grave crisi finanziaria che affligge il nostro Paese. Con riferimento, infatti, ad altro decreto-legge, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che «il principio salus rei pubblicae suprema lex esto non puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale» (Corte costituzionale sentenza n. 151 del 2012). In ogni caso la disciplina della «geografia giudiziaria» non riguarda una manovra che si prefigge la stabilizzazione finanziaria ed il contenimento della spesa pubblica, che paradossalmente non ottiene alcun risparmio dalla paventata soppressione di sedi giudiziarie e che, al contrario assume nuovi costi per traslochi e nuova edilizia giudiziaria, oltre ad incrementare disagi e costi per i cittadini (non a caso l'allora Ministro della giustizia prof. avv. Paola Severino in piu' occasioni ha ribadito che falsamente si ascrive il tema della revisione delle circoscrizioni alla spending review, perche' in realta' si tratta soprattutto di guadagno d'efficienza, a cui si accompagnera' un risparmio). Ne consegue che l'omessa indicazione dei presupposti di necessita' ed urgenza determina un vizio in procedendo della legge di conversione e conferma l'assunto dell'illegittimita' delle disposizioni aggiunte in sede di conversione che sono estranee alla struttura originaria del decreto-legge ed approvate in dispregio di quanto disposto dagli articoli 70, 72 e 77 della Costituzione. Appare, cosi', palese, il vulnus inflitto alla norma procedimentale prevista dalla Costituzione che limita l'adozione del decreto-legge ai soli casi di straordinaria necessita' ed urgenza (si badi la delega concerne una riforma di sistema tanto da indurre il Governo a definirla «riforma strutturale» e a prevedere un tempo di un anno per l'emanazione del decreto legislativo - tempo che, ovviamente, e' stato completamente utilizzato dall'Esecutivo e che peraltro pare difficilmente compatibile con la natura di provvedimento emergenziale straordinario e urgente) e sancisce la perdita di efficacia dello stesso decreto in caso di mancata conversione parlamentare entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione. Dire poi che sia straordinaria e urgente una riforma che ha acquistato efficacia due anni dopo appare clamorosa contraddizione in termini. Ma vi e' di piu'. La legge-delega al riordino della geografia giudiziaria e' stata introdotta ex novo con un emendamento in sede di conversione dell'originario decreto-legge, e appare ictu oculi del tutto eterogenea rispetto al corpo del decreto-legge convertito, tale da potersi definire una «norma intrusa», ovvero che introduce una nuova disciplina (e, propriamente, una delega al Governo a legiferare con successivi decreti legislativi in materia di riorganizzazione della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio), evidentemente estranea all'insieme delle altre disposizioni del decreto-legge che il primo comma dell'art. 1, legge n. 148/2011 provvede a convertire. Sul punto specifico si e' recentemente espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 16 febbraio 2012. Il giudice delle leggi ha testualmente affermato: «La semplice immissione di una disposizione nel corpo di un d.-l. oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per cio' solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'. Ai sensi del II comma dell'art. 77 Cost., i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il d.-l. nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo. L'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto, spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed i «provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativa fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il d.-l. in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale ... I cosiddetti decreti «mille proroghe», che vengono convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti - pur attinenti ad oggetti e materie diversi - che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi e' la disciplina «a regime» di materie o settori di materie, rispetto alle quali non puo' valere il medesimo presupposto della necessita' temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all'art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessita' e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalita' eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei. La necessaria omogeneita' del d.-l., la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione di un d.-l. e' pienamente recepito dall'art. 96-bis, comma 7 del regolamento della Camera dei Deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Pertanto, e' costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 2-quater, del d.-l. 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modifiche, dall'art. 1, comma 1 della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), in quanto le norme impugnate, inserite nel corso del procedimento di conversione del d.-l. n. 225/2010, sono del tutto estranee alla materia e alle finalita' del medesimo». In definitiva i giudici costituzionali escludono che il Parlamento possa utilizzare un procedimento legislativo di conversione in legge di un decreto-legge per inserire contenuti normativi non aventi gli stessi presupposti di necessita' ed urgenza dell'originario provvedimento. Dell'illegittimita' del procedimento de quo si sono resi conto anche i tecnici della stessa Assemblea legislativa al punto che, nel dossier della Camera dei Deputati n. 317 dell'8 settembre 2011 (Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimita' costituzionale), e' stato precisato come il Comitato per la legislazione abbia costantemente ritenuto che «l'inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale, soprattutto se recanti disposizioni di delega, non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge»; e, nel Parere reso dallo stesso Comitato per la legislazione nella seduta dell'8 settembre 2011, proprio con riferimento al testo della legge n. 148/2011, era stata avanzata la condizione che «siano soppresse le disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 - volte a conferire una delega al Governo in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari - in quanto non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato dal disegno di legge di conversione di un decreto-legge, l'inserimento al suo interno di una disposizione di carattere sostanziale, in particolare se recante disposizioni di delega, integrandosi in tal caso, come precisato in premessa, una violazione del limite di contenuto posto dal gia' citato art. 15, comma 2, lettera a) della legge n. 400 del 1988». In conclusione, nella fattispecie appare evidente come sia stato compiuto un vero e proprio «stravolgimento» dei procedimenti di produzione di atti aventi forza di legge, indicati nella Costituzione, che qui sono «invertiti» e «piegati» per giustificare esigenze certamente diverse da quelle di straordinaria necessita' ed urgenza che invece sono le sole che legittimano il ricorso al decreto-legge. Appare cosi' palese la violazione, da parte del decreto-legge n. 138/2011 e della legge di conversione n. 148/2011, degli artt. 70, 76 e 77 Cost. attraverso l'utilizzo di un procedimento parlamentare particolare (la conversione in legge del decreto-legge) per raggiungere finalita' prive di qualsiasi riferimento all'urgenza del provvedere che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il procedimento legislativo ordinario ponderato, visto anche il carattere di riforma di sistema che connota il provvedimento de quo, inerente la riorganizzazione degli uffici giudiziari del Paese. Tra l'altro, l'illegittimita' della procedura adottata nel caso di specie e' stata piu' volte censurata dai Presidenti della Repubblica. Ultima in ordine cronologico la lettera inviata nel febbraio 2011 dal Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, nella quale il «Garante della Costituzione» ha assunto una posizione netta circa l'approvazione di leggi di conversione che riscrivono i decreti-legge: «molte di queste disposizioni aggiunte in sede di conversione sono estranee all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i principi e le norme della Costituzione. E' appena il caso di ricordare che questo modo di procedere, come ho avuto modo in diverse occasioni di far presente fin dall'inizio del settennato ai Presidenti delle Camere e ai Governi che si sono succeduti a partire dal 2006, si pone in contrasto con i principi sanciti dall'art. 77 della Costituzione e dall'art. 15, comma 3 della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988 recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari. L'inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso prive dei requisiti di straordinarieta' necessita' e urgenza, elude il vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti-legge. Inoltre l'eterogeneita' e l'ampiezza delle materie non consentono a tutte le commissioni competenti di svolgere l'esame referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 della costituzione e costringono la discussione da parte di entrambe le camere nel termine tassativo di 60 giorni. Si aggiunga che il frequente ricorso alla posizione della questione di fiducia realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento». Da ultimo, il divieto di emendamenti eterogenei rispetto al contenuto proprio ed originario di un decreto-legge (e il carattere supremo di tale principio) sono stati ribaditi dalla sent. n. 32/2014 della Corte costituzionale: «Ben si comprende come il rispetto del requisito della omogeneita' e della interrelazione funzionale tra disposizione del decreto-legge e quello della legge di conversione ex art. 77, secondo comma Cost. sia di fondamentale importanza per mantenere entro la cornice costituzionale i rapporti istituzionali tra Governo, Parlamento, e Presidente della Repubblica nello svolgimento della funzione legislativa». La legge-delega non poteva pertanto essere approvata con un emendamento non connotato dai requisiti di straordinarieta' e urgenza e in ogni caso del tutto eterogeneo rispetto al contenuto del decreto-legge. Alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente a questo giudice il contrasto della legge delega n. 148/2011 e, conseguentemente, del decreto legislativo n. 155/2012 con le richiamate norme della Carta Costituzionale, che prevedono i limiti della eccezionale potesta' legislativa del governo rispetto a quella ordinaria del Parlamento (artt. 70, 76 e 77). 4) Rilevanza delle questioni. Le questioni sollevate appaiono rilevanti nel giudizio a quo, dal momento che le stesse investono la normativa dalla quale dipende l'individuazione del giudice (Tribunale di Torino ovvero Tribunale di Pinerolo) avanti al quale deve essere celebrato il processo penale nei confronti dell'imputato. In particolare lo scrivente - come risulta anche dal «decreto di prosecuzione dell'udienza presso il Tribunale di Torino» del Presidente di Sezione del Tribunale di Torino in data 18 dicembre 2013 - deve fare applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 155/2012 in combinato disposto con l'art. 1 in relazione alla tabella A) per celebrare avanti al Tribunale di Torino un processo per fatto di reato gia' di competenza territoriale del (soppresso) Tribunale di Pinerolo; secondo l'art. 9, infatti, le udienze successive al 13 settembre 2013 devono tenersi avanti al nuovo giudice competente, nello specifico, il Tribunale di Torino, risultando il Tribunale di Pinerolo, a tale data, soppresso in base all'art. 1; se, invece, qualora le disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012 e della legge delega n. 148/2011 (sulla base della quale e' stato adottato il decreto legislativo n. 155/2012) non fossero riconosciute conformi alla Costituzione, l'udienza dovrebbe essere celebrata avanti all'illegittimamente soppresso (per effetto delle disposizioni impugnate) Tribunale di Pinerolo. Le questioni di costituzionalita' sollevate, pertanto, si pongono in rapporto di pregiudizialita' rispetto all'individuazione del giudice chiamato a definire l'attuale processo penale e davanti al quale il processo deve essere celebrato e proseguito.
P. Q. M. Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale del d.-l. n. 138/2011 e dell'art. 1, comma 2 della legge n. 148/2011 recanti la conversione, con modifiche, del decreto-legge n. 138/2011, nonche' del d.lgs. n. 155/2012 (in specie artt. 1, 2, 9 e 11), per contrasto con gli artt. 70, 72, comma 1 e 4, 76 e 77 della Costituzione, nei termini di cui in motivazione; Sospende il procedimento in corso; Ordina la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del processo alla Corte costituzionale; Manda alla Cancelleria per la notifica della presente ordinanza alle parti e alla Presidenza del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Torino, 24 marzo 2014 Il giudice: Alberto Giannone