N. 211 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 luglio 2014

Ordinanza del 28 luglio 2014 emessa dalla Corte di  assise  d'appello
di Milano nel procedimento penale a carico di D.U.R. ed altri 5. 
 
Reati e pene -  Circostanze  del  reato  -  Concorso  di  circostanze
  aggravanti e attenuanti - Reato di sequestro di persona a scopo  di
  rapina o di estorsione (art. 630 cod. pen.) - Divieto di prevalenza
  della circostanza  attenuante  speciale  di  cui  al  quinto  comma
  dell'art. 630 cod. pen. e della  ulteriore  circostanza  attenuante
  introdotta nel medesimo art. 630 cod. pen. con la  sentenza  n.  68
  del 2012 della Corte costituzionale sull'aggravante della  recidiva
  di cui all'art. 99,  comma  quinto,  cod.  pen.  -  Violazione  dei
  principi di uguaglianza, di ragionevolezza  e  di  proporzionalita'
  della pena - Richiamo alla sentenza n. 106  del  2014  della  Corte
  costituzionale. 
- Codice penale, art. 99, comma quinto. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo. 
(GU n.48 del 19-11-2014 )
 
               LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI MILANO 
 
 
                              SEZIONE I 
 
    La Corte, composta da: 
    dott. Sergio Silocchi Presidente rel. 
    dott. Barbara Bellerio Consigliere 
    sig. Eduardo Minolfi Giudice pop. 
    sig. Santina Trevisan Giudice pop. 
    sig. Marco Ballo Giudice pop. 
    sig. Maia Elisa Bena Giudice pop. 
    sig. Salvatore Lo Giudice Giudice pop. 
    sig. Giuseppe Avallone Giudice pop. 
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    Con atto del 20 dicembre 2013 il PM presso il Tribunale di Milano
ha interposto appello avverso la sentenza del GUP di quel  Tribunale,
pronunciata in data 8 maggio 2013 e depositata il 7 ottobre 2013, con
la quale erano giudicati P. M., M. A. A., G. G., P. L., D'U. R. e  D.
H. S. A. tutti originariamente imputati, tra l'altro,  del  reato  di
cui all'art. 630 cod. pen. in danno di B. P., segregata in Sannazzaro
di Burgundi dal 6 all'8 marzo 2011  al  fine,  secondo  l'accusa,  di
estorcerle quantomeno la promessa di non  farsi  mai  piu'  vedere  o
sentire dal P., dal quale attendeva un figlio, promessa  ottenuta  la
quale i materiali sequestratori provvedevano a liberarla. 
    A seguito di una lunga disamina, il GUP  aveva  ritenuto  che  il
reato di cui all' art. 630 cod. pen. dovesse  essere  derubricato  in
quello, molto meno grave, di cui all'art. 605 cod. pen.,  provvedendo
ad irrogare agli imputati le pene di cui alla  sentenza,  determinate
anche attraverso la continuazione ex art. 81 cpv.  cod.pen.  con  gli
altri reati contestati e,  in  taluni  casi,  con  riconoscimento  di
circostanze   attenuanti   generiche   prevalenti   sulla    recidiva
contestata. 
    Nel proprio gravame, il PM  ha  sostenuto  l'erroneita'  di  tale
decisione, insistendo perche' il fatto piu'  grave  fosse  inquadrato
nella fattispecie di cui all'art. 630 cod. pen. e non 605 cod.  pen.,
riservando al PG di udienza la concreta determinazione delle pene  da
richiedere per ciascun imputato. 
    Anche tutti gli imputati hanno interposto  tempestivo  e  rituale
appello, sostenendo  o  la  loro  estraneita'  ai  reati  cosi'  come
contestati,   ovvero   richiedendo   una   riduzione   di   pena   in
considerazione di circostanze attenuanti a loro favore come quelle di
cui all'art. 630, 5° comma cod. pen., ovvero art. 62-bis cod. pen.  o
ancora all'art. 62 n. 6, u.p. cod. pen. 
    E stata altresi' richiesta, anche nel  corso  della  discussione,
dalla  difesa  di  piu'  di  un  imputato  il  riconoscimento   della
circostanza attenuante "introdotta" dalla stessa Corte costituzionale
con sentenza n.  68/2012,  attraverso  la  declaratoria  di  parziale
illegittimita' dell'art. 630  cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevede che la pena da esso comminata sia  diminuita  quando  per  la
natura, la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze  dell'azione,
ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto
risulti di lieve entita', atteso che la  pena  edittalmente  prevista
(superiore nel  minimo  a  quella  massima  prevista  per  l'omicidio
volontario non aggravato) dalla norma incriminatrice, in  assenza  di
circostanze attenuanti, si presta, peraltro, a qualificare penalmente
anche episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico  e  del
tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira  dal  legislatore
dell'emergenza. 
    Alcuni degli imputati che hanno richiesto l'applicazione nei loro
confronti  di   circostanze   attenuanti,   in   particolare   quelle
specificamente riconducibili all'art. 630  cod.  pen.,  sono  gravati
dalla  contestazione  della  recidiva,   segnatamente   indicate   in
imputazione come infraquinquennale ex art. 99, comma  2°  n.  2  cod.
pen. per M. A., reiterata ex art. 99, 4° comma cod. pen. per  G.  G.,
semplice ex art. 99 cod. pen. per D. H. S. A., aggravata specifica  e
reiterata ex art. 99 2° comma n. 1 e 4° comma cod. pen. per D'U. 
    La riqualificazione del delitto ex art. 630 cod. pen.  in  quello
di cui all' art.  605  cod.  pen.  non  aveva  impedito  al  GUP  del
Tribunale di Milano di ritenere, come anticipato,  per  taluno  degli
imputati condannati, specificamente  G.  e  M.  la  prevalenza  delle
circostanze attenuanti generiche sulla recidiva contestata. 
    Va tuttavia evidenziato  che  l'impugnazione  del  PM  presso  il
Tribunale di Milano riconduce il giudizio  della  Corte  d'Assise  di
appello all'accertamento della sussistenza  o  meno  del  delitto  di
sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 cod. pen., con
conseguente applicazione, altrimenti esclusa, dell'art. 99, penultimo
comma cod. pen., atteso che quel delitto rientra nel novero di quelli
indicati dall'art. 407, comma 2 lett. a) cod. proc. pen. 
    Da cio' consegue che, non potendosi pervenire che ad un  giudizio
di mera equivalenza fra circostanze  di  opposto  segno,  qualora  la
Corte ritenesse sussistente il delitto di cui all'art. 630 cod.  pen.
anche con le specifiche attenuanti che alla norma competono, la  pena
applicabile agli  imputati  recidivi  non  potrebbe  essere  comunque
inferiore   ai   25   anni   di   reclusione   per   la   sostanziale
"inoperativita'" di  quelle  circostanze,  fatta  avvertenza  che  lo
stesso PG di udienza ha richiesto  l'applicazione  della  circostanza
attenuante soggettiva di cui all'art. 630, 5°  comma  cod.  pen.  con
carattere di prevalenza per il G.). 
    La questione e' di evidente rilevanza nel presente  giudizio  non
solo per la richiesta del PG a proposito della specifica  circostanza
attenuante per l'imputato G., ma anche per la  astratta  possibilita'
che questa Corte, attese le modalita' di  esecuzione,  la  durata  ed
altri  fattori  emergenti   nella   consumazione   dell'eventualmente
ritenuto delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, debba
decidere di applicare la circostanza attenuante di  natura  oggettiva
discendente dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 68/2012  (a
tal fine si allegano alla  presente  ordinanza,  decisione  di  primo
grado, atti di appello  di  tutte  delle  parti,  trascrizione  delle
udienze di appello). 
    Appare quindi profilarsi, nei termini sopra specificati, una  non
manifestamente infondata questione di legittimita' in relazione  agli
art. 3 e 27, 3° comma della Carta  costituzionale,  in  relazione  ai
principi di uguaglianza,  ragionevolezza  e  proporzionalita',  della
disposizione di cui all'art. 69, 5° comma cod. pen.  come  sostituito
dall'art. 3 delle legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella  parte  in  cui
non prevede il  divieto  di  prevalenza  delle  suddette  circostanze
attenuanti di cui all' art. 630, 5° comma cod. pen. nonche' di quella
introdotta dallo stesso giudice delle leggi con  la  pronuncia  sopra
citata, per le ragioni  sia  espresse  in  questa  decisione  che  in
quella,  nella  quale  e'  stata  proposta   questione   parzialmente
sovrapponibile alla presente e accolta  dalla  Corte  costituzionale,
con la recentissima sentenza n. 106/2014. 
    In   detta   decisione   si   e'   affrontata   la   legittimita'
costituzionale dell'art. 99, penultimo comma cod. pen.  in  relazione
alla disposizione di cui all'art. 609 bis 3° comma cod. pen. 
    Anche nel caso  di  specie,  invero,  la  circostanza  attenuante
speciale di cui art. 630, 5° comma cod. pen. e' stata  introdotta  al
fine specifico di costituire un temperamento all'unificazione  in  un
unico reato di condotte che si differenziano, nettamente in relazione
alla diversa intensita' della lesione del  bene  giuridico  tutelato,
ponendo l'accento esclusivamente sulle condizioni del  reo,  per  cui
potrebbe apparire violato il principio di  eguaglianza  perche',  per
effetto del divieto in questione, anche in presenza di  una  recidiva
aspecifica, imputato sarebbe irragionevolmente attinto  dalla  stessa
gravissima pena in editto  prevista  di  chi  ha  posto  in  esse  un
comportamento ben piu' grave del suo, contrastando cio' anche con  la
finalita' rieducativa della pena che implica un costante principio di
proporzione tra qualita' e quantita' di sanzione e offesa. 
    Non dissimilmente sembra a questa Corte di dover  concludere  con
riguardo  alla  circostanza  attenuante,  ordinaria   e   di   natura
oggettiva, introdotta dalla decisione della Corte  costituzionale  n.
68/2012. 
    Come e' noto il giudice rimettente della questione in quella sede
decisa aveva dubitato della legittimita' costituzionale dell'art. 630
cod. pen., rilevando come la norma censurata punisse con una pena  di
inusitata severita' condotte delittuose che possono  risultare  assai
meno gravi di altre  per  durata,  modalita'  dell'azione  e  entita'
dell'offesa recata alla vittima, e rispetto alle quali  detto  minimo
edittale si rivelerebbe manifestamente  sproporzionato  per  eccesso,
con violazione dei principi di ragionevolezza, di personalita'  della
responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena (artt.
3, primo comma, e 27, primo e terzo  comma,  Cost.),  i  quali,  come
detto, esigono  che  venga  assicurata  nella  concreta  applicazione
giudiziale, la possibilita' di adeguare il trattamento  sanzionatorio
al reale grado di colpevolezza dell'agente e al suo personale bisogno
di rieducazione. 
    La Corte costituzionale, anche nell'ambito di un'attenta disamina
dei limiti del proprio  sindacato,  ha  voluto  ricordare  in  quella
decisione che  "l'attuale  assetto  sanzionatorio  del  sequestro  di
persona a scopo di estorsione, delineato dall'art. 630 cod. pen.,  e'
l'epilogo di  una  serie  di  interventi  normativi,  ormai  alquanto
risalenti  nel  tempo  e  con  i  tratti  tipici  della  legislazione
"emergenziale" ... Furono interventi sollecitati dallo straordinario,
inquietante incremento, in quel periodo, dei sequestri di  persona  a
scopo estorsivo, operati da pericolose organizzazioni criminali,  con
efferate modalita'  esecutive  (privazione  pressoche'  totale  della
liberta'  di  movimento  della  vittima,  sequestri   protratti   per
lunghissimi tempi, invio  di  parti  anatomiche  del  sequestrato  ai
familiari  come  mezzo  di  pressione)  e   richieste   di   riscatti
elevatissimi, al cui pagamento spesso non seguiva la liberazione  del
sequestrato,  che  trovava  invece  la  morte  in   conseguenza   del
fatto...si  tratta  di  una  risposta  sanzionatoria  di  eccezionale
asprezza, ove riguardata in una cornice di sistema: basti considerare
che il minimo  edittale  e'  superiore  sia  al  massimo  della  pena
comminata per l'omicidio volontario (art.  575  cod.  pen.),  sia  al
limite massimo di durata della reclusione stabilito in  via  generale
dall'art. 23, primo comma, cod. pen. (ventiquattro anni). 
    "Dall'altro lato, e parallelamente, furono introdotte circostanze
attenuanti volte a stimolare  forme  di  ravvedimento  dell'agente  -
qualificate  in  termini  di  «dissociazione»  -  in  funzione  della
liberazione  del  sequestrato,  dell'impedimento  delle   conseguenze
ulteriori del reato o della collaborazione del reo con la giustizia. 
    "Come attesta l'esperienza giudiziaria, la descrizione del  fatto
incriminato dall'art. 630 cod. pen. - rimasta invariata rispetto alle
origini («chiunque sequestra una persona allo  scopo  di  conseguire,
per  se'  o  per  altri,  un  ingiusto  profitto  come  prezzo  della
liberazione») - si presta, peraltro, a qualificare  penalmente  anche
episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e  del  tasso
di disvalore,  rispetto  a  quelli  avuti  di  mira  dal  legislatore
dell'emergenza. 
    "Si tratta di fattispecie che - a fronte della marcata  flessione
dei   sequestri   di   persona   a   scopo    estorsivo    perpetrati
"professionalmente" dalla criminalita'  organizzata,  registratasi  a
partire dalla seconda meta' degli anni  '80  dello  scorso  secolo  -
hanno finito, di fatto, per assumere un peso di tutto rilievo, se non
pure  preponderante,  nella  piu'  recente  casistica  dei  sequestri
estorsivi. 
    "Rientrano in tale ambito,  tra  le  altre,  le  fattispecie  del
genere che viene in discussione nel giudizio a quo: ossia i sequestri
di persona attuati al fine di ottenere una prestazione  patrimoniale,
pretesa sulla base di un pregresso rapporto di natura illecita con la
vittima. "Come ricorda il giudice rimettente,  la  giurisprudenza  di
legittimita' appare ormai unanime, dopo un intervento  chiarificatore
delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza  17  dicembre
2003-20 gennaio 2004, n. 962), nel ritenere  che  simili  fattispecie
integrino  il  delitto  in   questione,   ricorrendo   il   requisito
dell'«ingiustizia» del profitto perseguito all'agente,  dato  che  la
pretesa che egli mira a soddisfare e' sfornita di tutela  legale,  in
quanto avente titolo in un negozio con causa illecita. 
    "In  queste  e  consimili  evenienze,  il  fatto  criminoso  puo'
assumere, tuttavia - e non di rado assume - connotati ben diversi  da
quelli delle manifestazioni criminose che il legislatore  degli  anni
dal 1974 al 1980 intendeva contrastare: cio', sia per la piu' o  meno
marcata "occasionalita'" dell'iniziativa delittuosa (la quale  spesso
prescinde da una significativa organizzazione di uomini e di  mezzi);
sia per l'entita' dell'offesa recata alla vittima,  quanto  a  tempi,
luoghi e modalita' della privazione della  liberta'  personale;  sia,
infine, per  l'ammontare  delle  somme  pretese  quale  prezzo  della
liberazione". 
    Nel ribadire  quindi  la  propria  giurisprudenza  in  ordine  al
sindacato di legittimita' costituzionale  sulla  misura  delle  pene,
quel giudice ha osservato che "al  pari  della  configurazione  delle
fattispecie astratte di reato, anche la commisurazione delle sanzioni
per ciascuna di esse e' materia affidata  alla  discrezionalita'  del
legislatore, in quanto involge apprezzamenti tipicamente politici. Le
scelte  legislative  sono,   pertanto,   sindacabili   soltanto   ove
trasmodino nella manifesta  irragionevolezza  o  nell'arbitrio,  come
avviene a  fronte  di  sperequazioni  sanzionatorie  tra  fattispecie
omogenee non  sorrette  da  alcuna  ragionevole  giustificazione  (ex
plurimis,sentenze n. 161 del 2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007  e
n. 394 del 2006"), ed  e'  pervenuto  a  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 630 cod. pen., nella parte  in  cui  non
prevede che la pena da esso comminata  e'  diminuita  quando  per  la
natura, la specie, i mezzi, le modalita' o  circostanze  dell'azione,
ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto
risulti di lieve entita'. 
    Appare quindi alla Corte rimettente che, nel caso in  cui  questa
Corte giungesse a valutare l'eventuale ricorrenza di  una  situazione
oggettiva siffatta o, nel caso dell'imputato G.  a  ritenere  il  suo
particolare   contributo   dissociativo,   che   potrebbe    valergli
l'applicazione delle pene, infinitamente piu' lievi, di cui  all'art.
605 cod. pen. la disciplina dell'art. 99, penultimo comma  cod.  pen.
che di fatto esclude la  possibilita'  di  una  valutazione  concreta
delle condotte, possa porsi in contrasto con le  citate  norme  della
Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 23 e ss legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionalita' dell'art. 99,  comma  cod.  pen,  come
introdotto dalla legge 5 dicembre 2005,  n.  251  in  relazione  agli
artt. 3 e 27, 3° comma della Costituzione, nella parte in cui prevede
il divieto di prevalenza della circostanza attenuante speciale di cui
all'art. 630,  5°  comma  cod.  pen  e  della  ulteriore  circostanza
attenuante  ordinaria  introdotta  nell'art.  630  cod.  pen.   dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 68/2012. 
    Sospende il processo in attesa della  decisione  sulla  sollevata
questione di legittimita' costituzionale e dispone che la Cancelleria
provveda  a  trasmettere   immediatamente   gli   atti   alla   Corte
costituzionale, alla notifica della presente ordinanza al  presidente
del Consiglio dei  Ministri  ed  alle  parti  processuali  costituite
nonche'  alla  sua  comunicazione  ai  Presidenti  della  Camera  dei
Deputati e del Senato della Repubblica. 
        Milano, 28 luglio 2014. 
 
                       Il Presidente: Silocchi