N. 193 SENTENZA 7 - 9 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordini professionali - Commissione  centrale  per  gli  esercenti  le
  professioni sanitarie - Composizione. 
- Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato  13  settembre
  1946,  n.  233  (Ricostituzione  degli  Ordini  delle   professioni
  sanitarie e per  la  disciplina  dell'esercizio  delle  professioni
  stesse), art. 17. 
-   
(GU n.30 del 16-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  17  del
decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  13  settembre
1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie
e  per  la  disciplina  dell'esercizio  delle  professioni   stesse),
promosso dalla Corte di  cassazione  nel  procedimento  vertente  tra
l'Ordine dei farmacisti della Provincia di Foggia e  D'Addetta  Carlo
Ignazio ed altri, con ordinanza del 3 settembre 2013 iscritta  al  n.
248 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di costituzione di D'Addetta Carlo Ignazio; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  maggio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    udito l'avvocato Marco Paoletti per D'Addetta Carlo Ignazio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 3  settembre  2013,
ha sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  3,  24  e  111  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  17
(recte: art. 17, primo  e  secondo  comma,  lettera  c)  del  decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13  settembre  1946,  n.
233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la
disciplina dell'esercizio delle professioni stesse), nella  parte  in
cui non prevede che la Commissione  centrale  per  gli  esercenti  le
professioni sanitarie (di seguito: Commissione centrale),  nell'esame
degli affari concernenti la professione dei farmacisti, sia  composta
da un numero di  membri  effettivi  e  supplenti  che,  nel  caso  di
annullamento con rinvio da parte della Corte  di  cassazione  di  una
decisione  resa  dalla  stessa,  permetta  di  celebrare  l'eventuale
giudizio di rinvio davanti ad un  collegio  del  quale  non  facciano
parte i componenti che hanno  concorso  a  pronunciare  la  decisione
cassata. 
    2.-  L'ordinanza  di  rimessione  premette  che  la   Commissione
centrale,  con  decisione   del   28   marzo   2008,   ha   rigettato
l'impugnazione proposta da un farmacista avverso il provvedimento con
il quale gli era  stata  inflitta  la  sanzione  della  censura,  per
violazione dell'obbligo di osservanza dell'orario di  chiusura  della
farmacia. 
    La Corte di cassazione, con ordinanza  del  27  maggio  2010,  n.
12947,  in  accoglimento  del  ricorso  proposto  dall'incolpato,  ha
cassato detta  decisione,  disponendo  il  rinvio  «alla  Commissione
centrale per  gli  esercenti  le  professioni  sanitarie  in  diversa
composizione». Quest'ultima, con decisione dell'11  luglio  2011,  n.
16, dopo avere premesso che, in forza della disciplina che ne  regola
la composizione,  «non  era  possibile  procedere  alla  composizione
dell'organo giudicante in modo diverso da quello che aveva emesso  la
pronuncia cassata  e  che  per  evitare  una  stasi  processuale  era
necessario procedere comunque  a  nuova  decisione»,  ha  accolto  il
ricorso. 
    Avverso  detta  decisione  ha  proposto  ricorso   l'Ordine   dei
farmacisti della  Provincia  di  Foggia,  formulando  tre  motivi  di
censura, con il primo dei quali ha  dedotto,  tra  l'altro,  che  «la
Commissione centrale avrebbe dovuto investire» la Corte di cassazione
della questione della «impossibilita' di procedere al nuovo  giudizio
in una composizione integralmente diversa». 
    2.1.- Il giudice a quo premette che  l'art.  2,  comma  4,  della
legge 4 novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), aveva  previsto
il  riordino  della  Commissione  centrale  e,  tuttavia,  in  virtu'
dell'art. 15, commi 3-bis e 3-ter,  del  decreto-legge  13  settembre
2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per  promuovere  lo  sviluppo  del
Paese  mediante  un  piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  8
novembre 2012, n. 189, la stessa continua ad operare sulla base della
norma  censurata.  La  disciplina  stabilita  dalla  norma  censurata
comporta che la Commissione centrale, quando e' chiamata a decidere i
procedimenti disciplinari nei confronti dei  farmacisti  in  sede  di
rinvio disposto dalla Corte di cassazione, non puo'  essere  composta
da membri diversi  da  quelli  che  hanno  pronunciato  la  decisione
cassata. 
    Il citato art. 17 dispone, infatti, che la  Commissione  centrale
e' composta da tre membri di diritto e, nei procedimenti  concernenti
i  farmacisti,  anche  da  un  ispettore  generale  per  il  servizio
farmaceutico e da otto farmacisti, di  cui  cinque  effettivi  e  tre
supplenti, prevedendo (al comma settimo) che  «Per  la  validita'  di
ogni seduta occorre la presenza di non meno di  cinque  membri  della
Commissione, compreso il presidente; almeno  tre  dei  membri  devono
appartenere alla stessa categoria alla quale appartiene il  sanitario
di cui e' in esame la pratica», nonche' (al  comma  ottavo)  che  «In
caso di impedimento  o  di  incompatibilita'  dei  membri  effettivi,
rappresentanti le categorie sanitarie,  intervengono  alle  sedute  i
membri supplenti della stessa  categoria».  La  Commissione  centrale
decide, quindi, detti procedimenti disciplinari con nove  componenti:
i tre componenti di diritto, di cui al citato art. 17,  comma  primo,
nonche' l'ispettore generale per il servizio  farmaceutico  e  cinque
farmacisti, quali componenti effettivi. 
    2.2.- Questa disciplina, secondo  la  Corte  di  cassazione,  non
permette che in sede di giudizio di  rinvio,  dell'organo  giudicante
facciano parte  membri  diversi  da  quelli  che  hanno  adottato  la
decisione cassata, con conseguente violazione degli artt. 3, 24 e 111
Cost. A suo avviso, nella specie, sarebbe  applicabile  il  principio
enunciato da questa Corte con la sentenza n. 262  del  2003,  che  ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art.  4  della  legge  24
marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento  del
Consiglio  superiore  della  Magistratura),  nel   testo   modificato
dall'art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44, nella parte in cui  non
prevedeva  l'elezione  da  parte  del   Consiglio   superiore   della
magistratura  di  un  numero  di  membri  supplenti   della   Sezione
disciplinare, tale da garantire che lo stesso collegio giudicante non
si pronunciasse due volte sulla medesima res iudicanda. 
    La Commissione centrale, secondo  il  giudice  a  quo,  esercita,
infatti,  «funzioni   di   tipo   giurisdizionale   speciale»   (come
espressamente previsto dall'art. 15, comma 3-bis, del d.l. n. 158 del
2012) e tanto sarebbe sufficiente a far ritenere che l'impossibilita'
di garantirne la diversa composizione nel giudizio di rinvio  connota
la  norma  censurata  degli  stessi  vizi  riscontrati  in  relazione
all'art. 4 della legge n. 195 del 1958.  Inoltre,  nella  specie,  la
Commissione centrale, nel  pronunciare  la  decisione  impugnata,  ha
privilegiato l'interesse alla necessaria definizione del procedimento
disciplinare, rispetto a quello di garantire la diversa  composizione
dell'organo giudicante, con considerazione di pregnante importanza  a
conforto delle proposte censure. Questa Corte, con la sentenza n. 262
del 2003 ha, infatti,  affermato  che,  nel  bilanciamento  dei  beni
costituzionali  in  gioco,  non  puo'  essere  attribuita  prevalenza
all'interesse   alla   necessaria   definizione   del    procedimento
disciplinare. 
    L'ordinanza di rimessione approfondisce, poi,  gli  argomenti  in
base ai quali la mancata proposizione di istanza di  ricusazione  nel
giudizio  di  rinvio  non  esclude  la  rilevanza   della   sollevata
questione,  osservando  che  viene  in  discussione  «non   gia'   la
possibilita' che, per effetto della mancata attivazione dell'istituto
della ricusazione, la Commissione centrale, pur  se  in  composizione
identica a quella nella quale era stata  adottata  la  decisione  poi
cassata con rinvio, si pronunci nuovamente nei confronti del medesimo
professionista  e  sul  medesimo  addebito  disciplinare,  quanto  la
previsione  di  meccanismi  normativi  che,   a   prescindere   dalla
applicabilita' degli istituti della ricusazione e  della  astensione,
consentano lo svolgimento del giudizio di rinvio in  condizioni  tali
da assicurare la  posizione  di  terzieta-imparzialita'  del  giudice
disciplinare». Peraltro, secondo il giudice a quo, la  previsione  di
un numero di componenti  supplenti  inferiore  a  quello  dei  membri
effettivi, non consentirebbe, qualora fossero attivati  gli  istituti
della  ricusazione  e  dell'astensione,  di   formare   un   collegio
giudicante senza la partecipazione di quelli  che  hanno  partecipato
alla adozione della decisione cassata e, inoltre, «per  i  componenti
di diritto di cui al primo comma dell'art.  17  nessuna  sostituzione
sarebbe ipotizzabile». 
    3.- Nel giudizio davanti a questa Corte si  e'  costituito  Carlo
Ignazio D'Addetta, parte nel processo principale,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. 
    A  suo  avviso,  la  circostanza  che  alcuni  dei  membri  della
Commissione centrale che ha deciso il giudizio di  rinvio  non  hanno
concorso a rendere la decisione cassata  sarebbe  sufficiente  a  far
ritenere rispettata la regola  della  diversita'  della  composizione
dell'organo giudicante. 
    Nella   giurisprudenza   di   legittimita'   sarebbe,    inoltre,
controversa  la  possibilita'  di  ritenere  invalida   la   sentenza
pronunciata in violazione  dell'obbligo  di  astensione,  in  difetto
della proposizione di istanza di ricusazione, come  appunto  accaduto
nella specie. Il giudice a quo avrebbe, quindi, dovuto rimettere alle
Sezioni unite civili della Corte di  cassazione  la  composizione  di
tale contrasto e, in mancanza, la  sollevata  questione  non  sarebbe
rilevante. 
    La regola  della  diversita'  del  giudice  di  rinvio  stabilita
dall'art. 383 del  codice  di  procedura  civile,  secondo  la  parte
privata, sarebbe strumentale alla tutela dell'interesse del cittadino
ad essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale, immune  da  un
«pregiudizio». Nel  processo  principale,  la  Commissione  centrale,
all'esito del giudizio di rinvio, si  e'  adeguata  al  principio  di
diritto enunciato dalla Corte di cassazione ed ha accolto il  ricorso
che essa  aveva  proposto.  Dovrebbe,  quindi,  ritenersi  dimostrata
«l'inesistenza di "convinzioni precostituite"  da  parte  dell'organo
giudicante  e  tanto   renderebbe   «superfluo   uno   scrutinio   di
costituzionalita' del quale solo la parte soccombente in primo  grado
avrebbe potuto avvalersi, se fosse rimasta soccombente anche in  sede
di rinvio». 
    Infine, gli artt. 61  e  64  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 aprile 1950, n. 221 (Approvazione del regolamento per la
esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n.  233,  sulla
ricostituzione degli Ordini delle  professioni  sanitarie  e  per  la
disciplina dell'esercizio delle professioni  stesse)  disciplinano  i
casi dell'assenza o  impedimento  del  presidente  della  Commissione
centrale e di ricusazione di detti componenti ed il citato  art.  17,
settimo comma, stabilisce che per la validita' di ogni seduta occorre
la presenza di non meno di  cinque  membri.  Tenuto  conto  di  detti
elementi, secondo la parte privata, il giudizio  di  rinvio  potrebbe
essere svolto davanti ad un  collegio  composto  da  membri  che  non
avevano  partecipato  alla  precedente  decisione,  con   conseguente
infondatezza    della    sollevata    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 3  settembre  2013,
ha sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  3,  24  e  111  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  17
(recte: art. 17, primo e  secondo  comma,  lettera  c),  del  decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13  settembre  1946,  n.
233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la
disciplina dell'esercizio delle professioni stesse).  A  suo  avviso,
questa norma violerebbe i suindicati parametri costituzionali,  nella
parte in  cui  non  prevede  che  la  Commissione  centrale  per  gli
esercenti  le  professioni   sanitarie   (di   seguito:   Commissione
centrale), nell'esame degli affari  concernenti  la  professione  dei
farmacisti, sia composta da un numero di membri effettivi e supplenti
che, nel caso di annullamento con rinvio  da  parte  della  Corte  di
cassazione di una decisione resa dalla stessa, permetta di  celebrare
l'eventuale giudizio di rinvio davanti ad un collegio del  quale  non
facciano parte i componenti  che  hanno  concorso  a  pronunciare  la
decisione cassata. 
    2.- In linea preliminare, va osservato che la  parte  privata  ha
eccepito l'inammissibilita' della questione, perche' il  citato  art.
17 stabilisce, al settimo comma,  che,  «Per  la  validita'  di  ogni
seduta occorre la  presenza  di  non  meno  di  cinque  membri  della
Commissione, compreso il presidente» ed «almeno tre dei membri devono
appartenere alla stessa categoria alla quale appartiene il  sanitario
di cui e' in esame la pratica»; al secondo comma,  prevede,  inoltre,
la nomina di tre membri supplenti per la  categoria  dei  farmacisti,
mentre l'art. 61 del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile
1950, n. 221 (Approvazione del  regolamento  per  la  esecuzione  del
decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233,  sulla  ricostituzione
degli  Ordini  delle  professioni  sanitarie  e  per  la   disciplina
dell'esercizio delle professioni stesse)  dispone  che  «In  caso  di
assenza o di impedimento il presidente e' sostituito dal  funzionario
piu' elevato in grado». Sarebbe, quindi,  possibile,  a  suo  avviso,
garantire che, nel giudizio  di  rinvio,  non  facciano  parte  della
Commissione centrale i componenti che hanno concorso a pronunciare la
decisione cassata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Allo scopo di accertare se risulti  rispettato  il  principio  di
alterita'  del  giudice  di  rinvio,  occorre  avere  riguardo   alla
possibilita'  di  costituire  la  Commissione  centrale   nella   sua
composizione ordinaria che, come esattamente precisato dal giudice  a
quo, e' di nove componenti (e cioe' i tre componenti di cui al citato
art. 17, primo comma, oltre, in virtu' del secondo comma, lettera  c,
«un  ispettore  generale  per  il  servizio   farmaceutico   e   otto
farmacisti, di cui cinque effettivi e tre supplenti»).  L'eccezionale
previsione della validita' delle sedute nelle  quali  siano  presenti
non meno di cinque membri (art. 17, settimo comma) non puo', infatti,
consentire (ancora meno imporre) il funzionamento  della  Commissione
centrale, nel solo giudizio di rinvio, in una composizione dimidiata,
con esito di per se' solo lesivo della regola generale di  formazione
del  collegio  giudicante.  E  cio',  indipendentemente   dalla   pur
pregnante considerazione del difetto di previsione di  un  meccanismo
di  sostituzione  del   componente   designato   dall'amministrazione
centrale. 
    2.1.- La parte privata ha, altresi', eccepito l'inammissibilita',
per irrilevanza, della sollevata  questione  in  quanto,  secondo  un
orientamento  della  giurisprudenza  di  legittimita',   la   mancata
proposizione  nel  giudizio  di  rinvio  di  tempestiva  istanza   di
ricusazione dei membri del collegio giudicante (nella specie, appunto
non avanzata), impedirebbe di  denunciare  l'irregolare  composizione
del collegio giudicante nel successivo giudizio di cassazione. 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    Al riguardo, va infatti osservato, anzitutto, che  il  giudice  a
quo ha non implausibilmente motivato in ordine alla  rilevanza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  proprio   in
considerazione della mancata «previsione di meccanismi normativi che,
a prescindere dalla applicabilita' degli istituti della ricusazione e
della astensione, consentano lo svolgimento del giudizio di rinvio in
condizioni tali da assicurare la posizione di  terzieta-imparzialita'
del giudice disciplinare» e tanto, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte e' sufficiente a renderla ammissibile (tra le  molte,
sentenza n. 1 del 2014). Inoltre, le Sezioni unite civili della Corte
di cassazione, nel comporre il  contrasto  di  giurisprudenza  emerso
nella giurisprudenza di legittimita' in  ordine  agli  effetti  della
partecipazione al giudizio di rinvio del giudice persona  fisica  che
ha concorso a pronunciare la decisione cassata, hanno  affermato  che
«la sentenza che dispone il rinvio, a norma dell'art. 383,  comma  1,
(c.d. rinvio proprio o prosecutorio) contiene (...)  una  statuizione
sull'alterita' del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che
pronunziarono la sentenza cassata». Conseguentemente, hanno  ritenuto
violata la relativa statuizione, qualora il giudizio rescissorio  sia
svolto «davanti a collegio, in cui almeno uno  dei  componenti  aveva
partecipato alla pronunzia della sentenza cassata» ed hanno affermato
che in tal caso «sussiste la nullita' attinente alla costituzione del
giudice ex art. 158 c.p.c.,  non  essendo  necessario  che  la  parte
faccia valere tale incompatibilita' ex art. 52 c.p.c., in quanto  sul
punto dell'alterita' (e  quindi  dell'incompatibilita')  si  e'  gia'
pronunziata la sentenza cassatoria»  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, 27 febbraio 2008, n. 5087). 
    2.2.- La sollevata questione,  ad  avviso  della  parte  privata,
sarebbe, infine, inammissibile, sotto un primo profilo, perche'  solo
alcuni dei membri della  Commissione  centrale  che  ha  definito  il
giudizio di rinvio hanno concorso a pronunciare la decisione cassata.
Sotto un secondo profilo,  in  quanto  l'accoglimento  da  parte  del
giudice  del  rinvio  dell'impugnazione  che  egli   aveva   proposto
dimostrerebbe   che   il   predetto   era   privo   di   «convinzioni
precostituite», dato che la  prima  pronuncia  era  stata  cassata  a
seguito di suo ricorso. 
    L'eccezione, sotto entrambi i profili, non e' fondata. 
    Relativamente  al  primo,  e'  sufficiente  osservare  che,  come
affermato dalle Sezioni unite civili della Corte  di  cassazione,  il
principio dell'alterita' del giudice e' leso quando  anche  uno  solo
dei componenti dell'organo che ha pronunciato  la  decisione  cassata
partecipi a quella resa all'esito del giudizio di  rinvio  (Corte  di
cassazione, Sezioni unite civili, 27 febbraio 2008, n. 5087). 
    Quanto, invece, al secondo profilo dell'eccezione, risulta palese
che la violazione della regola dell'alterita' del giudice del  rinvio
e' di per se' lesiva del principio  di  imparzialita-terzieta'  della
giurisdizione,  essendo  irrilevante  che  la  decisione  sia   stata
favorevole alla parte privata. Peraltro,  l'esigenza  di  evitare  la
cosiddetta forza della prevenzione e di assicurare che il giudice non
subisca condizionamenti  psicologici  influenti  sulla  serenita'  di
giudizio deve, ovviamente, essere garantita in riferimento a tutte le
parti del processo. 
    3.-  Nel  merito,  la  questione   -   da   ritenersi   rilevante
esclusivamente in relazione alla disciplina relativa al funzionamento
della Commissione centrale per l'esame degli  affari  concernenti  la
professione dei farmacisti - e' fondata. 
    4.- Preliminarmente, occorre precisare che il giudice  a  quo  ha
correttamente affermato la perdurante vigenza della norma  censurata,
in  ordine  alla  disciplina  concernente   la   composizione   della
Commissione centrale. L'art. 15, comma 3-bis,  del  decreto-legge  13
settembre 2012,  n.  158  (Disposizioni  urgenti  per  promuovere  lo
sviluppo del Paese mediante un piu'  alto  livello  di  tutela  della
salute), aggiunto dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189,
ha,  infatti,  stabilito:  «In  considerazione  delle   funzioni   di
giurisdizione speciale esercitate, la Commissione  centrale  per  gli
esercenti le  professioni  sanitarie,  di  cui  all'articolo  17  del
decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  13  settembre
1946, n. 233, e successive modificazioni, e' esclusa dal riordino  di
cui all'articolo 2, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n.  183,  e
continua ad operare, sulla base della normativa di riferimento, oltre
il termine di cui all'articolo  1,  comma  2,  del  decreto-legge  28
giugno 2012, n. 89, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012, n. 132, come modificato dal  comma  3-ter  del  presente
articolo. All'allegato 1 annesso al citato decreto-legge  n.  89  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2012,  il
numero 29 e' abrogato». Questa disposizione rende, quindi, palese che
detto organo centrale, come espressamente affermato dalla  rimettente
Corte di cassazione, continua  ad  operare  in  base  alla  censurata
disciplina. 
    La  Commissione  centrale  esercita  «funzioni  di  giurisdizione
speciale» (art. 15, comma 3-bis, del d.l. n. 158 del 2012), in virtu'
di una qualificazione pacifica nella giurisprudenza  di  legittimita'
(Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 7 agosto 1998,  n.  7753)
e, svolgendo  un'attivita'  di  natura  giurisdizionale,  avverso  le
decisioni pronunciate dalla stessa e' ammesso ricorso per cassazione,
ex art. 111, settimo comma, Cost. 
    Il procedimento disciplinare nei  confronti  degli  esercenti  le
professioni sanitarie si articola, quindi, in una prima fase,  svolta
davanti   all'ordine   professionale   locale,    che    ha    natura
amministrativa; nel caso di impugnazione dell'atto che la  definisce,
alla stessa segue un'ulteriore fase che e' svolta, invece, davanti ad
un "giudice" ed ha natura giurisdizionale. 
    I  caratteri  giurisdizionali  del  procedimento  non  escludono,
peraltro, che  lo  stesso  possa  essere  caratterizzato  da  profili
strutturali e funzionali peculiari, in coerenza con  la  specificita'
delle funzioni esercitate ed alla luce degli  interessi  allo  stesso
sottesi, tra questi anche quello di  garantire  l'indefettibilita'  e
continuita'  dell'attivita'  svolta   dalla   Commissione   centrale.
Nondimeno, come ha  affermato  questa  Corte,  tali  interessi  vanno
sempre subordinati  al  «principio  di  imparzialita-terzieta'  della
giurisdizione, che ha pieno  valore  costituzionale  ai  sensi  degli
artt. 24 e 111 della Costituzione, con riferimento a  qualunque  tipo
di  processo,  "pur  nella  diversita'  delle  rispettive  discipline
connessa alle peculiarita' proprie di ciascun tipo di  procedimento"»
(sentenza n. 262 del 2003). Le soluzioni legislative  per  realizzare
questo  principio  non  debbono  prefigurare  moduli  necessariamente
identici per tutti i tipi di  processo,  ma  deve  essere,  comunque,
osservata la regola che il giudice rimanga  sempre  super  partes  ed
estraneo  rispetto  agli  interessi  oggetto  del  processo   e   sia
«assicurato quel "minimo" di  garanzie  ragionevolmente  idonee  allo
scopo (sentenza n. 78 del 2002)». In tutti i tipi di processo, quindi
anche in quello in esame, devono essere previste regole in  grado  di
proteggere in ogni caso il valore fondamentale dell'imparzialita' del
giudice,  impedendo,   in   particolare,   che   quest'ultimo   possa
pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda (sentenza n.  335
del 2002), specie nel caso di rinvio proprio o prosecutorio (sentenza
n. 341 del  1998),  qual  e'  quello  in  esame.  La  diversita'  del
giudice-persona fisica salvaguarda la stessa effettivita' del sistema
delle impugnazioni, poiche' queste «rinvengono, in linea generale, la
loro ratio di garanzia nell'alterita' tra il giudice che ha emesso la
decisione impugnata e quello chiamato a riesaminarla» ed opera  anche
in senso "discendente", con riguardo, cioe', al  giudizio  di  rinvio
dopo l'annullamento (sentenza n. 183 del 2013) tutte le volte in  cui
sia stata effettuata una  valutazione  definitiva  sulla  stessa  res
iudicanda. 
    Questa   Corte   ha,   quindi,   dichiarato    costituzionalmente
illegittima la norma che,  non  prevedendo  la  nomina  di  ulteriori
membri supplenti della Sezione disciplinare del  Consiglio  superiore
della magistratura, non impediva, in caso di annullamento con  rinvio
di una decisione dalla stessa pronunciata,  che  lo  stesso  collegio
giudicante si pronunciasse due volte  sulla  medesima  res  iudicanda
(sentenza n. 262 del 2003; analogamente, con  riguardo  alla  mancata
previsione  della  nomina  di  supplenti  in  grado   di   assicurare
meccanismi  di  sostituzione  del  componente  astenuto,  ricusato  o
legittimamente  impedito  del   Tribunale   superiore   delle   acque
pubbliche, in relazione proprio ad un giudizio di rinvio, sentenza n.
305 del 2002). 
    5.-  Alla  stregua  di  detti  principi,  poiche'  ha   rilevanza
dirimente ai fini della loro applicabilita' la natura giurisdizionale
dell'attivita' svolta dalla Commissione centrale e la  stessa  natura
di  tale  organo  e  sono,  invece,   ininfluenti   le   peculiarita'
procedimentali della  prima  e  strutturali  del  secondo,  la  norma
censurata viola gli invocati parametri degli artt. 3, 24 e 111  della
Costituzione sotto il profilo dell'imparzialita' della giurisdizione.
Pertanto, essa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima,
nella parte in cui non prevede la nomina di  membri  supplenti  della
stessa che consentano la costituzione, per numero e categoria, di  un
collegio giudicante diversamente composto rispetto a quello che abbia
pronunciato  una  decisione  annullata  con  rinvio  dalla  Corte  di
cassazione. 
    6.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e
quindi in via consequenziale alla  decisione  adottata,  deve  essere
dichiarata l'illegittimita' costituzionale  del  censurato  art.  17,
primo e secondo comma, lettere a), b), d) ed e), del d.lgs. C.p.S. n.
233 del 1946, nelle parti in cui disciplinano la  composizione  della
Commissione  centrale  per  l'esame  degli  affari   concernenti   le
professioni dei medici chirurghi, dei veterinari, delle ostetriche  e
degli  odontoiatri,  poiche'  contengono  norme  identiche  a  quelle
dichiarate in contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, primo e
secondo  comma,  lettera  c),  del  decreto  legislativo   del   Capo
provvisorio dello Stato 13 settembre  1946,  n.  233  (Ricostituzione
degli  Ordini  delle  professioni  sanitarie  e  per  la   disciplina
dell'esercizio delle professioni stesse),  nella  parte  in  cui  non
prevede la nomina di membri supplenti della Commissione centrale  per
l'esame degli affari concernenti la professione dei  farmacisti,  che
consentano la costituzione, per numero e categoria,  di  un  collegio
giudicante  diversamente  composto  rispetto  a  quello   che   abbia
pronunciato  una  decisione  annullata  con  rinvio  dalla  Corte  di
cassazione; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 17, primo e secondo comma, lettere  a),  b),
d) ed e), del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, nella parte in  cui  non
prevede la nomina di membri supplenti della Commissione centrale  per
l'esame degli affari concernenti le professioni dei medici chirurghi,
dei veterinari, delle ostetriche e degli odontoiatri, che  consentano
la costituzione, per numero e categoria, di  un  collegio  giudicante
diversamente composto rispetto a quello  che  abbia  pronunciato  una
decisione annullata con rinvio dalla Corte di cassazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI