N. 154 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 2014
Ordinanza del 16 aprile 2014 emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Marino Pasquale ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri. Impiego pubblico - Abrogazione dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 165/2001 con il quale era stata istituita, previa mediazione della contrattazione collettiva, la Vice-dirigenza - Violazione del principio di certezza del diritto - Violazione del principio di tutela giurisdizionale - Lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sul potere giurisdizionale per l'adozione di legge provvedimento per eludere pronunce giurisdizionali passate in giudicato - Lesione dei principi del giusto processo - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 5, comma 13, abrogativo dell'art. 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. - Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma, 103, primo comma, 111, commi primo e secondo, 113 e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6; Primo Protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1.(GU n.40 del 24-9-2014 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4211 del 2013, proposto da: Pasquale Marino, Maria Rosaria Pettinicchi, Arabella Fazio, Antonino Fazio, Desiderata Fazio, Lidia Ciraolo, Sandra Casella, Umberto Valboa, Nicola Pizzillo, Daniela Santamaria, Silvana Rosa, Antonietta Silvestri, Adriana Mulfetti, Alberto Di Cicco, Alessandra Contento, Vittorio Girgenti, Lucia Zangaraci, Vincenzo Capone, Girolama Piatto, Daniela Rossetti, Maria Vitalba, Marina Gallotta, Maria Antonietta Quarto, Fiorella Russo, Giovanni Verazzo, Luisa Petrarca, Francesco Vocile, Rosaria Monaco, Digna Masarone, Maria Stella Castronovo, Anna Occhipinti, Mariangela Lodato, Luisa Drago, Giuseppa Luisa Immesi, Angela Lanza, Flavio Gebbia, Maria Piera Monteverde, Giuseppe Milone, Giuseppe Piazza, Maurizio Petitto, Paola Maggialetti, Orazio Guagliano, Daniela Bonfiglio, Francesco Leone, Giuseppe Cammilleri, Carmela Marchese, Daniela Bordo, Renato Alberto Villa, Cristina Lanfrit, Elena Merciari, Antonella Perrazzi, Francesca Marina Mangraviti, Rosanna Sacchi, Stefania Di Martino, Maria Concetta Facella, Giusi Concas, Mirella Maria Grande, Giuseppe Piccolo, Rosalia Di Giacinto, Immacolata Cangero, Antonio Romano, Catia Di Stasio, Luca Montefusco, Francesco Petrosino, Stefano Cucurachi, Vincenzo Giglio, Paola Pirro, Anna Luce De Matteis, Giuseppe De Matteis, Bianca Aurora Bottari, Anna Di Lorenzo, Domenico Maurizio, Simona Benvenuto, Alessandra Lulini, Irina Giacomelli, Liliana Bassignana, Giuseppina Giuliana Di Palma, Flavia Maronese, Silvia Palmano, Alessandra Memo, Beatrice Fogolari, Maria Nesca, Sebastiano Aliffi, Claudio Cavarra, Salvatore Corso, Raffaele Golino, Carmela Mazzullo, Enzo Piccione, Michelangelo Pappalardo, Velia Zappala', Renato Chinigo', Carmela Perricone, Gaetano Roggio, Rosa Dipasquale, Giuseppina Campisi, Liliana Lobello, Antonina Rubera, Vita Maria Brugnone, Patrizia Degano, Manuela Bettoli, Mirella Palmarese, Maria Capellupo, Daniela Ciancio, Paola Ruocco, Maria Loredana Nipote, Floriana Orofino, Claudio Domenico Chirizzi, Gianluigi Nenna, Claudia Corso, Giuliana D'Auria, Paolo Capobianco, Patrizia De Nunzio, Angelo Biancolilli, Aurelia Biancolilli, Pasquale Ianniello, Vincenzo Bianco, Sandra Sarni, Luigi Alfonso, Angela Pittalis, Giuseppe Angelo Manca, Daniela Cesaraccio, Paolo Bonu, Paolo Serra, Antonio Placenza, Vincenzo Romano, Gaspare Ferro, Giuseppe Lombardo, Tindaro Salmeri, Santo Caldarera, Felice Cicciarella, Maria Letizia Raineri, Fausta Bellagamba, Maria Laura Rodino', Eleonora Da Re, Silvia Callucci, Rita Ventola, Maria Macchia, Giuliana Andreozzi, Aliffi Maria, rappresentati e difesi dall'avv. Flavio Maria Polito, con domicilio eletto presso Flavio Maria Polito in Roma, via Nino Oxilia, 21; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministro per la pubblica amministrazione e le riforme, Capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, ope legis, domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma: Sezione I n. 09220/2012, resa tra le parti, concernente ottemperanza sentenza n. 4266/2007 T.A.R. Lazio sezione I - silenzio serbato dall'amministrazione su procedure concorsuali. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministro per la pubblica amministrazione e le Riforme e del Capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2013 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Polito e l'Avvocato dello Stato Andrea Fedeli; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. Marino Pasquale ed altri 371 funzionari, dipendenti dell'Amministrazione della giustizia, nel 2007 presentarono ricorso ex art. 21-bis innanzi al T.A.R. del Lazio, contro la Presidenza del consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze ed il dipartimento della funzione pubblica. Impugnarono, cosi', i1 silenzio serbato dalle Autorita' sull'atto di diffida notificato dagli stessi ricorrenti il 20 luglio 2006, con il quale essi sollecitavano l'emanazione della direttiva contrattuale prevista dall'art. 10, III comma, della legge 15 luglio 2002, n. 145, per l'istruzione dell'area della vicedirigenza. Stabiliva invero il ripetuto art. 10, III comma, che «la disciplina relativa alle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 7, che si applicano a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, resta affidata alla contrattazione collettiva», e cio' «sulla base di atti d'indirizzo del Ministro per la funzione pubblica all'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) anche per la parte relativa all'importo massimo delle risorse finanziarie da destinarvi». A sua volta, l'art. 7, III comma, aveva introdotto l'art.17-bis del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale (nel testo poi modificato dall'art. 14-octies, d.l. 30 giugno 2005, n. 115), disponeva, al I comma, che «La contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l'Istituzione di un'apposita separata area della vicedirigenza nella quale e' ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianita' in dette posizioni o nelle corrispettive qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento». Il ricorso avverso il silenzio venne accolto con la sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, la quale ordino' conclusivamente al Presidente del consiglio dei ministri, al ministro per la funzione pubblica ed al ministro dell'economia e delle finanze, ciascuno per la parte di competenza, «di esercitare le proprie attribuzioni per riscontrare in via definitiva l'istanza di parte ed il conseguente atto di messa in mora entro il termine di sei mesi decorrente dalla data di notifica ad esse della presente sentenza, che avverra' a cura della parte ricorrente». La sentenza fu depositata nel maggio 2007 e passo' in giudicato, ma non vi fu mai prestata osservanza, sicche' gli interessati presentarono un'istanza, depositata il 26 luglio 2011, per la nomina, ex art. 117, III comma, c.p.a. di un commissario ad acta che provvedesse, in luogo delle Amministrazioni inerti, agli adempimenti discendenti dalla sentenza stessa. A conclusione di una fase interlocutoria, persistendo l'inerzia dell'Amministrazione, fu emessa dalla Sezione I del T.A.R. Lazio la sentenza 16 maggio 2012, n. 4391, in cui, riassunta l'intera vicenda, si e' rilevato come, per dare attuazione alla sentenza n. 4266/07 della Sezione, dovesse essere esercitato - con specifico riferimento al personale del Ministero della giustizia, questo essendo il limite soggettivo del giudicato - il potere di indirizzo nei confronti dell'A.R.A.N; potere appartenente, come settore, al Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione (gia' Ministro per la funzione pubblica), di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (art. 41, III comma, d. lgs. n. 165/01, nel testo vigente). Cosi', per dare pieno adempimento alle prescrizioni contenute nella sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, e' stato nominato commissario ad acta il capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il commissario nominato ha in seguito trasmesso al giudice dell'esecuzione la nota 12 settembre 2012, in cui si fa presente «che l'articolo 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, che aveva previsto l'istituzione, previa la mediazione della contrattazione collettiva, della vicedirigenza». Pertanto, prosegue la nota, «ritengo sia venuta meno ogni attivita' da espletare in ottemperanza alla predetta sentenza. In ogni caso, sono gradite le istruzioni che codesto Tribunale, ai sensi dell'art. 117, co. 4, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, vorra' fornire in ordine alla eventuale prosecuzione dell'incarico di questo commissario ad acta». La prima sezione del T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 9220/2012, condividendo le conclusioni del commissario, dichiara cessato l'incarico commissariale ed improcedibile il giudizio di ottemperanza, per sopravvenuta carenza d'interesse. Il ricorso di primo grado sollevava questioni di legittimita' costituzionale e comunitaria della disciplina legislativa. Il T.A.R. adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto le censure di incostituzionalita', statuendo che: «E' d'altronde manifestamente infondata, almeno con riferimento al presente giudizio, la questione di costituzionalita' posta dai ricorrenti con riferimento al citato art. 5, XIII comma, del d.1. 6 luglio 2012, n. 95. Invero, la Corte ha giudicato incostituzionali tali le norme che travolgano provvedimenti giurisdizionali definitivi ed incidano sui regolamenti dei rapporti in essi consacrati (cfr. Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 364): ma, come gia' osservato, la sentenza 4266/07 di questa Sezione aveva soltanto stabilito l'obbligo di avviare la procedura per l'introduzione della vicedirigenza, che era pero' ben lungi dall'essere stata concretamente introdotta, e tanto meno attribuita ai ricorrenti quando e' intervenuta la norma che ha abrogato tale qualifica: sicche' tra questa e quella non si puo' ravvisare un effettivo conflitto». Quest'ultima pronuncia e' oggetto di gravarne innanzi a questo Consiglio di Stato. Gli appellanti lamentano la sospetta incostituzionalita' dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, con riferimento agli artt. 24, 102, 103, 111 e 117 Cost. In particolare, ad avviso degli odierni appellanti, la dinamica temporale dell'intervento legislativo dimostra chiaramente la volonta' di eludere il dettato di una sentenza oramai divenuta res iudicata, determinando, quindi, un intollerabile sovrapposizione del potere normativo sul potere giudiziario ed una ingiusta compressione di un diritto irretrattabilmente quesito dalla parte che era risultata vittoriosa nei precedenti giudizi. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza dell'appello e delle questioni di costituzionalita' con il medesimo dispiegate. La difesa erariale, ricostruito il quadro storico della normativa, rappresenta che l'intento del legislatore non era quello di eludere un giudicato formatosi tra le parti, ma di introdurre misure volte a garantire il contenimento della spesa pubblica. Ad avviso delle amministrazioni appellate, quindi, come da consolidata giurisprudenza costituzionale, la garanzia di tenuta dei conti pubblici, secondo obiettivi e finalita' sia di rilevanza costituzionale che comunitaria, costituisce un «motivo imperativo di interesse generale», ai sensi dell'art. 6 CEDU. Questo Collegio, tuttavia, ravvisa dubbi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'articolo 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 e quindi - riservata ogni ulteriore statuizione sul merito e sul regolamento delle spese processuali del giudizio - ritiene di dover sospendere il giudizio e disporre la trasmissione degli atti del processo alla Corte costituzionale. Prima di illustrare le ragioni della ravvisata rilevanza e della ritenuta non manifesta infondatezza della questione che si intende sottoporre al vaglio di legittimita' della Corte costituzionale, giova ricordare che il testo della disposizione legislativa (abrogativa) attorno alla quale si addensano le perplessita' del Collegio si inserisce nell'ottica della riduzione di spesa della pubblica amministrazione (c.d. spending review). Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Il Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale, meglio dettagliata di seguito, sia rilevante ai fini del decidere. Si e' difatti riferito, nella superiore narrativa del fatto, che a seguito dell'intervento abrogativo del Legislatore, il T.A.R. ha ritenuto improcedibile il giudizio di ottemperanza relativo all'esecuzione della sentenza 10 maggio 2007, n. 4266, per sopravvenuta carenza di interesse. Da cio' consegue che, laddove la Corte costituzionale non dovesse condividere le perplessita' nutrite da questo Consiglio in ordine all'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, allora la controversia dovrebbe essere decisa in maniera conforme a quanto stabilito dal giudice di prime cure. Di contro, qualora la Corte costituzionale dovesse dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, allora i ricorrenti risulterebbero soddisfatti dalla pronuncia di questo Consiglio, il quale potrebbe pronunciarsi anche sul regolamento delle spese processuali del giudizio. Non v'e' dubbio, poi, che i ricorrenti, odierni appellanti, siano titolari di un interesse all'esatta ottemperanza alle statuizioni contenute nell'originario dictum giurisdizionale in ordine al silenzio serbato dalla p.a., che comporterebbe evidenti riflessi sul patrimonio degli stessi; non puo', dunque, dubitarsi che detto interesse sia meritevole di tutela in sede giurisdizionale. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Al fine di chiarire le ragioni della ravvisata non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale occorre innanzitutto muovere dalla considerazione che questo Consiglio non condivide le ricostruzioni del quadro normativo svolte dal giudice di prime cure. Ad avviso del Tribunale tale abrogazione non si sarebbe sovrapposta ad un provvedimento giurisdizionale definitivo che incide sul regolamento dei rapporti tra le parti in causa (id est la sentenza n. 4266/07 dello stesso T.A.R. Lazio); inoltre la sentenza n. 4266/07 avrebbe soltanto stabilito l'obbligo di avviare la procedura per l'introduzione della vicedirigenza, che era pero' ben lungi dall'essere stata concretamente introdotta, e tanto meno attribuita ai ricorrenti, quando e' intervenuta la norma che ha abrogato tale qualifica: sicche' tra questa e quella non si potrebbe ravvisare un effettivo conflitto. Ad avviso di questo Consiglio le argomentazioni addotte dal Tribunale a sostegno dei riferiti approdi esegetici non e' convincente. Molti dubbi solleva la successione temporale dell'intervento abrogativo, chiaramente diretta a paralizzare l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 4266/07 sez. I del T.a.r. Lazio. Il giudice di prime cure non ha considerato che la norma soppressiva della vicedirigenza e' stata emanata a distanza di 10 anni dall'introduzione dell'istituto, ad opera dell'art. 7, comma terzo, della L. n. 145 del 15 luglio 2002, ed a distanza di 5 anni dalla formazione del giudicato; e che, da ultimo, il comma 13 dell'art. 5 e' stato emanato solo dopo la notificazione della sentenza del T.a.r. del Lazio. Questo quadro temporale l'asserita urgente soppressione dell'istituto della vicedirigenza appare visibilmente connessa, con un legame eziologico di tipo causa-effetto, alla nomina del commissario ad acta. L'intento elusivo del giudicato e' quindi evidente e rende obiettivo il dubbio che la disciplina legislativa in questione sia stata posta, con eccesso di potere legislativo e con violazione dell'art. 101 Cost., non per regolare astrattamente la materia, ma per incidere sulle sorti del procedimento giurisdizionale in corso. Il punto di approdo del ragionamento giuridico, inoltre, non puo' concentrarsi solo sul contenuto conformativo della sentenza da eseguire, ma deve tener conto anche della sovrapposizione dell'intervento legislativo alla giurisdizione ed alla condizione di parita' tra le parti davanti al giudice imparziale. Sui motivi che inducono questo Consiglio a dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, valgano le seguenti considerazioni. 1. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 in relazione agli artt. 3, 111 e 117, Cost, con riferimento all'art. 6, comma primo, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). La disposizione della cui legittimita' costituzionale si dubita ha vulnerato il diritto di difesa ed il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Con l'intervento normativo si e' vanificato il diritto di difesa dei ricorrenti, esercitato con la proposizione dell'azione e soddisfatto con le pronunce di accoglimento delle domande, nonche' con l'inizio dell'esecuzione, alterando la regolamentazione degli interessi stabilita da sentenze esecutive. Sotto un ulteriore profilo, l'art. 3 della Costituzione risulta violato in quanto le leggi-provvedimento sono soggette ad uno scrutinio stretto di legittimita' costituzionale e, nella specie, la scelta operata dal legislatore appare irragionevole ed arbitraria, dato che la legge-provvedimento ha finito per incidere su un numero determinato e limitato di persone. E' d'uopo ricordare che il combinato disposto delle norme costituzionali, e delle succitate norme interposte di matrice comunitaria, costituiscono un corpus unico ed indivisibile con riferimento alla tutela delle ragioni del singolo. Gia' in passato la Corte Cedu (cfr. Agrati ed altri c. Italia, sent. 7 giugno 2011) ha ritenuto contrastanti con l'art. 6 della CEDU e con l'art. 1 del protocollo aggiuntivo l'introduzione da parte dello Stato Italiano di norme interpretative retroattive incidenti in senso sfavorevole ai ricorrenti sui giudizi in corso. In particolare l'Alta Corte ha sottolineato come «se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'articolo 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (sentenze Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis succitata, § 49, serie A n. 301-B; Zielinski e Pradal & Gonzalez ed altri succitata, §57). La Corte rammenta inoltre che l'esigenza della parita' delle armi implica l'obbligo di offire a ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte (si vedano in particolare le sentenze Dombo Beheer B. V. c. Paesi Bassi del 27 ottobre 1993, § 33, serie A n. 274, e Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis, succitata, § 46)». Nel caso de quo e' incontestabile il contrasto della norma nazionale, art. 5 comma 13 del D.l. n. 95/2012, con 1'art. 6 della CEDU e con l'art. 1 del protocollo n. 1. Ed invero, la norma, nel sopprimere retroattivamente ogni effetto prodotto dal giudicato ha influenzato l'esito del giudizio, privando, nel corso dell'esecuzione, il commissario ad acta dei poteri assegnatigli dal giudice amministrativo e finalizzati all'attuazione dei precetti contenuti nel giudicato, venendo cosi' a violare il diritto dei ricorrenti assicurato dall'art. 6 della CEDU a un processo equo, ispirato alla parita' tra le parti ed alla preminenza del diritto. L'esecuzione completa del giudicato costituisce un diritto riconosciuto alla parte vittoriosa affinche' non ottenga, dopo anni di battaglie giudiziarie, una soddisfazione inesistente e menomata. E non v'e' nemmeno dubbio che i ricorrenti disponessero di un bene suscettibile di essere tutelato dall'articolo 1 del Protocollo n. 1. E' solo il caso di rammentare che, come da consolidata giurisprudenza della Corte CEDU (cfr. Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU 2005 IX, il concetto di «beni», infatti, puo' coprire tanto i «beni attuali» quanto le «legittime speranze», posto che il riconoscimento abbia una base sufficiente nel diritto interno, il che e' confermato da una giurisprudenza ben consolidata degli organi giudicanti. Nel caso di specie siamo ben al di la' delle legittime speranze, perche' i ricorrenti, odierni appellanti, hanno diritto all'integrale esecuzione della res iudicata. Ad avviso del Collegio, la norma della cui legittimita' costituzionale si tratta ha comportato un'ingerenza nell'esercizio dei diritti che i ricorrenti potevano far valere in virtu' di una sentenza passata in giudicato e della quale era in corso l'esecuzione. Per quanto esposto, la rilevata violazione delle nome interposte offre sicuro fondamento al sospetto di incostituzionalita' dell'art. 5, comma tredici, del D.L. n. 95/2012 per conflitto con il comma primo ed il secondo comma dell'art. 111 della Costituzione. Nel caso sottoposto ad analisi la novella si e' sovrapposta alla giurisdizione ed ha radicalmente eliminato la condizione di parita' davanti al giudice imparziale e terzo. 2. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101 e 113, Cost. La peculiare antigiuridicita' della legge sospetta di incostituzionalita' conforma il dettato normativo come legge-provvedimento. Infatti il comma tredici, dell'art. 5 D.L. n. 95/2012 ha introdotto una specifica previsione a contenuto particolare e concreto, inequivocabilmente diretta ad interferire in termini ostativi sull'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 4266/07. L'intervento del Legislatore configura un tipico caso di legge-provvedimento. E' vero che la Corte costituzionale ha affermato che non e' preclusa alla legge ordinaria la possibilita' di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati all'autorita' amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto (sent. n. 347/95); ma ha parimenti precisato che «queste leggi sono ammissibili entro limiti sia specifici, quale e' quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alle cause in corso, sia generali, e cioe' del principio della ragionevolezza e non arbitrarieta'» (cfr. sentt. n. 495/95, ma anche n. 346/91 e n. 143/89). In particolare, in un caso simile a quello in questione, la Consulta ha censurato le norme «il cui intento non sia quello di stabilire una regola astratta, ma di incidere su di un giudicato, non potendosi consentire al legislatore di risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie e di vanificare gli effetti di una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, violando i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernente la tutela dei diritti e degli interessi legittimi» (sent. n. 374/2000). La palese incidenza sulla res iudicata esclude che la disposizione operi soltanto sul piano normativo perche', come dianzi esposto, disvela in modo incontestabile la volonta' di scavalcare il giudicato. Cosi' come stabilito dai giudici costituzionali la valutazione delle circostanze temporali in cui si inserisce un intervento legislativo e' fondamentale in ordine alla costituzionalita' dello stesso, in particolare: «Nel caso in esame peculiare valenza sintomatica assume la considerazione del tempo, delle modalita' e del contesto in cui e' stata emanata la disposizione censurata» (sent. n. 267/2007). Da quanto esposto e considerato ne deriva, inoltre, il conflitto anche con l'art. 24 della Carta Costituzionale, che garantisce la tutela dei diritti e degli interessi e fa divieto alla legge di incidere e/o modificare questioni coperte dal giudicato. Inoltre, la norma in esame, mirando ad evitare che sia data esecuzione ad una sentenza definitiva ed esecutiva, viola il canone di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione ed il principio del legittimo affidamento del cittadino (artt. 3 e 97 della Costituzione). 3. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 in relazione agli artt. 102, primo comma, 103, primo comma, Cost. Il comma 13 dell'art. 5 D.L. 6 luglio 2012, n. 95, vanificando gli effetti di una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, ha invaso l'area riservata alla funzione giurisdizionale, vulnerando il principio della divisione dei poteri giurisdizionali e normativi. Di qui il denunciato conflitto con gli artt. 102 e 103 della Costituzione, i quali attribuiscono l'esercizio della funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari ed amministrativi per la tutela neutrale dei diritti e degli interessi legittimi. Il Collegio, pertanto, visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della L. Cost. n. 1/1948 23 e segg. della L. 87/1953, sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, che aveva previsto l'istituzione, previa la mediazione della contrattazione collettiva, della vice dirigenza, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 111, 113, 117, Cost.
P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza, rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 13, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha disposto l'abrogazione dell'articolo 17-bis del D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, che aveva previsto l'istituzione, previa la mediazione della contrattazione collettiva, della vice dirigenza, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, 103, 111, 113, 117, Cost., sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Virgilio, Presidente; Nicola Russo, Consigliere, Estensore; Raffaele Potenza, Consigliere; Andrea Migliozzi, Consigliere; Giulio Veltri, Consigliere. Il Presidente: Virgilio L'estensore: Russo