N. 194 ORDINANZA 7 - 9 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Trasporto ferroviario di persone - Responsabilita' civile del vettore
  per danno derivato al viaggiatore dal ritardo del treno  -  Diritto
  al solo rimborso del costo del biglietto. 
- Regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n.  1948  (Nuovo  testo  delle
  condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle  ferrovie
  dello Stato) - convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 911 -  art.
  11 (piu' precisamente: art. 11 delle «Condizioni e  tariffe  per  i
  trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l. n. 1948  del
  1934 e ad esso allegate). 
-   
(GU n.30 del 16-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici  :Paolo  Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  11  del
regio decreto-legge 11 ottobre  1934,  n.  1948  (Nuovo  testo  delle
condizioni e tariffe per il trasporto delle  persone  sulle  ferrovie
dello Stato), convertito dalla legge 4  aprile  1935,  n.  911  (piu'
precisamente:  dell'art.  11  delle  «Condizioni  e  tariffe  per   i
trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l.  n.  1948  del
1934 e ad esso allegate), promosso dal Tribunale ordinario di  Napoli
nel procedimento civile vertente tra M.F.R.  e  Trenitalia  spa,  con
ordinanza del 27 gennaio  2012,  iscritta  al  n.  278  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti l'atto di costituzione di Trenitalia spa, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  maggio  2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato Carmine Punzi per Trenitalia  spa  e  l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Grasso  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 27  gennaio  2012,  il  Tribunale
ordinario di Napoli, adito a seguito di appello proposto da una parte
privata avverso la sentenza pronunciata dal Giudice di pace di Napoli
(con la quale era stata respinta la  domanda  proposta  per  ottenere
dalla societa' Trenitalia  il  risarcimento  dei  danni  patrimoniali
subiti in conseguenza del ritardo riportato dal treno Napoli-Roma  il
4 luglio 2005), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  11
del regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo  testo  delle
condizioni e tariffe per il trasporto delle  persone  sulle  ferrovie
dello Stato), convertito dalla legge 4  aprile  1935,  n.  911  (piu'
precisamente:  dell'art.  11  delle  «Condizioni  e  tariffe  per   i
trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l.  n.  1948  del
1934 e ad esso allegate); 
    che, secondo il giudice a quo, l'appello, nella specie, anche  se
riferito a  causa  di  valore  inferiore  ad  euro  millecento,  deve
ritenersi ammissibile, a norma  dell'art.  113,  secondo  comma,  del
codice di procedura civile, in quanto la domanda si riferisce  ad  un
contratto per adesione; 
    che - sottolinea  il  giudice  rimettente  «sempre  in  punto  di
rilevanza» - la parte attrice  avrebbe  dedotto  e  provato  di  aver
sofferto un danno patrimoniale, in conseguenza del ritardo del  treno
di circa 94 minuti, riferibile, oltre che  all'ammontare  del  prezzo
del biglietto ferroviario, anche alle spese sostenute per la  perdita
della coincidenza del volo Roma-Zurigo, con la conseguente necessita'
di acquistare un nuovo biglietto  aereo,  oltre  alle  spese  per  un
rientro a Napoli e un ritorno a Roma il giorno seguente; 
    che dagli artt. 9 e 10 del  predetto  r.d.l.  n.  1948  del  1934
emergerebbe  che  il  viaggiatore  puo'   ottenere,   a   determinate
condizioni, il rimborso del biglietto e solo qualora il medesimo  non
sia stato utilizzato e la partenza del treno sia stata  ritardata  di
almeno un'ora; 
    che, nel caso di specie, escluso che la causa del  ritardo  possa
ricondursi a caso fortuito o forza maggiore - che  esonererebbero  il
vettore dalla responsabilita' -, posto  che  esso  e'  dipeso  da  un
guasto al locomotore e  dunque  da  fattore  imputabile  al  vettore,
essendo questi  tenuto  ad  un'adeguata  manutenzione  del  mezzo  di
trasporto; 
    che la normativa richiamata dovrebbe ritenersi  vigente,  «atteso
che la stessa, abrogata dall'art. 24 D.L. n. 112/08, convertito nella
l. n. 133/2008, e ribadita con decorrenza dal 16/12/2009 dall'art.  2
comma  1  D.L.  n.  200/2008,  e'  stata  ripristinata  in  sede   di
conversione del predetto decreto dall'art. 1 L. n. 9/2009»; 
    che, d'altra parte, «i fatti di causa risalgono al  luglio  2005,
sicche',  in  mancanza   di   un'espressa   disciplina   transitoria,
l'abrogazione temporanea della normativa di cui alla L. n.  911/1935,
attuata dal richiamato art. 24 D.L. n. 112/08, non ha in  alcun  modo
interferito  sulla  piena  applicabilita'  di  detta  normativa  alla
fattispecie oggetto di lite»; 
    che  la   responsabilita'   del   vettore   risulterebbe   ancora
disciplinata dal r.d.l. n. 1948 del 1934, trattandosi, in ogni  caso,
di  «regolamentazione  autorizzata  dall'atto   di   concessione   ed
applicabile a tutti gli utenti del servizio, come previsto  dall'art.
1679 comma 1°  c.c.,  e  quindi  avente  valore  di  fonte  normativa
regolamentare e non di disposizione contrattuale ex art. 1341 c.c.»; 
    che,  nel  merito,  la   normativa   censurata,   limitando   «la
responsabilita' del vettore ferroviario al solo  rimborso  del  costo
del biglietto in caso di ritardo del treno», violerebbe il  principio
di uguaglianza e di ragionevolezza; 
    che essa rappresenterebbe «un anacronistico privilegio in  favore
del concessionario del servizio di trasporto ferroviario,  nonostante
la natura  privatistica  del  rapporto»,  generando  un'irragionevole
disparita' di trattamento rispetto a chi si avvalga di altro mezzo di
trasporto, in linea con quanto stabilito dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 46 del 2011, a proposito della omologa  limitazione
di responsabilita' in materia di servizio postale; 
    che, dunque, «la mera restituzione del corrispettivo versato» non
assolverebbe «ad alcuna funzione risarcitoria»; 
    che sarebbe anche violato  l'art.  24  Cost.,  non  consentendosi
«all'utente danneggiato di far  valere  in  giudizio  il  diritto  ad
ottenere un risarcimento in misura superiore a quella  predeterminata
dalla legge»; 
    che si e' costituita in giudizio Trenitalia spa, rappresentata  e
difesa come in atti, la quale ha  chiesto  dichiararsi  la  manifesta
inammissibilita'  della  questione   per   mancata   verifica   della
conformita' della disciplina censurata  alla  normativa  comunitaria,
ovvero, in subordine, per irrilevanza della  questione  e,  comunque,
per insufficiente e/o erronea motivazione sul punto,  ovvero  ancora,
in via ulteriormente subordinata,  dichiararsi  l'infondatezza  della
questione; 
    che la ricostruzione del quadro normativo operato  nell'ordinanza
di rimessione  sarebbe  incompleta,  essendo  ormai  la  materia  del
trasporto ferroviario dei passeggeri disciplinata dal regolamento  CE
23 ottobre 2007, n. 1371/2007 (Regolamento del Parlamento  europeo  e
del Consiglio relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri  nel
trasporto ferroviario), «entrato in vigore, ai  sensi  dell'art.  37,
"24 mesi dopo la pubblicazione nella Gazzetta  ufficiale  dell'Unione
europea", dunque il 3 dicembre 2009 (all. nn. 1 e 2)»; 
    che di questa disciplina il  giudice  rimettente  avrebbe  dovuto
tenere conto, trattandosi di fonte  direttamente  applicabile,  tanto
nell'ipotesi di contrasto rispetto alla disciplina  nazionale  quanto
di una sua compatibilita', evocandosi, al riguardo, la giurisprudenza
costituzionale ormai consolidata; 
    che da  tale  omissione  discenderebbe  l'inammissibilita'  della
questione; 
    che la disciplina denunciata sarebbe stata, comunque, dal giudice
a quo, erroneamente interpretata,  dal  momento  che,  in  base  alle
Condizioni generali del trasporto ferroviario  all'epoca  dei  fatti,
Trenitalia spa riconosceva al  passeggero  non  solo  il  diritto  al
rimborso del biglietto non utilizzato in caso di ritardo in  partenza
superiore a sessanta minuti, ma anche il  diritto  ad  un  indennizzo
proporzionale al prezzo del biglietto utilizzato per un treno  giunto
a destinazione con ritardo egualmente superiore a sessanta minuti; 
    che, nel  merito,  la  questione  sarebbe,  comunque,  infondata,
risultando la disciplina denunciata in linea con quella comunitaria e
anzi  piu'  favorevole  rispetto  a  questa  e   apparendo,   quindi,
inappropriato qualsiasi riferimento  ad  un  presunto  «anacronistico
privilegio» del vettore ferroviario; 
    che, d'altra  parte,  la  validita'  della  disciplina  in  esame
sarebbe stata «accertata» dal decreto legislativo 1°  dicembre  2009,
n. 179 (Disposizioni legislative  statali  anteriori  al  1°  gennaio
1970, di cui si ritiene indispensabile la  permanenza  in  vigore,  a
norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246) il quale
ha «"salvato? dal taglio» - gia' previsto dal decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133, e dal decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200 (Misure urgenti  in
materia di semplificazione normativa), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 18 febbraio 2009,  n.  9  -  «norme
che, pur risalendo al vecchio  ordinamento  costituzionale,  dovevano
essere ritenute non contrarie ai principi del  nostro  ordinamento  e
dunque meritevoli di essere mantenute in vigore»; 
    che  la  sottoposizione   della   responsabilita'   del   vettore
ferroviario  ad  un  regime   speciale   rispetto   alle   previsioni
codicistiche troverebbe il suo fondamento nei connotati pubblicistici
caratteristici nella disciplina di tale settore, come  e'  dimostrato
dalle varie fonti succedutesi nel tempo per disciplinare  l'attivita'
dell'ente  ferroviario,  dalla  stessa   disciplina   comunitaria   e
dall'art. 101 del  decreto  legislativo  6  settembre  2005,  n.  206
(Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della  legge  29  luglio
2003, n. 229), in linea, del resto, con le prassi  in  uso  all'epoca
dei fatti presso i maggiori  vettori  ferroviari  europei  e  con  le
previsioni  dettate  dalla  «Carta  Europea  dei  Servizi  Ferroviari
Passeggeri, adottata in data 22 ottobre 2002 dal  CER  (Community  of
European Railways)»; 
    che sarebbe, poi, improprio il richiamo alla sentenza n.  46  del
2011, in tema di responsabilita' del servizio postale, essendo stata,
in   quella   circostanza,   censurata   l'assenza    di    qualsiasi
responsabilita' in caso di radicale  inadempimento  dell'obbligazione
connessa all'esercizio della posta celere; 
    che, in riferimento alla pretesa violazione dell'art.  24  Cost.,
si osserva che questo parametro e'  posto  «a  tutela  di  diritti  a
condizione che questi siano effettivamente e validamente riconosciuti
dall'ordinamento», come d'altra parte puo' dedursi dalla sentenza  n.
296 del 2008, con la quale  e'  stato  censurato  il  previo  reclamo
amministrativo in tema di azioni giudiziarie derivanti dal  contratto
di trasporto ferroviario; 
    che la questione sarebbe, infine, irrilevante, dal momento che il
passeggero avrebbe potuto tempestivamente utilizzare un  altro  treno
in partenza da Napoli per giungere a Roma in tempo utile per  recarsi
in aeroporto per l'imbarco programmato per Zurigo; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata; 
    che, secondo la difesa erariale, l'art. 1680  del  codice  civile
prevede, in via generale, che le disposizioni codicistiche in tema di
contratto di  trasporto  ferroviario  trovino  applicazione  solo  in
quanto non derogate dalle leggi speciali; 
    che la disposizione  denunciata  troverebbe  la  propria  ragione
nell'esigenza di contenere oneri eccessivi,  destinati  altrimenti  a
determinare un  aumento  di  tariffe  a  carico  di  tutta  l'utenza,
evocandosi, al riguardo, la sentenza n. 90 del 1982; 
    che non sarebbe, invece, pertinente il richiamo alla sentenza  n.
46 del 2011 relativa al servizio postale, trattandosi di  fattispecie
diversa da quella oggetto dell'attuale scrutinio; 
    che, infine, sarebbe improprio il richiamo all'art. 24 Cost.,  in
quanto la disposizione censurata non impedirebbe ne'  limiterebbe  il
ricorso al giudice, ma solo circoscriverebbe «sul piano  sostanziale»
il diritto al risarcimento; 
    che, in prossimita' dell'udienza, Trenitalia  spa  ha  depositato
memoria nella quale ha ulteriormente ribadito le considerazioni e  le
conclusioni poste a fondamento della memoria di costituzione. 
    Considerato che il Tribunale  ordinario  di  Napoli  solleva,  in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11 del regio  decreto-legge  11
ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per  il
trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla
legge 4 aprile 1935, n. 911 (piu' precisamente:  dell'art.  11  delle
«Condizioni e tariffe per i trasporti delle  persone»  approvate  dal
predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate), nella parte  in
cui prevede limitazioni in ordine alla  responsabilita'  del  vettore
ferroviario per i danni subiti dai passeggeri in relazione al ritardo
dei treni, in particolare laddove circoscrive tale responsabilita' al
solo rimborso del prezzo del biglietto; 
    che tale limitazione si porrebbe in contrasto con il principio di
uguaglianza  e  con  quello  di  ragionevolezza,  rappresentando  «un
anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio di
trasporto  ferroviario,  nonostante  la   natura   privatistica   del
rapporto»,  tale  da  generare  una   irragionevole   disparita'   di
trattamento rispetto a chi si avvalga di altro  mezzo  di  trasporto,
senza che «la mera restituzione del  corrispettivo  versato»  assolva
«ad alcuna funzione risarcitoria»; 
    che, nella specie, risulterebbe violato anche l'art. 24 Cost., in
quanto  la  disposizione  oggetto  di   censura   non   consentirebbe
«all'utente danneggiato di far  valere  in  giudizio  il  diritto  ad
ottenere un risarcimento in misura superiore a quella  predeterminata
dalla legge»; 
    che, in linea di fatto, la parte attrice avrebbe provato di  aver
subito un maggior danno, rispetto al semplice prezzo del biglietto di
viaggio, in conseguenza del ritardo del treno da  Napoli  a  Roma  di
circa 94 minuti, avendo, in dipendenza  di  tale  ritardo,  sostenuto
spese, a causa della perdita della coincidenza del volo  Roma-Zurigo,
per l'acquisto di un nuovo biglietto aereo e per gli  oneri  connessi
al rientro a Napoli e al ritorno a Roma il giorno successivo; 
    che,  peraltro,  anche  a  voler  prescindere   da   talune   non
indifferenti lacune nella descrizione della fattispecie  -  a  fronte
delle contrarie deduzioni svolte  dalla  difesa  di  Trenitalia  spa,
l'ordinanza non evidenzia in  alcun  modo  l'impossibilita',  per  la
parte  attrice,  di  utilizzare  tempestivamente,   ai   fini   della
coincidenza con il volo per Zurigo, altro treno in partenza da Napoli
per Roma -, il giudice rimettente, nel porre a fulcro  delle  proprie
censure la risalente disciplina dettata dal  regio  decreto-legge  n.
1948 del 1934, non si e' fatto minimamente carico  di  verificare  le
successive, consistenti modificazioni subite, sul piano normativo  ed
ordinamentale,  dalla  "materia"  del  trasporto   ferroviario,   per
inferirne i conseguenti rilievi  tanto  sul  versante  dell'effettiva
efficacia della disciplina censurata,  quale  fonte  esclusiva  della
contestata limitazione di responsabilita', quanto sul versante  della
non manifesta infondatezza del dubbio di legittimita' costituzionale; 
    che un primo fondamentale punto, sul quale il giudice  rimettente
ha omesso di soffermarsi, e' rappresentato proprio  dalla  disciplina
ordinaria prevista dal codice  civile  in  materia  di  trasporto  in
genere e ferroviario in specie; 
    che, infatti, se, per un verso, il codice  civile  fa  mostra  di
"recepire? il quadro normativo previgente - di  impronta  chiaramente
pubblicistica (l'art. 1679,  in  tema  di  trasporti  su  concessione
amministrativa, evoca il rispetto delle condizioni generali stabilite
o autorizzate in sede concessoria) -,  assegnando  alle  disposizioni
generali in materia di trasporto una funzione  "sussidiaria"  (l'art.
1680 fa espressamente salve, anche per il trasporto  ferroviario,  le
deroghe  stabilite  dal  codice  della  navigazione  e  dalle   leggi
speciali),  sotto  altro  e,  qui,  piu'  rilevante   profilo,   esso
introduce, con l'art. 1229, una previsione  generale  di  nullita'  -
relativa,  dunque,  anche  al  vettore  -  di  qualsiasi  limitazione
pattizia della responsabilita' per dolo o colpa grave; 
    che, pertanto, il giudice rimettente avrebbe  dovuto  previamente
verificare se, anche nel caso di specie,  questa  previsione  potesse
venire  in  discorso  come  utile  parametro,  quantomeno   di   tipo
ermeneutico, per  "interpretare"  le  disposizioni  limitative  della
responsabilita'  risarcitoria  dell'ente  ferroviario,  in  caso   di
ritardo, come riferite ai soli casi di culpa levis  e  per  mantenere
l'obbligo risarcitorio ordinario ai casi, invece,  di  dolo  o  colpa
grave, dovendo, correlativamente, anche apprezzare il tipo  di  colpa
in concreto eventualmente ravvisabile, nel giudizio a quo, in capo al
vettore; 
    che, del pari, l'ordinanza di rimessione ha omesso  di  misurarsi
con le profonde  modifiche  subite,  nel  corso  dei  decenni,  dalla
disciplina relativa allo stesso ente ferroviario, non poco  influenti
sul quadro ordinamentale di riferimento; 
    che, al riguardo, appare - a tacer d'altro - di specifico rilievo
la riforma introdotta dalla legge 17 maggio 1985, n. 210 (Istituzione
dell'ente «Ferrovie dello Stato»), con la  quale  l'Azienda  autonoma
delle Ferrovie dello Stato e' stata  trasformata  in  ente  pubblico,
stabilendosi, nella circostanza,  non  soltanto  il  rinvio  a  fonti
regolamentari  di  tutte  le  disposizioni  previgenti  in  tema   di
organizzazione e di funzionamento  dell'esercizio  ferroviario  (art.
14),  ma  l'espressa  (art.  16,  quinto  comma)  devoluzione   «alla
competenza degli organi  dell'ente»  delle  «restanti  tariffe  e  la
determinazione  delle  condizioni  generali   di   trasporto,   della
nomenclatura e classificazione delle  cose,  comprese  le  avvertenze
generali che la precedono, nonche' delle  condizioni  particolari  di
tariffe,  servizi  o  trasporti  determinati  e  la  concessione   di
facilitazioni di carattere eccezionale per trasporti singoli»; 
    che, dunque, l'intera tematica delle condizioni generali e  delle
tariffe (queste ultime intrinsecamente variabili) ha  subito,  almeno
dal 1985 - specie sul piano della relativa dinamica  attuativa  -  un
affrancamento dall'antica fonte legislativa, con la quale  tariffe  e
condizioni generali di contratto erano state  approvate,  per  essere
trasferita all'autonomia regolativa dell'ente; 
    che tale prospettiva,  quindi,  non  soltanto  ha  indotto  verso
un'espressa  delegificazione  della  materia  in   discorso   ma   ha
determinato  la  relativa  integrale   devoluzione   ai   poteri   di
auto-organizzazione dell'ente; 
    che le successive e  variegate  modifiche  apportate  tanto  alla
struttura dell'ente - divenuto, poi, societa'  privata  -  quanto  al
regime delle tariffe e delle condizioni  generali  di  contratto,  si
iscrivono,  cosi',  in  un  quadro  di  riferimento  nel   quale   le
connotazioni  della  disciplina  del  1934   appaiono   profondamente
trasfigurate; 
    che il  giudice  a  quo  avrebbe,  dunque,  dovuto  adeguatamente
motivare circa le ragioni in forza delle quali la semplice espunzione
della normativa censurata -  ormai  innovata  nei  suoi  contenuti  -
varrebbe, di per se', ad assegnare alla parte attrice il  diritto  al
risarcimento,  escludendo  qualsiasi   rilevanza,   come   fonte   di
obbligazioni, al "disciplinare" in vigore all'epoca dei fatti (vale a
dire alle condizioni generali di contratto accettate  dall'utente  al
momento in cui decide di avvalersi del servizio), quanto a  misura  e
presupposti del rimborso in caso di ritardo; 
    che il  giudice  rimettente  ha,  infine,  del  tutto  omesso  di
considerare, ai fini di una compiuta  ricostruzione  comparativa  del
contesto normativo  di  riferimento,  la  disciplina  introdotta  dal
regolamento  CE  23  ottobre  2007,  n.  1371/2007  (Regolamento  del
Parlamento europeo  e  del  Consiglio  relativo  ai  diritti  e  agli
obblighi dei passeggeri  nel  trasporto  ferroviario),  espressamente
richiamato dalle vigenti condizioni generali di trasporto; 
    che, alla luce delle disposizioni dettate da tale regolamento (in
particolare, agli artt. 15, 16, 17 e 18), emerge che, fatte salve  le
previsioni nazionali che assicurino un risarcimento anche per  «danni
diversi» (Allegato I, art. 32, comma 3), non vengono riconosciuti  al
trasportato, in caso di ritardo, diritti  nella  sostanza  diversi  o
poziori rispetto a quelli previsti dalle condizioni generali  di  cui
si e' detto, con la conseguenza che il  vettore  nazionale  non  puo'
ritenersi "comunitariamente"  obbligato  a  prestazioni  risarcitorie
diverse da quelle previste; 
    che, ancora una volta, il giudice a quo avrebbe dovuto,  al  fine
di  rendere  rilevante  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale,
fornire adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le  quali  la
disciplina di  cui  al  predetto  regolamento  sia  da  ritenere,  in
ipotesi, inapplicabile al caso di specie; 
    che, pertanto, alla luce delle  lacune  innanzi  evidenziate,  la
questione   proposta   deve    essere    dichiarata    manifestamente
inammissibile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 11 del regio  decreto-legge  11
ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per  il
trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla
legge 4 aprile 1935, n. 911 (piu' precisamente:  dell'art.  11  delle
«Condizioni e tariffe per i trasporti delle  persone»  approvate  dal
predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate),  sollevata,  in
riferimento agli artt. 3  e  24  della  Costituzione,  dal  Tribunale
ordinario di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI