N. 218 SENTENZA 9 - 18 luglio 2014
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Responsabilita' amministrativa da illecito ascrivibile a persona giuridica - Citazione del responsabile civile. - Codice di procedura penale, art. 83; decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). -(GU n.31 del 23-7-2014 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Sabino CASSESE; Giudici :Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di G.M. ed altri, con ordinanza del 17 dicembre 2012, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visti gli atti di costituzione di G.F. e della Rete Ferroviaria Italiana spa, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica dell'8 luglio 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; uditi l'avvocato Bruno Assumma per la Rete Ferroviaria Italiana spa e l'avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza del 17 dicembre 2012 (r.o. n. 61 del 2013), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale e «delle disposizioni integrali» del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), nella parte in cui «non prevedono espressamente e non permett[o]no che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti». Il giudice rimettente premette che sta trattando un procedimento penale a carico di diverse persone imputate del reato di cui agli artt. 41 e 589, secondo e quarto comma, del codice penale, in relazione all'art. 590, terzo comma, cod. pen., e che al procedimento partecipano, quali enti responsabili per tale reato, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, le societa' Elettrifer srl e Rete Ferroviaria Italiana spa. Nel corso dell'udienza preliminare, le persone offese avevano chiesto di costituirsi parti civili nei confronti di tali societa' e il giudice a quo, ritenendo che nel procedimento regolato dal d.lgs. n. 231 del 2001 non fosse consentita la costituzione di parte civile, aveva rimesso gli atti, con ordinanza del 9 febbraio 2011, alla Corte di giustizia dell'Unione europea per una decisione sulla questione pregiudiziale relativa alla «compatibilita' della normativa sulla responsabilita' delle persone giuridiche nel processo penale in relazione alla Direttiva Europea sulla tutela [delle] vittime da reato - art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001». La Corte di giustizia, con la decisione del 12 luglio 2012 (causa C-79/2011), aveva ritenuto «la compatibilita' della disciplina italiana di cui al citato Dlgs con il Diritto Europeo nel senso che: "l'art. 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel processo penale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilita' delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima del reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati dallo stesso, nell'ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato"». Nell'udienza successiva, le persone offese avevano chiesto la citazione, come responsabili civili, ai sensi dell'art. 83 cod. proc. pen., delle societa' Elettrifer srl e Rete Ferroviaria Italiana spa, ma il giudice rimettente ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta, perche' l'art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2001 stabilisce che nei confronti delle societa' e degli enti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative all'imputato e l'art. 83 cod. proc. pen. prevede, come si legge nell'ordinanza, «che l'imputato non puo' essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere». Secondo il giudice rimettente, le societa' Elettrifer srl e Rete Ferroviaria Italiana spa sono «"imputate" assieme a "coimputati" propri dipendenti» e quindi non possono essere citate come responsabili civili. Il giudice chiarisce di non poter addivenire a una lettura costituzionalmente orientata - che ammetta la citazione nel processo penale, come responsabile civile, della persona giuridica citata ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 - nonostante una isolata pronuncia in tal senso della Corte di cassazione (sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011). Il tenore letterale dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., infatti, precluderebbe una lettura che faccia assumere «la veste di responsabili civili» a persone cui si e' attribuita la qualifica formale di imputati: si tratterebbe di «una forma di "garanzia" applicabile agli imputati e le persone giuridiche/enti sono tali nel processo penale». Cio' chiarito, la questione sarebbe non manifestamente infondata con riferimento all'art. 3 Cost., in quanto «Nell'attuale processo e' ben possibile citare come responsabili civili ex art. 83 c.p.p. le persone giuridiche e gli enti che debbano rispondere dei comportamenti dei loro dipendenti e che "non sono" parimenti incluse nel processo per la forma di responsabilita' di cui al Dlgs. 231/2001». Inoltre, «una compagnia di assicurazione puo' essere citata come responsabile civile per l'automobilista assicurato che ha causato danni ad un pedone». Osserva poi il giudice rimettente che la possibilita', generalmente riconosciuta, di chiedere nel processo penale il risarcimento dei danni agli enti responsabili in solido con gli autori del reato «sarebbe preclusa per societa' e persone giuridiche e/o enti che sono inclus[i] nel processo penale come "imputat[i]" per la responsabilita' di cui al Dlgs. 231/2001 perche' cio' e' espressamente vietato ai sensi dell'art. 83 c.p.p.». Si determinerebbe cosi' «una ingiusta disparita' di trattamento per persone offese nel processo penale che si trovano ontologicamente e strutturalmente nella stessa posizione». Vi sarebbe anche «una illogica disparita' di situazioni esistenziali giuridiche in fasi diverse delle vicende processuali che riguardano la responsabilita' delle persone giuridiche e degli enti». Infatti, rileva il giudice rimettente, «Ai sensi degli artt. 17, lett. a) e 50 del Dlgs. 231/2001 gli stessi enti, nei confronti dei quali sono state applicate misure di tipo interdittivo, anche molto consistenti, nella fase cautelare del procedimento ex Dlgs 231/2001, per ottenere la revoca delle misure devono prima provare di: aver "risarcito integralmente i danni" anche nei confronti delle persone offese dai reati. Tuttavia questa possibilita' per le stesse vittime dei reati sarebbe preclusa nel processo penale avviato, se in precedenza non vi sia stata applicazione di misure cautelari e/o di tipo interdittivo nei confronti delle societa' e degli enti». 2.- E' intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale, con memoria depositata il 23 aprile 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. Ad avviso della difesa dello Stato, avendo le persone offese chiesto la citazione, come responsabili civili, delle societa' citate nel processo penale ex d.lgs. n. 231 del 2001, ben avrebbe potuto il rimettente accogliere la richiesta, aderendo all'interpretazione dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., data dalla Corte di cassazione con la sentenza del 5 ottobre 2010, n. 2251/2011. 3.- Nel giudizio di costituzionalita' si e' costituita, con memoria depositata il 23 aprile 2013, G.F., persona offesa dal reato, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. La difesa della persona offesa rileva come l'attuale dettato dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. sia incompatibile con gli artt. 3, 24 e 35 Cost., «nella parte in cui non prevede che, qualora l'imputato sia una persona giuridica, non debbano trovare applicazione i limiti di cui al paragrafo 2 del comma 1 del medesimo articolo». La disposizione censurata violerebbe, in primo luogo, il principio di ragionevolezza-uguaglianza, in quanto la possibilita' della persona offesa di costituirsi parte civile nel processo penale e di citare un terzo a rispondere in solido con l'imputato sarebbe preclusa nell'ipotesi in cui il terzo sia una persona giuridica coimputata insieme ai suoi dipendenti ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001. La questione, inoltre, sarebbe fondata con riferimento al principio di ragionevolezza-razionalita', in quanto «l'attuale combinato disposto del Dlgs 231/01 con l'art. 83 c.p.p.» comprimerebbe «le garanzie per il lavoratore e i suoi familiari e [garantirebbe] alla persona giuridica un trattamento di favore». Il lavoratore o i suoi familiari, se questi e' deceduto, infatti, non potranno far valere, gia' nel processo penale, la responsabilita' civile della persona giuridica corresponsabile del fatto, che normalmente e' il soggetto patrimonialmente piu' dotato. Con memoria depositata in data 13 giugno 2014, la persona offesa ha ribadito le proprie deduzioni, rilevando come l'attuale assetto normativo determini una tutela differente dei diritti della persona offesa nel processo penale, a seconda della circostanza che la persona giuridica sia o meno imputata nel processo stesso. 4.- Si e' costituita, con memoria depositata il 23 aprile 2013, anche Rete Ferroviaria Italiana spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, e ha concluso chiedendo a questa Corte di dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze. Con memoria depositata in data 16 giugno 2014, Rete Ferroviaria Italiana spa - richiamata la giurisprudenza di merito e di legittimita' sull'ammissibilita' della costituzione di parte civile nel processo a carico dell'ente responsabile ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 - ha rilevato come la soluzione negativa non possa «considerarsi lesiva del principio costituzionale di cui all'art. 3 Cost., nella sua accezione di parametro valutativo della ragionevolezza intrinseca della norma impugnata, ne' del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost.». Per quanto piu' specificamente concerne la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal giudice a quo, la difesa della parte privata ha rilevato come l'applicabilita' dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. all'ente stesso non presenti profili di incompatibilita' con il principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost., anche in considerazione della circostanza che «l'intero corpus normativo del decreto [legislativo n. 231 del 2001] risulta ispirato alla assimilabilita' della posizione dell'imputato a quella dell'ente». Considerato in diritto 1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza del 17 dicembre 2012 (r.o. n. 61 del 2013), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale e «delle disposizioni integrali» del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), nella parte in cui «non prevedono espressamente e non permett[o]no che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti». Come riferisce il giudice rimettente, nell'udienza preliminare di un processo penale nei confronti di diverse persone imputate del reato di cui agli artt. 41 e 589, secondo e quarto comma, del codice penale, in relazione all'art. 590, terzo comma, cod. pen., e nei confronti delle societa' Elettrifer srl e Rete Ferroviaria Italiana spa, quali enti responsabili per tale reato, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, le persone offese hanno chiesto la citazione di tali societa' come responsabili civili, ai sensi dell'art. 83 cod. proc. pen. Il giudice rimettente ha pero' ritenuto che la richiesta non potesse essere accolta, perche' l'art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2001 prevede che nei confronti delle societa' e degli enti si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni relative all'imputato e l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce, come si legge nell'ordinanza, che «l'imputato non puo' essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere». Percio', a suo avviso, le societa' Elettrifer srl e Rete Ferroviaria Italiana spa, essendo «"imputate" assieme a "coimputati" propri dipendenti», non potrebbero essere citate come responsabili civili. Questa preclusione pero', secondo il giudice rimettente, sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe «una ingiusta disparita' di trattamento per persone offese nel processo penale», a seconda che gli enti, che devono rispondere dei comportamenti dei loro dipendenti, siano o meno chiamati a partecipare al processo per una loro responsabilita' ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, in quanto solamente nel secondo caso, in quello cioe' in cui una siffatta responsabilita' non sia stata loro addebitata, essi potrebbero essere citati come responsabili civili ex art. 83, comma 1, cod. proc. pen. L'art. 3 Cost. sarebbe violato, sempre sotto il profilo della disparita' di trattamento, anche perche', a differenza degli enti che partecipano al processo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, «una compagnia di assicurazione puo' essere citata [nel processo penale] come responsabile civile per l'automobilista assicurato che ha causato danni ad un pedone». Infine, le norme censurate determinerebbero «una illogica disparita' di situazioni esistenziali giuridiche in fasi diverse delle vicende processuali», in quanto gli enti, nei confronti dei quali sono state applicate misure di tipo interdittivo, possono ottenere la revoca delle misure loro applicate, nella fase cautelare del procedimento, solamente se hanno integralmente risarcito il danno nei confronti delle persone offese dai reati: «questa possibilita' per le stesse vittime dei reati sarebbe preclusa nel processo penale avviato, se in precedenza non vi sia stata applicazione di misure cautelari e/o di tipo interdittivo nei confronti delle societa' e degli enti». 2.- La questione e' per piu' ragioni inammissibile. 2.1.- L'ordinanza di rimessione ha contestato «la compatibilita' costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione della Repubblica della attuale formulazione dell'art. 83 del codice di procedura penale e delle disposizioni integrali del Dlgs 231/2001», riferendo cosi' la questione all'intero testo normativo recante la disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, senza individuare la disposizione il cui contenuto normativo, in collegamento con quello dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., determinerebbe la lamentata lesione del principio di uguaglianza. Cosi' formulata, la questione risulta inammissibile, in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo e' tenuto ad individuare la norma, o la parte di essa, che determina la paventata violazione dei parametri costituzionali invocati (ex plurimis, ordinanze n. 21 del 2003, n. 337 del 2002 e n. 97 del 2000). E' da aggiungere che l'ordinanza di rimessione presenta anche un petitum incerto, perche' non chiarisce quale dovrebbe essere l'intervento additivo che secondo il giudice rimettente occorrerebbe adottare per eliminare la pretesa illegittimita' costituzionale. L'ordinanza, dopo un riferimento all'impossibilita' per i danneggiati, e in particolare per le persone offese, di costituirsi parte civile nei confronti degli enti che partecipano al giudizio quali responsabili «per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n 231 del 2001), ha escluso, richiamando l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., anche la possibilita' che tali enti siano citati nel processo penale quali responsabili civili. E' con riferimento a tale esclusione che e' stata poi argomentata la questione di legittimita' costituzionale; pero' nel dispositivo il giudice rimettente non censura l'asserita impossibilita' di citare l'ente come responsabile civile, ma piu' genericamente denuncia «che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti». Cio' posto, e a prescindere dalla considerazione che la responsabilita' degli enti a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, prima che per il comportamento dei dipendenti, e' prevista per i reati commessi da "soggetti in posizione apicale" (artt. 5, comma 1, lettera a, e 6 del d.lgs. n. 231 del 2001), e' da rilevare che la formulazione del petitum e' generica, perche' non viene indicato lo strumento giuridico attraverso il quale dovrebbe darsi alle «persone offese e vittime del reato» la possibilita' di chiedere, nel processo penale, agli enti il risarcimento del danno, il che potrebbe avvenire sia consentendo la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente, sia consentendo la citazione di questo come responsabile civile. La generica e incerta formulazione del petitum, sotto il profilo dell'individuazione della specifica disposizione censurata e della pronuncia da adottare per eliminare la denunciata illegittimita' costituzionale, rende la questione inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2014 e n. 16 del 2011; ordinanze n. 318 del 2013 e n. 113 del 2012). 2.2.- Anche per un'altra ragione la questione e' inammissibile. Secondo il giudice rimettente l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. stabilirebbe che «l'imputato non puo' essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere», e poiche', nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilita' penale della persona fisica-autore del reato e della responsabilita' amministrativa dell'ente, quest'ultimo e' imputato «assieme a "coimputati" propri dipendenti», non potrebbe essere consentita una sua citazione anche come responsabile civile: l'imputato e l'ente sarebbero infatti coimputati del medesimo reato. Secondo il giudice rimettente il tenore letterale dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. precluderebbe una lettura che faccia assumere «la veste di responsabili civili» a persone cui si e' attribuita la qualifica formale di imputati: si tratterebbe di «una forma di "garanzia" applicabile agli imputati e le persone giuridiche/enti sono tali nel processo penale». Pero' e' fondatamente contestabile che l'ente possa essere considerato coimputato dell'autore del reato. Infatti si e' ritenuto che, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, l'illecito ascrivibile all'ente costituisca una fattispecie complessa e non si identifichi con il reato commesso dalla persona fisica (Cassazione, sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011), il quale e' solo uno degli elementi che formano l'illecito da cui deriva la responsabilita' amministrativa, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica, alle condizioni perche' della sua condotta debba essere ritenuto responsabile l'ente e alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio di questo. Ma se l'illecito di cui l'ente e' chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato, l'ente e l'autore di questo, non possono qualificarsi coimputati, essendo ad essi ascritti due illeciti strutturalmente diversi. Sotto questo aspetto, quindi, la disposizione dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., alla quale il giudice rimettente fa riferimento, non costituirebbe un impedimento alla citazione dell'ente come responsabile civile. Anche sotto un altro e piu' decisivo aspetto, inoltre, la disposizione in questione non potrebbe costituire l'impedimento ravvisato dal giudice rimettente. Poiche' il responsabile civile e' chiamato a rispondere del fatto illecito commesso da altri, la sua citazione presuppone logicamente che egli non sia civilmente responsabile per fatto proprio. E' per questa ragione che l'imputato puo' assumere la veste di responsabile civile per il fatto dei coimputati solo se non e' affermata la sua responsabilita' penale, ossia «per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere» (art. 83, comma 1, cod. proc. pen.); altrimenti dall'affermazione della responsabilita' penale deriva la responsabilita' civile per lo stesso fatto, e quindi l'impossibilita' di assumere per questo la posizione processuale di responsabile civile. La disposizione in esame, quindi, diversamente da quanto ritiene il giudice rimettente, non costituisce una «forma di "garanzia" applicabile agli imputati», e quindi anche agli enti, ma rappresenta uno sviluppo del principio secondo cui una persona non puo' essere contestualmente chiamata a rispondere per lo stesso fatto, sia come autore, sia come responsabile civile per la condotta del coimputato. Il significato dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. e' diverso da quello che gli attribuisce il giudice rimettente, per il quale la disposizione stabilirebbe che «l'imputato non puo' essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere». Una norma di questo genere non avrebbe senso, perche' nella fase processuale successiva a una sentenza di proscioglimento non sarebbe possibile la citazione del responsabile civile e dunque non potrebbe stabilirsi che il coimputato, per essere citato come responsabile civile, debba prima essere stato prosciolto. Secondo la disposizione in questione, «L'imputato puo' essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere», e il significato e' ben diverso da quello che gli ha attribuito il giudice rimettente. La citazione dell'imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati non e' esclusa prima del suo proscioglimento, ma e' ammessa sotto condizione, nel senso che produce effetto solo nel caso in cui l'imputato venga prosciolto od ottenga una sentenza di non luogo a procedere. Questo e' il significato delle parole «puo' essere citato come responsabile civile [...] per il caso in cui». Che il significato sia questo e' confermato dalla Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale, la quale, dopo aver precisato che «Per quel che attiene alla legittimazione passiva dell'imputato, si e' ritenuto di reintrodurre la stessa formula dell'art. 107 comma 1 ultima parte del codice vigente», chiarisce che in tal modo si e' consentita «all'imputato l'acquisizione di una posizione processuale che, sebbene condizionata al suo proscioglimento, e' operante sin dal momento in cui e' possibile la citazione del responsabile civile». E' da aggiungere che l'art. 107, primo comma, del codice di procedura penale del 1930, da cui deriva la disposizione in esame, era formulato in modo ancora piu' chiaro, stabilendo che: «Anche l'imputato puo' essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati, per il caso in cui venga prosciolto dalla responsabilita' penale». In conclusione, con riferimento alla ratio e alla portata normativa dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., la questione, come si e' visto, muove da un erroneo presupposto interpretativo e cio' comporta un'ulteriore ragione di inammissibilita' (sentenze n. 249 del 2011 e n. 125 del 2009).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014. F.to: Sabino CASSESE, Presidente Giorgio LATTANZI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI