N. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2014

Ordinanza del 13  marzo  2014  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania sul ricorso proposto  da  Sarubbi  Giuseppe
contro Comune di Napoli ed altri. 
 
Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio  -
  Deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le  zone
  A e B del territorio comunale, classificate  tali  negli  strumenti
  urbanistici vigenti alla data del 6  settembre  1985  -  Esclusione
  dall'ambito operativo della deroga delle aree urbane riconosciute e
  tutelate come patrimonio UNESCO - Mancata previsione  -  Violazione
  del principio di tutela del  paesaggio  -  Violazione  di  obblighi
  internazionali derivanti dalla Convenzione UNESCO. 
- Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 2. 
- Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma. 
Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio  -
  Ipotesi di  riconoscimento  ex  lege  del  carattere  di  interesse
  paesaggistico e relativa disciplina di tutela - Inclusione dei siti
  per i quali e' intervenuto il riconoscimento di patrimonio mondiale
  UNESCO - Mancata previsione - Violazione del  principio  di  tutela
  del paesaggio - Violazione  di  obblighi  internazionali  derivanti
  dalla Convenzione UNESCO. 
- Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 1. 
- Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma. 
Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio  -
  Siti per i quali e' intervenuto  il  riconoscimento  di  patrimonio
  mondiale UNESCO - Obbligo per le  Amministrazioni  di  adottare  un
  provvedimento di vincolo paesaggistico  su  detti  siti  -  Mancata
  previsione - Violazione del principio di  tutela  del  paesaggio  -
  Violazione di obblighi internazionali derivanti  dalla  Convenzione
  UNESCO. 
- Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt.  134,  136,  139,
  140 e 141. 
- Costituzione, artt. 9 e 117, primo comma. 
(GU n.44 del 22-10-2014 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA 
                          (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  290  del  2012,  proposto  da:  Giuseppe  Sarubbi,
rappresentato e difeso dagli avv. Guido D'Angelo e  Felice  Laudadio,
con domicilio eletto presso l'avv. Guido D'Angelo in Napoli, via  del
Rione Sirignano, n. 6; 
    Contro Comune  di  Napoli,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Gabriele  Romano,  Giuseppe  Tarallo,  Barbara   Accattatis   Chalons
D'Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi,
Annalisa Cuomo, Anna Ivana  Furnari,  Giacomo  Pizza,  Anna  Pulcini,
Bruno Ricci, domiciliato o in Napoli, presso l'Avvocatura  Municipale
- p.zza S. Giacomo; 
    Regione Campania; 
    Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero  per  i
Beni  e  le  Attivita'   Culturali,   Soprintendenza   Per   i   Beni
Architettonici Paesaggistici Storici Artistici  ed  Etnoantropologici
per  Napoli  e  Provincia,   rappresentati   e   difesi   per   legge
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di  Napoli,  domiciliata  in
Napoli, via Diaz, 11; 
    Per l'annullamento, previa adozione di misura cautelare, 
        a)  delle  disposizioni  dirigenziali  congiunte  n.  4   del
19.10.2011 del dirigente II Municipalita' e n. 419 in pari  data  del
dirigente del servizio antiabusivismo edilizio del Comune  di  Napoli
aventi ad oggetto annullamento della DIA n.  212/2005  ed  ordine  di
demolizione  per  parte  degli  abusi,  ed  irrogazione  di  sanzione
pecuniaria per parte degli abusi; 
        b) nonche' degli atti presupposti, connessi e  consequenziali
e, in particolare: 
          - della nota del 23.9.2011 del Dipartimento  Pianificazione
Urbanistica - Servizio Supporto  Giuridico-Economico  del  Comune  di
Napoli; 
          - delle  note  del  Dipartimento  Urbanistica  prot.  236/a
dell'11.3.2010, prot. 247/a del 17.3.2010  e  nota  27.10.2010  della
Soprintendenza; 
          - dei verbali  12.3.2008  e  8.4.2008  di  validazione  del
formato digitale dei perimetri delle  aree  vincolate  ai  sensi  del
D.Lgs.  42/2004  e   del   conforme   certificato   di   destinazione
urbanistica; 
          - per quanto occorra dell'art. 124 della Variante  Generale
al PRG approvata con DPGRC n. 323/2004; 
          - della nota prot. 1825 del  21.7.2010,  contenente  avviso
del procedimento di riesame tra l'altro della DIA n. 212/05; 
          -  della  nota  prot.   1825   del   21.2.2010   della   II
Municipalita'; 
          - per quanto occorra delle note 7.9.2011  del  Dipartimento
di pianificazione urbanistica e  del  28.9.2011  dell'Unita'  condono
edilizio; 
        c) Di tutti gli atti gravati  con  i  pendenti  ricorsi  R.G.
7185/09 e 6004/10 e relativi motivi aggiunti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Napoli  e
di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero  Per
i Beni e le Attivita'  Culturali  e  di  Soprintendenza  Per  i  Beni
Architettonici Paesaggistici Storici Artistici  ed  Etnoantropologici
per Napoli e Provincia; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  13  novembre  2013  il
dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Il ricorrente e'  destinatario  delle  disposizioni  dirigenziali
congiunte n. 4 del 19.10.2011 del dirigente  II  Municipalita'  e  n.
419, di pari data, del dirigente del Servizio antiabusivismo edilizio
del Comune di Napoli aventi ad  oggetto  annullamento  della  DIA  n.
2153/05 (pratica n. 212/2005) e conseguente ordine di demolizione per
parte  degli  abusi  edilizi,  nonche'  di  irrogazione  di  sanzione
pecuniaria per parte degli abusi, su di un immobile  sito  in  Napoli
alla via C. Colombo n.  45,  destinato  ad  attivita'  alberghiera  e
precedentemente adibito ad  uffici,  noto  come  edificio  ex  Flotta
Lauro, e attualmente denominato "Hotel Romeo". 
    In particolare, il ricorrente ha ricoperto il ruolo di  Direttore
dei lavori dell'annullata DIA, presentata il 13.6.2005. 
    In  punto  di  fatto,  all'esito  di  lavori  di   consolidamento
strutturale dell'edificio suddetto in Napoli alla via C.  Colombo  n.
45, eseguiti giusta DIA n. 23/2004, e' stata presentata al Comune  di
Napoli la DIA pratica n. 212/2005 al fine di realizzare lavori  volti
al mutamento di destinazione ad uso alberghiero dell'immobile. 
    Quest'ultima DIA contemplava un  intervento  di  ristrutturazione
edilizia mediante parziale demolizione e ricostruzione, asseritamente
senza aumento di volume ed a tale denuncia erano allegate planimetrie
contenenti lo stato di fatto e quello di progetto dell'edificio. 
    Le  opere  sono  state  ultimate  in  data   14.12.2007,   giusta
comunicazione di fine lavori  depositata  agli  atti  del  Comune  di
Napoli. 
    Il Comune di Napoli, con nota del 21.7.2010,  comunicava  l'avvio
di un procedimento di riesame delle denunce di  inizio  attivita'  in
base alle quali erano stati eseguiti lavori edili per l'Hotel  Romeo,
tra cui la DIA n. 2153 del 13.6.2005. 
    Gli elementi indicati nell'avviso  di  avvio  del  riesame  erano
oggetto  di  controdeduzioni  della  societa'  Romeo  con  nota   del
5.8.2010. 
    Il Comune concludeva il procedimento di riesame della DIA n. 2153
(pratica n. 212/2005) con le determinazioni congiunte del  19.10.2011
n. 4 e n. 419, che hanno dichiarato l'inefficacia della suddetta DIA,
in ragione  del  mancato  rispetto  del  vincolo  paesaggistico  (che
avrebbe  imposto   l'acquisizione   del   parere   della   competente
Soprintendenza). Inoltre, ritenendo  essere  intervenuto  un  aumento
volumetrico non consentito dalla normativa urbanistica vigente per la
zona in esame, le medesime determinazioni congiunte  hanno  diffidato
la societa' alla demolizione delle opere eseguite su parte del  piano
ottavo e sull'intero nono piano, applicando per i restanti  abusi  la
sanzione pecuniaria. 
    Piu' nello specifico, le ripetute determinazioni congiunte  hanno
in sostanza dichiarato senza effetto la  DIA  perche'  l'immobile  in
questione sarebbe stato assoggettato al vincolo di cui all'art.  142,
comma 1, lett. a), D.Lvo n. 42/04 s.m.i. e non era stato acquisito il
necessario atto di assenso rilasciato  dalla  Soprintendenza,  tenuto
conto delle conseguenti prescrizioni del suindicato D.Lvo  n.  42/04.
Hanno quindi ordinato la demolizione degli interventi  realizzati  in
base a tale DIA e in parte in sua difformita', in quanto in contrasto
con l'art.  124,  comma  2,  della  variante  al  PRG,  che  consente
interventi di ristrutturazione edilizia  solo  a  parita'  di  volume
legittimo esistente. 
    Quanto al primo punto il Comune ritiene l'immobile assoggettato a
vincolo ex lege di cui alla cd. legge Galasso per  essere  lo  stesso
situato nella fascia dei 300 mt dalla battigia - ai  sensi  dell'art.
142 comma 1 D.lgs. 42/2004 - non ritenendo che vi siano  gli  estremi
per la deroga del vincolo previsto ex lege, ai sensi  dell'art.  142,
comma 2, medesimo D.Lgs. 42/2004  (in  ragione  della  qualificazione
dell'area negli strumenti urbanistici vigenti al 1985 che secondo  il
Comune non rientrava in zona A e B). 
    In  particolare,  secondo  il  Comune,  l'area  su  cui   insiste
l'immobile risulta sottoposta al vincolo paesaggistico ope  legis  in
quanto alla data del 6 settembre 1985, il PRG del  1972  classificava
l'area come zona D  -  Estensione  e  completamento,  sottozona  D/2,
disciplinata dall'art. 10  delle  NTA,  secondo  quanto  risulterebbe
dalla Tavola 3 della zonizzazione e come si evincerebbe  testualmente
dal D.M. n. 1829 del 31.3.1972 di approvazione del PRG. 
    Quanto  al  secondo   punto,   a   fronte   della   contestazione
dell'incremento volumetrico la parte ricorrente  aveva  controdedotto
che non vi sarebbe stato  alcun  incremento  volumetrico  bensi'  una
traslazione di volumi recuperati da spazi destinati a volumi tecnici.
Secondo il  Comune  si  sarebbe  comunque  realizzato  un  incremento
volumetrico, non potendo essere condiviso il criterio di calcolo  dei
volumi esistenti e di progetto, eseguito  dal  progettista  il  quale
avrebbe sottratto dalla volumetria utile  originaria  volumi  interni
all'edificio -  destinandoli,  nel  nuovo  progetto,  a  vani  scala,
alloggi degli ascensori, cavedi e luoghi statici sicuri - ed  avrebbe
recuperato tali volumi all'undicesimo livello fuori terra (piano 90),
in contrasto con l'art.  7  della  Variante  al  PRG,  che  fissa  le
modalita'  di  calcolo  delle  volumetrie  utili   e   le   eventuali
esclusioni. 
    Il Comune, nelle determinazioni congiunte in esame, dava altresi'
atto di  avere  esaminato  le  controdeduzioni  dell'interessato  non
trovandole  determinanti  e  dava  conto  della  sussistenza  di   un
interesse pubblico all'adozione della misura di autotutela, rilevando
tra l'altro la presenza di un interesse di  rango  costituzionale  di
tutela del paesaggio. 
    Parte ricorrente insorge avverso le determinazioni congiunte  del
19.10.2011 n. 4 e n. 419  e  avverso  tutti  gli  atti  in  epigrafe,
lamentando censure di violazione di legge, difetto di istruttoria  ed
eccesso di potere. 
    In particolare lamenta: 
        1) L'insussistenza sulla zona in questione del vincolo di cui
all'art. 142,  comma  1,  lett.  a)  D.L.vo  n.  42/04  e,  pertanto,
l'assenza della necessita' del nulla osta paesaggistico. 
    Sussisterebbero, infatti, i presupposti di fatto per applicare la
deroga   all'assoggettabilita'   dei   lavori   alla   autorizzazione
paesaggistica, giusta  il  disposto  dell'art.  142  comma  2  D.lgs.
42/2004. 
    Il PRG, secondo la zonizzazione della tavola di riferimento  (che
deve considerarsi la tavola 5 in  quanto  redatta  ai  sensi  del  DM
1444/68) classifica l'area su cui  sorge  l'immobile  della  societa'
Romeo quale zona "B" disciplinata altresi' dall'articolo 2 delle NTA.
Di conseguenza, la inclusione dell'area  in  zona  B  alla  data  del
6.9.1985 rende operativa la deroga al vincolo paesistico ex  lege  di
cui all'art. 142 co 2 D.Lgs. 42/2004; 
        2) L'insussistenza di incrementi volumetrici. 
    L'intervento proposto in DIA e successivamente realizzato avrebbe
dato luogo ad una ristrutturazione con spostamento di  alcuni  volumi
in  diverse   allocazioni   ma   senza   modificare   la   volumetria
dell'edificio,   ne'   sarebbe   stato   realizzato    alcun    piano
supplementare. 
    In ogni caso le opere realizzate consisterebbero in interventi di
ristrutturazione edilizia realizzati con DIA sostitutiva, considerato
che, ai sensi all'art. 20 D.P.R. 380/2001, anche la  ristrutturazione
pesante e' stata resa assentibile con DIA alternativa al permesso  di
costruire. 
    Parte  ricorrente  contesta,  inoltre,  la  fondatezza  di  altri
rilievi di incidenza parziale come l'installazione al nono  piano  di
impianti tecnologici, la realizzazione di una chiusura a veranda  sul
terrazzo dell'ottavo piano  con  copertura  di  teli  impermeabili  e
infissi metallici e la realizzazione di un  nuovo  volume  sempre  al
nono piano; 
        3) Ancora l'assenza del vincolo  paesaggistico  ex  art.  124
D.Lgs. n. 42/2004, gia' dedotta nel primo motivo di ricorso; 
        4) La violazione dell'art. 21-nonies legge n. 241/90 perche',
contrariamente a  quanto  indicato  nel  provvedimento  gravato,  non
sussisterebbe  un  concreto  e  specifico  interesse   pubblico   che
giustificherebbe l'adozione dell'atto  di  autotutela  nei  confronti
della DIA; 
        5) Lo sviamento di potere non  perseguendo  il  provvedimento
impugnato l'interesse urbanistico  e  deviando  l'atto  sanzionatorio
dalla sua funzione tipica; 
        6) La violazione dell'art.  7  legge  n.  241/1990,  per  non
essere state prese in considerazione le osservazioni  presentate  nel
corso del procedimento; 
        7)  L'illegittimita'  del  provvedimento  non  essendo  stato
realizzato alcun incremento volumetrico ed essendo quindi applicabile
tutt'al piu' una sanzione pecuniaria. 
    Al  riguardo  e'  stata  effettuata  una  consulenza  tecnica  di
ufficio, vertente sulla duplice questione dell'esistenza o  meno  del
vincolo  paesaggistico  sull'area  in  oggetto  e   sull'aumento   di
volumetria e di altezza, ritenuti i punti focali di risoluzione della
controversia, di cui la prima si rivela in ogni caso determinante  ai
fini della decisione del presente giudizio, essendo stata la presenza
del vincolo  elemento  posto  a  fondamento  dell'impugnato  atto  di
autotutela sulla DIA. 
    Il CTU ha depositato relazione ed allegati in data  30  settembre
2013. Osserva il Collegio come rivesta carattere prioritario  l'esame
degli accertamenti di natura urbanistica compiuti dal  Consulente  di
ufficio, al fine di verificare la vigenza del  vincolo  paesaggistico
in ragione della classificazione urbanistica della zona alla data del
6 settembre 1985. 
    Si  verte  in  proposito  sulla  difforme  classificazione  della
medesima zona operata nella tavola  5  del  PRG,  ove  la  stessa  e'
indicata quale zona B, e nella tavola 3 allegata al PRG,  ove  figura
indicata come zona D2. Al  riguardo  la  difesa  dell'amministrazione
comunale ha  sostenuto  che  la  tavola  5  non  sarebbe  efficace  e
probante,  in  quanto  non  approvata,  si'  che  l'unica  tavola  di
riferimento dell'intero PRG dovrebbe considerarsi la tavola 3. 
    Occorre     affrontare     preliminarmente      la      questione
dell'individuazione delle prescrizioni  di  zona  imposte  dal  piano
regolatore  generale  del  Comune  di  Napoli   rispetto   all'ambito
territoriale in cui sono stati realizzati gli interventi  edilizi  in
oggetto. 
    Il CTU in proposito ha rilevato quanto segue: 
    «In conseguenza delle ingenti distruzioni  belliche  causate  dal
conflitto della II guerra mondiale, si intese disciplinare l'opera di
ricostruzione che  appariva  urgente  ed  indilazionabile,  adottando
appositi piani (di ricostruzione)  per  il  recupero  del  patrimonio
edilizio pubblico e privato degli abitati danneggiati. 
    Il Piano che ha interessato l'ambito della via Marittima, in  cui
ricade l'immobile poi trasformato in  "Hotel  Romeo",  fu  denominato
"Piano di Ricostruzione dei quartieri Porto, Mercato  ed  adiacenze".
Esso era stato redatto dalla  Commissione  del  Piano  Regolatore  di
Napoli ed approvato con D.M.LL.PP. n. 2101 del 27.09.1946. 
    Seguirono diverse varianti. Quella  che  nel  1950  consenti'  la
realizzazione dell'edificio  destinato  a  sede  degli  uffici  della
Flotta Lauro venne  approvata  con  D.M.  n.  3181/3533/3041  del  23
settembre  1949,  all'esito  dei  pareri  favorevoli  del   Consiglio
Superiore Lavori Pubblici resi con i voti del 1° agosto 1949, n. 2149
e 6 settembre 1949, n. 2647. 
    Lo strumento urbanistico generale vigente all'epoca era il  Piano
regolatore del 1935 ...». 
    Prosegue il CTU osservando come in seguito  alla  adozione  della
legge  urbanistica  del  1942,  il  Comune  di  Napoli   attivo'   il
procedimento per la redazione del nuovo PRG; "Il Consiglio  Superiore
Lavori  Pubblici  rese  parere  favorevole  sul  Progetto  di   piano
regolatore, adottato dal Consiglio comunale con  Deliberazione  n.  1
del 12 marzo 1970, nelle adunanze del 17/23 dicembre 1971  e  del  21
gennaio  1972,  proponendo   modifiche,   stralci,   prescrizioni   e
raccomandazioni che, sentito il Comune, furono recepiti  nel  Decreto
del Ministero per i lavori pubblici - Div. 23ª-quinquies  -  n.  1829
del 31 marzo 1972 di approvazione del  piano.  Con  la  Deliberazione
della Giunta municipale n.  80  del  8  marzo  1972,  ratificata  dal
Consiglio comunale con la Deliberazione  n.  1  del  10  marzo  1972,
furono rese le controdeduzioni  del  Comune  di  Napoli,  rimesse  al
Ministero con nota n. 5511 del 13 marzo 1972,  unitamente  agli  atti
del Progetto di piano (5) costituiti da: 
        a) l'album a stampa contenente la cartografia; 
        b) il volume a stampa delle norme di attuazione; 
        c) il volume a stampa della relazione del progetto del  nuovo
piano regolatore.". 
    Il Progetto di piano regolatore esaminato dal Consiglio Superiore
Lavori Pubblici fu restituito al Comune di Napoli (unitamente al D.M.
1829/72 di approvazione) che lo acquisi' in data 7 giugno 1972 al  n.
139582 del protocollo generale, come attestano le  segnature  apposte
sugli elaborati raccolti nell'atlante, accertate dal CTU. 
    Il consulente da quindi conto degli elementi raccolti al fine  di
affermare la vigenza di entrambe le tavole  (la  n.  3  e  la  n.  5)
allegato al Piano regolatore: 
    "Il progetto del Prg  era  composto  da  tre  tipi  di  elaborati
(cartografia, norme di attuazione e relazione), cosi' come  accertato
dal sottoscritto Ctu e come risulta dalla nota prot. 5511/1972 e  dai
seguenti passi tratti dalla Relazione: 
    "Il «progetto del piano regolatore generale» (come l'art. 9 della
legge urbanistica definisce il documento elaborato  dal  Comune,  che
deve essere successivamente «presentato» al Ministero  per  i  lavori
pubblici) consta di tre tipi di elaborati: 
        A - la cartografia (raccolta in «atlante»,  preceduto  da  un
indice o foliario, da un frontespizio per  ciascuna  tavola  e,  dove
necessario,dalla legenda o dalla tavola di unione dei «fogli»); 
        B - le norme di attuazione, raccolte in separato fascicolo  e
costituite da 25 articoli e 3 tabelle (28 riferite agli  ambiti  e  5
alle aree per concentrazioni  di  attrezzature  a  scala  di  settore
urbano); 
        C - la relazione che comprende la presente  introduzione,  la
relazione tecnica del Comitato per il piano regolatore e la relazione
economico-finanziaria  con  la  previsione  di  massima  delle  spese
occorrenti per  l'acquisizione  delle  aree  e  per  le  sistemazioni
generali necessarie per l'attuazione del piano". 
    A sua volta, la  cartografia  raccolta  nell'atlante  consta  dei
seguenti elaborati grafici. 
    "Tavola  1  (in  cinque  fogli):  Cartografia  descrittiva  della
situazione esistente sulla base del rilievo  aerofotogrammetrico  del
territorio comunale aggiornato al 28 luglio 1968 (scala 1:10.000). 
    Tavola 2 (in un foglio):  Inquadramento  dell'area  comunale  nel
territorio circostante con  la  precisazione  dei  vincoli  derivanti
dagli  strumenti  urbanistici  territoriali  gia'   operanti   (scala
1:100.000). Tavola 3 (in cinque fogli preceduti dalla legenda recante
i colori indicativi delle zone e sottozone ed i simboli  degli  altri
vincoli di piano): Tavola generale di piano in iscala al 10.000. 
    Tavola 4 (in ventisei  fogli  preceduti  dal  quadro  di  unione)
Riproduzione in iscala al 4.000 delle soluzioni di piano. 
    Tavola  5  (in  cinque  fogli):  Classificazione  del  territorio
comunale in zone omogenee ai sensi e per gli effetti dell'art. 2  del
decreto interministeriale 2 aprile 1968 (scala 1:10.000). 
    Tavola 6 (in  cinque  fogli):  Ambiti,  settori  urbani  ed  aree
destinate a concentrazioni di servizi  ed  attrezzature  a  scala  di
settore urbano (scala 1:10.000). 
    Tavola 7 (in cinque fogli): Rete cinematica (scala 1:10.000)." 
    Aggiunge il Consulente: "La riproduzione del disegno e' a stampa,
derivata  da  un  solo  prototipo,  ad  evitare  il  ripetersi  delle
incredibili vicende del piano del '39,  inficiato  dalle  difformita'
esistenti fra i tre originali del 10.000 e fra il disegno al 10.000 e
quello a scale diverse ...". 
    Si spiega anche  perche'  la  rappresentazione  della  situazione
attuale sia stata effettuata non tanto in conformita' della circolare
Romita, quanto del decreto interministeriale 2 aprile 1968, che vuole
la classificazione del territorio urbano in zone omogenee (tavola  5)
anche se  questa  classificazione  non  tiene  conto  soltanto  delle
caratteristiche  presenti  sul  territorio,  ma  considera  anche  la
destinazione futura" [cfr. da pag. 107 a 109 relazione - all. 5].  La
Relazione al progetto del Piano di Napoli, dunque, spiega che accanto
alle zone ed aree di  cui  all'art.  7  L.  1150/42  (10)  -  in  cui
suddividere il territorio comunale per  definirne  la  disciplina  di
dettaglio - venivano individuate le cosi' dette  "zone  omogenee"  di
cui all'art. 17 L. 765/67 [alias art. 41-quinquies L. 1150/42]. 
    Ed invero,  l'art.  1  delle  Norme  di  Attuazione  fa  espresso
riferimento all'art. 7  L.  1150/42  e,  segnatamente,  alle  zone  e
relative sottozone rappresentate nella Tav.  3,  mediante  differenti
colorazioni e simbologie esplicative, attraverso cui si definisce  la
disciplina urbanistica e l'individuazione  della  destinazione  d'uso
delle aree del territorio comunale. Nei cinque fogli  costituenti  la
Tav. 5, invece, redatta per ottemperare alle disposizioni di  cui  al
D.I. 1444/1968, sono  indicate  graficamente  le  "zone  territoriali
omogenee", introdotte  dall'art.  17  L.  765/67  per  consentire  la
verifica  del  rispetto  dei  limiti  e  dei  rapporti   inderogabili
(standard) la cui determinazione  era  stata  demandata  ad  apposito
decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata  in
vigore della citata legge [art. 17, ultimo comma, L. 765/67]. 
    A dette "zone territoriali omogenee" ed alla Tav. 5  fa  espresso
riferimento l'Art. 2 (Zone  Territoriali  Omogenee)  delle  Norme  di
Attuazione. Tale articolo non e' stato interessato da alcuna modifica
in sede di approvazione." 
    Ed ancora rileva il consulente la specifica ragion d'essere delle
suddivisioni contenute nella tavola n. 5: "Un chiaro riferimento allo
scopo, assolto dalla Tav. 5, di classificare la  Citta'  nelle  cosi'
dette "zone omogenee" di cui al D.I. 2 aprile  1968  per  ottemperare
alla disposizione di cui all'art. 17 L. 765/67, si rinviene anche  al
5° capoverso di pag. 334 della Relazione [cfr. all. 6  -  tratto  dal
doc. 15] in cui si legge: 
    "In relazione a quanto prescritto nel nominato D.M., la citta' va
suddivisa nelle cosi' dette zone omogenee. Esse sono tali  dal  punto
di vista secondo il quale per una determinata  zona  omogenea  vigono
determinare  prescrizioni  quantitative   di   attrezzature.   Questa
operazione e' stata eseguita nel presente progetto per la citta',  ma
essa fornisce soltanto indicazioni di valori  medi  su  grosse  aree.
Difatti le zone omogenee, quali sono indicate nell'apposita tavola n.
5, hanno forte estensione". 
    Per le finalita', invece, della Tav. 3 (destinata ad indicare  le
zone di cui all'art. 7 L. 1150/42) torna utile il punto 5 di pag. 336
della Relazione [cfr. all. 7 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: 
    "La zonizzazione adottata e'  riportata  nella  tavola  3  ed  e'
specificata e regolata dalle norme di attuazione.  Essa  si  articola
secondo i seguenti criteri. Alla base di  ogni  particolare  proposta
sta la considerazione delle finalita' che si vogliono conseguire. 
    Tali  finalita'  si  traducono,  per  quanto  si  riferisce  alla
zonizzazione, nella necessita' di indicare la destinazione  d'uso,  e
di procedere, in relazione a questa ed in relazione alle esigenze  di
attrezzature   documentate   dallo   studio   degli   ambiti,    alla
conservazione o alla ristrutturazione,  con  le  possibili  e  spesso
necessarie combinazioni di conservazione - ristrutturazione"." 
    In aggiunta alle considerazioni esposte, il dato di  fatto  della
rilevanza  di  tutti  gli  allegati  ai  fini  della  vigenza   delle
prescrizioni in  essi  contenute,  sta  nel  rilievo  che  tutti  gli
elaborati (relazione, norme di attuazione,  grafici)  recano  le  tre
timbrature del Consiglio Superiore del LL.PP. 
    Quanto alla sigillatura operata per la sola tavola 3, osserva  il
CTU come: "Tali modalita' di  confezionamento  dei  cinque  elaborati
della  Tav.  3  e  della  Legenda,  in  cui  sono  rappresentate   le
zonizzazioni  definite  all'art.  7  L.  1150/42,  suscitano   l'idea
nell'osservatore che si sia  voluto  scongiurare  ogni  tentativo  di
alterazione degli atti per evitare quanto  in  passato  era  accaduto
alle tavole del piano del 1939, fatti ricordati nella  Relazione  del
Prg del 1972  ...  Tali  rimedi  dovevano  riguardare  gli  elaborati
grafici e la legenda della Tav. 3 che, in connessione con le Norme di
Attuazione,  fissavano  la  disciplina  edilizia  ed  urbanistica  di
ciascuna  delle  zone  e  sottozone  in  cui  era  stato  diviso   il
territorio, ai sensi dell'art. 7 L. 1150/42. Nessun problema, invece,
presentavano sotto tale profilo gli elaborati della  Tav.  5,  atteso
che la stessa era stata predisposta unicamente  per  classificare  il
territorio nelle "zone omogenee" di cui all'art. 17 L. 765/67 per  la
verifica quantitativa degli standard prescritti  dal  D.I.  2  aprile
1968." 
    Ed infine: "In relazione al 3° quesito si risponde,  quindi,  che
il calcolo  degli  standard  urbanistici  richiamato  nel  parere  n.
1903/72 del Consiglio Superiore LL.PP., per la  zona  cui  appartiene
l'area di sedime in questione, e' proprio quello che si applica  alla
zona classificata come zona omogenea B) di cui all'art.2 del  D.I.  2
aprile 1968, n. 1444." 
    Orbene,  la  Tavola  5  e'  chiaramente   riferita   alle   "zone
territoriali omogenee" di cui all'art. 17 della legge 765/67. 
    Sulla scorta delle pregresse  considerazioni,  il  Collegio  puo'
giungere alle seguenti conclusioni in punto di diritto: 
        il Comune, in sede di  pianificazione  generale  del  proprio
territorio, utilizza due strumenti che hanno fini diversi: 
          - la divisione in zone del territorio ai sensi dell'art.  7
della legge n.  1150-1942,  destinata  a  delineare  il  progetto  di
sviluppo della citta' in senso dinamico; 
          - la  definizione,  per  zone  territoriali  omogenee,  dei
limiti e  dei  rapporti  tra  edificazione  a  scopo  residenziale  e
produttivo e spazi pubblici, ai sensi  dell'art.  41-quinquies  della
stessa legge e del D.M. n. 1444 del 1968, che acquista  rilevanza  ai
soli fini della dotazione degli standard, "senza peraltro  costituire
vincolo alle valutazioni tecnico-discrezionali  dell'Amministrazione"
(Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 1998, n. 869). 
    L'art. 2 del D.M. n. 1444-1968 prevede, in particolare, tre  zone
destinate ad insediamenti residenziali (zona A,  B  e  C),  una  zona
destinata a "nuovi insediamenti per impianti industriali  o  ad  essi
assimilati" (zona D), una zona destinata ad usi  agricoli  (zona  E),
una zona destinata ad attrezzature ed impianti di interesse  generale
(zona F). 
    I parametri per la individuazione  delle  zone  territoriali  non
sono  tra  loro  omogenei:  le  zone  di  tipo  A),  B)  e  C)   sono
caratterizzate  ed  individuate,  infatti,  attraverso  le   qualita'
fisiche  ed  edilizie   del   territorio,   indipendentemente   dalle
destinazioni d'uso del suolo in atto o previste dal piano  in  quella
specifica porzione di terreno; mentre le zone di tipo D),  E)  ed  F)
sono caratterizzate dalle  destinazioni  d'uso  previste  dal  piano,
indipendentemente dalle caratteristiche fisiche  dell'edificazione  e
del territorio. 
    La divisione in zone del territorio comunale puo' non  coincidere
con la individuazione delle zone territoriali omogenee  previste  dal
D.M. n. 1444-1968, sicche' ben puo' verificarsi  (come  nel  caso  in
esame) che in una zona territoriale omogenea sia compresa piu' di una
destinazione di  P.R.G.  e,  nelle  situazioni  di  incertezza  e  di
ambiguita', la individuazione delle zone  omogenee  viene  ad  essere
completamente determinata dalla successiva operazione di  definizione
delle quantita' minime di  aree  per  i  servizi  e  di  vincolo  per
l'edificazione, che si intendono perseguire e porre in atto. 
    Nella fattispecie in esame la zona  interessata  viene  tipizzata
nel P.R.G. come destinata a zona D2 ai sensi dell'art. 7 della  legge
urbanistica;  e  ai  sensi  dell'art.  2  delle  norme  tecniche   di
attuazione del PRG, ha la funzione specifica di zona B ai fini  della
individuazione degli standard urbanistici. 
    Essa ha una precisa localizzazione ed un'autonoma  disciplina  e,
anche  quanto  al  dimensionamento  degli  standard,  e'   nettamente
distinta dalle zone individuate come D, secondo  quanto  diffusamente
accertato dal CTU in base a considerazioni che il Collegio ritiene di
condividere, in quanto fondate  su  logici  criteri  di  giudizio  ed
assistite da ampie acquisizioni documentali e riscontri oggettivi. 
    Si  da'  quindi  logicamente   e   giuridicamente   conto   della
coesistenza di due tavole, la 3 e la 5, redatte a fini diversi: 
        nella tavola 3 la zonizzazione classifica il suolo come D2 ed
e' effettuata ai sensi dell'art. 7 legge 1150/42 (cfr. art.  1  delle
NTA) 
        nella tavola 5 la  zonizzazione  e'  resa  ai  sensi  del  DM
1444/68 (cfr. art. 2 delle NTA). 
    Occorre ora effettuare il coordinamento di  tali  tavole  con  la
previsione dell'art. 1, 2° comma, del D.L. 27.6.1985,  n.  312  (c.d.
Galasso), convertito con modificazioni nella legge 8.8.1985, n.  431,
secondo la quale "Il vincolo paesaggistico di cui al precedente comma
non si applica  alle  zone  A),  B)  e  -  limitatamente  alle  parti
ricomprese nei piani pluriennali di attuazione  -  alle  altre  zone,
come  delimitate  negli  strumenti  urbanistici  ai  sensi  del  D.M.
2.4.1968, n. 1444 e, nei Comuni  sprovvisti  di  tali  strumenti,  ai
centri edificati  perimetrati  ai  sensi  dell'art.  18  della  legge
22.10.1971, n. 865". 
    Tale disposizione normativa e' stata di volta in volta riprodotta
nelle successive  versioni  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, sino all'odierna formulazione di cui  all'art.  142  co  2
D.Lgs. 42/2004. 
    La tavola rilevante a  tal  fine  e'  quella  di  cui  al  n.  5,
contenente la zonizzazione ai fini degli standard,  come  enuncia  il
tenore letterale della disposizione in  esame,  che  ha  inteso  fare
riferimento alla classificazione del territorio comunale ai sensi del
D.M. 2.4.1968, n. 1444. 
    Ne deriva che, a tal fine, nel PRG del Comune di Napoli del  1972
(quello da prendere a riferimento ai sensi della invocata deroga,  la
zona in esame era classificata come zona B, e - nella  vigenza  della
citata disposizione di legge -  dovrebbe  essere  ritenuta  sottratta
alla disciplina della autorizzazione paesaggistica,  ai  sensi  della
norma derogatoria sopra citata. 
    Pertanto - in parte qua - l'esercizio dell'autotutela  sulla  DIA
del 2005 dovrebbe ritenersi illegittimo. 
    Tuttavia il Collegio ritiene di dover  sollevare  di  ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale della norma derogatoria, per
contrasto con gli artt. 9 e 117, comma 1, Costituzione. 
    Invero, l'applicazione della norma di cui all'art. 142, comma  2,
D.Lgs. 42/2004 e segnatamente della deroga ivi contenuta, della quale
sussistono  i  presupposti  fattuali,   condurrebbe   a   conseguenze
contrastanti con i principi costituzionali in materia di  tutela  del
paesaggio dettati dall'art. 9 Cost. e con il principio  del  rispetto
delle convenzioni internazionali di cui all'art. 117, comma 1, Cost.,
alla luce del riconosciuto principio del "pacta sunt servanda". 
    Sulla  rilevanza  della  questione  ai  fini  del  decidere,   e'
sufficiente richiamare come  l'invocata  applicazione  della  deroga,
sancita dalla disposizione di legge della  cui  costituzionalita'  il
Collegio  dubita  ex  officio,  comporti  l'inesistenza  del  vincolo
paesaggistico e che quest'ultimo e' stato posto  dall'Amministrazione
alla base del provvedimento di autotutela nei confronti della  DIA  e
del conseguente ordine di demolizione. 
    L'esistenza del vincolo paesaggistico sull'area  si  pone  quindi
come  questione  ineludibile  ai   fini   della   risoluzione   della
controversia, non assumendo gli altri motivi di gravame pure in  caso
di  fondatezza  valenza  tale  da   comportare   l'annullamento   del
provvedimento gravato. 
    Invero i dedotti  vizi  di  carattere  sostanziale  -  legati  al
contestato aumento di volumetria e di altezza e formale - inerenti il
procedimento e  lo  sviamento  di  potere  -  non  sarebbero,  seppur
fondati,  sufficienti  da  soli  ad  inficiare   la   validita'   del
provvedimento impugnato, stante la valenza autonoma ed assorbente del
rilievo inerente l'assenza dell'autorizzazione paesaggistica. 
    Del pari le censure di carattere formale o di sviamento di potere
non appaiono invece determinanti considerato: 
        - per quanto riguarda la lamentata assenza di un  concreto  e
specifico interesse pubblico all'adozione dell'atto di autotutela nei
confronti della DIA, la circostanza  che  l'Amministrazione  ha  dato
conto di tale interesse apportando motivi legati alle  altezze  degli
edifici e al valore paesaggistico e che si tratta di una  valutazione
di merito o, quantomeno, ad una altissima valenza di discrezionalita'
tecnica  censurabile  solo  in  presenza   di   profili   di   palese
irragionevolezza e illogicita' che nel  caso  di  specie  non  paiono
sussistere; 
        - per quanto riguarda il dedotto sviamento di potere,  l'atto
gravato si  palesa  come  strumento  di  perseguimento  di  interesse
urbanistico, essendo funzionale al corretto governo del territorio; 
        - per quanto riguarda, infine, la doglianza dell'omessa presa
in  considerazione  delle  osservazioni  presentate  nel  corso   del
procedimento,  l'Amministrazione  ha  dato  conto  di   avere   preso
conoscenza delle controdeduzioni e, in punto di diritto,  non  esiste
alcun  obbligo,  in  capo  alla  p.a.,  di   specifica   disamina   e
confutazione delle singole osservazioni e controdeduzioni  rassegnate
dalle parti nell'ambito della partecipazione procedimentale, bastando
che  sia  dimostrata,  tramite  la  motivazione   del   provvedimento
l'intervenuta acquisizione e valutazione degli apporti partecipativi,
come si palesa essere avvenuto. 
    Nel  merito  della  questione  di  costituzionalita',  va  invece
osservato che l'immobile in oggetto ricade nel perimetro  delle  aree
vincolate ex lege ai sensi del cd. decreto Galasso, trovandosi  nella
fascia di 300 mt dalla battigia, e quindi dovrebbe essere soggetto al
regime  di  autorizzazione  paesaggistica  per  gli  interventi   che
comportano modifiche dell'aspetto esteriore dei luoghi. 
    Per lo stesso dovrebbe tuttavia  essere  applicata  la  normativa
derogatoria, trovandosi in  zona  che  alla  data  del  6.9.1985  era
classificata come zona B del vigente strumento urbanistico. 
    In effetti, il legislatore,  con  la  norma  citata,  dopo  avere
indicato le zone vincolate, confermando la previgente  previsione  di
analogo tenore contenuta nella legge n. 485 del 1981,  e  nel  D.lgs.
490 del 19/99, al secondo  comma  ha  contemplato  alcune  eccezioni,
escludendo l'operativita' del vincolo legale per tutte  le  aree  che
alla data del 6-9-1985 (di entrata in vigore della  "legge  Galasso",
pubblicata nella G.U. del 22-8-1985)  si  trovassero  in  determinate
condizioni. La deroga si riferisce a tre ipotesi: 
    "2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a),  b),  c),  d),
e), g), h), l), m), non si applica alle aree  che  alla  data  del  6
settembre 1985: 
        a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come  zone  territoriali
omogenee A e B; 
        b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi  del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come  zone  territoriali
omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti  di  esse
ricomprese, ed erano ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a
condizione che  le  relative  previsioni  siano  state  concretamente
realizzate; 
        c) nei comuni sprovvisti di tali  strumenti,  ricadevano  nei
centri edificati perimetrali ai sensi dell'articolo 18 della legge 22
ottobre 1971, n. 865." 
    (art. 142 co 2 nel testo come modificato dal D.Lgs. 63/2008.) 
    Al riguardo va ricordato brevemente che  la  legge  n.  765/1967,
introducendo l'art. 41-bis  della  legge  urbanistica  n.  1150/1942,
aveva stabilito  che  tutti  i  comuni,  nella  formazione  di  nuovi
strumenti  urbanistici  o  nella  revisione  di   quelli   esistenti,
dovessero osservare limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti  massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi"  (cd.  standards  urbanistici).  Tali  limiti  e  rapporti
sarebbero stati definiti  per  zone  territoriali  omogenee,  con  un
decreto del Ministro peri lavori pubblici, poi effettivamente emanato
nel 1968, con il n. 1444. Il decreto in parola, all'art.  2,  delinea
sotto un profilo funzionale sei tipologie di  zone  omogenee,  ognuna
individuata con una lettera (da  A  a  F)  e  caratterizzata  da  una
distinta destinazione urbanistica e potenzialita' edificatoria.  Cio'
consentiva e consente ai comuni di dare piena applicazione  a  quanto
previsto dall'art. 7 della legge urbanistica all'epoca  vigente,  che
prescriveva che il piano regolatore  generale  suddividesse  in  zone
l'intero territorio comunale,  ognuna  con  la  propria  connotazione
tipologica  e  funzionale,  individuando,  tra   le   altre,   quelle
contraddistinte da particolari caratteristiche storiche,  paesistiche
ed ambientali, per  le  quali  avrebbe  dovuto  anche  individuare  i
relativi vincoli. 
    Tanto precisato, va ricordato che le zone A) vengono definite dal
D.M.  del  1968  come  "le  parti  del  territorio   interessate   da
agglomerati urbani che rivestono carattere storico,  artistico  o  di
particolare pregio ambientale o da porzioni di  essi,  comprese  aree
circostanti, che possono  considerarsi  parte  integrante,  per  tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi"; le zone  B)  sono  invece
quelle porzioni di territorio "totalmente o parzialmente'  edificate,
diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le  zone
in  cui  la  superficie  coperta  degli  edifici  esistenti  non  sia
inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della  zona
e nelle quali la densita' territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq". 
    In questo ambito,  pertanto,  l'art.  142  intende  escludere  in
assoluto l'operativita' della tutela legale  per  tutte  quelle  zone
gia' completamente o fortemente edificate ed  urbanizzate  (zone  B),
rispetto alle quali le  eventuali  valenze  paesaggistiche  risultano
sostanzialmente gia'  cristallizzate;  nonche'  per  quelle  zone  in
relazione  alle  quali  gli  strumenti  urbanistici   avessero   gia'
autonomamente proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilievo
storico, paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo
regime vincolistico (zone A). 
    In sintesi, la ratio della  norma  e'  quella  di  escludere  dal
regime di tutela  il  cd.  territorio  urbano  edificato,  in  quanto
sostanzialmente gia' compromesso dal punto di vista  paesaggistico  e
inespressivo di valori di tal genere. 
    Nella fattispecie all'esame di questo TAR,  tuttavia,  si  e'  in
presenza di un centro edificato del Comune di Napoli  di  eccezionale
pregio paesaggistico e storico, secondo quanto puo'  desumersi  quale
fatto notorio dalla determinazione di  inclusione  dello  stesso  nei
siti tutelati dall'UNESCO. 
    E' invero fatto notorio che il centro storico di Napoli e'  stato
iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1995, con  la
seguente  motivazione:  Napoli  e'  una  delle  citta'  piu'  antiche
d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo preserva  gli  elementi
della sua lunga e importante storia. 
    Sulla  base  del  secondo  e  quarto  criterio  stabilito   dalla
Convenzione degli accordi di Parigi del  1972,  si  e'  ritenuto  che
Napoli merita il riconoscimento di Patrimonio dell'Umanita' per esser
stata fin dall'antichita' il polo  culturale  piu'  importante  della
Magna Grecia,  condizione  di  dominio  politico  che  la  citta'  ha
mantenuto anche nel Medioevo,  ed  ancora  nel  XVI  e  XVII  secolo,
periodo culmine delle arti e  dell'architettura,  in  cui  Napoli  ha
esercitato influenza europea in questo settore. 
    Al riguardo si riportano i citati criteri:  Criterio  II  (1994):
"aver esercitato un'influenza considerevole in un dato periodo  o  in
un'area  culturale  determinata,  sullo  sviluppo  dell'architettura,
delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione
di paesaggi". Criterio IV (1994): "... offrire esempio eminente di un
tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio  che
illustri un periodo significativo della storia umana". 
    La Convenzione UNESCO  per  la  tutela  del  patrimonio  mondiale
culturale e naturale, adottata nel  1972  dalla  Conferenza  Generale
degli  Stati  Membri  dell'UNESCO  e'  stata  recepita   nel   nostro
ordinamento con Legge nazionale di ratifica n. 184 del 06.04.1977. 
    Scopo della Convenzione e' il riconoscimento condiviso che i beni
culturali  e  naturali  di   valenza   eccezionale,   ovunque   siano
localizzati,  costituiscono  un  patrimonio  universale   dell'intera
comunita' internazionale. Ne consegue  che  gli  Stati  firmatari  la
Convenzione  dovranno  concorrere  "all'identificazione,  protezione,
conservazione e  valorizzazione"  di  questo  patrimonio,  nonche'  a
cooperare e  prestare  assistenza  agli  Stati  che  si  impegnano  a
preservarlo. 
    Si e' dunque giunti, nell'evoluzione della Convenzione UNESCO, ad
un accreditamento esplicito e consapevole del paesaggio come bene  da
preservare e meritevole di tutela, tutela che si rivolge  a  beni  di
"valore universale eccezionale". Secondo quanto definito  negli  atti
della  convenzione:  "Il  valore  universale  eccezionale   significa
un'importanza  culturale  e/o  naturale  talmente   eccezionale   che
trascende le frontiere nazionali e che presenta gli stessi  caratteri
inestimabili sia per le generazioni attuali  che  per  quelle  future
dell'intera umanita'. Per questo motivo la protezione  permanente  di
questo patrimonio riveste la piu'  elevata  importanza  per  l'intera
comunita' internazionale". 
    In proposito gli Stati aderenti hanno assunto specifici  impegni,
dettagliati negli artt. 4 e 5 del Trattato: "Art. 4 - Ciascuno  Stato
partecipe della  presente  Convenzione  riconosce  che  l'obbligo  di
garantire     l'identificazione,      protezione,      conservazione,
valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del  patrimonio
culturale e naturale di cui agli articoli 1  e  2,  situato  sul  suo
territorio, gli incombe in prima persona. Esso si sforza di  agire  a
tal  fine  sia  direttamente  con  il  massimo  delle   sue   risorse
disponibili, sia, all'occorrenza, per mezzo dell'assistenza  e  della
cooperazione internazionale di cui potra' beneficiare, segnatamente a
livello finanziario, artistico, scientifico e tecnico.".  "Art.  5  -
Per garantire una protezione e una  conservazione  le  piu'  efficaci
possibili  e  una  valorizzazione  la  piu'  attiva   possibile   del
patrimonio culturale e naturale  situato  sul  loro  territorio,  gli
Stati  partecipi  della  presente   Convenzione,   nelle   condizioni
appropriate ad ogni Paese, si sforzano quanto possibile: 
        a. di adottare una politica generale intesa ad assegnare  una
funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a
integrare  la  protezione  di  questo  patrimonio  nei  programmi  di
pianificazione generale; 
        b. di  istituire  sul  loro  territorio,  in  quanto  non  ne
esistano ancora, uno o piu' servizi di  protezione,  conservazione  e
valorizzazione  del  patrimonio  culturale  e  naturale,  dotati   di
personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere  i
compiti che gli incombono; ... 
        d.  di  prendere  i  provvedimenti  giuridici,   scientifici,
tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per  l'identificazione,
protezione, conservazione, valorizzazione e  rianimazione  di  questo
patrimonio ...". 
    L'immobile  oggetto  del  presente   giudizio   sorge   su   area
ricompresa, in  base  alla  cartografia  allegata  al  riconoscimento
UNESCO, in area di tutela; invero, lo  stesso  si  trova  all'interno
della zona cuscinetto detta "buffer zone area" delimitata in funzione
del valore di Patrimonio dell'Umanita', e della sua tutela,  "secondo
la perimetrazione cartografica rilevabile dal sito internet  comunale
(zona perimetrata in giallo). 
    L'immagine  del  centro  storico  UNESCO  percepita  come  unica,
fruibile soprattutto vantaggiosa per gli arrivi via mare, dalla quale
prospettiva e' riconoscibile la straordinaria valenza paesistica, non
ha tuttavia comportato sinora la imposizione di uno  speciale  regime
vincolistico, non risultando  portati  a  compimento  i  procedimenti
presso  il   Ministero   dei   Beni   culturali   di   riconoscimento
dell'interesse paesaggistico del centro storico  -  Unesco,  previsto
dal Codice per i beni culturali e il paesaggio. 
    In mancanza dell'emanazione del  decreto  ministeriale,  previsto
dal citato Codice, che attesti l'impareggiabile valore  paesaggistico
del centro storico di Napoli, l'operativita' della deroga  al  regime
vincolistico  generale  di  cui  al  decreto  Galasso  conduce   alla
conseguenza paradossale di consentire, nel perimetro dei 300 mt dalla
battigia, ove insistono significative testimonianze della  storia  di
Napoli e del suo paesaggio identitario, trasformazioni del territorio
senza alcuna valutazione di compatibilita' paesaggistica. 
    Tale evenienza contrasta con l'articolo 9 della Costituzione, che
ha fatto assurgere il paesaggio a valore primario  della  Repubblica:
esso colloca il valore del patrimonio paesaggistico -  come  dice  la
giurisprudenza costituzionale - tra i valori "primari" e  "assoluti":
non  disponibili,  non  esposti  alla  mutevolezza  degli   indirizzi
politici e comunque da preferire nelle scelte amministrative (cfr. C.
Cost. 7.11.2007, n. 367). 
    In questo senso si valorizza la dimensione tecnica del vaglio  di
compatibilita', cioe' della gestione del vincolo, per  assicurare  la
prevalenza del valore "primario e assoluto" del paesaggio, affermando
che il parere obbligatorio  e  vincolante  del  soprintendente  va  a
rimodulare l'«estrema difesa del vincolo». 
    Osserva il Collegio che lo schema  operativo  della  "tutela"  e'
implicitamente   recepito   dal    principio    fondamentale    della
Costituzione, che consente un obiettivo giudizio  tecnico  sul  nuovo
intervento rispetto al valore riconosciuto della preesistenza. Questo
schema e'  percio'  costituzionalmente  necessario  e  puo'  ricevere
deroga  solo  in  ipotesi  tassativamente  previste   e   che   siano
ragionevolmente espressive di  fattispecie  in  cui  si  evidenzi  la
mancanza di valori paesaggistici da tutelare. 
    Cio' che  rileva,  e  che  'risulta  essenziale  all'effettivita'
dell'art. 9 Cost., e' che dalla dichiarazione derivi l'obbligo di una
motivata valutazione tecnica di compatibilita' del  nuovo  intervento
progettato con i valori  preesistenti,  finalizzata  ad  evitare  che
sopravvengano  alterazioni  inaccettabili  del  valore  paesaggistico
protetto. La sequenzialita' di queste due fasi identifica  il  nucleo
essenziale della funzione costituzionale di tutela del paesaggio e ne
garantisce  l'effettivita',  insieme  alla   regola   essenziale   di
tecnicita' e di concretezza, per cui il  giudizio  di  compatibilita'
paesaggistica deve essere tecnico e proprio del caso concreto. 
    In riferimento al "vincolo", legale o amministrativo,  e  in  sua
"gestione", sono adottati i provvedimenti autorizzatori,  ablatori  e
ripristinatori, che concretano la manifestazione della  funzione  che
si esprime nel giudizio di  "compatibilita'"  rispetto  ai  caratteri
preesistenti e qualificati. 
    Questo  effetto  di  valutazione  in  sede  di  procedimento   di
autorizzazione costituisce il contenuto essenziale del  vincolo,  cui
puo' aggiungersi, in combinato con le "prescrizioni d'uso"  da  piano
paesaggistico o la "specifica disciplina" per il singolo vincolo,  un
effetto sostanziale  di  valutazione  immediata  ed  ex  ante  (nella
fattispecie non operante, trattandosi  di  vincolo  generalizzato  ex
lege). 
    Consegue da quanto esposto che, quale che sia lo strumento da cui
la tutela muove - vincolo amministrativo puntuale, vincolo legale per
categorie,  vincolo  da  piano  pasaggistico  -, la  valutazione   di
compatibilita' delle innovazioni che vi presiede e' legata  a  questo
carattere di primarieta' del paesaggio e non puo' essere  esclusa  in
via generalizzata, con riferimento alla sola tecnica di  zonizzazione
del territorio da parte dell'amministrazione comunale,  per  di  piu'
trattandosi  di   una   tecnica   di   zonizzazione   fotografata   e
cristallizzata alla data del 6  settembre  1985,  epoca  in  cui  gli
strumenti urbanistici  di  molti  comuni  non  avevano  ancora  preso
coscienza del valore identitario del bene paesaggio. 
    Inoltre, va  rilevato  che  siffatta  deroga  lascia  ancor  piu'
indifese le zone di territorio comunale che all'epoca di  riferimento
erano classificate come zone B, poiche' per  i  centri  storici  (che
coincidono con le zone A)  viene  normalmente  predisposta  specifica
normativa   di   tutela,   volta   alla   forte   limitazione   delle
trasformazioni assentibili del territorio. 
    La giurisprudenza costituzionale (cfr.  Corte  Cost.  n.  66  del
/2012 e sentenza n. 164 del 2009) sottolinea come le disposizioni  in
materia di vincoli rivestano la qualificazione di  «norma  di  grande
riforma economico-sociale». Tali disposizioni sono ritenute centrali,
in quanto: "... proprio laddove hanno reintrodotto la  tipologia  dei
beni paesaggistici e ne hanno operato la relativa ricognizione, si e'
inteso dare «attuazione al disposto del  (citato)  articolo  9  della
Costituzione, poiche' la prima  disciplina  che  esige  il  principio
fondamentale della tutela del paesaggio e'  quella  che  concerne  la
conservazione della morfologia del territorio e dei  suoi  essenziali
contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007)." 
    L'articolo 142, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004, quindi si paleserebbe
in possibile contrasto con l'art.  9  della  Costituzione  dove,  nel
prevedere la deroga al regime  di  autorizzazione  paesaggistica  per
tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate  negli
strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude  da
tale ambito  operativo  di  deroga  le  aree  urbane  riconosciute  e
tutelate come patrimonio UNESCO. 
    Inoltre, come indicato, con la richiamata Convenzione UNESCO  per
la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, adottata  nel
1972 dalla Conferenza  Generale  degli  Stati  Membri  dell'UNESCO  e
recepita nel nostro ordinamento con Legge nazionale  di  ratifica  n.
184 del 06.04.1977, gli Stati firmatari si sono assunti degli impegni
di valorizzazione e tutela mediante ogni idoneo strumento dei siti di
riconosciuto valore, ai  sensi  dei  riportati  artt.  4  e  5  della
Convenzione medesima. 
    Alla luce di cio' il  Collegio  ritiene  che  la  medesima  norma
dell'art. 142, comma 2, D.Lgs.  42/2004,  possa  porsi  in  contrasto
anche con l'art. 117, comma 1, Cost, che  impone  il  rispetto  delle
convenzioni internazionali,  alla  luce  del  principio  "pacta  sunt
servanda". 
    Tali impegni di valorizzazione e tutela  non  consentono  difatti
che un sito riconosciuto come di preminente valore  dall'UNESCO,  con
l'inserimento nella  lista  del  Patrimonio  Mondiale  UNESCO,  possa
essere destinatario di una norma di  deroga  che  lo  sottragga  alla
tutela ordinariamente prevista dal legislatore nazionale per  i  siti
riconosciuti di valore paesaggistico. 
    In questo caso la Convenzione UNESCO, e segnatamente gli artt.  4
e 5 della Convenzione medesima, integrano, quali "norme  interposte",
il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma  1,  Cost.,
nella parte in cui stabilisce l'obbligo per la  legislazione  interna
di rispettare i vincoli derivanti  dagli  "obblighi  internazionali",
che pertanto risulterebbe violato. 
    D'altra parte l'importanza delle  convenzioni  internazionali  in
materia di tutela del  patrimonio  paesaggistico  viene  riconosciuta
dallo  stesso  D.Lgs.  n.  42/2004  che  nell'art.  132,   comma   1,
(Convenzioni internazionali), prevede che "la Repubblica si  conforma
agli obblighi ed ai principi di cooperazione tra  gli  Stati  fissati
dalle  convenzioni  internazionali  in  materia  di  conservazione  e
valorizzazione del paesaggio". 
    Sotto altro concorrente profilo, pero', il Collegio rileva come i
siti inseriti nella lista del Patrimonio  Mondiale  UNESCO  meritino,
alla stregua degli indicati riferimenti costituzionali, lo  specifico
regime legislativo di tutela paesaggistica, ovverosia il carattere di
interesse    paesaggistico    e    la     conseguente     disciplina,
indipendentemente dal ricadere in una  delle  specifiche  ipotesi  di
vincolo ex lege di cui all'art. 142, comma 1, D.Lgs.  42/2004,  e  in
tal senso il riconoscimento di tutela UNESCO, con l'inserimento nella
relativa lista, dovrebbe essere ricompreso, come ipotesi  aggiuntiva,
tra i casi previsti nel medesimo comma 1 dell'art. 142. 
    Si rileva pertanto la possibile illegittimita'  costituzionale  -
per i medesimi motivi suindicati di contrasto con l'art.  9  Cost.  e
l'art. 117 Cost. per il tramite  delle  norme  interposte  costituite
dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO  -  anche  dell'art.  142,
comma 1, D.Lgs. 42/2004 nella parte in  cui  non  contempla,  tra  le
ipotesi in cui viene riconosciuto ex lege il carattere  di  interesse
paesaggistico e  la  relativa  disciplina  di  tutela,  quelle  degli
immobili  per  cui  e'  intervenuto  il  riconoscimento  UNESCO,  con
l'inserimento nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. 
    In senso analogo, la  disciplina  generale  per  l'individuazione
degli immobili ed aree di notevole interesse  pubblico,  assoggettati
alla specifica tutela delle disposizioni di  cui  al  D.Lgs.  42/2004
demanda   alla    discrezionalita'    tecnica    dell'amministrazione
l'individuazione  dei  beni  da  dichiarare  di  notevole   interesse
pubblico, senza che vi sia alcun obbligo nel  caso  in  cui  un  sito
rientri nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. 
    Una censura di costituzionalita' puo' riguardare, sempre  per  le
ragioni indicate di cui agli art. 134, 136, 139,  140  e  141  D.Lgs.
42/2004, nella parte in  cui  non  impongono  all'Amministrazione  di
adottare la dichiarazione di notevole interesse, con  la  conseguente
disciplina di tutela, per i  siti  riconosciuti  Patrimonio  Mondiale
UNESCO. 
    Il  Collegio,  conclusivamente,  ritenuta  la  rilevante  e   non
manifestamente  infondata,  solleva  di  ufficio  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 142,  comma  2,  D.Lgs.  n.
42/2004 in riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art.  117,
comma 1, della Costituzione, per il tramite  delle  norme  interposte
costituite dagli artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per  la  tutela
del patrimonio mondiale culturale e naturale, laddove, nel  prevedere
la deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone
A e B del territorio  comunale,  tali  classificate  negli  strumenti
urbanistici vigenti alla data  del  6.9.1985,  non  esclude  da  tale
ambito operativo di deroga le aree  urbane  riconosciute  e  tutelate
come patrimonio UNESCO. 
    Solleva  altresi'  di  ufficio  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo  142,  comma  1,  D.Lgs.  n.  42/2004  e
dell'art. 134 - 136 D.Lgs. 42/2004, in riferimento all'art.  9  della
Costituzione e all'art. 117, comma  1,  della  Costituzione,  per  il
tramite delle norme interposte costituite dagli artt.  4  e  5  della
Convenzione UNESCO per la tutela del patrimonio mondiale culturale  e
naturale, e rispettivamente, per l'articolo 142, comma 1, nella parte
in cui non contempla, tra le ipotesi in  cui  viene  riconosciuto  ex
lege il carattere di interesse paesaggistico e la relativa disciplina
di tutela, quelle dei siti per cui e' intervenuto  il  riconoscimento
di Patrimonio Mondiale UNESCO e, per gli artt. 134, 136, 139,  140  e
141   D.Lgs.   42/2004,   nella   parte   in   cui   non    impongono
all'Amministrazione di  adottare  di  adottare  la  dichiarazione  di
notevole  interesse  per  i  siti  riconosciuti  patrimonio  Mondiale
UNESCO. 
    Visto l'art. 23 della l. cost. n. 87/1953; 
    Riservata ogni altra decisione in rito, in merito e  sulle  spese
all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla  quale
va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita'. 
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della  Segreteria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
Costituzionale; dispone la notificazione del presente provvedimento -
sempre a cura della Segreteria - alla Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  ed  alle  parti  in  causa,  nonche'  la  comunicazione  ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 9 e l'art. 117, comma 1, della Costituzione, nonche'
l'art. 23 della  L.  11.03.1953,  n.  87,  riservata  ogni  ulteriore
decisione in rito, in merito e sulle spese; 
    Ritenuta  la  rilevanza  della  questione  e  la  non   manifesta
infondatezza: 
        solleva   ex   officio    la    questione    d'illegittimita'
costituzionale dell'art. 142, comma 2, D.Lgs. 42/2004, in riferimento
all'art.  9  della  Costituzione  e  all'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite  dagli
artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per  la  tutela  del  patrimonio
mondiale culturale e naturale, laddove, nel prevedere  la  deroga  al
regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A  e  B  del
territorio comunale, tali classificate  negli  strumenti  urbanistici
vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito  operativo
di deroga le aree urbane  riconosciute  e  tutelate  come  patrimonio
UNESCO; 
        solleva altresi' di  ufficio  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 142, comma 1, D.Lgs. n. 42/2004 e  degli
artt. 134, 136,  139,  140  e  141  D.Lgs.  42/2004,  in  riferimento
all'art.  9  della  Costituzione  e  all'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione, per il tramite delle norme interposte costituite  dagli
artt. 4 e 5 della Convenzione UNESCO per  la  tutela  del  patrimonio
mondiale culturale e naturale e, rispettivamente, per l'articolo 142,
comma 1, nella parte in cui non contempla,  tra  le  ipotesi  in  cui
viene riconosciuto ex lege il carattere di interesse paesaggistico  e
la relativa  disciplina  di  tutela,  quelle  dei  siti  per  cui  e'
intervenuto il riconoscimento di Patrimonio Mondiale  UNESCO  e,  per
gli artt. 134, 136, 139, 140 e 141 D.Lgs. 42/2004, nella parte in cui
non impongono all'Amministrazione di  adottare  un  provvedimento  di
apposizione  di  vincolo  paesaggistico  per  i   siti   riconosciuti
patrimonio Mondiale UNESCO. 
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della  Segreteria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
Costituzionale; 
    Ordina la notificazione del presente  provvedimento  -  sempre  a
cura della Segreteria - alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed
alle parti in causa, nonche' la  comunicazione  ai  Presidenti  della
Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
 
    Cosi' deciso in Napoli nelle camere di consiglio  dei  giorni  13
novembre - e 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati: 
 
        Angelo Scafuri, Presidente; 
        Anna Pappalardo, Consigliere; 
        Fabrizio D'Alessandri, Primo Referendario, Estensore. 
 
                       Il Presidente: Scafuri 
 
 
                                            L'Estensore: D'Alessandri