N. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2014
Ordinanza del 13 marzo 2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Sarubbi Giuseppe contro Comune di Napoli ed altri. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale, classificate tali negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6 settembre 1985 - Esclusione dall'ambito operativo della deroga delle aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO - Mancata previsione - Violazione del principio di tutela del paesaggio - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione UNESCO. - Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 2. - Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Ipotesi di riconoscimento ex lege del carattere di interesse paesaggistico e relativa disciplina di tutela - Inclusione dei siti per i quali e' intervenuto il riconoscimento di patrimonio mondiale UNESCO - Mancata previsione - Violazione del principio di tutela del paesaggio - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione UNESCO. - Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 1. - Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Siti per i quali e' intervenuto il riconoscimento di patrimonio mondiale UNESCO - Obbligo per le Amministrazioni di adottare un provvedimento di vincolo paesaggistico su detti siti - Mancata previsione - Violazione del principio di tutela del paesaggio - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione UNESCO. - Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 134, 136, 139, 140 e 141. - Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma.(GU n.44 del 22-10-2014 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA (Sezione Quarta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 290 del 2012, proposto da: Giuseppe Sarubbi, rappresentato e difeso dagli avv. Guido D'Angelo e Felice Laudadio, con domicilio eletto presso l'avv. Guido D'Angelo in Napoli, via del Rione Sirignano, n. 6; Contro Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Romano, Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Bruno Ricci, domiciliato o in Napoli, presso l'Avvocatura Municipale - p.zza S. Giacomo; Regione Campania; Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11; Per l'annullamento, previa adozione di misura cautelare, a) delle disposizioni dirigenziali congiunte n. 4 del 19.10.2011 del dirigente II Municipalita' e n. 419 in pari data del dirigente del servizio antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli aventi ad oggetto annullamento della DIA n. 212/2005 ed ordine di demolizione per parte degli abusi, ed irrogazione di sanzione pecuniaria per parte degli abusi; b) nonche' degli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare: - della nota del 23.9.2011 del Dipartimento Pianificazione Urbanistica - Servizio Supporto Giuridico-Economico del Comune di Napoli; - delle note del Dipartimento Urbanistica prot. 236/a dell'11.3.2010, prot. 247/a del 17.3.2010 e nota 27.10.2010 della Soprintendenza; - dei verbali 12.3.2008 e 8.4.2008 di validazione del formato digitale dei perimetri delle aree vincolate ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e del conforme certificato di destinazione urbanistica; - per quanto occorra dell'art. 124 della Variante Generale al PRG approvata con DPGRC n. 323/2004; - della nota prot. 1825 del 21.7.2010, contenente avviso del procedimento di riesame tra l'altro della DIA n. 212/05; - della nota prot. 1825 del 21.2.2010 della II Municipalita'; - per quanto occorra delle note 7.9.2011 del Dipartimento di pianificazione urbanistica e del 28.9.2011 dell'Unita' condono edilizio; c) Di tutti gli atti gravati con i pendenti ricorsi R.G. 7185/09 e 6004/10 e relativi motivi aggiunti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Napoli e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero Per i Beni e le Attivita' Culturali e di Soprintendenza Per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 novembre 2013 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Il ricorrente e' destinatario delle disposizioni dirigenziali congiunte n. 4 del 19.10.2011 del dirigente II Municipalita' e n. 419, di pari data, del dirigente del Servizio antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli aventi ad oggetto annullamento della DIA n. 2153/05 (pratica n. 212/2005) e conseguente ordine di demolizione per parte degli abusi edilizi, nonche' di irrogazione di sanzione pecuniaria per parte degli abusi, su di un immobile sito in Napoli alla via C. Colombo n. 45, destinato ad attivita' alberghiera e precedentemente adibito ad uffici, noto come edificio ex Flotta Lauro, e attualmente denominato "Hotel Romeo". In particolare, il ricorrente ha ricoperto il ruolo di Direttore dei lavori dell'annullata DIA, presentata il 13.6.2005. In punto di fatto, all'esito di lavori di consolidamento strutturale dell'edificio suddetto in Napoli alla via C. Colombo n. 45, eseguiti giusta DIA n. 23/2004, e' stata presentata al Comune di Napoli la DIA pratica n. 212/2005 al fine di realizzare lavori volti al mutamento di destinazione ad uso alberghiero dell'immobile. Quest'ultima DIA contemplava un intervento di ristrutturazione edilizia mediante parziale demolizione e ricostruzione, asseritamente senza aumento di volume ed a tale denuncia erano allegate planimetrie contenenti lo stato di fatto e quello di progetto dell'edificio. Le opere sono state ultimate in data 14.12.2007, giusta comunicazione di fine lavori depositata agli atti del Comune di Napoli. Il Comune di Napoli, con nota del 21.7.2010, comunicava l'avvio di un procedimento di riesame delle denunce di inizio attivita' in base alle quali erano stati eseguiti lavori edili per l'Hotel Romeo, tra cui la DIA n. 2153 del 13.6.2005. Gli elementi indicati nell'avviso di avvio del riesame erano oggetto di controdeduzioni della societa' Romeo con nota del 5.8.2010. Il Comune concludeva il procedimento di riesame della DIA n. 2153 (pratica n. 212/2005) con le determinazioni congiunte del 19.10.2011 n. 4 e n. 419, che hanno dichiarato l'inefficacia della suddetta DIA, in ragione del mancato rispetto del vincolo paesaggistico (che avrebbe imposto l'acquisizione del parere della competente Soprintendenza). Inoltre, ritenendo essere intervenuto un aumento volumetrico non consentito dalla normativa urbanistica vigente per la zona in esame, le medesime determinazioni congiunte hanno diffidato la societa' alla demolizione delle opere eseguite su parte del piano ottavo e sull'intero nono piano, applicando per i restanti abusi la sanzione pecuniaria. Piu' nello specifico, le ripetute determinazioni congiunte hanno in sostanza dichiarato senza effetto la DIA perche' l'immobile in questione sarebbe stato assoggettato al vincolo di cui all'art. 142, comma 1, lett. a), D.Lvo n. 42/04 s.m.i. e non era stato acquisito il necessario atto di assenso rilasciato dalla Soprintendenza, tenuto conto delle conseguenti prescrizioni del suindicato D.Lvo n. 42/04. Hanno quindi ordinato la demolizione degli interventi realizzati in base a tale DIA e in parte in sua difformita', in quanto in contrasto con l'art. 124, comma 2, della variante al PRG, che consente interventi di ristrutturazione edilizia solo a parita' di volume legittimo esistente. Quanto al primo punto il Comune ritiene l'immobile assoggettato a vincolo ex lege di cui alla cd. legge Galasso per essere lo stesso situato nella fascia dei 300 mt dalla battigia - ai sensi dell'art. 142 comma 1 D.lgs. 42/2004 - non ritenendo che vi siano gli estremi per la deroga del vincolo previsto ex lege, ai sensi dell'art. 142, comma 2, medesimo D.Lgs. 42/2004 (in ragione della qualificazione dell'area negli strumenti urbanistici vigenti al 1985 che secondo il Comune non rientrava in zona A e B). In particolare, secondo il Comune, l'area su cui insiste l'immobile risulta sottoposta al vincolo paesaggistico ope legis in quanto alla data del 6 settembre 1985, il PRG del 1972 classificava l'area come zona D - Estensione e completamento, sottozona D/2, disciplinata dall'art. 10 delle NTA, secondo quanto risulterebbe dalla Tavola 3 della zonizzazione e come si evincerebbe testualmente dal D.M. n. 1829 del 31.3.1972 di approvazione del PRG. Quanto al secondo punto, a fronte della contestazione dell'incremento volumetrico la parte ricorrente aveva controdedotto che non vi sarebbe stato alcun incremento volumetrico bensi' una traslazione di volumi recuperati da spazi destinati a volumi tecnici. Secondo il Comune si sarebbe comunque realizzato un incremento volumetrico, non potendo essere condiviso il criterio di calcolo dei volumi esistenti e di progetto, eseguito dal progettista il quale avrebbe sottratto dalla volumetria utile originaria volumi interni all'edificio - destinandoli, nel nuovo progetto, a vani scala, alloggi degli ascensori, cavedi e luoghi statici sicuri - ed avrebbe recuperato tali volumi all'undicesimo livello fuori terra (piano 90), in contrasto con l'art. 7 della Variante al PRG, che fissa le modalita' di calcolo delle volumetrie utili e le eventuali esclusioni. Il Comune, nelle determinazioni congiunte in esame, dava altresi' atto di avere esaminato le controdeduzioni dell'interessato non trovandole determinanti e dava conto della sussistenza di un interesse pubblico all'adozione della misura di autotutela, rilevando tra l'altro la presenza di un interesse di rango costituzionale di tutela del paesaggio. Parte ricorrente insorge avverso le determinazioni congiunte del 19.10.2011 n. 4 e n. 419 e avverso tutti gli atti in epigrafe, lamentando censure di violazione di legge, difetto di istruttoria ed eccesso di potere. In particolare lamenta: 1) L'insussistenza sulla zona in questione del vincolo di cui all'art. 142, comma 1, lett. a) D.L.vo n. 42/04 e, pertanto, l'assenza della necessita' del nulla osta paesaggistico. Sussisterebbero, infatti, i presupposti di fatto per applicare la deroga all'assoggettabilita' dei lavori alla autorizzazione paesaggistica, giusta il disposto dell'art. 142 comma 2 D.lgs. 42/2004. Il PRG, secondo la zonizzazione della tavola di riferimento (che deve considerarsi la tavola 5 in quanto redatta ai sensi del DM 1444/68) classifica l'area su cui sorge l'immobile della societa' Romeo quale zona "B" disciplinata altresi' dall'articolo 2 delle NTA. Di conseguenza, la inclusione dell'area in zona B alla data del 6.9.1985 rende operativa la deroga al vincolo paesistico ex lege di cui all'art. 142 co 2 D.Lgs. 42/2004; 2) L'insussistenza di incrementi volumetrici. L'intervento proposto in DIA e successivamente realizzato avrebbe dato luogo ad una ristrutturazione con spostamento di alcuni volumi in diverse allocazioni ma senza modificare la volumetria dell'edificio, ne' sarebbe stato realizzato alcun piano supplementare. In ogni caso le opere realizzate consisterebbero in interventi di ristrutturazione edilizia realizzati con DIA sostitutiva, considerato che, ai sensi all'art. 20 D.P.R. 380/2001, anche la ristrutturazione pesante e' stata resa assentibile con DIA alternativa al permesso di costruire. Parte ricorrente contesta, inoltre, la fondatezza di altri rilievi di incidenza parziale come l'installazione al nono piano di impianti tecnologici, la realizzazione di una chiusura a veranda sul terrazzo dell'ottavo piano con copertura di teli impermeabili e infissi metallici e la realizzazione di un nuovo volume sempre al nono piano; 3) Ancora l'assenza del vincolo paesaggistico ex art. 124 D.Lgs. n. 42/2004, gia' dedotta nel primo motivo di ricorso; 4) La violazione dell'art. 21-nonies legge n. 241/90 perche', contrariamente a quanto indicato nel provvedimento gravato, non sussisterebbe un concreto e specifico interesse pubblico che giustificherebbe l'adozione dell'atto di autotutela nei confronti della DIA; 5) Lo sviamento di potere non perseguendo il provvedimento impugnato l'interesse urbanistico e deviando l'atto sanzionatorio dalla sua funzione tipica; 6) La violazione dell'art. 7 legge n. 241/1990, per non essere state prese in considerazione le osservazioni presentate nel corso del procedimento; 7) L'illegittimita' del provvedimento non essendo stato realizzato alcun incremento volumetrico ed essendo quindi applicabile tutt'al piu' una sanzione pecuniaria. Al riguardo e' stata effettuata una consulenza tecnica di ufficio, vertente sulla duplice questione dell'esistenza o meno del vincolo paesaggistico sull'area in oggetto e sull'aumento di volumetria e di altezza, ritenuti i punti focali di risoluzione della controversia, di cui la prima si rivela in ogni caso determinante ai fini della decisione del presente giudizio, essendo stata la presenza del vincolo elemento posto a fondamento dell'impugnato atto di autotutela sulla DIA. Il CTU ha depositato relazione ed allegati in data 30 settembre 2013. Osserva il Collegio come rivesta carattere prioritario l'esame degli accertamenti di natura urbanistica compiuti dal Consulente di ufficio, al fine di verificare la vigenza del vincolo paesaggistico in ragione della classificazione urbanistica della zona alla data del 6 settembre 1985. Si verte in proposito sulla difforme classificazione della medesima zona operata nella tavola 5 del PRG, ove la stessa e' indicata quale zona B, e nella tavola 3 allegata al PRG, ove figura indicata come zona D2. Al riguardo la difesa dell'amministrazione comunale ha sostenuto che la tavola 5 non sarebbe efficace e probante, in quanto non approvata, si' che l'unica tavola di riferimento dell'intero PRG dovrebbe considerarsi la tavola 3. Occorre affrontare preliminarmente la questione dell'individuazione delle prescrizioni di zona imposte dal piano regolatore generale del Comune di Napoli rispetto all'ambito territoriale in cui sono stati realizzati gli interventi edilizi in oggetto. Il CTU in proposito ha rilevato quanto segue: «In conseguenza delle ingenti distruzioni belliche causate dal conflitto della II guerra mondiale, si intese disciplinare l'opera di ricostruzione che appariva urgente ed indilazionabile, adottando appositi piani (di ricostruzione) per il recupero del patrimonio edilizio pubblico e privato degli abitati danneggiati. Il Piano che ha interessato l'ambito della via Marittima, in cui ricade l'immobile poi trasformato in "Hotel Romeo", fu denominato "Piano di Ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato ed adiacenze". Esso era stato redatto dalla Commissione del Piano Regolatore di Napoli ed approvato con D.M.LL.PP. n. 2101 del 27.09.1946. Seguirono diverse varianti. Quella che nel 1950 consenti' la realizzazione dell'edificio destinato a sede degli uffici della Flotta Lauro venne approvata con D.M. n. 3181/3533/3041 del 23 settembre 1949, all'esito dei pareri favorevoli del Consiglio Superiore Lavori Pubblici resi con i voti del 1° agosto 1949, n. 2149 e 6 settembre 1949, n. 2647. Lo strumento urbanistico generale vigente all'epoca era il Piano regolatore del 1935 ...». Prosegue il CTU osservando come in seguito alla adozione della legge urbanistica del 1942, il Comune di Napoli attivo' il procedimento per la redazione del nuovo PRG; "Il Consiglio Superiore Lavori Pubblici rese parere favorevole sul Progetto di piano regolatore, adottato dal Consiglio comunale con Deliberazione n. 1 del 12 marzo 1970, nelle adunanze del 17/23 dicembre 1971 e del 21 gennaio 1972, proponendo modifiche, stralci, prescrizioni e raccomandazioni che, sentito il Comune, furono recepiti nel Decreto del Ministero per i lavori pubblici - Div. 23ª-quinquies - n. 1829 del 31 marzo 1972 di approvazione del piano. Con la Deliberazione della Giunta municipale n. 80 del 8 marzo 1972, ratificata dal Consiglio comunale con la Deliberazione n. 1 del 10 marzo 1972, furono rese le controdeduzioni del Comune di Napoli, rimesse al Ministero con nota n. 5511 del 13 marzo 1972, unitamente agli atti del Progetto di piano (5) costituiti da: a) l'album a stampa contenente la cartografia; b) il volume a stampa delle norme di attuazione; c) il volume a stampa della relazione del progetto del nuovo piano regolatore.". Il Progetto di piano regolatore esaminato dal Consiglio Superiore Lavori Pubblici fu restituito al Comune di Napoli (unitamente al D.M. 1829/72 di approvazione) che lo acquisi' in data 7 giugno 1972 al n. 139582 del protocollo generale, come attestano le segnature apposte sugli elaborati raccolti nell'atlante, accertate dal CTU. Il consulente da quindi conto degli elementi raccolti al fine di affermare la vigenza di entrambe le tavole (la n. 3 e la n. 5) allegato al Piano regolatore: "Il progetto del Prg era composto da tre tipi di elaborati (cartografia, norme di attuazione e relazione), cosi' come accertato dal sottoscritto Ctu e come risulta dalla nota prot. 5511/1972 e dai seguenti passi tratti dalla Relazione: "Il «progetto del piano regolatore generale» (come l'art. 9 della legge urbanistica definisce il documento elaborato dal Comune, che deve essere successivamente «presentato» al Ministero per i lavori pubblici) consta di tre tipi di elaborati: A - la cartografia (raccolta in «atlante», preceduto da un indice o foliario, da un frontespizio per ciascuna tavola e, dove necessario,dalla legenda o dalla tavola di unione dei «fogli»); B - le norme di attuazione, raccolte in separato fascicolo e costituite da 25 articoli e 3 tabelle (28 riferite agli ambiti e 5 alle aree per concentrazioni di attrezzature a scala di settore urbano); C - la relazione che comprende la presente introduzione, la relazione tecnica del Comitato per il piano regolatore e la relazione economico-finanziaria con la previsione di massima delle spese occorrenti per l'acquisizione delle aree e per le sistemazioni generali necessarie per l'attuazione del piano". A sua volta, la cartografia raccolta nell'atlante consta dei seguenti elaborati grafici. "Tavola 1 (in cinque fogli): Cartografia descrittiva della situazione esistente sulla base del rilievo aerofotogrammetrico del territorio comunale aggiornato al 28 luglio 1968 (scala 1:10.000). Tavola 2 (in un foglio): Inquadramento dell'area comunale nel territorio circostante con la precisazione dei vincoli derivanti dagli strumenti urbanistici territoriali gia' operanti (scala 1:100.000). Tavola 3 (in cinque fogli preceduti dalla legenda recante i colori indicativi delle zone e sottozone ed i simboli degli altri vincoli di piano): Tavola generale di piano in iscala al 10.000. Tavola 4 (in ventisei fogli preceduti dal quadro di unione) Riproduzione in iscala al 4.000 delle soluzioni di piano. Tavola 5 (in cinque fogli): Classificazione del territorio comunale in zone omogenee ai sensi e per gli effetti dell'art. 2 del decreto interministeriale 2 aprile 1968 (scala 1:10.000). Tavola 6 (in cinque fogli): Ambiti, settori urbani ed aree destinate a concentrazioni di servizi ed attrezzature a scala di settore urbano (scala 1:10.000). Tavola 7 (in cinque fogli): Rete cinematica (scala 1:10.000)." Aggiunge il Consulente: "La riproduzione del disegno e' a stampa, derivata da un solo prototipo, ad evitare il ripetersi delle incredibili vicende del piano del '39, inficiato dalle difformita' esistenti fra i tre originali del 10.000 e fra il disegno al 10.000 e quello a scale diverse ...". Si spiega anche perche' la rappresentazione della situazione attuale sia stata effettuata non tanto in conformita' della circolare Romita, quanto del decreto interministeriale 2 aprile 1968, che vuole la classificazione del territorio urbano in zone omogenee (tavola 5) anche se questa classificazione non tiene conto soltanto delle caratteristiche presenti sul territorio, ma considera anche la destinazione futura" [cfr. da pag. 107 a 109 relazione - all. 5]. La Relazione al progetto del Piano di Napoli, dunque, spiega che accanto alle zone ed aree di cui all'art. 7 L. 1150/42 (10) - in cui suddividere il territorio comunale per definirne la disciplina di dettaglio - venivano individuate le cosi' dette "zone omogenee" di cui all'art. 17 L. 765/67 [alias art. 41-quinquies L. 1150/42]. Ed invero, l'art. 1 delle Norme di Attuazione fa espresso riferimento all'art. 7 L. 1150/42 e, segnatamente, alle zone e relative sottozone rappresentate nella Tav. 3, mediante differenti colorazioni e simbologie esplicative, attraverso cui si definisce la disciplina urbanistica e l'individuazione della destinazione d'uso delle aree del territorio comunale. Nei cinque fogli costituenti la Tav. 5, invece, redatta per ottemperare alle disposizioni di cui al D.I. 1444/1968, sono indicate graficamente le "zone territoriali omogenee", introdotte dall'art. 17 L. 765/67 per consentire la verifica del rispetto dei limiti e dei rapporti inderogabili (standard) la cui determinazione era stata demandata ad apposito decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della citata legge [art. 17, ultimo comma, L. 765/67]. A dette "zone territoriali omogenee" ed alla Tav. 5 fa espresso riferimento l'Art. 2 (Zone Territoriali Omogenee) delle Norme di Attuazione. Tale articolo non e' stato interessato da alcuna modifica in sede di approvazione." Ed ancora rileva il consulente la specifica ragion d'essere delle suddivisioni contenute nella tavola n. 5: "Un chiaro riferimento allo scopo, assolto dalla Tav. 5, di classificare la Citta' nelle cosi' dette "zone omogenee" di cui al D.I. 2 aprile 1968 per ottemperare alla disposizione di cui all'art. 17 L. 765/67, si rinviene anche al 5° capoverso di pag. 334 della Relazione [cfr. all. 6 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: "In relazione a quanto prescritto nel nominato D.M., la citta' va suddivisa nelle cosi' dette zone omogenee. Esse sono tali dal punto di vista secondo il quale per una determinata zona omogenea vigono determinare prescrizioni quantitative di attrezzature. Questa operazione e' stata eseguita nel presente progetto per la citta', ma essa fornisce soltanto indicazioni di valori medi su grosse aree. Difatti le zone omogenee, quali sono indicate nell'apposita tavola n. 5, hanno forte estensione". Per le finalita', invece, della Tav. 3 (destinata ad indicare le zone di cui all'art. 7 L. 1150/42) torna utile il punto 5 di pag. 336 della Relazione [cfr. all. 7 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: "La zonizzazione adottata e' riportata nella tavola 3 ed e' specificata e regolata dalle norme di attuazione. Essa si articola secondo i seguenti criteri. Alla base di ogni particolare proposta sta la considerazione delle finalita' che si vogliono conseguire. Tali finalita' si traducono, per quanto si riferisce alla zonizzazione, nella necessita' di indicare la destinazione d'uso, e di procedere, in relazione a questa ed in relazione alle esigenze di attrezzature documentate dallo studio degli ambiti, alla conservazione o alla ristrutturazione, con le possibili e spesso necessarie combinazioni di conservazione - ristrutturazione"." In aggiunta alle considerazioni esposte, il dato di fatto della rilevanza di tutti gli allegati ai fini della vigenza delle prescrizioni in essi contenute, sta nel rilievo che tutti gli elaborati (relazione, norme di attuazione, grafici) recano le tre timbrature del Consiglio Superiore del LL.PP. Quanto alla sigillatura operata per la sola tavola 3, osserva il CTU come: "Tali modalita' di confezionamento dei cinque elaborati della Tav. 3 e della Legenda, in cui sono rappresentate le zonizzazioni definite all'art. 7 L. 1150/42, suscitano l'idea nell'osservatore che si sia voluto scongiurare ogni tentativo di alterazione degli atti per evitare quanto in passato era accaduto alle tavole del piano del 1939, fatti ricordati nella Relazione del Prg del 1972 ... Tali rimedi dovevano riguardare gli elaborati grafici e la legenda della Tav. 3 che, in connessione con le Norme di Attuazione, fissavano la disciplina edilizia ed urbanistica di ciascuna delle zone e sottozone in cui era stato diviso il territorio, ai sensi dell'art. 7 L. 1150/42. Nessun problema, invece, presentavano sotto tale profilo gli elaborati della Tav. 5, atteso che la stessa era stata predisposta unicamente per classificare il territorio nelle "zone omogenee" di cui all'art. 17 L. 765/67 per la verifica quantitativa degli standard prescritti dal D.I. 2 aprile 1968." Ed infine: "In relazione al 3° quesito si risponde, quindi, che il calcolo degli standard urbanistici richiamato nel parere n. 1903/72 del Consiglio Superiore LL.PP., per la zona cui appartiene l'area di sedime in questione, e' proprio quello che si applica alla zona classificata come zona omogenea B) di cui all'art.2 del D.I. 2 aprile 1968, n. 1444." Orbene, la Tavola 5 e' chiaramente riferita alle "zone territoriali omogenee" di cui all'art. 17 della legge 765/67. Sulla scorta delle pregresse considerazioni, il Collegio puo' giungere alle seguenti conclusioni in punto di diritto: il Comune, in sede di pianificazione generale del proprio territorio, utilizza due strumenti che hanno fini diversi: - la divisione in zone del territorio ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1150-1942, destinata a delineare il progetto di sviluppo della citta' in senso dinamico; - la definizione, per zone territoriali omogenee, dei limiti e dei rapporti tra edificazione a scopo residenziale e produttivo e spazi pubblici, ai sensi dell'art. 41-quinquies della stessa legge e del D.M. n. 1444 del 1968, che acquista rilevanza ai soli fini della dotazione degli standard, "senza peraltro costituire vincolo alle valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione" (Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 1998, n. 869). L'art. 2 del D.M. n. 1444-1968 prevede, in particolare, tre zone destinate ad insediamenti residenziali (zona A, B e C), una zona destinata a "nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati" (zona D), una zona destinata ad usi agricoli (zona E), una zona destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale (zona F). I parametri per la individuazione delle zone territoriali non sono tra loro omogenei: le zone di tipo A), B) e C) sono caratterizzate ed individuate, infatti, attraverso le qualita' fisiche ed edilizie del territorio, indipendentemente dalle destinazioni d'uso del suolo in atto o previste dal piano in quella specifica porzione di terreno; mentre le zone di tipo D), E) ed F) sono caratterizzate dalle destinazioni d'uso previste dal piano, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche dell'edificazione e del territorio. La divisione in zone del territorio comunale puo' non coincidere con la individuazione delle zone territoriali omogenee previste dal D.M. n. 1444-1968, sicche' ben puo' verificarsi (come nel caso in esame) che in una zona territoriale omogenea sia compresa piu' di una destinazione di P.R.G. e, nelle situazioni di incertezza e di ambiguita', la individuazione delle zone omogenee viene ad essere completamente determinata dalla successiva operazione di definizione delle quantita' minime di aree per i servizi e di vincolo per l'edificazione, che si intendono perseguire e porre in atto. Nella fattispecie in esame la zona interessata viene tipizzata nel P.R.G. come destinata a zona D2 ai sensi dell'art. 7 della legge urbanistica; e ai sensi dell'art. 2 delle norme tecniche di attuazione del PRG, ha la funzione specifica di zona B ai fini della individuazione degli standard urbanistici. Essa ha una precisa localizzazione ed un'autonoma disciplina e, anche quanto al dimensionamento degli standard, e' nettamente distinta dalle zone individuate come D, secondo quanto diffusamente accertato dal CTU in base a considerazioni che il Collegio ritiene di condividere, in quanto fondate su logici criteri di giudizio ed assistite da ampie acquisizioni documentali e riscontri oggettivi. Si da' quindi logicamente e giuridicamente conto della coesistenza di due tavole, la 3 e la 5, redatte a fini diversi: nella tavola 3 la zonizzazione classifica il suolo come D2 ed e' effettuata ai sensi dell'art. 7 legge 1150/42 (cfr. art. 1 delle NTA) nella tavola 5 la zonizzazione e' resa ai sensi del DM 1444/68 (cfr. art. 2 delle NTA). Occorre ora effettuare il coordinamento di tali tavole con la previsione dell'art. 1, 2° comma, del D.L. 27.6.1985, n. 312 (c.d. Galasso), convertito con modificazioni nella legge 8.8.1985, n. 431, secondo la quale "Il vincolo paesaggistico di cui al precedente comma non si applica alle zone A), B) e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 2.4.1968, n. 1444 e, nei Comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell'art. 18 della legge 22.10.1971, n. 865". Tale disposizione normativa e' stata di volta in volta riprodotta nelle successive versioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, sino all'odierna formulazione di cui all'art. 142 co 2 D.Lgs. 42/2004. La tavola rilevante a tal fine e' quella di cui al n. 5, contenente la zonizzazione ai fini degli standard, come enuncia il tenore letterale della disposizione in esame, che ha inteso fare riferimento alla classificazione del territorio comunale ai sensi del D.M. 2.4.1968, n. 1444. Ne deriva che, a tal fine, nel PRG del Comune di Napoli del 1972 (quello da prendere a riferimento ai sensi della invocata deroga, la zona in esame era classificata come zona B, e - nella vigenza della citata disposizione di legge - dovrebbe essere ritenuta sottratta alla disciplina della autorizzazione paesaggistica, ai sensi della norma derogatoria sopra citata. Pertanto - in parte qua - l'esercizio dell'autotutela sulla DIA del 2005 dovrebbe ritenersi illegittimo. Tuttavia il Collegio ritiene di dover sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma derogatoria, per contrasto con gli artt. 9 e 117, comma 1, Costituzione. Invero, l'applicazione della norma di cui all'art. 142, comma 2, D.Lgs. 42/2004 e segnatamente della deroga ivi contenuta, della quale sussistono i presupposti fattuali, condurrebbe a conseguenze contrastanti con i principi costituzionali in materia di tutela del paesaggio dettati dall'art. 9 Cost. e con il principio del rispetto delle convenzioni internazionali di cui all'art. 117, comma 1, Cost., alla luce del riconosciuto principio del "pacta sunt servanda". Sulla rilevanza della questione ai fini del decidere, e' sufficiente richiamare come l'invocata applicazione della deroga, sancita dalla disposizione di legge della cui costituzionalita' il Collegio dubita ex officio, comporti l'inesistenza del vincolo paesaggistico e che quest'ultimo e' stato posto dall'Amministrazione alla base del provvedimento di autotutela nei confronti della DIA e del conseguente ordine di demolizione. L'esistenza del vincolo paesaggistico sull'area si pone quindi come questione ineludibile ai fini della risoluzione della controversia, non assumendo gli altri motivi di gravame pure in caso di fondatezza valenza tale da comportare l'annullamento del provvedimento gravato. Invero i dedotti vizi di carattere sostanziale - legati al contestato aumento di volumetria e di altezza e formale - inerenti il procedimento e lo sviamento di potere - non sarebbero, seppur fondati, sufficienti da soli ad inficiare la validita' del provvedimento impugnato, stante la valenza autonoma ed assorbente del rilievo inerente l'assenza dell'autorizzazione paesaggistica. Del pari le censure di carattere formale o di sviamento di potere non appaiono invece determinanti considerato: - per quanto riguarda la lamentata assenza di un concreto e specifico interesse pubblico all'adozione dell'atto di autotutela nei confronti della DIA, la circostanza che l'Amministrazione ha dato conto di tale interesse apportando motivi legati alle altezze degli edifici e al valore paesaggistico e che si tratta di una valutazione di merito o, quantomeno, ad una altissima valenza di discrezionalita' tecnica censurabile solo in presenza di profili di palese irragionevolezza e illogicita' che nel caso di specie non paiono sussistere; - per quanto riguarda il dedotto sviamento di potere, l'atto gravato si palesa come strumento di perseguimento di interesse urbanistico, essendo funzionale al corretto governo del territorio; - per quanto riguarda, infine, la doglianza dell'omessa presa in considerazione delle osservazioni presentate nel corso del procedimento, l'Amministrazione ha dato conto di avere preso conoscenza delle controdeduzioni e, in punto di diritto, non esiste alcun obbligo, in capo alla p.a., di specifica disamina e confutazione delle singole osservazioni e controdeduzioni rassegnate dalle parti nell'ambito della partecipazione procedimentale, bastando che sia dimostrata, tramite la motivazione del provvedimento l'intervenuta acquisizione e valutazione degli apporti partecipativi, come si palesa essere avvenuto. Nel merito della questione di costituzionalita', va invece osservato che l'immobile in oggetto ricade nel perimetro delle aree vincolate ex lege ai sensi del cd. decreto Galasso, trovandosi nella fascia di 300 mt dalla battigia, e quindi dovrebbe essere soggetto al regime di autorizzazione paesaggistica per gli interventi che comportano modifiche dell'aspetto esteriore dei luoghi. Per lo stesso dovrebbe tuttavia essere applicata la normativa derogatoria, trovandosi in zona che alla data del 6.9.1985 era classificata come zona B del vigente strumento urbanistico. In effetti, il legislatore, con la norma citata, dopo avere indicato le zone vincolate, confermando la previgente previsione di analogo tenore contenuta nella legge n. 485 del 1981, e nel D.lgs. 490 del 19/99, al secondo comma ha contemplato alcune eccezioni, escludendo l'operativita' del vincolo legale per tutte le aree che alla data del 6-9-1985 (di entrata in vigore della "legge Galasso", pubblicata nella G.U. del 22-8-1985) si trovassero in determinate condizioni. La deroga si riferisce a tre ipotesi: "2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree che alla data del 6 settembre 1985: a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B; b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese, ed erano ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate; c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrali ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865." (art. 142 co 2 nel testo come modificato dal D.Lgs. 63/2008.) Al riguardo va ricordato brevemente che la legge n. 765/1967, introducendo l'art. 41-bis della legge urbanistica n. 1150/1942, aveva stabilito che tutti i comuni, nella formazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti, dovessero osservare limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi" (cd. standards urbanistici). Tali limiti e rapporti sarebbero stati definiti per zone territoriali omogenee, con un decreto del Ministro peri lavori pubblici, poi effettivamente emanato nel 1968, con il n. 1444. Il decreto in parola, all'art. 2, delinea sotto un profilo funzionale sei tipologie di zone omogenee, ognuna individuata con una lettera (da A a F) e caratterizzata da una distinta destinazione urbanistica e potenzialita' edificatoria. Cio' consentiva e consente ai comuni di dare piena applicazione a quanto previsto dall'art. 7 della legge urbanistica all'epoca vigente, che prescriveva che il piano regolatore generale suddividesse in zone l'intero territorio comunale, ognuna con la propria connotazione tipologica e funzionale, individuando, tra le altre, quelle contraddistinte da particolari caratteristiche storiche, paesistiche ed ambientali, per le quali avrebbe dovuto anche individuare i relativi vincoli. Tanto precisato, va ricordato che le zone A) vengono definite dal D.M. del 1968 come "le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi"; le zone B) sono invece quelle porzioni di territorio "totalmente o parzialmente' edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densita' territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq". In questo ambito, pertanto, l'art. 142 intende escludere in assoluto l'operativita' della tutela legale per tutte quelle zone gia' completamente o fortemente edificate ed urbanizzate (zone B), rispetto alle quali le eventuali valenze paesaggistiche risultano sostanzialmente gia' cristallizzate; nonche' per quelle zone in relazione alle quali gli strumenti urbanistici avessero gia' autonomamente proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilievo storico, paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo regime vincolistico (zone A). In sintesi, la ratio della norma e' quella di escludere dal regime di tutela il cd. territorio urbano edificato, in quanto sostanzialmente gia' compromesso dal punto di vista paesaggistico e inespressivo di valori di tal genere. Nella fattispecie all'esame di questo TAR, tuttavia, si e' in presenza di un centro edificato del Comune di Napoli di eccezionale pregio paesaggistico e storico, secondo quanto puo' desumersi quale fatto notorio dalla determinazione di inclusione dello stesso nei siti tutelati dall'UNESCO. E' invero fatto notorio che il centro storico di Napoli e' stato iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1995, con la seguente motivazione: Napoli e' una delle citta' piu' antiche d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo preserva gli elementi della sua lunga e importante storia. Sulla base del secondo e quarto criterio stabilito dalla Convenzione degli accordi di Parigi del 1972, si e' ritenuto che Napoli merita il riconoscimento di Patrimonio dell'Umanita' per esser stata fin dall'antichita' il polo culturale piu' importante della Magna Grecia, condizione di dominio politico che la citta' ha mantenuto anche nel Medioevo, ed ancora nel XVI e XVII secolo, periodo culmine delle arti e dell'architettura, in cui Napoli ha esercitato influenza europea in questo settore. Al riguardo si riportano i citati criteri: Criterio II (1994): "aver esercitato un'influenza considerevole in un dato periodo o in un'area culturale determinata, sullo sviluppo dell'architettura, delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione di paesaggi". Criterio IV (1994): "... offrire esempio eminente di un tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio che illustri un periodo significativo della storia umana". La Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, adottata nel 1972 dalla Conferenza Generale degli Stati Membri dell'UNESCO e' stata recepita nel nostro ordinamento con Legge nazionale di ratifica n. 184 del 06.04.1977. Scopo della Convenzione e' il riconoscimento condiviso che i beni culturali e naturali di valenza eccezionale, ovunque siano localizzati, costituiscono un patrimonio universale dell'intera comunita' internazionale. Ne consegue che gli Stati firmatari la Convenzione dovranno concorrere "all'identificazione, protezione, conservazione e valorizzazione" di questo patrimonio, nonche' a cooperare e prestare assistenza agli Stati che si impegnano a preservarlo. Si e' dunque giunti, nell'evoluzione della Convenzione UNESCO, ad un accreditamento esplicito e consapevole del paesaggio come bene da preservare e meritevole di tutela, tutela che si rivolge a beni di "valore universale eccezionale". Secondo quanto definito negli atti della convenzione: "Il valore universale eccezionale significa un'importanza culturale e/o naturale talmente eccezionale che trascende le frontiere nazionali e che presenta gli stessi caratteri inestimabili sia per le generazioni attuali che per quelle future dell'intera umanita'. Per questo motivo la protezione permanente di questo patrimonio riveste la piu' elevata importanza per l'intera comunita' internazionale". In proposito gli Stati aderenti hanno assunto specifici impegni, dettagliati negli artt. 4 e 5 del Trattato: "Art. 4 - Ciascuno Stato partecipe della presente Convenzione riconosce che l'obbligo di garantire l'identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale di cui agli articoli 1 e 2, situato sul suo territorio, gli incombe in prima persona. Esso si sforza di agire a tal fine sia direttamente con il massimo delle sue risorse disponibili, sia, all'occorrenza, per mezzo dell'assistenza e della cooperazione internazionale di cui potra' beneficiare, segnatamente a livello finanziario, artistico, scientifico e tecnico.". "Art. 5 - Per garantire una protezione e una conservazione le piu' efficaci possibili e una valorizzazione la piu' attiva possibile del patrimonio culturale e naturale situato sul loro territorio, gli Stati partecipi della presente Convenzione, nelle condizioni appropriate ad ogni Paese, si sforzano quanto possibile: a. di adottare una politica generale intesa ad assegnare una funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a integrare la protezione di questo patrimonio nei programmi di pianificazione generale; b. di istituire sul loro territorio, in quanto non ne esistano ancora, uno o piu' servizi di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, dotati di personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere i compiti che gli incombono; ... d. di prendere i provvedimenti giuridici, scientifici, tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per l'identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e rianimazione di questo patrimonio ...". L'immobile oggetto del presente giudizio sorge su area ricompresa, in base alla cartografia allegata al riconoscimento UNESCO, in area di tutela; invero, lo stesso si trova all'interno della zona cuscinetto detta "buffer zone area" delimitata in funzione del valore di Patrimonio dell'Umanita', e della sua tutela, "secondo la perimetrazione cartografica rilevabile dal sito internet comunale (zona perimetrata in giallo). L'immagine del centro storico UNESCO percepita come unica, fruibile soprattutto vantaggiosa per gli arrivi via mare, dalla quale prospettiva e' riconoscibile la straordinaria valenza paesistica, non ha tuttavia comportato sinora la imposizione di uno speciale regime vincolistico, non risultando portati a compimento i procedimenti presso il Ministero dei Beni culturali di riconoscimento dell'interesse paesaggistico del centro storico - Unesco, previsto dal Codice per i beni culturali e il paesaggio. In mancanza dell'emanazione del decreto ministeriale, previsto dal citato Codice, che attesti l'impareggiabile valore paesaggistico del centro storico di Napoli, l'operativita' della deroga al regime vincolistico generale di cui al decreto Galasso conduce alla conseguenza paradossale di consentire, nel perimetro dei 300 mt dalla battigia, ove insistono significative testimonianze della storia di Napoli e del suo paesaggio identitario, trasformazioni del territorio senza alcuna valutazione di compatibilita' paesaggistica. Tale evenienza contrasta con l'articolo 9 della Costituzione, che ha fatto assurgere il paesaggio a valore primario della Repubblica: esso colloca il valore del patrimonio paesaggistico - come dice la giurisprudenza costituzionale - tra i valori "primari" e "assoluti": non disponibili, non esposti alla mutevolezza degli indirizzi politici e comunque da preferire nelle scelte amministrative (cfr. C. Cost. 7.11.2007, n. 367). In questo senso si valorizza la dimensione tecnica del vaglio di compatibilita', cioe' della gestione del vincolo, per assicurare la prevalenza del valore "primario e assoluto" del paesaggio, affermando che il parere obbligatorio e vincolante del soprintendente va a rimodulare l'«estrema difesa del vincolo». Osserva il Collegio che lo schema operativo della "tutela" e' implicitamente recepito dal principio fondamentale della Costituzione, che consente un obiettivo giudizio tecnico sul nuovo intervento rispetto al valore riconosciuto della preesistenza. Questo schema e' percio' costituzionalmente necessario e puo' ricevere deroga solo in ipotesi tassativamente previste e che siano ragionevolmente espressive di fattispecie in cui si evidenzi la mancanza di valori paesaggistici da tutelare. Cio' che rileva, e che 'risulta essenziale all'effettivita' dell'art. 9 Cost., e' che dalla dichiarazione derivi l'obbligo di una motivata valutazione tecnica di compatibilita' del nuovo intervento progettato con i valori preesistenti, finalizzata ad evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del valore paesaggistico protetto. La sequenzialita' di queste due fasi identifica il nucleo essenziale della funzione costituzionale di tutela del paesaggio e ne garantisce l'effettivita', insieme alla regola essenziale di tecnicita' e di concretezza, per cui il giudizio di compatibilita' paesaggistica deve essere tecnico e proprio del caso concreto. In riferimento al "vincolo", legale o amministrativo, e in sua "gestione", sono adottati i provvedimenti autorizzatori, ablatori e ripristinatori, che concretano la manifestazione della funzione che si esprime nel giudizio di "compatibilita'" rispetto ai caratteri preesistenti e qualificati. Questo effetto di valutazione in sede di procedimento di autorizzazione costituisce il contenuto essenziale del vincolo, cui puo' aggiungersi, in combinato con le "prescrizioni d'uso" da piano paesaggistico o la "specifica disciplina" per il singolo vincolo, un effetto sostanziale di valutazione immediata ed ex ante (nella fattispecie non operante, trattandosi di vincolo generalizzato ex lege). Consegue da quanto esposto che, quale che sia lo strumento da cui la tutela muove - vincolo amministrativo puntuale, vincolo legale per categorie, vincolo da piano pasaggistico -, la valutazione di compatibilita' delle innovazioni che vi presiede e' legata a questo carattere di primarieta' del paesaggio e non puo' essere esclusa in via generalizzata, con riferimento alla sola tecnica di zonizzazione del territorio da parte dell'amministrazione comunale, per di piu' trattandosi di una tecnica di zonizzazione fotografata e cristallizzata alla data del 6 settembre 1985, epoca in cui gli strumenti urbanistici di molti comuni non avevano ancora preso coscienza del valore identitario del bene paesaggio. Inoltre, va rilevato che siffatta deroga lascia ancor piu' indifese le zone di territorio comunale che all'epoca di riferimento erano classificate come zone B, poiche' per i centri storici (che coincidono con le zone A) viene normalmente predisposta specifica normativa di tutela, volta alla forte limitazione delle trasformazioni assentibili del territorio. La giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 66 del /2012 e sentenza n. 164 del 2009) sottolinea come le disposizioni in materia di vincoli rivestano la qualificazione di «norma di grande riforma economico-sociale». Tali disposizioni sono ritenute centrali, in quanto: "... proprio laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni paesaggistici e ne hanno operato la relativa ricognizione, si e' inteso dare «attuazione al disposto del (citato) articolo 9 della Costituzione, poiche' la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio e' quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007)." L'articolo 142, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004, quindi si paleserebbe in possibile contrasto con l'art. 9 della Costituzione dove, nel prevedere la deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito operativo di deroga le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO. Inoltre, come indicato, con la richiamata Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, adottata nel 1972 dalla Conferenza Generale degli Stati Membri dell'UNESCO e recepita nel nostro ordinamento con Legge nazionale di ratifica n. 184 del 06.04.1977, gli Stati firmatari si sono assunti degli impegni di valorizzazione e tutela mediante ogni idoneo strumento dei siti di riconosciuto valore, ai sensi dei riportati artt. 4 e 5 della Convenzione medesima. Alla luce di cio' il Collegio ritiene che la medesima norma dell'art. 142, comma 2, D.Lgs. 42/2004, possa porsi in contrasto anche con l'art. 117, comma 1, Cost, che impone il rispetto delle convenzioni internazionali, alla luce del principio "pacta sunt servanda". Tali impegni di valorizzazione e tutela non consentono difatti che un sito riconosciuto come di preminente valore dall'UNESCO, con l'inserimento nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, possa essere destinatario di una norma di deroga che lo sottragga alla tutela ordinariamente prevista dal legislatore nazionale per i siti riconosciuti di valore paesaggistico. In questo caso la Convenzione UNESCO, e segnatamente gli artt. 4 e 5 della Convenzione medesima, integrano, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui stabilisce l'obbligo per la legislazione interna di rispettare i vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali", che pertanto risulterebbe violato. D'altra parte l'importanza delle convenzioni internazionali in materia di tutela del patrimonio paesaggistico viene riconosciuta dallo stesso D.Lgs. n. 42/2004 che nell'art. 132, comma 1, (Convenzioni internazionali), prevede che "la Repubblica si conforma agli obblighi ed ai principi di cooperazione tra gli Stati fissati dalle convenzioni internazionali in materia di conservazione e valorizzazione del paesaggio". Sotto altro concorrente profilo, pero', il Collegio rileva come i siti inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO meritino, alla stregua degli indicati riferimenti costituzionali, lo specifico regime legislativo di tutela paesaggistica, ovverosia il carattere di interesse paesaggistico e la conseguente disciplina, indipendentemente dal ricadere in una delle specifiche ipotesi di vincolo ex lege di cui all'art. 142, comma 1, D.Lgs. 42/2004, e in tal senso il riconoscimento di tutela UNESCO, con l'inserimento nella relativa lista, dovrebbe essere ricompreso, come ipotesi aggiuntiva, tra i casi previsti nel medesimo comma 1 dell'art. 142. Si rileva pertanto la possibile illegittimita' costituzionale - per i medesimi motivi suindicati di contrasto con l'art. 9 Cost. e l'art. 117 Cost. per il tramite delle norme interposte costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO - anche dell'art. 142, comma 1, D.Lgs. 42/2004 nella parte in cui non contempla, tra le ipotesi in cui viene riconosciuto ex lege il carattere di interesse paesaggistico e la relativa disciplina di tutela, quelle degli immobili per cui e' intervenuto il riconoscimento UNESCO, con l'inserimento nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. In senso analogo, la disciplina generale per l'individuazione degli immobili ed aree di notevole interesse pubblico, assoggettati alla specifica tutela delle disposizioni di cui al D.Lgs. 42/2004 demanda alla discrezionalita' tecnica dell'amministrazione l'individuazione dei beni da dichiarare di notevole interesse pubblico, senza che vi sia alcun obbligo nel caso in cui un sito rientri nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Una censura di costituzionalita' puo' riguardare, sempre per le ragioni indicate di cui agli art. 134, 136, 139, 140 e 141 D.Lgs. 42/2004, nella parte in cui non impongono all'Amministrazione di adottare la dichiarazione di notevole interesse, con la conseguente disciplina di tutela, per i siti riconosciuti Patrimonio Mondiale UNESCO. Il Collegio, conclusivamente, ritenuta la rilevante e non manifestamente infondata, solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 142, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004 in riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art. 117, comma 1, della Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, laddove, nel prevedere la deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito operativo di deroga le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO. Solleva altresi' di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 142, comma 1, D.Lgs. n. 42/2004 e dell'art. 134 - 136 D.Lgs. 42/2004, in riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art. 117, comma 1, della Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, e rispettivamente, per l'articolo 142, comma 1, nella parte in cui non contempla, tra le ipotesi in cui viene riconosciuto ex lege il carattere di interesse paesaggistico e la relativa disciplina di tutela, quelle dei siti per cui e' intervenuto il riconoscimento di Patrimonio Mondiale UNESCO e, per gli artt. 134, 136, 139, 140 e 141 D.Lgs. 42/2004, nella parte in cui non impongono all'Amministrazione di adottare di adottare la dichiarazione di notevole interesse per i siti riconosciuti patrimonio Mondiale UNESCO. Visto l'art. 23 della l. cost. n. 87/1953; Riservata ogni altra decisione in rito, in merito e sulle spese all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla quale va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita'. Ordina la sospensione del procedimento per pregiudizialita' costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della Segreteria - del fascicolo d'ufficio e dei fascicoli delle parti alla Corte Costituzionale; dispone la notificazione del presente provvedimento - sempre a cura della Segreteria - alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alle parti in causa, nonche' la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
P.Q.M. Visto l'art. 9 e l'art. 117, comma 1, della Costituzione, nonche' l'art. 23 della L. 11.03.1953, n. 87, riservata ogni ulteriore decisione in rito, in merito e sulle spese; Ritenuta la rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza: solleva ex officio la questione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 142, comma 2, D.Lgs. 42/2004, in riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art. 117, comma 1, della Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, laddove, nel prevedere la deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito operativo di deroga le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO; solleva altresi' di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 142, comma 1, D.Lgs. n. 42/2004 e degli artt. 134, 136, 139, 140 e 141 D.Lgs. 42/2004, in riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art. 117, comma 1, della Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale e, rispettivamente, per l'articolo 142, comma 1, nella parte in cui non contempla, tra le ipotesi in cui viene riconosciuto ex lege il carattere di interesse paesaggistico e la relativa disciplina di tutela, quelle dei siti per cui e' intervenuto il riconoscimento di Patrimonio Mondiale UNESCO e, per gli artt. 134, 136, 139, 140 e 141 D.Lgs. 42/2004, nella parte in cui non impongono all'Amministrazione di adottare un provvedimento di apposizione di vincolo paesaggistico per i siti riconosciuti patrimonio Mondiale UNESCO. Ordina la sospensione del procedimento per pregiudizialita' costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della Segreteria - del fascicolo d'ufficio e dei fascicoli delle parti alla Corte Costituzionale; Ordina la notificazione del presente provvedimento - sempre a cura della Segreteria - alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alle parti in causa, nonche' la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 13 novembre - e 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati: Angelo Scafuri, Presidente; Anna Pappalardo, Consigliere; Fabrizio D'Alessandri, Primo Referendario, Estensore. Il Presidente: Scafuri L'Estensore: D'Alessandri