N. 220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 maggio 2014
Ordinanza del 28 maggio 2014 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Anania Flavia ed altri contro Ministero dell'interno. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Previsione, per i dipendenti pubblici non contrattualizzati (nella specie, personale della carriera prefettizia, con qualifica di viceprefetto aggiunto promosso viceprefetto con decorrenza 1° gennaio 2012), che i meccanismi di adeguamento retributivo non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 e che non danno luogo a recuperi - Violazione del principio di uguaglianza per disparita' di trattamento tra soggetti nella stessa posizione a seconda della data di promozione, nonche' per disparita' di trattamento rispetto ai dipendenti del settore privato - Violazione del principio di proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione - Violazione del principio di progressivita' dell'imposizione tributaria - Lesione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - Decreto-legge 31 marzo (recte: maggio) 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. - Costituzione, artt. 3, 36, 53 e 97.(GU n.51 del 10-12-2014 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Prima Ter) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 7774 del 2013, proposto da: Flavia Anania, Simona Calcagnini, Roberta Carpanese, Donatella Cera, Nicola Covella, Vittorio De Cristofaro, Nicola De Stefano, Maria Stefania Fornaro, Salvatore Concetto Francesco Fortuna, Antonio Giaccari, Antonio Giannelli, Alessandra Lazzari, Bianca Lubreto, Adele Mirra, Rosamaria Monea, Monica Perna e Zaira Romano, rappresentati e difesi dagli avv.ti Benedetto Giovanni Carbone, Luigi Strano ed Enrico Gai, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, situato in Roma, via degli Scipioni n. 288; Contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pt., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui e' legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per l'accertamento del diritto dei ricorrenti a percepire il trattamento economico corrispondente alla qualifica di viceprefetti con decorrenza 1° gennaio 2012, ai sensi dell'art. 7 del d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139, e degli artt. 3 e ss. del d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105; Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2014 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. I ricorrenti - vice prefetti aggiunti, promossi a vice prefetti con decorrenza 1° gennaio 2012, in virtu' del decreto ministeriale 28 dicembre 2012, vistato dall'Ufficio Bilancio in data 8 febbraio - si dolgono che, nonostante quanto preannunziato dal Ministero dell'Interno con circolare n. 9 del 27 marzo 2013 in ordine alla definizione «degli aspetti connessi all'attribuzione del trattamento economico corrispondente alla qualifica conseguita», la gia' citata Amministrazione «non ha ancora adottato alcun provvedimento di determinazione del trattamento economico» a loro spettante e chiedono, pertanto, a questo Tribunale di accertare il loro «diritto a percepire il trattamento economico corrispondente alla qualifica di vice prefetti con decorrenza 1.1.2012». A supporto della pretesa avanzata, i ricorrenti deducono la prescrizione di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 139 del 2000, il quale dispone, al comma 4, che «le promozioni alla qualifica di vice prefetto decorrono agli effetti giuridici ed economici dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello nel quale si sono verificate le vacanze». Nel contempo, i ricorrenti sostengono l'inapplicabilita' «ai vice prefetti delle misure di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego previste» dall'art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, per un duplice ordine di profili e precisamente: «il personale appartenente alla carriera prefettizia e' retto da proprio specifico ordinamento, regolato dal d.lgs. n. 139/2000, il cui art. 29 ha previsto un sistema di contrattazione che si conclude con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un'ipotesi di accordo sindacale, successivamente trasfusa in un atto regolamentare emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica». Posto che, per quanto attiene all'ipotesi in esame, l'atto di recepimento sussiste - essendo identificabile con il d.P.R. n. 105 del 23 maggio 2011 - ed e', altresi', successivo al richiamato decreto legge, «risulta evidente che la disciplina contrattuale» di tale d.P.R., «letta in combinato disposto con l'art. 7» di cui sopra, «si pone quale fonte regolamentare speciale, che stabilisce una disciplina derogatoria rispetto a quella prevista dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010»; «la retribuzione reclamata attiene alla piu' elevata posizione conseguita tramite la promozione a viceprefetti, che non potrebbe giammai essere disconosciuta dall'Amministrazione», pena la palese incostituzionalita' della norma in questione, in relazione - specificamente - agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost.. 2. Cio' detto, in via preliminare sussiste la necessita' di definire - per valutare la rilevanza delle questione di costituzionalita' «ai fine del decidere» - se sia condivisibile o meno l'assunto dei ricorrenti secondo il quale l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 non sarebbe applicabile al personale appartenente alla «carriera prefettizia», dagli stessi desunto dal «d.P.R. n. 105/2011, letto in combinato disposto con l'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 139 del 2000». Al riguardo, il Collegio perviene ad una soluzione negativa sulla base delle seguenti considerazioni: il d.lgs. n. 139 del 2000 - di disciplina del «rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell'articolo 10 della legge 28 luglio 1999, n. 266» - dispone, oltre che l'unitarieta' della carriera prefettizia (art. 1), l'articolazione della carriera de qua in tre diverse qualifiche - «prefetto, vice prefetto e viceprefetto aggiunto» - a cui corrisponde l'esercizio di differenti funzioni, espressamente indicate nella tabella B (art. 2); come si trae dal medesimo decreto, il passaggio dalla qualifica di vice prefetto aggiunto a quella di vice prefetto avviene mediante una «valutazione comparativa», utile per l'ammissione ad un corso di formazione con un esame finale, e la redazione - in ultimo - di una graduatoria; lo stesso decreto configura il passaggio tra le su indicate qualifiche espressamente in termini di «promozione» (art. 7, comma 4, e art. 8, comma 4) e, dunque, di sviluppo di carriera; cio' detto, non si ravvisano ragioni per ritenere inapplicabile l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, il quale - per quanto rileva in questa sede - dispone che «per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni» - tra cui risulta espressamente contemplato anche il personale «della carriera prefettizia» - «le progressioni in carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni in carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»; non vale, poi, a condurre ad una differente soluzione il riferimento all'adozione del d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105, posto che quest'ultimo e' di «recepimento» di un accordo sindacale relativo ad un periodo precedente all'entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010 (ossia, «al biennio economico 2008-2009») e, dunque, e' estraneo al periodo preso in considerazione dal citato articolo 9, comma 21, del d.l. in argomento. Al riguardo, appare, anzi, possibile affermare che il d.P.R. di cui trattasi - dando atto dell'adeguamento dell'Amministrazione a quanto prescritto dal d.l. n. 78 del 2010, seppure con riferimento all'art. 9, comma 4, impositivo del limite del 3,20% in relazione agli «aumenti retributivi» per il biennio 2008/2009 - assume sostanzialmente carattere confermativo della gia' rilevata applicabilita' del citato art. 9, comma 21, al personale della carriera prefettizia. In ultimo, si osserva poi che il Tribunale ha gia' avuto modo di occuparsi di una questione similare a quella prospettata dagli odierni ricorrenti con l'ordinanza n. 6161 del 2012, pervenendo alle medesime conclusioni. In tale occasione e' stato sollevato il problema se l'art. 9, comma 21, del d.l. 78 del 2010 potesse o meno derogare alla disciplina speciale che regola il trattamento economico dei «diplomatici». In particolare, e' stato evidenziato - come nel caso in esame - che «il personale appartenente alla carriera diplomatica e' retto dal proprio specifico ordinamento, regolato dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, il cui art. 112 - siccome sostituito dal d.lgs. 24 marzo 2000, n. 85 - ha introdotto il sistema della contrattazione, da trasfondere successivamente in un atto regolamentare emanato sotto forma di decreto del Presidente della Repubblica», rappresentato - all'epoca - dal d.P.R. 13 agosto 2010, n, 206, «successivo allo stesso d.l. n. 78/2010», il quale «non menziona mai il comma 21 (ma solo nel preambolo il comma 4) dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010». In linea con quanto sopra rilevato, il Tribunale ha avuto modo di affermare come non fosse «revocabile in dubbio che l'art. 9 del d.l. n. 78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e per la finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera e la ratio delle stesse - si prefigga lo scopo di intervenire su tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte principale che li disciplina», confermando cosi' l'applicabilita' dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 a qualsiasi progressione di carriera, «a prescindere dalla fonte che regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso». Tale orientamento ha trovato conferma da parte della Corte Costituzionale con la sentenza n. 304 del 2013. 3. Definita cosi' l'applicabilita' anche al personale della carriera prefettizia dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, acquista rilevanza - ai fini del decidere - la questione prospettata dai ricorrenti sulla costituzionalita' del ripetuto art. 9, comma 21, nella parte di interesse sopra riportata, risultando chiaro come tale previsione non abbia consentito ai ricorrenti di ottenere, a seguito dell'intervenuta promozione a vice prefetto, la retribuzione corrispondente alla nuova qualifica, di' importo maggiore a quello fissato per la qualifica precedente di vice prefetti aggiunti, da cui sono cessati. 4. Orbene la questione non appare manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate. E' ormai noto l'orientamento volto al risparmio delle risorse economiche dello Stato per garantire il rispetto dei parametri comunitari in materia di rapporti tra il debito pubblico ed il PIL. Svariate e numerose sono state, infatti, le iniziative assunte dal legislatore al fine di realizzare il contenimento della spesa pubblica. A tali iniziative e' riconducibile anche la previsione in argomento, ossia l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. Le considerazioni che precedono vanno, in ogni caso, rapportate ai principi fondamentali dell'ordinamento e - piu' specificamente - alle previsioni della Carta Costituzionale, al fine di accertarne l'osservanza. Ebbene, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, l'art. 9, comma 21, in argomento non sia rispettoso delle previsioni contenute nella Carta Costituzionale per vari ordini di motivi, non con fliggenti bensi' tra loro subordinati. 4.1. In primis, si ravvisa una violazione dell'art. 36 della Cost., per la parte in cui dispone che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro ....». In linea con quanto si e' gia' avuto modo di evidenziare, si ricorda che la carriera prefettizia - di per se' unitaria - si articola in tre diverse qualifiche, ossia nelle qualifiche di «prefetto», «viceprefetto» e «vice prefetto aggiunto» (art. 2 d.lgs. 20 maggio 2000, n. 139). Come si trae dalla stessa dizione della legge (in particolare, art. 1, comma 1, del d.lgs. in esame), ad ogni qualifica corrispondono compiti e funzioni differenti, riportati nella tabella A del decreto prima citato, caratterizzati da diversi livelli di responsabilita' ai quali non possono non corrispondere retribuzioni differenti. Cio' detto, il mantenimento ai vice prefetti aggiunti promossi a vice prefetti della retribuzione da essi gia' percepita in qualita' di vice prefetti aggiunti stride con la previsione di cui sopra, vanificando il principio di corrispondenza tra la retribuzione spettante e la qualita' e la quantita' del lavoro prestato. La previsione di livelli di retribuzione diversi in relazione alla qualifica rivestita dal dipendente e, dunque, della qualita' del servizio da quest'ultimo prestato costituisce - del resto - una regola rispondente a criteri di ragionevolezza, in quanto diretta a salvaguardare - oltre che la professionalita' del dipendente - il giusto sinallagma che deve presiedere il rapporto tra le prestazioni rese. Nel caso di specie, si verifica, infatti, che prestazioni di livello superiore vengano retribuite al pari di prestazioni di livello inferiore, con svilimento del principio di proporzionalita' ma anche del principio di corrispettivita'. Come si desume anche dal d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105, il trattamento economico del personale della carriera prefettizia ricomprende anche ulteriori voci, oltre a quella stipendiale (e precisamente, la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato), ma tale constatazione non appare idonea a riconfigurare l'ipotesi in trattazione nei giusti termini imposti dal principio di proporzionalita', atteso che la voce stipendiale corrisposta ai ricorrenti risulta - in ogni caso - non conforme, perche' inferiore, a quella che gli stessi avrebbero conseguito in carenza dell'art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010. La circostanza poi che - nell'ordinamento giuridico - esistano previsioni che concretizzano deroghe al principio di proporzionalita' di cui all'art. 36 della Costituzione non vale di per se' a legittimare l'introduzione di ulteriori deroghe, specie se non ispirate e supportate dal principio della ragionevolezza. 4.2. Tenuto conto che la sperequazione di cui e' stato dato conto in precedenza si realizza nei confronti solo di alcuni dei dipendenti, ossia esclusivamente coloro che conseguono la promozione nel periodo indicato (e non a carico di tutti), si profila chiara l'irragionevole disparita' di trattamento, in spregio del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Tale disparita' di trattamento insorge non solo in relazione alla data in cui e' disposta la promozione - creando un regime differenziato tra i promossi in tale periodo ed i promossi in un periodo diverso - ma anche all'interno stesso della qualifica, nel senso che quest'ultima risulta cosi' caratterizzata da personale che - pur espletamento il medesimo servizio - viene retribuito in modo differente e cio' esclusivamente sulla base di circostanze del tutto casuali, ossia pienamente svincolate dal lavoro prestato. La disparita' di cui sopra assume ancora maggiore spessore e, dunque, gravita' ove si tenga conto della posizione dei dipendenti che - oltre a conseguire la promozione nel triennio in considerazione - nel medesimo triennio debbono essere posti in quiescenza per raggiungimento del limite di eta', atteso che - ove si verifichi tale ipotesi - il pregiudizio economico subito si riflette anche sul regime pensionistico. A parte la disparita' di trattamento che si delinea nell'ambito del settore pubblico, non e' possibile ancora trascurare la disparita' di trattamento che insorge rispetto ai dipendenti del settore privato, i quali si trovano a conseguire «promozioni» senza per questo subire alcun pregiudizio economico. Ferma la piena condivisione in ordine all'introduzione di strumenti e di misure volte al contenimento della spesa pubblica, preme, infatti, osservare che gli stessi strumenti e le stesse misure devono comunque operare nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione, tra cui figura anche l'esigenza di evitare disparita' di trattamento, a favore dell'effettiva realizzazione del benessere sociale. Come gia' rilevato, la previsione di cui all'art. 9, comma 21, di cui sopra non appare in linea con tali principi, tanto piu' ove si consideri che il sacrificio economico dalla stessa introdotto e' stato ulteriormente prorogato per un anno ad opera dell'art. 1 del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, «Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98», e, dunque, ha praticamente perso il carattere di contingibilita', tenuto conto della durata (ben quattro anni) e della circostanza che seri dubbi possono nutrirsi sul periodo in cui avra' termine, in netto contrasto con l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale normative del genere di quella in esame - aventi la finalita' «di realizzare con immediatezza, un contenimento della spesa pubblica» - possono essere riconosciute legittime solo in quanto eccezionali e temporalmente limitate, ossia a condizione che i sacrifici siano transeunti e non arbitrari (sent. 18 luglio 1997, n. 445 e 7 luglio 1999, n. 299). Del resto, le stesse Commissioni parlamentari riunite I e IX nell'esprimere il proprio parere nel corso dell'iter di approvazione della normativa in esame - avevano prospettato esigenze di rispetto delle previsioni costituzionali (in particolare, artt. 3, 36, 39 e 97) e, sulla base di queste, riconosciuto «non ipotizzabile un ulteriore allungamento temporale», il quale e' stato, invece, attuato. 4.3. Preso atto di cio', puo' affermarsi che l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 sembra aver introdotto una vera e propria prestazione patrimoniale a carico soltanto di alcuni contribuenti (identificabile con l'aumento retributivo connesso al conseguimento di una qualifica piu' alta), prescindendo da criteri di ragionevolezza. Sotto tale profilo si evidenzia, quindi, anche la violazione di un ulteriore principio costituzionale, quello della capacita' contributiva, fissato dall'art. 53 della Costituzione. Viene, infatti, a determinarsi che alcuni dipendenti - per il solo fatto di essere stati promossi in un determinato periodo - si trovano nella condizione di non poter percepire somme altrimenti spettanti, ossia risultano privati di somme che altrimenti avrebbero percepito, ai sensi di legge o, comunque, della disciplina che regolamenta la materia, subendo cosi un vero e proprio prelievo, in netto spregio dei criteri di progressivita' fissati a livello costituzionale. Seppure si sia a conoscenza dell'orientamento contrario della Corte assunto in relazione ad un'ipotesi similare (cfr., tra le altre, sent. n. 304 del 2013), il Collegio e', dunque, dell'avviso che la norma censurata abbia natura tributaria in quanto comporta un'inequivoca decurtazione o prelievo a carico del dipendente pubblico. L'incidenza sul rapporto sinallagmatico si rivela sulla base delle successive considerazioni: il dipendente pubblico - in virtu' della promozione - diviene titolare del diritto a percepire un aumento di stipendio; la somma corrispondente a tale aumento non gli viene corrisposta, a causa della prescrizione in argomento; non e', dunque, possibile negare che, a fronte di quello che sarebbe lo stipendio spettante, il dipendente - percependo una somma inferiore - subisce una decurtazione patrimoniale (al pari di quella che si sarebbe potuta attuare mediante un aumento dell'imposta sul reddito); il riferimento, poi, alla riduzione di spesa non vale ad elidere la natura tributaria delle misure, tenuto conto che ogni imposizione tributaria (tassa, tributo o contributo) da' luogo - sul piano sostanziale - ad una riduzione della spesa pubblica ma non per questo muta la propria natura, in linea - del resto - con quanto gia' rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 223 del 2012, in relazione alla riduzione dell'indennita' prevista dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (la quale ha, tra l'altro, riconosciuto che il concorso alle pubbliche spese, tipico del «prelievo coattivo», e' desumibile «anche dal titolo stesso del decreto-legge..., in coerenza con le finalita' generali delle imposte»). Ammettere il contrario equivarrebbe ad ancorarsi a criteri meramente formalistici, tanto piu' se si considera che i principi costituzionali in argomento tendono alla salvaguardia della giustizia sostanziale tra i contribuenti, finalita' da perseguire nella predisposizione di nuove previsioni di legge atte a determinare - come nel caso in esame - un effetto negativo per i redditi percepiti dai lavoratori. 4.4. In ragione di quanto gia' rilevato, chiara si delinea poi la violazione del principio del buon andamento nella pubblica amministrazione, sancito dall'art. 97 della Cost.. Non appare, infatti, contestabile che il regime introdotto dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 determina scontento nel personale, a scapito del corretto e proficuo espletamento delle proprie mansioni e, dunque, a detrimento dell'efficienza nell'Amministrazione. 5. In conclusione, sussistono i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per la parte che stabilisce che «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», per contrasto con gli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione. Restano riservati all'esito del giudizio incidentale le determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul merito e sulle spese.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter): dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nei termini e per le ragioni esposte in motivazione, per contrasto con gli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione; sospende il giudizio in corso; ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati; dispone la trasmissione, degli atti, a cura della stessa Segreteria, alla Corte Costituzionale. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2014 con l'intervento dei Magistrati: Linda Sandulli, Presidente; Roberto Proietti, Consigliere; Antonella Mangia, Consigliere, Estensore. Il Presidente: Sandulli L'Estensore: Mangia