N. 124 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 2013

Ordinanza del 3 dicembre 2013 emessa dal G.U.P. del Tribunale  di  La
Spezia nel procedimento penale a carico di F.R. ed altri. 
 
Reati tributari - Reati in materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul
  valore aggiunto - Previsione che per i delitti di cui agli artt. da
  2 a 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 la sospensione condizionale  della
  pena  (art.  163  cod.  pen.)  non   trova   applicazione   qualora
  l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al 30  per  cento  del
  volume d'affari e l'ammontare dell'imposta evasa  sia  superiore  a
  tre milioni di euro - Disparita' di trattamento rispetto a  ipotesi
  analoghe - Violazione dei principi di proporzionalita' della  pena,
  di personalita' della  responsabilita'  penale  e  della  finalita'
  rieducativa della pena. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.74,  art.  12,  comma  2-bis,
  aggiunto  dall'art.  2,  comma  36-vicies  semel,  lett.  h),   del
  decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 3, 25, comma  secondo,  e  27,  commi  primo  e
  terzo. 
Reati tributari - Reati in materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul
  valore aggiunto - Previsione che per i delitti di cui al d.lgs.  n.
  74 del 2000 l'applicazione della pena (art. 444  cod.  proc.  pen.)
  puo' essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza
  attenuante del pagamento dei debiti  tributari  relativi  ai  fatti
  costitutivi dei delitti medesimi  -  Ingiustificata  disparita'  di
  trattamento tra imputati - Lesione del diritto di difesa. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.74,  art.  13,  comma  2-bis,
  aggiunto  dall'art.  2,  comma  36-vicies  semel,  lett.  m),   del
  decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.35 del 20-8-2014 )
 
               TRIBUNALE CIVILE E PENALE DELLA SPEZIA 
                          (Sezione Penale) 
 
 
          Ordinanza di remissione alla Corte costituzionale 
             di questione di legittimita' costituzionale 
 
    Il Giudice dell'Udienza Preliminare presso  il  Tribunale  di  La
Spezia; 
    Visti gli atti del proc. 5696/12/21/24 R.G. notizie di reato e n.
4115/12 R.GIP. a carico di: 
        1) F. R. domicilio eletto in Sarzana via Nave 37, attualmente
sottoposto alla misura del divieto di dimora in La  Spezia  (scadenza
il 7.3.2013); 
        Assistito e difeso di fiducia dall'Avv. MARTINI  Adriano  del
foro di Massa con studio in Massa Via Fermi n. 6  tel.  0585/41155  e
Avv. CORINI Marco Valerio del foro di La  Spezia  con  studio  in  La
Spezia Via Tazzoli n. 72 tel. 0187/523121. 
        2) C. A. G. elettivamente domiciliato  in  La  Spezia  piazza
Battisti 40 presso lo studio del difensore di fiducia Avvocato  Fabio
SOMMOVIGO del foro di La Spezia. 
        Assistito e difeso di fiducia dall'Avv. Fabio  SOMMOVIGO  del
foro di La Spezia con studio in La Spezia P.zza  C.  Battisti  n.  49
tel. 0187/29481. 
        3) B. F. 
        Assistita e difesa  di  fiducia  dall'Avv.  Luigi  FORNACIARI
CHITTONI del foro di La Spezia con studio in La Spezia Via G. Pascoli
n. 32 tel. 0187/500550. 
        4) C. A. 
        Assistito e difeso di fiducia dall'Avv. Daniele  CAPRARA  del
foro di La Spezia con studio in La Spezia Piazza  Verdi  n.  23  tel.
0187/7792225 e dall'Avv. Alessandro RAPPELLI del foro  di  La  Spezia
con studio in la Spezia Via Padre Giuliani n. 16 tel. 0187/502815. 
        5) C. S. G. elettivamente domiciliata in La Spezia via Crispi
147 presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Aldo NICCOLINI del
foro di La Spezia. 
        Assistita e difesa fiducia dall'Avv. Aldo NICCOLINI del  foro
di La Spezia  con  studio  in  la  Spezia  Via  Crispi  n.  147  tel.
0187/1691060 e dall'Avv. Andrea CORRADINO del foro di La  Spezia  con
studio in La Spezia Piazza C. Battisti n. 40 tel. 0187/739408. 
    Omessi i nomi degli imputati per i reati p. dagli artt. 110  c.p.
e artt. 2, 4, 8, 10-quater decreto legislativo 10  marzo  2000  n.74;
artt. 110 c.p. e artt. 216 c.1° n. 1 219 c. 1°  e  223  c.  1°  Regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 e art. 416 c.p. 
    Rilevato che in sede  di  udienza  preliminare,  all'udienza  del
03/12/2013, i difensori degli imputati chiedevano ex art. 444  c.p.p.
l'applicazione  della  pena,  subordinata  alla   concessione   della
sospensione condizionale della pena, e precisamente: 
        la difesa di F. munita di procura speciale, formulava istanza
di applicazione  pena  ex  art.  444  c.p.p.  nei  seguenti  termini:
ritenuto piu' grave il reato di cui alla lettera L 2), pena base anni
2 mesi 3 di reclusione, aumentata per la continuazione ad anni  3  di
reclusione , ridotta per le attenuanti di cui all'art. 114  c.  p.  e
62-bis c. p. ad anni 1, mesi 9 di reclusione, ridotta per il rito  ad
anni 1, mesi 2  di  reclusione;  pena  subordinata  alla  sospensione
condizionale della pena; 
        il PM non esprimeva il consenso perche' non  appare  congrua,
ne' la pena base,  ne'  l'aumento  per  la  continuazione,  vista  la
gravita' e la pluralita' delle contestazioni e, comunque,  anche  per
il divieto di cui agli artt. 12 e 13 d.l.vo n. 74/2000; 
        la difesa di C. A.  munita  di  procura  speciale,  formulava
istanza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. nei seguenti termini:
ritenuto piu' grave il reato di cui al capo O), pena base anni  3  di
reclusione di multa, ridotta per le attenuanti  generiche  prevalenti
sulle contestate aggravanti ad anni 2 di reclusione, aumentata per la
continuazione ad anni 3 di reclusione di multa, ridotta per  il  rito
ad  anni  2  di  reclusione;  pena   subordinata   alla   sospensione
condizionale della pena; 
        il PM non esprimeva il consenso perche' non  appare  congrua,
ne' la pena base,  ne'  l'aumento  per  la  continuazione,  vista  la
gravita' e la pluralita' delle contestazioni e, comunque,  anche  per
il divieto di cui agli artt. 12 e 13 d.l.vo n. 74/2000; 
        la difesa  di  B.,  munita  di  procura  speciale,  formulava
istanza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. nei seguenti termini:
ritenuto piu' grave il reato di cui alla lettera L 1) pena base  anni
3, mesi 6 di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche ad  anni
2, mesi 4 di reclusione, aumentata per la continuazione ad anni 3  di
reclusione di multa, ridotta per il rito ad  anni  2  di  reclusione;
pena subordinata alla sospensione condizionale della pena; 
        il PM riteneva la pena congrua, ma non prestava  il  consenso
stante il divieto di cui agli art. 12 e 13 d.l.vo n. 74/2000; 
        la difesa  di  C.,  munita  di  procura  speciale,  formulava
istanza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. nei seguenti termini:
ritenuto piu' grave il reato di cui alla lettera L) dell'imputazione,
pena base anni 3, mesi 6 di reclusione,  ridotta  per  le  attenuanti
generiche  ad  anni  2,  mesi  4  di  reclusione,  aumentata  per  la
continuazione ad anni 3, di reclusione, ridotta per il rito ad anni 2
di reclusione; pena subordinata alla sospensione  condizionale  della
pena; 
        il PM riteneva la pena congrua, ma non prestava  il  consenso
stante il divieto di cui agli artt. 12 e 13 d.l.vo 74/2000; 
        C. S., personalmente, formulava istanza di applicazione  pena
ex art. 444 c.p.p. nei seguenti termini: ritenuto piu' grave il reato
di cui al capo G) dell'imputazione, pena base anni 3  di  reclusione,
ridotta  per  le  attenuanti  generiche  ad  anni  2  di  reclusione,
aumentata per la continuazione ad anni 3 di reclusione,  ridotta  per
il rito ad anni 2 di reclusione; pena  subordinata  alla  sospensione
condizionale della pena; 
        il PM non esprimeva il consenso perche' non  appare  congrua,
ne' la pena base,  ne'  l'aumento  per  la  continuazione,  vista  la
gravita' e la pluralita' delle contestazioni e, comunque,  anche  per
il divieto di cui agli artt. 12 e 13 d.l.vo n. 74/2000; 
    Rilevato dunque che le richieste di applicazione pena ex art. 144
c.p.p. erano di fatto precluse, ostandovi: 
        1) l'art.12 comma 2-bis decreto legislativo 10 marzo 2000  n.
74 (introdotto con il d.l. 13 agosto  2011  n.  138,  convertito  con
modificazioni nella legge 14 settembre 2011 n. 148), nella  parte  in
cui esclude, in  relazione  alle  condanne  per  taluno  dei  delitti
previsti  dagli  articoli  da  2  a  10  dello   stesso   d.lvo,   la
concedibilita' della  sospensione  condizionale  della  pena  di  cui
all'articolo  163  del  codice  penale  nei  casi  in  cui  ricorrano
congiuntamente le seguenti condizioni:  a)  l'ammontare  dell'imposta
evasa  sia  superiore  al  30  per  cento  del  volume  d'affari;  b)
l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro; 
        2) l'art. 13 comma 2-bis del d.lgs.  n.  74/2000  (introdotto
con il d.l. 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni nella
legge 14 settembre 2011  n.  148),  nella  parte  in  cui  condiziona
l'accesso all'istituto dell'applicazione della pena di  cui  all'art.
444 c.p.p. alla preventiva estinzione dei debiti tributari; 
e pertanto i difensori eccepivano  la  illegittimita'  costituzionale
delle predette norme; 
    Rilevata la rilevanza delle  questioni  proposte,  in  quanto  il
giudice deve fare applicazione delle norme sopra citate per  decidere
delle richieste ex art. 444 c.p.p. formulate dai difensori; 
    Rilevato, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,
che, come e' ben noto, nel caso  in  cui  le  parti  prospettino  una
questione  di  legittimita'  costituzionale,  il  giudice  non   deve
stabilire  se  essa  sia  fondata  o  infondata,  compito  questo  di
esclusiva competenza della Corte Costituzionale, bensi' unicamente se
sia o non  sia  manifestamente  infondata:  il  giudice  deve  quindi
limitarsi ad una valutazione sommaria, per  rilevare  che  esista,  a
prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalita' ed a  svolgere
un controllo finalizzato ad escludere le questioni prive di  serieta'
e di ponderazione, sollevate solo a fini dilatori, si osserva  quanto
segue 
 
        L'art. 12 comma 2-bis decreto legislativo n. 74/2000 
 
    La norma («Per i delitti previsti dagli articoli da 2  a  10  del
presente decreto l'istituto della sospensione condizionale della pena
di cui all'articolo 163 del codice penale non trova applicazione  nei
casi in cui  ricorrano  congiuntamente  le  seguenti  condizioni:  a)
l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore  al  30  per  cento  del
volume d'affari; b) l'ammontare dell'imposta evasa  sia  superiore  a
tre milioni di euro») introduce una soglia di  ammissibilita'  rigida
rispetto alla possibile concessione  della  sospensione  condizionale
della pena. Si tratta di uno strumento con il  quale  il  legislatore
intende sostituirsi alla discrezionalita'  giudiziale,  imponendo  le
proprie valutazioni a quelle  rimesse  al  giudicante.  In  sostanza,
rispondendo esclusivamente ad  esigenze  «generalpreventive»,  ovvero
funzionali ad accentuare  la  minaccia  edittale  come  strumento  di
politica criminale, il legislatore si propone di far  apparire  certa
la irrogazione ed esecuzione della pena detentiva  nei  confronti  di
autori di delitti tributari caratterizzati sul piano quantitativo  da
un doppio connotato: 
        una relazione proporzionalistica tra  ammontare  dell'imposta
evasa (ovvero secondo la definizione legislativamente offerta di tale
concetto, la differenza tra imposta dovuta e dichiarata) e volume  di
affari (ovvero una delle componenti di calcolo della base imponibile,
rappresentato dall'insieme degli elementi attivi); 
        una  misura  quantitativa   della   imposta   evasa,   invero
significativa, fissata ad € 3.000.000,00. 
    L'insieme  dei  due  dati,  che  devono  operare  congiuntamente,
determina i connotati di un impedimento a soglia mobile, destinato  a
favorire soggetti capaci di produrre un volume di affari  maggiore  e
di sfavorire quelli che ne producono uno minore. Per  fornire  alcuni
esempi, la configurazione minima delle due soglie presuppone: 
        un'evasione di 3 milioni su un volume di affari inferiore a 9
milioni di euro; 
        un'evasione di almeno 4 milioni per un volume d'affari appena
inferiore a 12 milioni di euro etc. etc.... 
    Cosi' sommariamente ricostruito il dettato normativo, esso appare
in contrasto con quanto stabilito dagli artt. 3,  25  comma  2  e  27
commi 1 e 3 Cost.. 
    La prima delle tre disposizioni esprime l'esigenza che situazioni
analoghe siano oggetto di analogo trattamento normativo,  cosi'  come
differenziato deve essere il regime giuridico di  situazioni  diverse
(principio di eguaglianza sostanziale). 
    La seconda, nel sancire  il  principio  di  legalita',  fissa  lo
stretto ed indissolubile legame  che  deve  sussistere  tra  risposta
punitiva e «fatto commesso», indicando come primo  strumento  per  le
scelte punitive una sorta di proporzionalismo garantista.  Per  esso,
dunque, nessuno puo' essere punito in misura diversa  e  maggiore  in
una prospettiva di politica criminale che  tenga  conto  di  esigenze
connesse alla tenuta della minaccia  edittale  o  alla  pericolosita'
personale del soggetto. Lo strumento legislativo  per  perseguire  la
commisurazione della pena giusta per il caso concreto  e'  ovviamente
l'art. 133 c.p., ed in particolare il suo primo comma (che impone  di
verificare sotto diversi punti di vista la «gravita' del reato»). 
    La terza  delle  disposizioni  costituzionali  richiamate  impone
invece  una  costante  corrispondenza   tra   pena   e   colpevolezza
(fondamento  della   personalita'   della   responsabilita'   penale)
escludendo che si possa trascurare tale aspetto per favorirne  altri,
quali quelli connessi alla natura della condotta o  alla  misura  del
danno. 
    L'ultima norma costituzionale, l'art. 27 comma 3,  impone  invece
di  rendere  sempre  corrispondente   la   misura   del   trattamento
sanzionatorio all'esigenza di porre le  migliori  condizioni  per  lo
sviluppo di un processo di recupero del condannato ad  una  vita  nel
rispetto delle leggi. Letta sinergicamente con l'art. 25 cpv.  Cost.,
tale principio impone di adeguare il  trattamento  punitivo  solo  in
senso di poterne attenuare la portata  afflittiva,  posto  che,  come
detto,  in  nessun  caso  il  soggetto  puo'  essere  punito  (ovvero
assoggettato ad una pena maggiore o peggiore) per quello che e' e non
per quello che ha fatto. 
    La norma la cui costituzionalita' si dubita, si pone in contrasto
con tali principi. 
    Essa impone di rinunciare, in presenza di condizioni  di  cui  si
dira', ad un istituto che  assume  un  ruolo  centrale  nelle  scelte
repressive: la sospensione condizionale della pena. Come ben noto, si
tratta di uno strumento che da tempo ha perduto il carattere di  mera
clemenza,  per  assumere  piuttosto   quello   di   diversa   portata
sanzionatoria. Esso, infatti, consente di valutare la necessita'  nel
caso concreto del ricorso alla pena edittale, e cio' ovviamente nella
prospettiva di garantire  le  migliori  condizioni  per  il  recupero
sociale del condannato. Non  di  meno,  attraverso  la  perpetuazione
della minaccia (attraverso la  regolamentazione  della  revoca  della
sospensione) e per i suoi connotati positivi (le condizioni cui  puo'
essere assoggettata la concessione) lo strumento manifesta  contenuti
punitivi peculiari, che consentono di non ritenerla  diversa  da  una
vera e propria "pena alternativa". 
    Ricorrervi e non ricorrervi  dipende,  oltre  che  da  condizioni
legislativamente fissate, da un giudizio positivamente  esperito,  da
parte del giudicante, in  ordine  alla  necessita'  della  esecuzione
della pena edittale. 
    Non e' questa la sede per ripercorrere il novero delle condizioni
ostative e di ammissibilita' fissate dalla legge.  Quello  che  preme
stabilire e' che  esse  sono  universali,  ovvero  prevedute  per  la
generalita' dei condannati e, quindi, quale che sia il tipo del reato
commesso. 
    Con l'art. 12 comma 2-bis d.lgs. 74/2000  si  e'  introdotto  nel
sistema un ulteriore condizione ostativa rigida, riservata pero'  per
i  soli  autori  di  specifiche  fenomenologie  criminose:  i   reati
tributari. 
    Deve, per questo, prima di tutto  verificarsi  la  ragionevolezza
della scelta di riservare un trattamento  piu'  rigoroso  per  simili
fatti di reato. 
    Se e' ben noto  il  grado  di  allarme  sociale  suggerito  dalla
diffusa pratica dell'evasione  fiscale,  non  di  meno  prevedere  un
regime cosi specializzato e differenziato per tale materia non  trova
alcun fondamento in specifici  ineluttabili  connotati  dell'illecito
penale  tributario.  Si  tratta  infatti  di  un  reato   contro   il
patrimonio, commesso di solito  mediante  frode,  caratterizzato  dal
disvalore ulteriore rappresentato dall'essere  venuto  meno,  il  suo
autore,  ad  un   dovere   che   rappresenta   aspetto   qualificante
dell'appartenenza sociale: quello di assolvere,  in  una  prospettava
anche solidaristica, ai propri doveri tributari. 
    Non di meno, tale illecito non risulta per questo  meritevole  di
un trattamento piu' severo rispetto a quello che la legge riserva  ad
altri illeciti contro il patrimonio pubblico, del pari caratterizzati
da un connotato di infedelta', semmai ancor piu' pregnante. Si  pensi
al delitto di peculato o a quello di malversazione per  i  quali  non
sono previste analoghe disposizioni. La scelta legislativa di maggior
rigore, dunque, appare sprovvista di valide ragioni fondanti. 
    Il diverso regime risulta quindi in  contrasto  con  il  disposto
dell'art. 3 Cost.. 
    Sotto il secondo punto di vista, la norma impone la  adozione  di
un  trattamento  punitivo  che  rompe,  potenzialmente,  il  rapporto
proporzionalistico tra pena e fatto di reato. 
    Si consideri che le due soglie pongono in  evidenza  due  diversi
aspetti   di   disvalore:   il   primo,   rivelato    dal    rapporto
proporzionalistico tra evasione e  volume  di  affari,  intende  fare
riferimento ad un grado di fedelta' complessiva del contribuente;  il
secondo attiene evidentemente alla misura del danno. 
    Si  tratta  di  fattori  di  valutazione  che   sono   certamente
ricompresi nel  catalogo  dell'art.  133  c.p..  Il  primo,  peraltro
dettato evidentementein bonam partem (ovvero allo  scopo  di  evitare
gli effetti della preclusione in  riferimento  a  qualsiasi  evasione
superiore  a  3.000.000  di  euro),  si  potrebbe   ricondurre   alle
"modalita' della condotta" (categoria, peraltro, assai piu' ampia  di
quanto non possa rappresentare tale aspetto), il secondo alla  misura
del danno. Isolando taluni di essi per attribuire loro una  rilevanza
preponderante  e  vincolante,  il  legislatore  rompe  la  necessaria
corrispondenza proporzionalistica tra fatto e pena,  posto  che  solo
utilizzando tutti i fattori di commisurazione  di  cui  all'art.  133
c.p. comma 1 sara' possibile avere una plausibile  definizione  della
gravita' del reato. 
    Puo' cosi' accadere,  come  nel  caso  di  specie,  che  condotte
attribuibili ad un soggetto che si trovi ad aver agito in circostanze
di tempo e di luogo del tutto peculiari o che comunque abbia  operato
in .una condizione nella quale e' esprimibile  n  rimprovero  colposo
minimo, veda preclusa la concessione della  sospensione  condizionale
che tutti gli altri fattori di commisurazione suggerirebbero come  la
risposta punitiva piu' adeguata. 
    Sotto il  terzo  punto  di  vista,  condizionare  il  trattamento
punitivo,  sotto  il  profilo  della  possibile   concessione   della
sospensione condizionale della pena, alla sola  rilevanza  del  danno
esclude che la pena corrisponda  al  rimprovero  soggettivo  e  viola
quindi il principio di personalita' della responsabilita' penale.  La
scelta legislativa risulta particolarmente condizionante nei casi  in
cui, come quello che interessa, sia la stessa imputazione a dare  per
scontato che il  soggetto  meriti  un  rimprovero  marginale,  avendo
alcuni degli imputati  agito  come  prestanome  inconsapevole  di  un
dominus (imputato in separato procedimento  penale)  che  ha  operato
compiutamente tutte le scelte che hanno condotto alla  determinazione
dei contenuti delle  dichiarazioni  fiscali,  sfruttando  la  propria
posizione dominante. 
    Infine, la necessita' di pervenire  all'esecuzione  penitenziaria
della pena anche laddove la stessa possa essere commisurata in misura
che  ne  renderebbe  possibile  la  sospensione   condizionale,   nei
confronti  di  un  soggetto  incensurato  e  rispetto  al  quale  sia
possibile  formulare  una  prognosi  favorevole   sul   piano   della
reiterazione di condotte criminose future, contraddice  al  principio
della necessaria portata rieducativa della pena. 
    La sospensione condizionale  della  pena  rappresenta  uno  degli
strumenti della strategia repressiva penale; essa assolve al  bisogno
di  evitare  l'esecuzione  della  pena  edittale  e  presuppone   una
preventiva prognosi in concreto e discrezionale (ex art. 164 comma  1
c.p. ) svolta utilizzando i fattori di valutazione  di  cui  all'art.
133  c.p.;  tale  discrezionalita'  del  giudicante  «forma  oggetto,
nell'ambito  del  sistema  penale,  di  un   principio   di   livello
costituzionale» (cfr. C.Cost., sent. n. 183/2011). 
    La  scelta  di  impedire   la   concessione   della   sospensione
condizionale  anche  a  casi  nei  quali   la   stessa   risulterebbe
concedibile all'esito di tale valutazione  discrezionale  rappresenta
una presunzione assoluta  in  quanto  inaccettabile:  come  si  legge
ancora in C.Cost. sent. n. 183/2011 «le presunzioni assolute,  specie
quando limitano un diritto fondamentale  della  persona,  violano  il
principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe'  se
non rispondono a dati di esperienza  generalizzati,  riassunti  nella
formula   dell'id   quod   plerumque   accidit.    In    particolare,
l'irragionevolezza della presunzione  assoluta  si  coglie  tutte  le
volte in cui sia «agevole» formulare  ipotesi  di  accadimenti  reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(sentenze n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010)». 
    Il caso posto all'esame del giudice  rappresenta  una  di  quelle
ipotesi,  di  agevole  formulazione,  nelle  quali   la   presunzione
introduce una inaccettabile  disparita'  di  trattamento  (violazione
art. 3 Cast.), imponendo una punizione non  corrispondente  al  fatto
commesso nella sua interezza (violazione  art.  25  cpv.  c.p.),  che
prescinde dalla  responsabilita'  personale  concreta  del  prevenuto
(violazione art. 27 comma 1) ed impone la scelta  di  un  trattamento
punitivo desocializzante (violazione art. 27 comma 3 Cost.). 
    Questo e' tanto piu' vero considerando  che  la  preclusione  non
conosce eccezione neppure nel caso in cui, come  quello  sub  indice,
sussistano  le  condizioni  per  poter  concedere  al  prevenuto   le
attenuanti   generiche   ed   addirittura   quella    della    minima
partecipazione di cui all'art. 114 c.p. . 
    Altre volte la  Consulta  ha  ritenuto  di  censurare  meccanismi
sanzionatori edittali preclusivi della possibilita' di  scegliere  il
trattamento punitivo  corretto  per  il  caso  concreto,  secondo  le
dinamiche della discrezionalita' giudiziale. Si pensi  alla  sentenza
n. 78 del 2007, che ha riconosciuto la illegittimita'  costituzionale
di norme dell'ordinamento penitenziario preclusive della  concessione
delle misure  alternative  alla  detenzione  allo  straniero  entrato
illegalmente  nel  territorio  nazionale;  in  tema  di   trattamento
sanzionatorio nel suo complesso cfr. C.Cost. sent. 68/2012. 
    Sotto il profilo della rilevanza del principio  di  rieducazione,
poi, e' recentemente intervenuta C.Cost. sent. n. 179/2013, nella cui
motivazione si  legge:  «Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  e'
costante l'affermazione secondo cui  la  funzione  rieducativa  della
pena e la risocializzazione del condannato devono avvenire sulla base
di criteri individualizzanti e non su rigidi  automatismi»,  sancendo
che tale principio permea l'intero ordinamento  giuridico  e  non  la
sola normativa inerente la esecuzione penitenziaria.  Tali  principi,
peraltro, erano stati gia' fissati, con estrema chiarezza da  C.Cost.
sent. n. 313/1990 ove la Consulta (decidendo sulla  possibilita'  del
giudice di valutare la congruita' della  pena  indicata  dall'accordo
delle parti) ha affermato come il principio concernente la  finalita'
rieducativa della pena «lungi dal  rappresentare  una  mera  generica
tendenza riferito al solo  trattamento,  indica  invece  proprio  una
delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la  pena  nel
suo tenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta
previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». 
 
             L'art, 13 comma 2-bis del d.lgs. n.74/2000 
 
    La norma impedisce di poter definire il  giudizio  attraverso  lo
strumento del patteggiamento per quegli imputati di  reati  tributari
compresi dagli artt. 2 al  10  d.lgs.  n.  74/2000  che  non  abbiano
provveduto al risarcimento del danno fiscale nei modi preveduti dallo
stesso art. 13. 
    La norma di cui viene eccepita la illegittimita'  costituzionale,
introdotta dall'art. 2, comma 36 viciel semel, lett. m) del  d.l.  13
agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,  nella  legge  14
settembre 2011 n. 148 («Per i delitti  di  cui  al  presente  decreto
l'applicazione della pena  ai  sensi  dell'art.  444  del  codice  di
procedura penale puo' essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra
la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2», ovvero l'estinzione
mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi
dei  delitti  medesimi)  si  pone  in  contrasto   con   i   principi
costituzionali di cui agli artt.  3  e  24  Cost.  sulla  base  delle
seguenti considerazioni. 
    La norma in esame, prevedendo come requisito necessario per poter
accedere al rito speciale di  cui  all'art.  444  c.p.p.  l'integrale
estinzione dei debiti tributari relativi  ai  fatti  costitutivi  dei
delitti previsti dal  d.lgs.  n.  74/2000,  pone  una  ingiustificata
disparita' di trattamento  tra  imputati  del  medesimo  reato.  Tale
limitazione  e'  contraria  al  disposto  di  cui  all'art.  3  della
Costituzione: il principio di eguaglianza impone  che  la  legge  non
possa distinguere le persone in ragione  del  sesso,  della  razza  o
dell'origine etnica, della lingua, della  religione,  delle  opinioni
politiche, ed anche delle condizioni personali e sociali. 
    Subordinare la possibilita' di accesso al rito  speciale  di  cui
all'art. 444 c.p.p. all'estinzione del debito tributario  costitutivo
delle fattispecie disciplinate dal d.lgs. n. 74/2000 altro  non  vuol
dire che subordinare tale modo di esercizio del diritto di difendersi
alla situazione  di  maggiore  o  minore  prosperita'  dell'imputato,
creando, in tal modo, un'irragionevole disparita' di trattamento  tra
soggetti  imputati  del  medesimo  reato,  basata  sulle   condizioni
economiche degli stessi. Tutto cio' si pone altresi'  inevitabilmente
in contrasto con  il  principio  sancito  dall'art.  24  della  Corte
Costituzionale, dal momento che cosi' operando si va  a  limitare  il
diritto di difesa dell'imputato  non  abbiente,  il  quale  si  trova
precluso l'accesso al rito speciale esclusivamente per motivi  legati
alla propria condizione economica. 
    Appare inoltre significativo che solo il titolare  di  una  ditta
individuale od il legale rappresentante di una societa' sono in grado
di procedere alla definizione dei debiti tributari della attivita' di
impresa. I soggetti che, come nel processo in corso,  si  trovano  ad
essere coimputati, ma sono in effetti degli extranei  alla  attivita'
di impresa,  non  hanno  alcuna  possibilita'  di  intervenire  nelle
procedure di estinzione dei debiti tributari. 
 
                         per questi motivi, 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane, la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Solleva, nei termini dianzi indicati, questione  di  legittimita'
costituzionale: 
        1) dell'art.12 comma 2-bis decreto legislativo 10 marzo  2000
n. 74 (introdotto con il d.l. 13 agosto 2011 n. 138,  convertito  con
modificazioni nella legge 14 settembre 2011 n. 148), nella  parte  in
cui esclude, in  relazione  alle  condanne  per  taluno  dei  delitti
previsti  dagli  articoli  da  2  a  10  dello   stesso   d.lvo,   la
concedibilita' della  sospensione  condizionale  della  pena  di  cui
all'articolo  163  del  codice  penale  nei  casi  in  cui  ricorrano
congiuntamente le seguenti condizioni:  a)  l'ammontare  dell'imposta
evasa  sia  superiore  al  30  per  cento  del  volume  d'affari;  b)
l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro; 
        2) dell'art. 13 comma 2-bis del d.lgs. n. 74/2000 (introdotto
con il d.l. 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni nella
legge 14 settembre 2011  n.  148),  nella  parte  in  cui  condiziona
l'accesso all'istituto dell'applicazione della pena di  cui  all'art.
444 c.p.p. alla preventiva estinzione dei debiti tributari; 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri,  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in La Spezia in data 3 dicembre 2013. 
 
                   Il Giudice: dr. Mario De Bellis