N. 197 SENTENZA 7 - 11 luglio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 -  Disposizioni
  varie in materia di edilizia e urbanistica (strumenti e livelli  di
  pianificazione e relativo procedimento di formazione; varianti agli
  strumenti   di   pianificazione   territoriale   e   paesaggistica;
  interventi   di   ristrutturazione    edilizia;    conferenza    di
  copianificazione e valutazione; procedura di adozione  di  varianti
  al  P.R.G.;  varianti  semplificate)  e  di  tutela   dell'ambiente
  (provvedimenti  cautelari;  processo   di   VAS   ed   ipotesi   di
  esclusione). 
- Legge  della  Regione  Piemonte  25  marzo  2013,  n.  3,   recante
  «Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56  (Tutela  ed
  uso del suolo) e ad altre  disposizioni  regionali  in  materia  di
  urbanistica ed edilizia», artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e
  61. 
-   
(GU n.30 del 16-7-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  4,  16,
18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge della Regione Piemonte 25
marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale 5  dicembre
1977, n. 56 (Tutela  ed  uso  del  suolo)  e  ad  altre  disposizioni
regionali in  materia  di  urbanistica  ed  edilizia»,  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-29
maggio 2013, depositato in cancelleria il 4 giugno 2013  ed  iscritto
al n. 65 del registro ricorsi 2013. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  giugno  2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato dello Stato Paolo Grasso per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Giovanna Scollo  per  la  Regione
Piemonte. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27-29 maggio 2013 e  depositato  il
successivo 4  giugno,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
proposto in via principale questione di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge  della
Regione Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche  alla  legge
regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e ad altre
disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia». 
    Gli artt. 4 e 16 - che sostituiscono  rispettivamente  l'art.  3,
comma 1, lettera c), della legge reg. n. 56 del 1977 (introducendo in
ambito   sub-regionale   o   sub-provinciale   degli   strumenti   di
pianificazione paesaggistica atipici rispetto a quelli  previsti  dal
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei  beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10  della  legge  6
luglio 2002, n. 137»), e l'art.  8-quinquies,  commi  5  e  7,  della
stessa legge reg. (che disciplina il procedimento di  formazione  dei
suddetti strumenti di pianificazione) - sono impugnati per violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della   Costituzione,
poiche', non prevedendo un coinvolgimento del Ministero per i beni  e
le attivita' culturali, contrastano con  l'art.  145,  comma  5,  del
citato d.lgs. n. 42 del 2004. 
    L'art. 18, che sostituisce l'art. 9, comma 4, della legge reg. n.
56 del 1977, e' anch'esso censurato  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  Cost.,  poiche'  (nel  disporre  che  «i
provvedimenti cautelari di inibizione e sospensione  hanno  efficacia
sino alla conclusione dell'istruttoria per l'inclusione del bene, ove
occorra, negli elenchi previsti dal decreto legislativo n. 42/2004  o
per l'eventuale introduzione di prescrizioni nei piani  territoriali,
nel  PPR  o  nel   piano   territoriale   regionale   con   specifica
considerazione dei valori  paesaggistici,  nei  piani  regionali  dei
parchi e delle riserve naturali, nei  PRG,  recanti  i  provvedimenti
definitivi per la tutela del bene; tali provvedimenti perdono in ogni
caso efficacia decorso  il  termine  di  novanta  giorni  dalla  loro
adozione») contrasta con l'art. 150, comma 2, del d.lgs.  n.  42  del
2004, secondo cui «l'inibizione o sospensione dei lavori disposta  ai
sensi del comma 1 cessa di avere efficacia se  entro  il  termine  di
novanta giorni non sia stata  effettuata  la  pubblicazione  all'albo
pretorio  della  proposta  di  dichiarazione  di  notevole  interesse
pubblico di cui all'articolo 138 o all'articolo 141, ovvero  non  sia
stata  ricevuta   dagli   interessati   la   comunicazione   prevista
dall'articolo 139, comma 3». 
    L'art. 21 - che sostituisce l'art. 10 della legge reg. n. 56  del
1977 e che prevede, al comma 4, che  non  costituiscono  variante  le
modifiche  agli  strumenti   urbanistici   che   «correggono   errori
materiali, che eliminano  contrasti  fra  enunciazioni  dello  stesso
strumento quando sia evidente e univoco il rimedio o  che  consistono
in correzioni o adeguamenti di elaborati del piano tesi ad assicurare
chiarezza  e   univocita'   senza   incidere   sulle   scelte   della
pianificazione o in meri aggiornamenti  cartografici  in  materia  di
difesa  del  suolo   derivanti   dall'adeguamento   degli   strumenti
urbanistici», ne' «le  modifiche  al  PPR  o  al  piano  territoriale
regionale  con  specifica  considerazione  dei  valori  paesaggistici
riguardanti  specificazioni,  aggiornamenti   o   adeguamenti   degli
elementi conoscitivi o specificazioni della delimitazione delle  aree
soggette a tutela paesaggistica, anche in conseguenza di  adeguamenti
effettuati ad  opera  degli  strumenti  di  pianificazione»  -  viene
impugnato per contrasto con il citato art. 145, comma 5,  del  d.lgs.
n. 42 del 2004,  e  conseguente  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione, perche' non prevede  l'obbligo
di co-pianificazione con il Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'
culturali relativamente agli adeguamenti dei piani sott'ordinati. 
    L'art. 27 - che modifica la lettera d) del comma 3  dell'art.  13
della legge reg. n. 56 del 1977, prevedendo  che  «nell'ambito  degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche  quelli
consistenti  nella  demolizione  e  ricostruzione   con   la   stessa
volumetria e  sagoma,  fatte  salve  le  innovazioni  necessarie  per
l'adeguamento alle normative antisismica, di contenimento dei consumi
energetici e di produzione di energia mediante  il  ricorso  a  fonti
rinnovabili»  -  viene  censurato  per  contrasto  con  il  principio
fondamentale di cui all'art. 3, comma 1, lettera  d),  del  d.P.R.  6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia - Testo A), e quindi per violazione
dell'art. 117, terzo  comma,  Cost,  giacche'  la  definizione  della
portata delle diverse categorie di  interventi  edilizi  spetta  allo
Stato. 
    L'art. 31, nella parte in cui introduce l'art. 15-bis,  comma  2,
della legge reg. n. 56 del 1977 prevedendo che  il  Ministero  per  i
beni e le attivita' culturali  partecipi  alla  fase  di  adeguamento
dello  strumento  urbanistico  al  PPR  solo  in  presenza  di   beni
paesaggistici di cui all'art. 134 del d.lgs. n. 42  del  2004,  viene
impugnato per contrasto con il citato art. 145, comma 5,  del  d.lgs.
n. 42 del 2004 e violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., perche' limita la  partecipazione  degli  organi  ministeriali
alla  presenza  nel   territorio   di   beni   soggetti   a   vincolo
paesaggistico. 
    L'art. 33, nella parte in  cui  modifica  il  comma  6  dell'art.
16-bis della legge reg. n. 56 del 1977,  e'  a  sua  volta  impugnato
poiche' esclude dal processo  di  valutazione  ambientale  strategica
(VAS) le varianti «che determinano l'uso a livello locale di aree  di
limitate dimensioni, ferma restando l'applicazione  della  disciplina
in materia di VIA», nonche' le  varianti  che:  a)  non  riducono  la
tutela  relativa  ai  beni  paesaggistici  prevista  dallo  strumento
urbanistico  o  le  misure  di  protezione  ambientale  derivanti  da
disposizioni normative; b) non incidono sulla  tutela  esercitata  ai
sensi dell'art. 24 in materia di beni culturali  ambientali;  c)  non
comportano variazioni al sistema  delle  tutele  ambientali  previste
dallo  strumento  urbanistico  vigente.  Secondo  il  ricorrente,  la
disposizione regionale opera una arbitraria limitazione del campo  di
applicazione della disciplina statale contenuta negli artt. 6,  commi
2, lettere a) e b), 3, 3-bis e 4, e  12  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme  in  materia  ambientale),  attuativo  dei
principi comunitari contenuti nella  direttiva  27  giugno  2001,  n.
2001/42/CE  (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e   del   Consiglio
concernente la valutazione  degli  effetti  di  determinati  piani  e
programmi sull'ambiente), che stabiliscono il campo  di  applicazione
della disciplina della VAS e della verifica  di  assoggettabilita'  a
VAS, disponendo l'esclusione della stessa solo per  particolari  tipi
di piani e programmi tassativamente elencati e solo per  le  varianti
riguardanti  singoli  progetti.  Pertanto,  la  norma  censurata   si
porrebbe in contrasto sia  con  l'art.  3  della  predetta  direttiva
2001/42/CE, violando l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  sia  con  le
menzionate disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006,  violando  l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    L'art. 34, che sostituisce l'art. 17 della legge reg. n.  56  del
1977, viene impugnato in quanto stabilisce che le varianti del  piano
regolatore generale (PRG) debbano essere «conformi agli strumenti  di
pianificazione territoriale e paesaggistica regionali e provinciali»,
senza prevedere la partecipazione del  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita' culturali al procedimento di variante. Per  il  ricorrente,
la norma si pone in contrasto con il piu' volte richiamato art.  145,
comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, che impone che lo Stato partecipi
alla verifica di  conformita'  al  piano  paesaggistico  territoriale
(PPT) della variante al PRG, sussistendo in mancanza la  possibilita'
che successive varianti al piano regolatore  generale,  non  vagliate
dalla soprintendenza, possano disallineare lo  strumento  urbanistico
rispetto   alle   prescrizioni    del    piano    paesaggistico;    e
conseguentemente essa viola l'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
Cost. 
    L'art. 35, che inserisce l'art. 17-bis nella legge reg. n. 56 del
1977, viene censurato - per contrasto con il comma  5  dell'art.  145
del d.lgs. n. 42 del 2004, e violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera s),  Cost.  -  poiche',  nel  disciplinare  le  procedure  di
adozione delle varianti semplificate al PRG (comma 2,  lettera  c)  e
nel disciplinare le varianti  semplificate  che  si  inseriscono  nel
procedimento finalizzato alla realizzazione di un'opera pubblica o di
pubblica utilita' (comma 6), esclude la partecipazione del  Ministero
per i beni e le attivita' culturali al procedimento  di  variante;  e
poiche' (comma 7) attribuisce efficacia vincolante, all'interno delle
conferenze di servizi, al solo parere espresso dalla Regione relativo
alla conformita'  delle  varianti  urbanistiche  «semplificate»  agli
strumenti di pianificazione di livello regionale «o riferiti ad  atti
dotati di formale efficacia a tutela di rilevanti interessi  pubblici
in materia di paesaggio, ambiente, beni culturali». 
    Infine, l'art. 61 - che sostituisce l'art. 48 della legge reg. n.
56 del 1977, prevedendo, al primo comma del nuovo art. 48, che «1. Il
proprietario, il titolare di diritto reale e colui che, per qualsiasi
altro  valido  titolo,  abbiano  l'uso  o  il  godimento  di  entita'
immobiliari,  devono  munirsi,  documentando   le   loro   rispettive
qualita', del titolo abilitativo edilizio  previsto  dalla  normativa
statale per  eseguire  trasformazioni  urbanistiche  o  edilizie  del
territorio comunale; il titolo  abilitativo  edilizio  e'  richiesto,
altresi', per il mutamento della destinazione d'uso  degli  immobili.
Tale titolo non e' necessario  per  i  mutamenti  della  destinazione
d'uso degli immobili relativi ad unita' non  superiori  a  700  metri
cubi che siano compatibili con le norme di attuazione del PRG e degli
strumenti esecutivi» - viene impugnato per contrasto con  i  principi
fondamentali in materia di «governo del territorio», contenuti  negli
artt. 6, 10 e 22, comma 3, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001  e,
di conseguenza, per violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.
poiche' non prevede la necessita'  di  titolo  abilitativo  per  tali
mutamenti di destinazione d'uso. 
    2.- Si e' costituita  la  Regione  Piemonte  concludendo  per  il
rigetto e la parziale inammissibilita' del ricorso. 
    Quanto agli artt. 4 e 16 della legge  reg.  n.  3  del  2013,  la
Regione rileva che gli strumenti di pianificazione di cui al  livello
sub-regionale e sub-provinciale (indicati alla lettera c del comma  1
dell'art. 4) sono uno sviluppo  di  quelli  dettati  alla  precedente
lettera  a),  che  necessariamente  dovranno  tener  conto  del  gia'
previsto coinvolgimento degli organi ministeriali senza replicarne la
previsione. 
    Ugualmente infondata, per la resistente, si presenta  la  censura
riferita all'art. 18, che  sembrerebbe  disciplinare  il  termine  di
decadenza dei provvedimenti cautelari in maniera  identica  a  quanto
prescritto dall'art. 150 del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Quanto all'art. 21, la Regione osserva che la norma e' dettata da
esigenze di semplificazione del procedimento urbanistico, riferito  a
specificazioni,   aggiornamenti   e   adeguamenti   degli    elementi
conoscitivi di strumenti di pianificazione  gia'  concordati  con  la
procedura di cui al comma 5 dell'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e
che  quindi  non  possono  essere  interpretate   quale   surrettizia
inclusione di varianti. 
    Anche la censura all'art. 27 viene ritenuta infondata, poiche' le
innovazioni  necessarie   per   l'adeguamento   alle   normative   di
contenimento   energetico    non    rientrano    concettualmente    e
normativamente   nella   materia   «edilizia»   bensi'   in    quella
dell'«ambiente» e dell'«energia». 
    Altrettanto priva di fondatezza si appalesa, per  la  resistente,
l'impugnazione dell'art. 31, in quanto la norma non va letta come una
limitazione alla  partecipazione  del  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita'  culturali  alla  fase  di  adeguamento   dello   strumento
urbanistico al PPR. 
    La Regione ritiene parimenti infondata la censura mossa  all'art.
33, poiche' - non comprendendosi il motivo per cui  le  varianti  che
non riducono  la  tutela  dei  beni  paesaggistici  o  le  misure  di
protezione ambientale non possano essere escluse dal processo di  VAS
- con riferimento alla impugnata ipotesi prevista dalla  prima  parte
del comma 6  della  norma  (recante  l'esclusione  dalla  VAS,  ferma
restando la VIA, delle  varianti  che  determinano  l'uso  a  livello
locale di aree  di  limitate  dimensioni),  occorre  considerare  che
sempre tale articolo comprende gia' la  preventiva  acquisizione  del
parere  delle  amministrazioni  preposte  alla  tutela  paesaggistica
culturale e ambientale. Mentre, per quanto concerne la VAS,  essa  e'
prevista per le modificazioni al PRG che riguardano i procedimenti di
riordino di cui al piano di alienazioni e valorizzazioni  immobiliari
previsti dal decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), che non possono in  ogni  caso  ridurre  la
dotazione complessiva di aree per servizi al di  sotto  della  soglia
minima prevista dalla legge regionale urbanistica. 
    Riguardo agli artt. 34 e 35, la resistente osserva che - giacche'
l'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 si limita  a  prevedere  che  la
Regione assicuri  la  partecipazione  degli  organi  ministeriali  al
procedimento  di  conformazione   e   adeguamento   degli   strumenti
urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica -, una
volta garantita a monte tale conformazione  ed  adeguamento,  non  si
comprende  perche'   le   varianti   conformi   agli   strumenti   di
pianificazione territoriale  e  paesaggistica  debbano  replicare  la
prevista procedura. Peraltro, per la Regione, in ogni caso l'art. 34,
comma 3, definisce le varianti generali e  per  esse  (cioe'  per  la
conformazione e approvazione) richiama la procedura (ivi compresa  la
VAS) di cui all'art. 15, cosi' come modificato e sostituito dall'art.
30 della legge reg. in questione, non impugnato dal Governo: da  cio'
l'inammissibilita'  del  dedotto  motivo,  con  riguardo  anche  alle
varianti strutturali di cui al comma 4 dell'art. 34. 
    Infine, quanto all'art. 61, la resistente ritiene di avere inteso
applicare proprio il principio che il ricorrente ha ritenuto leso, in
quanto l'art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 non puo'  essere
interpretato se non nel  senso  che  e'  quello  di  consentire  alle
Regioni l'estensione delle  categorie  di  interventi  edilizi  senza
titolo abilitativo, fatte espressamente salve le  prescrizioni  degli
strumenti   urbanistici   comunali   ed   edilizi,   che   altrimenti
rischierebbero una sovrapposizione contraria  allo  stesso  esercizio
delle funzioni proprie  delle  amministrazioni  regionali  e  locali.
D'altra parte, la  Regione  rileva  che  la  disposizione  censurata,
nell'escludere la necessita' del titolo abilitativo per il  mutamento
di destinazione d'uso degli immobili  de  quibus,  ne  condiziona  la
compatibilita' con le norme di attuazione del PRG e  degli  strumenti
esecutivi. 
    3.- Con atto depositato l'11 novembre 2013, la Regione Piemonte -
sottolineato che con la propria legge regionale 12 agosto 2013, n. 17
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l'anno 2013) «ha
integralmente modificato le norme impugnate  nel  senso  invocato  in
ricorso,  senza  che  le  stesse,  nel   frattempo,   abbiano   avuto
attuazione» - ha proposto istanza di  cessazione  della  materia  del
contendere, ovvero di estinzione del giudizio in caso di rinuncia  da
parte  del  ricorrente  e  successiva   accettazione   della   Giunta
regionale. 
    4.- Con atto depositato  il  6  marzo  2014,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri - ritenuto che le  modifiche  apportate  dalla
sopravvenuta legge reg. n. 17 del 2013 «appaiono idonee ad  eliminare
i motivi di illegittimita' costituzionale rilevati dal Governo» -  ha
rinunciato parzialmente alla impugnazione,  «essendo  venuti  meno  i
motivi del ricorso», limitatamente ai censurati artt. 4, 16, 18,  21,
27, 31, 35 e  61.  Viceversa  egli  ha  reputato  ancora  validi  gli
ulteriori motivi  di  impugnazione  riferiti  agli  artt.  33  e  34,
rispetto  ai  quali  dette  modifiche  non  sono  ritenute  idonee  a
rimuovere i gia' rilevati profili di incostituzionalita'. 
    5.- Con delibera depositata il 9 maggio 2014, la Regione Piemonte
ha accettato la rinuncia parziale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto  in  via
principale questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  4,
16, 18, 21, 27, 31, 33,  34,  35  e  61  della  legge  della  Regione
Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale
5 dicembre 1977,  n.  56  (Tutela  ed  uso  del  suolo)  e  ad  altre
disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia». 
    2.- Preliminarmente, va rilevato che, nelle more del giudizio, e'
stata emanata la legge della Regione Piemonte 12 agosto 2013,  n.  17
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria  per  l'anno  2013),
che - agli artt. 2, 3, 4 e 5 - ha  sostituito  numerose  disposizioni
della legge reg. n. 56 del 1977, quali gia'  modificate  dalla  legge
reg. n. 3 del 2013, tra cui anche quelle oggetto di impugnazione. 
    In  ragione  di  cio',  la  resistente  -  sottolineato  che   la
sopravvenuta legge reg. n. 17 del 2013 «ha  integralmente  modificato
le norme impugnate nel  senso  invocato  in  ricorso,  senza  che  le
stesse, nel  frattempo,  abbiano  avuto  attuazione»  -  ha  proposto
istanza di integrale cessazione della materia del contendere,  ovvero
di  estinzione  del  giudizio  in  caso  di  rinuncia  da  parte  del
ricorrente e successiva accettazione della Giunta  regionale.  A  sua
volta, il Presidente del Consiglio dei ministri  -  rilevato  che  le
modifiche apportate dalla  menzionata  legge  reg.  n.  17  del  2013
«appaiono  idonee   ad   eliminare   i   motivi   di   illegittimita'
costituzionale rilevati dal Governo»  -  ha  rinunciato  parzialmente
alla impugnazione, «essendo venuti meno i [...] motivi del  ricorso»,
limitatamente agli artt. 4, 16,  18,  21,  27,  31,  35  e  61;  tale
rinuncia parziale, ritualmente notificata, e' stata  accettata  dalla
Regione resistente. Il ricorrente ha invece inteso ancora validi  gli
ulteriori motivi  di  impugnazione  riferiti  agli  artt.  33  e  34,
rispetto  ai  quali  dette  modifiche  non  sono  ritenute  idonee  a
rimuovere i gia' rilevati profili di incostituzionalita'. 
    Conformemente  alla  giurisprudenza  costante  di  questa   Corte
(sentenze n. 141, n. 54 e n. 40 del 2014; ordinanze n. 38 del 2014  e
n.  316  del  2013),  la   rinuncia   parziale   alla   impugnazione,
formalizzata dalla parte ricorrente  ed  accettata  dalla  resistente
costituita, determina l'estinzione del  processo  relativamente  alla
impugnazione dei menzionati articoli, ai  sensi  dell'art.  23  delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    3.-  Sempre  preliminarmente  -  tenuto  conto  che  la   Regione
resistente ha proposto (prima della  formalizzazione  della  rinuncia
parziale)  istanza  di  generale   cessazione   della   materia   del
contendere,  deducendo  che  la  legge  reg.  n.  17  del  2013   «ha
integralmente modificato le norme impugnate  nel  senso  invocato  in
ricorso,  senza  che  le  stesse,  nel   frattempo,   abbiano   avuto
attuazione» - deve rilevarsi che l'Avvocatura  generale  dello  Stato
(nel contesto del sopra richiamato  atto  di  rinuncia  parziale)  ha
eccepito che  «Permangono  invece  validi  gli  ulteriori  motivi  di
impugnazione [...] segnatamente con riferimento agli  articoli  33  e
34», in quanto «Le modifiche ad essi introdotte,  infatti,  non  sono
state  ritenute  idonee  a  rimuovere  i  profili  di  illegittimita'
costituzionale gia' rilevati con il ricorso introduttivo del presente
giudizio». 
    Poiche' il Presidente del Consiglio dei ministri contesta solo il
carattere non satisfattivo delle pretese  avanzate  con  il  ricorso,
delle sopravvenute modifiche normative (nulla eccependo, peraltro, in
ordine alla effettiva  configurabilita'  dell'altro  requisito  della
mancata attuazione medio tempore delle norme medesime), questa  Corte
deve condurre il proprio vaglio sul  contenuto  di  dette  modifiche,
onde  verificare  la  possibilita'  di   pronunciare   la   richiesta
cessazione  della  materia  del  contendere  rispetto  a  tali  norme
(sentenze n. 108, n. 97, n. 86 e n. 72 del 2014). 
    3.1.- L'art. 33 della legge reg. n. 3 del 2013 e' impugnato  solo
nella parte in cui modificava il comma 6 dell'art. 16-bis della legge
reg. n. 56 del 1977. La norma oggetto di censura prevedeva che  «sono
escluse dal processo di VAS le varianti di cui al  presente  articolo
che  determinano  l'uso  a  livello  locale  di  aree   di   limitate
dimensioni, ferma restando l'applicazione della disciplina in materia
di VIA; sono, altresi', escluse dal processo di VAS quando  ricorrono
tutte le seguenti condizioni: a) la variante  non  riduce  la  tutela
relativa ai beni paesaggistici prevista dallo strumento urbanistico o
le  misure  di  protezione  ambientale  derivanti   da   disposizioni
normative; b) la variante non incide sulla tutela esercitata ai sensi
dell'articolo 24; c) la variante non comporta variazioni  al  sistema
delle  tutele  ambientali  previste   dallo   strumento   urbanistico
vigente.». 
    L'art. 3, comma 12, della sopravvenuta legge reg. n. 17 del  2013
sostituisce nuovamente il comma 6 dell'art. 16-bis della  legge  reg.
n. 56 del 1977, disponendo che «sono escluse dal processo di  VAS  le
varianti di cui al presente articolo finalizzate alla  localizzazione
di interventi soggetti a procedure di VIA». 
    Dalla comparazione (condotta all'esclusivo fine  di  valutare  il
contenuto  satisfattivo  o  meno  dello   ius   superveniens)   della
disposizione oggetto di impugnazione con quella  sopravvenuta  emerge
come - sebbene il legislatore regionale abbia effettivamente  operato
in senso tendenzialmente satisfattivo rispetto alla domanda di  parte
ricorrente, eliminando la previsione della  generale  esclusione  dal
processo di VAS delle varianti di limitate  dimensioni  regolate  dal
medesimo art. 16-bis, nonche' delle specifiche varianti di  cui  alle
lettere a), b) e c) - va tuttavia rilevato  che,  anche  nella  nuova
formulazione del comma 6 dell'art. 16-bis,  permane  (ed  anzi  viene
assunta quale regola generale nell'intero contesto dell'art.  16-bis)
l'esclusione dal processo di  valutazione  ambientale  strategica  di
tutte le  varianti  finalizzate  alla  localizzazione  di  interventi
soggetti a procedure di valutazione di impatto ambientale. 
    La permanenza  nel  contesto  normativo  della  previsione  della
esclusione  dal  procedimento  VAS  delle  varianti  soggette  a  VIA
configura un contenuto dello ius superveniens che (pur se  fortemente
innovativo rispetto al  censurato  precedente  nucleo  precettivo,  e
pertanto non soggetto ad un trasferimento della  questione:  sentenze
n. 87, n. 44 e n. 23 del 2014) non  si  presenta  come  integralmente
satisfattivo,  e  rende  quindi  impraticabile  la  soluzione   della
dichiarazione   di   cessazione   della   materia   del   contendere,
determinando nel contempo  la  necessita'  di  operare  il  richiesto
scrutinio di costituzionalita' della norma impugnata. 
    3.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    L'art. 33 della legge reg. n. 3 del  2013  (nella  parte  in  cui
modificava il comma 6 dell'art. 16-bis della legge  reg.  n.  56  del
1977) e' impugnato  per  violazione  dell'art.  117,  primo  comma  e
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  in  ragione  della
«arbitraria limitazione del campo di  applicazione  della  disciplina
statale contenuta nell'art. 6, comma 2, lettere a)  e  b),  comma  3,
comma 3-bis e comma 4, e nell'art. 12 del d.lgs.  n.  152  del  2006,
attuativo  dei  principi   comunitari   contenuti   nella   direttiva
2001/42/CE,  che  stabiliscono  il  campo   di   applicazione   della
disciplina della VAS e della verifica  di  assoggettabilita'  a  VAS,
disponendo l'esclusione della stessa solo  per  particolari  tipi  di
piani e programmi tassativamente elencati  e  solo  per  le  varianti
riguardanti singoli progetti», nonche' per  contrasto  con  l'art.  3
della stessa direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE  (Direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio concernente la  valutazione  degli
effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente). 
    Poiche' la verifica della conformita' della norma impugnata  alle
regole di competenza interna e' preliminare al controllo del rispetto
dei principi comunitari (sentenze n. 245 del 2013, n. 127  e  n.  120
del 2010), va innanzitutto sottolineato, in termini generali, che  la
giurisprudenza  costituzionale  e'  costante  nell'affermare  che  la
«tutela dell'ambiente rientra nelle competenze legislative  esclusive
dello Stato e che,  pertanto,  le  disposizioni  legislative  statali
adottate in tale ambito fungono da  limite  alla  disciplina  che  le
Regioni, anche a  statuto  speciale,  dettano  nei  settori  di  loro
competenza, essendo ad  esse  consentito  soltanto  eventualmente  di
incrementare  i  livelli  della  tutela   ambientale,   senza   pero'
compromettere  il  punto  di  equilibrio  tra  esigenze  contrapposte
espressamente individuato dalla norma dello Stato (sentenze n. 145  e
n. 58 del 2013, n. 66 del 2012, n. 225 del 2009)»  (sentenza  n.  300
del 2013). 
    Altrettanto  costantemente  questa  Corte  ha  affermato  che  la
valutazione   ambientale   strategica,   disciplinata   dal   decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
attuativo dei principi comunitari contenuti nella direttiva 27 giugno
2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la valutazione  degli  effetti  di  determinati  piani  e
programmi sull'ambiente), attiene alla materia «tutela dell'ambiente»
(sentenze n. 227, n. 192, n. 129 e n. 33  del  2011),  di  competenza
esclusiva dello Stato. E che  interventi  specifici  del  legislatore
regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi,  pur  intercettando
gli interessi ambientali,  risultano  espressivi  di  una  competenza
propria della Regione (sentenza n. 398 del 2006). 
    E' indubbio, pertanto, «che il significativo spazio  aperto  alla
legge regionale dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 (in  particolare,
art. 3-quinquies;  art.  7,  comma  2)  non  possa  giungere  fino  a
invertire le scelte che il legislatore statale ha adottato in  merito
alla sottoposizione a VAS di determinati piani  e  programmi;  scelte
che in ogni caso sono largamente condizionate dai  vincoli  derivanti
dal diritto dell'Unione» (sentenza n. 58 del 2013). 
    3.3.- Il comma 6 dell'art. 16-bis della legge reg. n. 56 del 1977
(come sostituito dal censurato art. 33 della  legge  reg.  n.  3  del
2013) si inseriva nel contesto dei procedimenti di riordino, gestione
e valorizzazione del patrimonio  immobiliare  di  Regioni,  Province,
Comuni  e  altri  Enti,  nonche'  di  societa'  o   Enti   a   totale
partecipazione  dei   predetti,   disciplinate   dall'art.   58   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
finalizzati  alla  attuazione  del   «piano   delle   alienazioni   e
valorizzazioni  immobiliari»,  che  comportino  variante   al   piano
regolatore generale (PRG) ai sensi del comma 1 dell'art. 16-bis della
legge reg. n. 56 del 1977 nel testo sostituito dal medesimo art.  33.
La norma censurata prevedeva, come detto, una generale sottrazione al
processo di valutazione  ambientale  strategica  (VAS),  tanto  delle
varianti  disciplinate  dal  medesimo  articolo,   allorquando   esse
«determinano l'uso a livello locale di aree  di  limitate  dimensioni
ferma restando l'applicazione della disciplina in  materia  di  VIA»,
quanto degli specifici  altri  tipi  di  varianti  contemplati  nelle
lettere a), b) e c) dello stesso comma 6. 
    La radicale esclusione di tutte codeste varianti non  solo  dalla
valutazione ambientale strategica, ma anche dalla stessa verifica  di
assoggettabilita' (diversamente  da  quanto  previsto  per  le  altre
modificazioni al PRG, dal comma 5), determinava un palese vulnus alla
tutela approntata dalle richiamate norme del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    In particolare, la censurata disciplina si  poneva  in  contrasto
con i commi 3 e 3-bis dell'art. 6, secondo i quali,  rispettivamente,
«per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di
piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei  piani  e
dei programmi di  cui  al  comma  2,  la  valutazione  ambientale  e'
necessaria  qualora  l'autorita'  competente  valuti  che   producano
impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni  di  cui
all'articolo 12 e tenuto conto del diverso  livello  di  sensibilita'
ambientale  dell'area  oggetto   di   intervento»;   e   «L'autorita'
competente valuta, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12, se
i piani e i programmi, diversi da quelli  di  cui  al  comma  2,  che
definiscono  il  quadro  di  riferimento  per  l'autorizzazione   dei
progetti,  producano  impatti  significativi  sull'ambiente.».   Tali
disposizioni prevedono che la necessita' del ricorso  alla  procedura
di VAS o di assoggettabilita' dipenda, non gia' da un dato  meramente
quantitativo  riferito  alle  dimensioni   di   interventi   la   cui
inoffensivita' sull'ambiente sia aprioristicamente  ed  astrattamente
affermata  in  ragione  della  loro  modesta  entita',  bensi'  dalla
accertata   significativita'   dell'impatto   sull'ambiente   e   sul
patrimonio  culturale  che  detti  interventi  (seppure  non  estesi)
concretamente  hanno  capacita'  di  produrre   (come   espressamente
previsto dal comma 1 dell'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006). 
    Ne' assume alcun rilievo l'inciso  contenuto  nel  primo  periodo
della norma de qua, secondo cui,  per  le  varianti  che  determinano
l'uso a livello locale di aree di limitate  dimensioni,  resta  ferma
l'applicazione della disciplina in materia di  VIA  (comma  6,  primo
periodo). Questa Corte ha  infatti  rilevato  come  sia  «erroneo  il
convincimento [...] circa l'assoluta assimilazione di oggetto tra VAS
e VIA: posto che  si  tratta,  invece,  di  istituti  concettualmente
distinti, per quanto connessi (sentenza n.  227  del  2011),  e'  ben
possibile che la prima si riveli necessaria, a seguito di verifica di
assoggettabilita', anche quando  viene  in  considerazione  un  piano
relativo a un progetto che non richiede  la  seconda,  ma  ugualmente
dotato di impatto significativo sull'ambiente» (sentenza  n.  58  del
2013). 
    3.4.- Pertanto, l'art. 33 della legge  reg.  Piemonte  n.  3  del
2013, nella parte in cui sostituisce  il  comma  6  dell'art.  16-bis
della  legge  reg.  n.  56   del   1977,   deve   essere   dichiarato
costituzionalmente illegittimo, con assorbimento degli altri  profili
riferiti alla violazione del primo comma dell'art. 117 Cost. 
    4.- A sua volta, l'art. 34 della legge reg.  n.  3  del  2013  e'
stato impugnato nella parte in cui sostituisce l'art.  17,  comma  2,
della legge reg. n. 56 del 1977, in quanto stabilisce che le varianti
del PRG debbano essere «conformi  agli  strumenti  di  pianificazione
territoriale  e  paesaggistica  regionali   e   provinciali»,   senza
prevedere la partecipazione del Ministero per i beni e  le  attivita'
culturali al procedimento di variante. 
    I commi da 14 a 18 dell'art. 3 della sopravvenuta legge  reg.  n.
17 del 2013 sostituiscono diverse disposizioni della norma impugnata.
In particolare: a) il comma 15 dell'art. 3 dispone che  «Al  comma  7
dell'articolo 17 della L.R. n. 56/1977, come sostituito dall'articolo
34 della L.R. 3/2013, le parole "; la pronuncia medesima  si  intende
positiva se essa non interviene  entro  il  termine  predetto."  sono
sostituite dalle seguenti: " Per le varianti successive a  quella  di
cui all'articolo 8-bis, comma 6, lettera b), in caso di  presenza  di
beni paesaggistici  di  cui  all'articolo  134  del  D.Lgs.  42/2004,
contestualmente all'invio alla provincia, la  deliberazione  medesima
e' trasmessa anche al Ministero per i beni e le  attivita'  culturali
che, entro quarantacinque giorni dalla  ricezione,  si  pronuncia  in
merito alla conformita' della variante al  PPR.  La  pronuncia  della
provincia o della citta' metropolitana e la pronuncia  del  Ministero
si intendono positive se  non  intervengono  entro  i  termini  sopra
citati."»; b) il comma 16 dell'art. 3 dispone che  «16.  Al  comma  7
dell'articolo 17 della L.R. n. 56/1977, come sostituito dall'articolo
34 della L.R. 3/2013, dopo le parole "essere corredata del definitivo
parere favorevole della provincia o della citta' metropolitana"  sono
inserite le seguenti: "; se il Ministero ha espresso  parere  di  non
conformita' con il PPR, la deliberazione di  approvazione  deve  dare
atto del recepimento delle indicazioni espresse dal Ministero  oppure
essere corredata del definitivo parere favorevole del Ministero"»; c)
il comma 17 dell'art. 3 dispone che «17. All'ultimo periodo del comma
7  dell'articolo  17  della  L.R.   n.   56/1977,   come   sostituito
dall'articolo 34 della L.R. 3/2013, le parole "e alla  Regione"  sono
sostituite dalle seguenti: ", alla Regione e al Ministero"». 
    Rispetto alle prospettate censure - riferite dal ricorrente  alla
mancata previsione della partecipazione del Ministero per i beni e le
attivita' culturali al procedimento di  variante,  in  contrasto  con
l'art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del  2004,  e  con  conseguente
lesione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  -  le
modifiche apportate  alla  norma  censurata  non  assumono  contenuto
satisfattivo, giacche' la prevista estensione di tale  partecipazione
all'organo  ministeriale  risulta  limitata  nella  propria   portata
applicativa  alle  sole  «varianti  successive  a   quella   di   cui
all'articolo 8-bis, comma 6, lettera b), in caso di presenza di  beni
paesaggistici di cui all'articolo 134 del  D.Lgs.  42/2004».  Lo  ius
superveniens (che anche in questo  caso  e'  comunque  dotato  di  un
contenuto innovativo rispetto alla norma originaria che, come  detto,
impedisce il trasferimento della questione), non  contemplando  nella
sua latitudine applicativa tutte «le varianti e revisioni  del  piano
regolatore  generale,   comunale   e   intercomunale»   regolamentate
dall'art. 17 della legge reg. n.  56  del  1977  (varianti  generali,
strutturali e parziali, di cui rispettivamente ai commi 3,  4  e  5),
assume dunque una portata che (come affermato dal ricorrente) non  ne
soddisfa integralmente le pretese, con conseguente inidoneita' (anche
in questo caso) a  costituire  presupposto  per  la  declaratoria  di
cessazione  della  materia  del  contendere  invocata  dalla  Regione
Piemonte. 
    4.1.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    Il ricorrente censura il comma 2 dell'art. 17 della legge reg. n.
56 del 1977, come sostituto dall'art. 34 della legge reg.  n.  3  del
2013 -  nella  parte  in  cui  dispone  che  le  varianti  del  piano
regolatore generale (PRG) debbano essere «conformi agli strumenti  di
pianificazione territoriale e paesaggistica regionali e provinciali»,
senza  prevedere  (come  detto)  la  partecipazione   del   Ministero
competente - per contrasto con l'art. 145, comma 5, del d.lgs. n.  42
del 2004  (che  impone  che  lo  Stato  partecipi  alla  verifica  di
conformita' al PPT della variante al PRG, sussistendo in mancanza  la
possibilita' che successive varianti al  piano  regolatore  generale,
non vagliate dalla soprintendenza, possano disallineare lo  strumento
urbanistico rispetto alle prescrizioni del  piano  paesaggistico),  e
conseguentemente per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. 
    Orbene, con  riferimento  alle  varianti  e  revisioni  al  piano
regolatore generale, comunale e intercomunale, va rilevato che l'art.
34 della legge reg. n. 3 del 2013  (sostitutivo  dell'art.  17  della
legge reg. n. 56 del 1977) - stabilito (al comma 1) che «Il PRG  ogni
dieci  anni  e'  sottoposto  a   revisione   intesa   a   verificarne
l'attualita' e ad accertare la  necessita'  o  meno  di  modificarlo,
variarlo  o  sostituirlo;  e',  altresi',  oggetto  di  revisione  in
occasione  della  revisione  dei  piani  territoriali  e  del   piano
paesaggistico  o  del  piano  territoriale  regionale  con  specifica
considerazione dei valori paesaggistici»; e che «il PRG  mantiene  la
sua efficacia fino  all'approvazione  delle  successive  revisioni  e
varianti» - al comma 7 prevedeva (peraltro con riferimento alla  sola
adozione delle varianti parziali descritte nel precedente comma 5) un
analitico  iter  procedimentale  di  approvazione  in  cui  non   era
contemplata la partecipazione di qualsivoglia organismo  ministeriale
al procedimento  di  conformazione  ed  adeguamento  degli  strumenti
urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica. 
    Da cio' deriva l'evidente contrasto con la normativa statale, che
- in linea con le prerogative riservate  allo  Stato  dall'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  Cost.,  come  anche  riconosciute  dalla
costante giurisprudenza di questa Corte (tra le  molte,  sentenza  n.
235 del 2011) -  specificamente  impone  che  la  Regione  adotti  la
propria disciplina di conformazione  «assicurando  la  partecipazione
degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (sentenze n.  211
del 2013 e n.  235  del  2011).  Costituisce,  infatti,  affermazione
costante - su  cui  si  fonda  il  principio  della  gerarchia  degli
strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, dettato
dall'evocato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del  2004  (sentenze
n. 193 del 2010 e n. 272 del 2009) - quella  secondo  cui  l'impronta
unitaria della pianificazione  paesaggistica  «e'  assunta  a  valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto
espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull'intero territorio nazionale»  (sentenza  n.  182
del 2006). Al contrario, nella specie, la generale  esclusione  della
partecipazione degli organi ministeriali nei procedimenti di adozione
delle  varianti,  nella  sostanza,  veniva  a  degradare  la   tutela
paesaggistica  da  valore  unitario  prevalente  e  a   concertazione
rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica  (sentenza  n.
437 del 2008). 
    4.2.- Pertanto l'art. 34 della legge reg. n. 3  del  2013,  nella
parte in cui sostituisce l'art. 17, comma 2, della legge reg.  n.  56
del  1977,  deve  essere  anch'esso   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo, in quanto non prevedeva la partecipazione  degli  organi
del Ministero per i beni e le attivita' culturali al procedimento  di
conformazione  agli  strumenti  di  pianificazione   territoriale   e
paesaggistica delle varianti al piano regolatore generale comunale  e
intercomunale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  33  della
legge della Regione Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante  «Modifiche
alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo)
e ad altre  disposizioni  regionali  in  materia  di  urbanistica  ed
edilizia», nella parte in cui sostituisce  l'art.  16-bis,  comma  6,
della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela  ed
uso del suolo); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  34  della
stessa legge reg. Piemonte n. 3 del 2013, che sostituisce l'art.  17,
comma 2, della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, nella parte in cui
non prevedeva la partecipazione degli organi del Ministero per i beni
e le  attivita'  culturali  al  procedimento  di  conformazione  agli
strumenti  di  pianificazione  territoriale  e  paesaggistica   delle
varianti al piano regolatore generale comunale e intercomunale; 
    3) dichiara, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per  i
giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  estinto  il  processo
relativamente alle questioni  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31,  35  e  61  della  medesima  legge  reg.
Piemonte n. 3 del 2013, promosse dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con il ricorso in epigrafe indicato. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI