N. 241 SENTENZA 22 - 24 ottobre 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Enti  locali  -  Possibilita'  di  distacco  temporaneo   di   propri
  dipendenti presso gli organismi nazionali  e  regionali  dell'Anci,
  dell'Upi, dell'Aiccre, dell'Uncem e della Cispel. 
- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
  sull'ordinamento degli enti locali), art. 271, comma 2. 
-   
(GU n.45 del 29-10-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo Maria NAPOLITANO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,  Giorgio
  LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario
  Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 271,  comma
2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali), promosso dal Consiglio  di
Stato nel procedimento vertente tra la Lega Toscana  delle  autonomie
locali ed altra e il Comune di Lastra a Signa, con ordinanza  del  25
luglio  2012  iscritta  al  n.  18  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione della Lega Toscana delle autonomie
locali, della Lega delle  autonomie  locali  (Legautonomie),  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  7  ottobre  2014  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli per la Lega Toscana  delle
autonomie locali, Fabio Elefante  e  Domenico  Ielo  per  Lega  delle
autonomie locali (Legautonomie) e l'avvocato dello Stato Marina Russo
per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio d'appello della sentenza di  rigetto
di un ricorso proposto dalla Lega  Toscana  delle  autonomie  locali,
associazione regionale di  enti  locali,  aderente  alla  Lega  delle
autonomie locali (Legautonomie),  avverso  il  provvedimento  con  il
quale  il  Comune  di  Lastra  a  Signa  ha  respinto  la   richiesta
finalizzata ad ottenere  il  distacco  temporaneo  di  un  dipendente
comunale presso la sede dell'associazione,  il  Consiglio  di  Stato,
sezione V, con ordinanza emessa  il  25  luglio  2012,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 271, comma 2,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui  esclude  la
possibilita' per gli enti locali di distaccare il  proprio  personale
anche presso associazioni diverse da quelle tassativamente indicate». 
    Il  rimettente  premette  che  l'elenco,  contenuto  nella  norma
censurata, delle associazioni in favore delle quali e' consentito  il
distacco  dei  dipendenti  comunali  ha  carattere  tassativo,   come
evidenziato dal dato letterale della norma  stessa  (in  mancanza  di
alcuna   locuzione   volta   a    chiarire    la    caratterizzazione
esemplificativa dell'elencazione e la possibilita'  di  estendere  la
sfera di operativita' di tale normativa anche ad  altre  associazioni
di  enti  locali,  oltre  agli  «organismi  nazionali   e   regionali
dell'Anci, dell'Upi, dell'Aiccre, dell'Uncern,  della  Cispel  e  sue
federazioni»),  oltre  che  da  quello  sistematico  (desumibile  dal
precedente art. 270, che - in  tema  di  riscossione  dei  contributi
associativi - ne estende la  portata  dispositiva  anche  alle  altre
associazioni di enti locali diverse da quelle enumerate). 
    Ritenuta  la  rilevanza  della  questione  (giacche'  il  diniego
impugnato  risulta  basato  proprio  sulla   affermata   tassativita'
dell'elenco delle associazioni contemplate dalla norma), quanto  alla
non manifesta infondatezza il rimettente osserva che la previsione di
un numerus clausus di associazioni  potenzialmente  beneficiarie  dei
distacchi in esame si pone innanzitutto in  contrasto  con  l'art.  3
della  Costituzione,  venendo   a   consacrare   una   ingiustificata
disparita' di trattamento in  danno  delle  associazioni  diverse  da
quelle  tipizzate  e  degli  enti  locali  che  aderiscano   a   tali
associazioni, che non possono giovarsi del meccanismo  normativamente
enucleato. Inoltre, la previsione di un  elenco  rigido  produce  una
irragionevole cristallizzazione delle associazioni  beneficiarie  che
opera  in  modo  avulso  dalla  verifica  del  dato,   potenzialmente
variabile,  dell'effettiva  assunzione  di  un  altrettanto  o   piu'
rilevante grado di rappresentativita' e meritevolezza anche da  parte
di associazioni diverse. 
    Sulla base di tali considerazioni, il rimettente  denuncia  anche
un  vulnus  al  principio  di  liberta'  di  associazione,   tutelato
dall'art.   18   Cost.,   in   quanto   l'irragionevole   preclusione
dell'operativita' del  beneficio  in  favore  di  altre  associazioni
produce un deterrente rispetto all'adesione dell'ente locale  a  tali
associazioni (incidendo negativamente sul  valore  del  pluralismo  e
sulla liberta' di scegliere le associazioni a cui  aderire),  nonche'
«una   discriminazione,   non   ancorata   a    concreti    parametri
giustificativi,    delle     associazioni     costituite     mediante
l'estrinsecazione della liberta'  cristallizzata  da  detto  precetto
costituzionale». 
    Secondo  il  Collegio  a  quo,  la  differenziazione  di   regime
giuridico tra le associazioni in esame non trova adeguato  fondamento
nell'esigenza di contenere la spesa pubblica, ne' nel  piu'  generale
principio di buon andamento dell'azione amministrativa, visto che, in
una prospettiva costituzionalmente orientata che armonizzi  i  valori
in gioco, dette finalita'  vanno  perseguite  con  la  previsione  di
limiti  al  personale  distaccabile  e   non   con   la   limitazione
irragionevole  delle  associazioni  beneficiarie  del  distacco.   Al
contrario, l'esigenza di  contenimento  della  spesa  pubblica  e  di
tutela dell'efficienza amministrativa non  puo'  essere  fronteggiata
con l'imposizione statale del novero delle  associazioni  presso  cui
gli enti locali possono  distaccare  il  proprio  personale  ma  deve
transitare attraverso la valorizzazione  della  facolta'  degli  enti
locali, espressione dell'autonomia  organizzativa  costituzionalmente
protetta,  di  scegliere  a  quali  organismi  destinare  il  proprio
personale. E, in ragione di cio',  il  rimettente  censura  la  norma
statale anche per violazione degli artt. 114, 118 e 119 Cost., «nella
misura in cui lede  l'autonomia  costituzionalmente  garantita  degli
enti locali», e dell'art. 97 Cost. nella parte in cui  la  previsione
dell'elencazione tassativa «discrimina  i  soggetti  che  entrano  in
contatto con gli enti locali». 
    2.- Si sono costituite la Lega Toscana delle autonomie  locali  e
la Lega delle autonomie locali  (Legautonomie),  entrambe  parti  del
giudizio principale, in qualita'  rispettivamente  di  ricorrente  ed
interveniente ad adiuvandum, che hanno  concluso  per  l'accoglimento
della sollevata questione, concordando con le  argomentazioni  svolte
dal  rimettente,  soprattutto   con   riferimento   alla   denunciata
violazione degli artt. 3 e 18 Cost., in  ragione  del  fatto  che  la
Legautonomie ha sicuramente la stessa natura e gli  stessi  caratteri
delle altre associazioni menzionate dalla norma censurata, in  quanto
associazione di categoria che  tutela  esclusivamente  gli  interessi
degli enti locali, che per di piu' ha carattere nazionale  articolato
in strutture regionali. 
    In particolare, la Lega delle autonomie locali  -  analizzata  la
propria storia e  l'attivita'  espletata  anche  dalle  articolazioni
regionali, come organizzazione rappresentativa delle autonomie locali
a servizio delle stesse - osserva che  appare  evidente,  anche  alla
luce della giurisprudenza  della  Corte  relativa  alle  associazioni
sindacali  (cui  ritiene  assimilabili  le  associazioni  degli  enti
locali), il contrasto con  il  principio  pluralistico  partecipativo
(fondante il nostro ordinamento costituzionale),  che  impone  che  a
tutte le associazioni aventi le medesime finalita' e  rappresentative
di una medesima  categoria  debba  essere  garantita  la  parita'  di
trattamento (giacche' una differenziazione  tra  associazioni  aventi
finalita' omogenee  e'  ammissibile  solo  ove  abbia  un  fondamento
ragionevole). 
    3.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocature   generale   dello   Stato,
concludendo per la non fondatezza della sollevata questione. 
    La difesa dello Stato osserva come  l'istituto  del  distacco  di
pubblici dipendenti  (in  quanto  comporta  la  sottrazione,  in  via
eccezionale, di  risorse  umane  normalmente  in  forza  all'organico
distaccante), conformemente al  principio  di  buon  andamento  della
pubblica    amministrazione,    non    possa    essere     consentito
indiscriminatamente  verso  qualunque  associazione,   ma   solo   se
affettivamente corrisponda agli interessi istituzionali dell'ente.  E
rileva, dunque, che il legislatore ha operato un  vaglio  preventivo,
esprimendo un giudizio positivo circa  la  possibilita'  di  distacco
presso quelle, tra le associazioni di enti locali esistenti, ritenute
meritevoli (nell'esercizio della propria discrezionalita').  Esclusa,
infatti, la conferenza della richiamata giurisprudenza costituzionale
in materia di rappresentativita'  delle  associazioni  sindacali,  in
quanto per le associazioni degli enti locali non  esiste  un  analogo
criterio selettivo generale  ed  obiettivo,  la  difesa  dello  Stato
sottolinea che la norma censurata non riguarda  il  pluralismo  o  la
liberta' sindacale, bensi' l'applicazione di un istituto che comunque
rappresenta una eccezione rispetto alla regola dell'utilizzo  diretto
dei dipendenti da parte dell'ente locale  di  appartenenza.  Utilizzo
che quindi e' consentito in un'ottica restrittiva, giustificata sotto
il profilo della ragionevolezza  dalla  esigenza  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione e  della  certezza  dei  casi  in  cui
l'istituto derogatorio puo' operare; e la regolamentazione del quale,
nella specie, non comporta la  violazione  di  alcuno  degli  evocati
parametri. 
    4.- Nell'imminenza dell'udienza, la Lega Toscana delle  autonomie
locali e la Lega delle autonomie locali hanno depositato memorie,  in
cui   ribadiscono   le   rassegnate   conclusioni,   richiamando   ed
approfondendo le ragioni svolte a sostegno delle stesse. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato censura il comma 2  dell'art.  271  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali),  i  cui  primi  due   periodi
prevedono che «Gli enti locali, le loro aziende  e  associazioni  dei
comuni possono disporre il  distacco  temporaneo,  a  tempo  pieno  o
parziale, di propri  dipendenti  presso  gli  organismi  nazionali  e
regionali dell'Anci, dell'Upi, dell'Aiccre, dell'Uncem, della  Cispel
e sue federazioni, ed autorizzarli a prestare la loro  collaborazione
in favore di tali associazioni. I dipendenti distaccati mantengono la
posizione giuridica ed il corrispondente trattamento economico, a cui
provvede l'ente di appartenenza.». 
    A giudizio del rimettente, tale  norma  -  «nella  parte  in  cui
esclude la possibilita' per gli enti locali di distaccare il  proprio
personale anche presso associazioni diverse da quelle  tassativamente
indicate»  -  si  porrebbe  in  contrasto:  a)  con  l'art.  3  della
Costituzione, per ingiustificata disparita' di trattamento  in  danno
delle associazioni diverse da quelle tipizzate e  degli  enti  locali
che aderiscano a tali associazioni,  che  non  possono  giovarsi  del
meccanismo  normativamente  enucleato;   e   per   la   irragionevole
cristallizzazione delle associazioni beneficiarie che opera  in  modo
avulso   dalla   verifica   del   dato,   potenzialmente    variabile
dell'effettiva assunzione di un altrettanto o piu' rilevante grado di
rappresentativita' e meritevolezza anche  da  parte  di  associazioni
diverse;  b)  con  l'art.  18  Cost.,   in   quanto   l'irragionevole
preclusione  dell'operativita'  del  beneficio  in  favore  di  altre
associazioni produce un deterrente  rispetto  all'adesione  dell'ente
locale a tali associazioni (incidendo negativamente  sul  valore  del
pluralismo e sulla  liberta'  di  scegliere  le  associazioni  a  cui
aderire) ed «una discriminazione, non ancorata a  concreti  parametri
giustificativi,    delle     associazioni     costituite     mediante
l'estrinsecazione della liberta'  cristallizzata  da  detto  precetto
costituzionale»; c) con gli artt. 114, 118 e 119 Cost., «nella misura
in cui  lede  l'autonomia  costituzionalmente  garantita  degli  enti
locali»; d) con l'art. 97 Cost., nella parte  in  cui  la  previsione
dell'elencazione tassativa «discrimina  i  soggetti  che  entrano  in
contatto con gli enti locali». 
    2.- La questione e', sotto diversi profili, inammissibile. 
    3.-  Va,  preliminarmente,   rilevato   che   l'intero   impianto
motivazionale  dell'ordinanza  di  rimessione  -  che   muove   dalla
riaffermazione (non contestata) del carattere tassativo  della  norma
censurata - risulta incentrato sulla lamentata lesione del  principio
di uguaglianza per ingiustificata disparita' di trattamento a sfavore
delle associazioni diverse da quelle tipizzate dalla  norma  medesima
entro un numerus clausus di associazioni potenzialmente  beneficiarie
dei  distacchi  in  esame.  A  giudizio  del  Collegio  a  quo,  tale
disparita' (il cui potenziale lesivo  viene  posto  a  fondamento  di
tutte le censure  riferite  ai  singoli  parametri  evocati)  sarebbe
altresi'  accentuata  dalla  «cristallizzazione  delle   associazioni
beneficiarie che opera  in  modo  avulso  dalla  verifica  del  dato,
potenzialmente variabile, dell'effettiva assunzione di un altrettanto
o piu' rilevante grado di rappresentativita' e meritevolezza anche da
parte di associazioni diverse». 
    3.1.- Tale essendo la prospettazione, risulta innanzi tutto  come
la generale denuncia  della  lesione  del  principio  di  uguaglianza
(rappresentata, come detto, quale vulnus che connota anche  tutte  le
altre censure) sia svolta dal rimettente sulla base  di  un  assunto,
non altrimenti  argomentato  (e  pertanto  in  se'  apodittico),  che
prescinde dalla formulazione (e dalla soluzione) di quel giudizio  di
relazione tra la disciplina censurata e quella proposta quale modello
di coerenza  costituzionale,  che  dovrebbe  costituire  la  premessa
argomentativa necessaria per  affrontare  (e  risolvere)  il  sotteso
controllo di ragionevolezza della norma impugnata. 
    Questa Corte ha,  infatti,  affermato  che  «il  parametro  della
eguaglianza non  esprime  la  concettualizzazione  di  una  categoria
astratta, staticamente elaborata in funzione di un  valore  immanente
dal quale l'ordinamento non puo' prescindere, ma definisce  l'essenza
di un giudizio  di  relazione  che,  come  tale,  assume  un  risalto
necessariamente  dinamico»  (sentenza  n.  89  del  1996).  Pertanto,
poiche' «il principio di eguaglianza esprime un giudizio di relazione
in virtu' del quale a situazioni eguali deve corrispondere l'identica
disciplina  e,   all'inverso,   discipline   differenziate   andranno
coniugate a situazioni differenti, cio' equivale a postulare  che  la
disamina della  conformita'  di  una  norma  a  quel  principio  deve
svilupparsi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul  "perche'"
una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario
dell'ordinamento, quella specifica distinzione, e  quindi  trarne  le
debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo». 
    3.2.- A fronte di  siffatta  giurisprudenza  -  che  muove  dalla
constatazione  secondo  la  quale,  «essendo   qualsiasi   disciplina
destinata per sua stessa natura ad introdurre  regole  e,  dunque,  a
operare  distinzioni,  qualunque  normativa  positiva   finisce   per
risultare necessariamente destinata ad introdurre nel sistema fattori
di differenziazione» -,  il  giudice  a  quo  non  ha  specificamente
argomentato  (se   non   assertivamente   affermandola)   l'effettiva
comparabilita' di tali fattori. 
    L'ordinanza  di  rimessione  risulta,  infatti,  carente  di  una
adeguata motivazione, sia delle  ragioni  sottese  alla  formulazione
della regola contenuta nella normativa oggetto  di  censura  (di  cui
viene denunciato esclusivamente  il  carattere  tassativo),  sia  dei
motivi  della  ritenuta  (ma,  anch'essa,  non  altrimenti  motivata)
omogeneita' (quanto a caratteri,  struttura  associativa,  compiti  e
funzioni) delle associazioni ricorrenti rispetto a quelle contemplate
dalla  norma,  omogeneita'  che  determinerebbe  la   necessita'   di
estendere ad esse la disciplina in esame.  Una  tale  lacuna  risulta
ancor piu' evidente ove si ponga mente al  fatto  che  il  rimettente
neppure considera (se non altro per contestarne le  affermazioni)  la
decisione, pronunciata nel primo grado dello stesso giudizio  a  quo,
che ha  dichiarato  manifestamente  infondata  analoga  questione  di
legittimita' costituzionale, per  esclusione  del  dedotto  carattere
immotivato e discriminatorio della formulazione  dell'elenco  di  cui
alla norma impugnata  (sull'assunto  che  esso  «comprende  tipologie
precise di associazioni di Enti locali, individuandone una  per  ogni
tipologia»:  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la   Toscana,
sezione seconda, 14 ottobre 2009, n. 1542). 
    3.3.- Il Collegio si limita viceversa a richiamare, da  un  lato,
quanto disposto dall'art. 270 dello stesso d.lgs.  n.  267  del  2000
(che,  nella  particolare  materia  di  riscossione  dei   contributi
associativi, estende la favorevole  portata  dispositiva  anche  alle
altre associazioni, diverse da quelle enumerate); e, dall'altro lato,
la giurisprudenza di questa Corte, che (in  tema  di  verifica  della
rappresentativita'  delle  associazioni  sindacali)   ne   sottolinea
l'esigenza al fine di evitare una identificazione aprioristica  delle
stesse. 
    Nel contempo, tuttavia, esso non spende alcuna argomentazione  in
ordine alla configurabilita' di quella eadem ratio  della  disciplina
impugnata con quella degli evocati tertia comparationis (sentenza  n.
142 del 2014; ordinanze n. 101 e n. 16 del 2014) che sola  porterebbe
a ritenere "irragionevole", e per cio' stesso arbitraria,  la  scelta
discrezionale del legislatore  di  differenziare  il  trattamento  di
situazioni di comprovata omogeneita'.  Ne'  giustifica  la  auspicata
estensione del criterio di "maggiore  rappresentativita'"  (enucleato
dalla giurisprudenza della Corte in rapporto alla specificita'  -  di
diretta  matrice  costituzionale  -  della   regolamentazione   delle
organizzazioni sindacali: da ultimo sentenza n.  231  del  2013)  per
individuare le associazioni di enti locali destinatarie del beneficio
in esame. 
    4.-  Altrettanto  priva  di  sufficiente  apporto   argomentativo
risulta la censura  riferita  alla  violazione  dell'art.  18  Cost.,
dedotta    in    quanto    l'asserita    irragionevole    preclusione
dell'operativita' del  beneficio  in  favore  di  altre  associazioni
produrrebbe un deterrente rispetto all'adesione  dell'ente  locale  a
tali associazioni ed «una discriminazione, non  ancorata  a  concreti
parametri  giustificativi,  delle  associazioni  costituite  mediante
l'estrinsecazione della liberta'  cristallizzata  da  detto  precetto
costituzionale». 
    Anche rispetto a tale vulnus, manca  una  qualche  argomentazione
circa le prospettate ragioni di incostituzionalita' con riguardo alla
concreta diretta incidenza  della  mancata  fruizione  del  beneficio
sulla liberta' di associazione (e quindi sul ventaglio dei diritti  a
tale  liberta'  correlati).  Peraltro,  il   rimettente   omette   di
argomentare   in   ordine   alle   conseguenze   (in    termini    di
configurabilita' o meno  della  esistenza  di  situazioni  giuridiche
attive facenti capo  alla  associazione,  che  sarebbero  compromesse
dalla norma) del fatto che la possibilita'  del  distacco  temporaneo
del  personale  degli  enti  pubblici  presso  gli  organismi   delle
associazioni menzionate dalla norma censurata  rappresenta  una  mera
facolta' attribuita alla discrezionalita' degli  enti  stessi  e  che
quindi la possibilita' di essere destinatarie del beneficio non  puo'
dar luogo a pretese da parte delle associazioni de quibus (neanche di
quelle menzionate dalla norma). 
    5.- Del tutto immotivate  (poiche'  genericamente  riferite  agli
evocati parametri, senz'altra argomentazione) si configurano anche le
denunciate ulteriori violazioni che la norma arrecherebbe agli  artt.
114,  118  e  119  Cost.,  «nella  misura  in  cui  lede  l'autonomia
costituzionalmente garantita degli enti locali»; ed all'art. 97 Cost.
nella  parte  in  cui  la   previsione   dell'elencazione   tassativa
«discrimina i soggetti che entrano in contatto con gli enti locali». 
    6.-  A  siffatti  profili  di  inammissibilita'  della  sollevata
questione,  per  carenza  di  motivazione  in  ordine  alla  sua  non
manifesta infondatezza, si aggiunge  infine  quello  derivante  dalla
specifica   formulazione   della   richiesta    di    pronuncia    di
incostituzionalita'  della  norma,  censurata  «nella  parte  in  cui
esclude la possibilita' per gli enti locali di distaccare il  proprio
personale anche presso associazioni diverse da quelle  tassativamente
indicate» nella norma stessa. Tale petitum, per la ampiezza della sua
portata additiva - in cui, tra  l'altro,  l'evocato  principio  della
maggiore rappresentativita' neppure viene contemplato quale  criterio
per l'attribuzione del beneficio de quo  -,  non  si  configura  come
unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 81 e n.  30
del 2014), in  quanto  diretta  ad  una  generale  ed  indiscriminata
estensione dell'ambito di applicabilita'  del  beneficio  medesimo  a
tutte le altre associazioni di enti locali. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 271, comma 2,  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3,  18,  97,  114,
118 e 119 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione V,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014. 
 
                                F.to: 
                 Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI